Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33675 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33675 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8907/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona delle legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso il loro studio dell’avvocato in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETÀ E LA BORSA, in persona delle legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliata presso la propria sede in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari n. 1854/2019, depositata il 2 settembre 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con delibera n. 20722 del 29 novembre 2018, notificata il 17 dicembre 2018, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob ), all’esito di attività ispettiva della Banca d’Italia e di successiva propria attività di vigilanza, ha irrogato le sanzioni amministrative pecuniarie, di seguito precisate, nei confronti della Banca Popolare di Bari soc. coop. p.a. (di seguito BPBRAGIONE_SOCIALE, contestando la violazione degli artt. 114, primo comma, e 116 T.U.F., per avere la Banca omesso di comunicare al pubblico le dovute informazioni su eventi e circostanze rilevanti, con specifico riferimento: a) alla determinazione del prezzo delle azioni BPB sulla base delle situazioni contabili al 31 dicembre 2013, 31 dicembre 2014 e 31 dicembre 2015, approvato nelle sedute del c.d.a. del 9 aprile 2014, 25 febbraio 2015 e 7 aprile 2016; b) alla determinazione del prezzo delle azioni BPB, nell’ambito delle operazioni di aumento di capitale poste in essere nel 2014 (seduta del c.d.a. del 6 novembre 2014) e nel 2015 (seduta del c.d.a. del 25/2/2015) [ nell’atto di accertamento (proc. sanzionatorio n. 75968/2018) si evidenzia che ‘l’informativa resa al pubblico da BPB nel periodo 2014/2016 è stata carente, non avendo la Banca comunicato al pubblico le seguenti informazioni rilevanti: a) il processo di determinazione del prezzo dell’azione BPB, fissato dal C.d.A. nelle citate sedute del 9 aprile 2014, 25 febbraio 2015 e 7 aprile 2016; b) i criteri e le modalità di determinazione del prezzo di emissione delle azioni BPB, ad esito delle sedute consiliari del 6 novembre 2014 e del 25 febbraio 2015, in occasione -rispettivamente – degli aumenti di capitale offerti in opzione ai soci nel 2014 e nel 2015. Nelle sopra richiamate circostanze, la Banca non ha comunicato al pubblico i criteri utilizzati e le modalità seguite
per la determinazione del prezzo; inoltre, considerato che le stime sono state effettuate sulla base di diverse metodologie, anche tale cambio di metodologia avrebbe dovuto formare oggetto di comunicazione al pubblico. Ed invero: – nel 2014 il C.d.A. ha fissato il prezzo da proporre all’Assemblea al livello massimo del range di valori proposto da Deloitte sulla base del metodo dei multipli di transazioni comparabili, non essendo state recepite le risultanze derivanti dall’utilizzo del Dividend Discount Model nella versione Excess Capital (DDM), del metodo dei multipli impliciti nei prezzi definiti in operazioni di aumenti di capitale di banche non quotate, nonché del metodo misto patrimoniale-reddituale (Metodo UEC); nel 2015 il C.d.A. ha fissato il prezzo da proporre all’Assemblea nell a parte bassa del range di valori proposto da Deloitte sulla base del metodo dei multipli di transazioni comparabili non essendo state recepite le risultanze derivanti dall’utilizzo del DDM, del metodo dei multipli impliciti nei prezzi definiti nel mercato secondario di banche non quotate, nonché del Metodo UEC; – nel 2016 il C.d.A. ha fissato il prezzo da proporre all’Assemblea nella parte mediana del range di valori proposto da Deloitte sulla base del DDM, non essendo state recepite le risultanze derivant i dall’utilizzo del metodo dei multipli di transazioni comparabili, nonché del Metodo UEC. In proposito, tenuto conto del fatto che l’utilizzo dei distinti metodi valutativi restituiva valori dell’azione che si discostavano significativamente tra loro, si era senz’altro in presenza di un set informativo rilevante ai fini della piena comprensione del processo di formazione del prezzo di un titolo non quotato – il cui valore veniva, sostanzialmente, determinato con ampia discrezionalità dal Consiglio di amministrazione della Banca e dei relativi rischi ad esso sottesi’].
