Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7343 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7343 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 29193-2016 r.g. proposto da:
COGNOME NOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocata NOME COGNOME.
-ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con il quale elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, depositata in data 4.10.2016;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Lecce -sezione distaccata di Taranto – ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME (moglie di NOME, dichiarato fallito quale titolare RAGIONE_SOCIALE ditta individuale RAGIONE_SOCIALE) contro la sentenza di primo grado che, in accoglimento RAGIONE_SOCIALE domanda ex art. 69 l. fall. proposta nei suoi confronti dal Fallimento, aveva dichiarato inefficace l’atto a rogito del AVV_NOTAIO del 30.11.2005 col quale il coniuge le aveva donato la propria quota indivisa del 50% di un immobile.
1.2 La corte territoriale, per quanto qui ancora di interesse: i) ha ritenuto infondata l’eccezione preliminare dell’appellante, di nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza impugnata per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del fallito; ii) ha reputato infondato anche il terzo motivo di gravame -con il quale NOME aveva lamentato che il primo giudice non avesse accolto la sua richiesta istruttoria ex art. 210 c.p.c., di rivolgere al curatore l’ordine di esibizione delle scritture contabili del 2005 del fallito, onde provare la propria inscientia decoctionis -sia per la genericità dell’istanza, sia perché il fatto che dette scritture fossero in possesso del curatore non esimeva l’appellante dalla necessità di chiederne una copia a sue spese, anche dopo la notificazione dell’atto di citazione.
La sentenza, pubblicata il 4.10.2016, è stata impugnata da NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il Fallimento dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, che denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101, 102 e 354 c.p.c., la ricorrente lamenta il rigetto dell’eccezione di nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza di primo grado per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME; sostiene che il fallito era litisconsorte necessario nel giudizio, avente ad oggetto un bene che non era compreso nel fallimento, perché l’immobile , dopo la donazione, era confluito
nel fondo patrimoniale da lei costituito, insieme al coniuge, con atto pubblico del 2009.
1.1 Il motivo è inammissibile, in quanto fondato su un presupposto di fatto che non risulta essere stato devoluto alla cognizione del giudice d’appello (la ricorrente non deduce di aver allegato in sede di gravame c he l’immobile era confluito nel fondo patrimoniale e la sentenza impugnata non fa cenno a tale circostanza ) e che, peraltro, è del tutto estraneo all’oggetto RAGIONE_SOCIALE domanda avanzata dal Fallimento, volta alla dichiarazione di inefficacia RAGIONE_SOCIALE sola donazione RAGIONE_SOCIALE quota indivisa del bene; ciò senza contare che il preteso atto di costituzione in fondo invocato dalla ricorrente sarebbe successivo alla sentenza dichiarativa (pronunciata nel 2008) e dunque inopponibile alla massa.
Col secondo e col terzo motivo, che deducono, rispettivamente, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., la ricorrente -premesso che l’ art. 69 l. fall. pone a carico del curatore l’onere di provare la sussistenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore poi fallito alla data di compimento dell’atto impugnato e sul coniuge quello di provare che non era a conoscenza di tale stato lamenta che la corte d’appello :i) non abbia considerato che, poiché nella specie il curatore non aveva in alcun modo assolto al proprio onere, ella non era tenuta a dimostrare la propria inscientia; ii)abbia, in conseguenza, fatto erroneamente ricadere su di lei, parte convenuta, anche la prova dell’insussistenza dell’insolvenza.
2.1 I motivi, prima ancora che infondati (posto che nelle azioni di revocatoria fallimentare lo stato di insolvenza dell’imprenditore nel c .d. periodo sospetto è oggetto di una presunzione assoluta) sono, al pari del primo, inammissibili in quanto introducono per la prima volta nella presente sede di legittimità una questione -mista di fatto e di diritto- che non risulta essere stata dedotta nel giudizio di gravame.
Col quarto mezzo, la ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c. , lamenta che la corte del merito abbia respinto la sua richiesta di ordinare al curatore l’ esibizione RAGIONE_SOCIALE contabilità del fallito del 2005 senza considerare che ella non aveva altro mezzo per reperire tale documentazione né poteva sapere da quali, fra i libri contabili,
si sarebbe potuto desumere che in quell’anno il marito non versava in stato di insolvenza.
3.1. Col quinto mezzo , che denuncia violazione dell’art. 2711 c.c., la ricorrente prospetta identiche doglianze, limitandosi ad aggiungere che l’istanza di esibizione non poteva ritenersi meramente esplorativa.
3.2. Anche questi motivi sono inammissibili.
Rileva in primo luogo il collegio che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, l’emanazione di un ordine di esibizione attiene a un potere istruttorio discrezionale del giudice non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 27412/021, 9020/2019, 4504/017). Peraltro, pur a voler ritenere superabile questo già assorbente rilievo, resta che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio non può essere censurata dalla parte sotto il profilo del vizio di violazione di legge, ma solo sotto quello del vizio di motivazione, sul rilievo che dalla prova non ammessa si sarebbe potuto desumere il fatto decisivo idoneo a condurre a una diversa soluzione RAGIONE_SOCIALE controversia: è dunque sufficiente, nella specie, rilevare che non solo non v’era alcuna certezza che dalla contabilità del 2005 RAGIONE_SOCIALE FDR emergesse (quanto meno formalmente) la piena solvibilità dell’impresa poi fallita (sicché la richiesta di esibizione era, all’evidenza, meramente esplorativa) ma che la COGNOME non ha in alcun modo chiarito perché la prova a suo carico (che, va qui ribadito, non consisteva nella dimostrazione dell’insussistenza, nel 2005, dello stato di insolvenza del coniuge, ma in quella RAGIONE_SOCIALE propria inscientia decoctionis ) non avrebbe potuto essere fornita attraverso altri mezzi istruttori.
Col sesto mezzo la ricorrente (dopo aver sostanzialmente riproposto le censure già svolte nel secondo e nel terzo motivo) denuncia, infine, l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla sentenza del GIP del Tribunale di Taranto del 17.2.2012 n. 677/12, divenuta irrevocabile in data 6.4.2013, dalla quale emergeva che lo stato di insolvenza RAGIONE_SOCIALE impresa RAGIONE_SOCIALE si era manifestato solo a partire dall’anno 2007 .
4.1 Il motivo è inammissibile per assoluto difetto di specificità, non avendo la ricorrente chiarito se, e in quale esatta sede processuale, la sentenza penale
sia stata prodotta nel giudizio civile ed abbia formato oggetto di contraddittorio, né perché l’accertamento in essa contenuto dovrebbe far prova RAGIONE_SOCIALE sua inscientia decoctionis alla data di stipula dell’atto impugnato, atteso che un conto è il manifestarsi all’esterno dei sintomi dell’insolvenza, altro che uno stato di insolvenza ancora non conoscibile dai terzi sia già sussistente e noto non solo (come è ovvio) all’imprenditor e ma anche al suo coniuge.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 RAGIONE_SOCIALE l. n. 228 del 2012, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, , se dovuto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023