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Informazione privilegiata: la prova per presunzioni

La Corte di Cassazione ha confermato una sanzione per abuso di informazione privilegiata, stabilendo che la prova dell’illecito può essere raggiunta anche attraverso un solido quadro di presunzioni. Nel caso di specie, un investitore aveva acquistato azioni di una società target poco prima dell’annuncio pubblico di un’acquisizione, dopo aver avuto contatti con una figura chiave dell’operazione. La Corte ha ritenuto che la coincidenza temporale, la natura dell’investimento e i rapporti tra le parti costituissero elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, sufficienti a fondare la condanna, respingendo il ricorso dell’investitore.

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Informazione privilegiata: la Cassazione chiarisce il valore della prova per presunzioni

Con l’ordinanza n. 1147 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto dei mercati finanziari: l’abuso di informazione privilegiata e, in particolare, le modalità con cui può essere provato in giudizio. La decisione conferma che un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti è sufficiente per fondare una condanna, anche in assenza di una prova diretta della trasmissione dell’informazione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sanzione emessa dall’autorità di vigilanza del mercato finanziario nei confronti di un investitore. L’accusa era di aver violato l’art. 187-bis del Testo Unico della Finanza (TUF) per aver sfruttato un’informazione privilegiata.

In sintesi, i fatti sono i seguenti:
1. Due grandi società, una industriale italiana e una multinazionale giapponese, stavano finalizzando un accordo per l’acquisizione, da parte della seconda, del pacchetto di controllo di una società quotata appartenente al gruppo della prima.
2. Poco prima che l’accordo venisse reso pubblico, e precisamente durante un soggiorno estivo, l’investitore sanzionato si trovava in vacanza a stretto contatto con un esponente di vertice del gruppo venditore.
3. Subito dopo questo periodo, l’investitore acquistava un considerevole pacchetto di azioni della società oggetto dell’acquisizione, per un controvalore di oltre 50.000 euro.
4. Pochi giorni dopo, l’accordo veniva ufficializzato e il valore delle azioni saliva notevolmente, garantendo all’investitore un’importante plusvalenza.

L’autorità di vigilanza, sulla base di questi elementi, contestava all’investitore di aver utilizzato l’informazione non ancora pubblica relativa all’imminente operazione di mercato, applicando una sanzione pecuniaria di 130.000 euro, oltre a sanzioni accessorie.

La Decisione della Corte d’Appello

L’investitore aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver effettuato l’operazione sulla base di analisi di mercato e informazioni di stampa. Tuttavia, la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato il provvedimento sanzionatorio. I giudici di merito avevano ritenuto che gli elementi indiziari raccolti formassero un quadro probatorio solido e coerente. In particolare, la stretta coincidenza temporale tra l’incontro con la figura apicale e l’acquisto delle azioni, unita al fatto che l’investitore non aveva mai operato prima su quel titolo, costituiva una prova presuntiva sufficiente del possesso e dell’utilizzo dell’informazione privilegiata.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’investitore ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sulla prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.). Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe errato nel dedurre da un fatto presunto (l’incontro) un altro fatto ignoto (l’acquisizione dell’informazione), basando l’intera condanna su una doppia presunzione non consentita. Inoltre, il ricorrente contestava la mancanza di gravità, precisione e concordanza dei singoli indizi e criticava la sentenza per non aver adeguatamente considerato le prove a sua discolpa, come la possibilità che l’investimento fosse stato suggerito da un consulente finanziario.

Le Motivazioni della Cassazione sull’informazione privilegiata

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla prova dell’insider trading. I giudici hanno stabilito che il ragionamento della Corte d’Appello era logicamente corretto e giuridicamente fondato.

Il punto centrale della decisione risiede nella corretta applicazione del metodo presuntivo. La Cassazione ribadisce che il giudice di merito non deve valutare gli indizi in modo atomistico e separato, ma deve compiere una valutazione complessiva. Nel caso di specie, i singoli elementi (le qualità professionali dei soggetti, la concomitanza degli incontri, le particolarità dell’operazione di investimento, i contatti telefonici) sebbene non decisivi se presi singolarmente, una volta ricondotti al contesto generale, creavano un quadro d’insieme coerente e logicamente forte. Questo quadro giustificava ampiamente la conclusione che, alla base della scelta di investimento, vi fosse il possesso dell’informazione privilegiata.

La Corte ha inoltre precisato un aspetto fondamentale: ai fini della configurabilità dell’illecito, non è necessario dimostrare un collegamento causale diretto, ovvero provare che l’informazione sia stata comunicata attivamente da un insider. Ciò che rileva è il nesso tra il possesso dell’informazione e il suo utilizzo per compiere operazioni finanziarie. L’espressione “informazione” va intesa come “conoscenza”, indipendentemente da come tale conoscenza sia stata acquisita, se tramite comunicazione diretta o se sia stata semplicemente “intercettata”.

Infine, la Corte ha respinto le censure relative alla mancata ammissione di ulteriori prove, ritenendole non decisive per invalidare il solido quadro probatorio già emerso.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio di grande importanza pratica: la lotta all’abuso di informazione privilegiata può e deve basarsi anche sulla prova presuntiva. Quando una serie di fatti noti e provati converge in modo grave, preciso e concordante verso la dimostrazione del possesso e dello sfruttamento di un’informazione riservata, il giudice può legittimamente fondare su di essi la propria decisione. Questa sentenza riafferma la validità del ragionamento inferenziale come strumento essenziale per accertare illeciti finanziari che, per loro natura, vengono spesso posti in essere con modalità che ne occultano le prove dirette.

È possibile condannare per abuso di informazione privilegiata basandosi solo su prove indiziarie (presunzioni)?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la prova dell’illecito può essere raggiunta attraverso un complesso di elementi indiziari (fatti noti) che, valutati nel loro insieme, risultino gravi, precisi e concordanti nel dimostrare il fatto ignoto, ovvero il possesso e l’utilizzo dell’informazione privilegiata.

Cosa deve fare il giudice per utilizzare correttamente la prova per presunzioni?
Il giudice non deve valutare ogni indizio singolarmente e in modo isolato, ma deve effettuare una valutazione complessiva e logica di tutti gli elementi a disposizione. È l’insieme coerente degli indizi che, rapportati al contesto, consente di provare il fatto ignoto.

Per configurare l’illecito di insider trading, è necessario provare come l’informazione è stata trasmessa all’investitore?
No. Secondo la Corte, non è necessario provare che l’informazione sia stata trasmessa direttamente da un insider. Ciò che rileva ai fini della sanzione è accertare il nesso tra il possesso della conoscenza privilegiata e il suo utilizzo per compiere operazioni finanziarie, a prescindere da come tale conoscenza sia stata ottenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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