In particolare, tenendo distinte le violazioni commesse prima e dopo la data (8 marzo 2016) di entrata in vigore del d.lgs. n. 75/2015, quanto alle prime applicando il criterio del cumulo giuridico, ex art. 8, comma primo, l. n. 689/81 e ravvisando più
grave la violazione concernente la determinazione del prezzo delle azioni per l’anno 2015, da cui era conseguita quella riguardante la determinazione del prezzo nell’ambito dell’aumento di capitale del 2015, le sanzioni pecuniarie irrogate con la predetta delibera, ai sensi dell’art. 193/1 T.U.F., nel testo applicabile ratione temporis , per l’importo complessivo di euro 170.000,00, nel dettaglio sono le seguenti: 1) euro 40.000,00 in relazione all’omessa comunicazione al pubblico del processo di determinazi one del prezzo dell’azione BPB, fissato dal C.d.A. nella seduta del 9 aprile 2014; 2) euro 40.000,00 in relazione all’omessa comunicazione al pubblico dei criteri e delle modalità di determinazione del prezzo di emissione delle azioni BPB, nell’ambito dell’aumento di capitale del 2014 (seduta del C.d.A. del 6 novembre 2014); 3) 50.000,00 (di cui euro 40.000,00 per la violazione più grave, aumentata di euro 10.000,00, per effetto del cumulo giuridico), in relazione all’omessa comunicazione al pubblico del processo di determinazione del prezzo dell’azione BPB, fissata dal C.d.A. nella seduta del 25 febbraio 2015, nonché dei criteri e delle modalità di determinazione del prezzo di emission e delle azioni BPB, nell’ambito dell’aumento di capitale del 2015 (seduta del C.d.A. del 25 febbraio 2015); 4) euro 40.000,00 in relazione all’omessa comunicazione al pubblico del processo di determinazione del prezzo dell’azione BPB, fissato dal C.d.A. nella seduta del 7 aprile 2016.
Avverso la delibera Consob, ha proposto opposizione Banca Popolare di Bari soc. coop. p.a. chiedendo, previa istanza di sospensiva e di inibizione della sua pubblicazione sul Bollettino Consob, l’annullamento ovvero la revoca ovvero, in subordine, la riduzione della sanzione nei minimi di legge, con vittoria di spese.
Si è costituita in giudizio la Consob , contestando l’avversa domanda di cui ha chiesto il rigetto.
La Corte di appello ha rigettato l’impugnazione, condannando la Banca Popolare di Bari soc. coop. p.a. al rimborso delle spese di lite.
-La Banca Popolare di Bari soc. coopRAGIONE_SOCIALE pRAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La Consob ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., 11 8 disp. att. cod. proc. civ. e disp. trans., 125 c.p.p., 111, comma 6, Cost. e 1 95, comma 1, d.lgs. 58/1998 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. – nullità della sentenza per illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di tardività dell’accertamento della sanzione; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. Parte ricorrente ha impugnato la sentenza di appello nella parte in cui ha reputato, attraverso motivazione illogica e omettendo l’esame circa fatti decisivi per il giudizio, che il provvedimento sanzionatorio in esame fosse stato irrogato dalla Consob tempestivamente ai sensi dell’art. 195, comma 1, T.U.F. In particolare, è stata censurata l’illogicità e contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte d’appello per aver quest’ultima reputato che soltanto alla data del 13 dicembre 2017 può ritenersi ultimata la fase acquisitiva delle informazioni. Al riguardo, si rammenta che le sanzioni comminate dalla Consob hanno riguardato: (i) la mancata comunicazione al pubblico dei criteri e delle modalità seguite per la determinazione del prezzo delle azioni in occasione delle sedute del Consiglio di Amministrazione della Banca del 9 aprile 2014, 25 febbraio 2015 e 7 aprile 2016; ciò posto, atteso che è la stessa legge a prevedere la necessaria deliberazione del C.d.A. prima della decisione assembleare prevista dall’art. 2528 cod. civ., Consob era in condizione di conoscere e
constatare la presunta violazione commessa dalla Banca e avrebbe quindi dovuto avviare il procedimento di contestazione ai sensi della norma citata: a) entro il 1° semestre 2015, con riferimento alla delibera consiliare del 9 aprile 2014; b) entro il 1° semestre 2016 in relazione alla delibera consiliare del 25 febbraio 201 5; c) entro il 1° semestre 2017, con riguardo alla delibera consiliare del 7 aprile 2016; peraltro, la circostanza che nel processo di pricing erano stati considerati diversi criteri (inclusi quelli che portavano a un prezzo d’offerta . inferiore a quello poi effettivamente pubblicato) era riportata nelle deliberazioni del C.d.A. cui l’Autorità ha avuto effettivo accesso ben prima degli accertamenti ispettivi; (ii) la mancata diffusione di un comunicato stampa, ad esito, rispettivamente, delle sedute consiliari del 6 novembre 2014 (per l’aumento di capitale del 2014) e del 25 febbraio 201 5 (per l’aumento di capitale del 2015), concernente i criteri e le modalità di determinazione del prezzo di emissione delle azioni BPB; tuttavia, i verbali delle predette delibere del C.d.A. della Banca erano stati trasmessi alla Consob rispettivamente in data 10 novembre 2014 e 26 febbraio 2015, sicché, anche in questo caso l’Autorità era nella posizione di poter constatare la presunta, mancata disclosure al pubblico delle pertinenti informazioni e di contestare l’illecito ben prima del 13 dicembre 2017. La tesi secondo cui il dies a quo dell’accertamento ex art. 195, comma 1, T.U.F. andrebbe collegato al successivo momento in cui la Consob ha avuto conoscenza della mancata adozione da parte di BPB di una procedura di pricing sarebbe pertanto inconsistente.
