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Insider trading: la prova per presunzioni

Un dirigente viene sanzionato dall’autorità di vigilanza per insider trading sulla base di prove presuntive. La Corte d’Appello annulla la sanzione, invocando il divieto di ‘doppia presunzione’. La Corte di Cassazione cassa la decisione, chiarendo che non esiste un divieto assoluto. È legittimo basare una presunzione su un fatto a sua volta provato per via presuntiva, purché il ragionamento logico complessivo sia solido e coerente. La valutazione degli indizi deve essere globale e non frammentaria.

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Insider Trading e Prova Indiziaria: La Cassazione sul Divieto di Doppia Presunzione

L’insider trading rappresenta una delle sfide più complesse per le autorità di vigilanza, poiché le prove dirette di una comunicazione illecita di informazioni sono estremamente rare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un punto cruciale: il valore della prova per presunzioni e il presunto divieto di ‘doppia presunzione’. Questa decisione fornisce chiarimenti fondamentali su come gli indizi debbano essere valutati per accertare un abuso di informazioni privilegiate.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dirigente con la posizione di Responsabile Fiscale di una nota società cementiera italiana. L’Autorità di Vigilanza sui mercati finanziari gli aveva inflitto una sanzione di 150.000 euro, accusandolo di aver comunicato informazioni privilegiate a un consulente finanziario. L’informazione riservata concerneva un imminente progetto di cessione di una quota di maggioranza della società a un importante gruppo industriale straniero.
Secondo l’accusa, il consulente, ricevuta l’informazione, aveva acquistato un ingente quantitativo di strumenti finanziari derivati (CFD) legati alle azioni della società, realizzando un profitto, e aveva inoltre raccomandato l’acquisto delle stesse azioni a un suo cliente. L’Autorità basava la sua tesi su una serie di indizi: i rapporti personali tra il dirigente e il consulente, i contatti telefonici avvenuti in prossimità dell’annuncio ufficiale dell’operazione e le anomalie nelle operazioni finanziarie del consulente.

La Decisione della Corte d’Appello

In un primo momento, il dirigente aveva impugnato la sanzione davanti alla Corte d’Appello, che aveva accolto la sua opposizione. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che l’impianto accusatorio dell’Autorità si fondasse su una ‘doppia presunzione’, vietata dall’ordinamento. In pratica, si presumeva che il dirigente fosse a conoscenza dell’informazione e, su questa prima presunzione, se ne innestava una seconda: che egli l’avesse comunicata al consulente. La Corte d’Appello aveva giudicato gli indizi (come l’unica telefonata vicina all’evento) insufficienti e non ‘sincronici’, annullando di conseguenza la sanzione.

Il Ricorso per Cassazione e l’analisi sull’insider trading

L’Autorità di Vigilanza ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su più fronti. Il motivo principale del ricorso era la violazione delle norme sulla prova presuntiva (artt. 2727 e 2729 c.c.). Secondo l’Autorità, la Corte d’Appello aveva erroneamente applicato il principio ‘praesumptum de praesumpto non admittitur’ (una presunzione non può basarsi su un’altra presunzione), che non costituisce una regola assoluta nel sistema processuale italiano. Inoltre, l’Autorità sosteneva che la Corte territoriale avesse analizzato gli indizi in modo frammentario e atomistico, senza valutarli nel loro complesso, come invece richiesto dalla giurisprudenza in materia di insider trading.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Le motivazioni sono di grande importanza per tutti i casi di insider trading.

Innanzitutto, la Suprema Corte ha ribadito con forza che nel nostro ordinamento non esiste un divieto assoluto di ‘doppia presunzione’. Un fatto accertato in via presuntiva può legittimamente costituire la premessa per un’ulteriore presunzione. Ciò che conta non è il numero di passaggi logici, ma la solidità, la gravità, la precisione e la concordanza dell’intero ragionamento inferenziale. Se ogni inferenza in una catena logica è ben fondata, il risultato finale è una prova valida.

In secondo luogo, la Corte ha censurato il metodo di valutazione degli indizi adottato dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano analizzato ogni indizio singolarmente, concludendo che nessuno fosse di per sé sufficiente. Questo approccio ‘atomistico’ è errato. La valutazione della prova indiziaria richiede un doppio passaggio: una prima fase analitica, per verificare la rilevanza di ogni singolo elemento, e una seconda fase, sintetica e complessiva, in cui tutti gli elementi vengono considerati insieme per verificare se, combinati, forniscano una prova convincente del fatto ignoto. La Corte d’Appello ha omesso questa fondamentale valutazione d’insieme.

La Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello non aveva considerato elementi cruciali come la posizione lavorativa del dirigente (che, sebbene non iscritto nel registro degli insider, aveva un ruolo che lo metteva a contatto con informazioni sensibili, essendo stato incaricato dal suo superiore, un insider primario, di raccogliere documenti per la due diligence), la stretta contiguità temporale tra i contatti e le operazioni finanziarie sospette, e le anomalie di tali operazioni.

Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione rafforza gli strumenti a disposizione delle autorità per combattere l’insider trading. Stabilendo che non esiste un rigido divieto di ‘doppia presunzione’ e imponendo una valutazione globale e non frammentaria degli indizi, la Corte riconosce la natura spesso elusiva di questo illecito. La sentenza chiarisce che una catena di inferenze logiche, se coerente e fondata su elementi gravi, precisi e concordanti, costituisce una prova piena e valida. Questo principio è fondamentale per garantire l’integrità dei mercati finanziari, dove la prova diretta è un’eccezione e la prova indiziaria è la regola.

È possibile provare un caso di insider trading solo con indizi e presunzioni?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che le presunzioni semplici costituiscono lo strumento probatorio più idoneo, e talvolta l’unico disponibile, per accertare l’abuso di informazioni privilegiate, data la natura occulta di tale illecito.

Cosa significa che non esiste il divieto di ‘doppia presunzione’?
Significa che è legalmente ammissibile che un fatto, accertato tramite una prima presunzione, diventi a sua volta la base (il ‘fatto noto’) per una seconda presunzione. La validità di questo processo non dipende dal numero di passaggi, ma dalla solidità logica e dalla coerenza dell’intero ragionamento probatorio.

Come deve comportarsi un giudice nel valutare gli indizi di insider trading?
Il giudice deve seguire un processo a due fasi: prima una fase ‘analitica’, in cui valuta la serietà e la precisione di ogni singolo indizio, scartando quelli irrilevanti. Segue una fase ‘sintetica’, in cui valuta tutti gli indizi significativi nel loro complesso, verificando se, combinati tra loro, forniscano una prova convincente e coerente del fatto da dimostrare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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