Ad ogni modo, la questione della rilevanza (o meno) dell’adozione di eventuali procedure interne di pricing non sarebbe stata minimamente affrontata nella sentenza impugnata. Irrilevanza che, ove (correttamente) esaminata e valutata, avrebbe condotto secondo quanto argomentato – la Corte territoriale ad escludere che il dies a quo ex art. 195 T.U.F. dovesse essere posticipato al
momento della ricezione da parte della Consob dello Stralcio Ispettivo. Ciò in quanto, attraverso tale verbale, l’Autorità veniva unicamente a conoscenza, in aggiunta alle informazioni dalla stessa già conosciute o conoscibili, della mancata adozione da parte della Banca di procedure di pricing.
A quanto sopra si aggiunge che la sentenza avrebbe completamente omesso di esaminare il rilievo, puntualmente sollevato dalla Banca, con cui è stato eccepito che le contestazioni sarebbero comunque tardive in quanto avrebbero dovuto adottarsi entro il primo semestre 2017, a nulla rilevando, ai fini del computo del termine dell’accertamento, l’ulteriore attività istruttoria condotta dalla Consob tramite le richieste di informazioni del 23 giugno 2017 e del 7 dicembre 2017. Ciò per la semplice ragione che dette richieste nulla avevano (e nulla potevano avere) a che fare con i fatti e le valutazioni oggetto di causa.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
È principio consolidato quello secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione (Cass., Sez. VI-2, 3 settembre 2014, n. 18574; Cass., Sez. II, 13 dicembre 2011, n. 26734). Compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, individuando il dies a quo di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del
caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. II, 18 aprile 2007, n. 9311; Cass., Sez. II, 5 dicembre 2006, n. 25916; Cass., Sez. II, 30 maggio 2006, n. 12830; Cass., Sez. I, 4 febbraio 2005, n. 2363).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha specificamente motivato in merito alle ragioni per le quali è stata ritenuta tempestiva la contestazione nel rispetto del termine 180 giorni dall’accertamento (pp. 15-19), così come previsto dal T.U.F., giungendo a ritenere che soltanto in data 13 dicembre 2017 potesse ritenersi ultimata la fase acquisitiva delle informazioni, arrivando così alla notifica delle contestate violazioni il 22 marzo 2018, dopo l’elaborazione dei dati acquisiti e delle relative valutazioni da parte dell’autorità di vigilanza, per cui alcuna rivalutazione dei fatti può essere compiuta in sede di legittimità.
2. -Con il secondo motivo di ricorso la Banca ha contestato, sotto diversi profili, il difetto di motivazione della sentenza, nella parte in cui quest’ultima ha rigettato l’eccezione concernente il difetto di motivazione e di istruttoria, nonché la violazione del principio del contraddittorio nell’ambito del procedimento sanzionatorio (violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e disp. trans., 125 c.p.p., 111, comma 6, Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. -Nullità della sentenza per assenza o apparenza della motivazione in punto di violazione dell’art. 195, comma 2, d.lgs. 58/1998 e art. 24, comma 1, L. 262/2005). Si è osservato, in particolare, che la Corte d’appello di Bari, nel decidere sulla predetta eccezione, ha testualmente riprodotto la motivazione che era stata adoperata dallo stesso Collegio in un diverso giudizio tra le stesse parti – sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1855/2019 – senza
avvedersi tuttavia che le questioni sottoposte al suo esame erano del tutto distinte, essendo in un caso appuntate sulla violazione dell’art. 6 CEDU, mentre in quello qui in esame sulla violazione del principio del contraddittorio e, più in generale, del principio di separazione per la sostanziale abdicazione da parte della Consob del suo potere decisionale.
2.1. -Il motivo è infondato.
In materia di sanzioni amministrative previste dal d.lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.), la configurazione del giudizio di opposizione come giudizio sul rapporto e non sull’atto non autorizza la totale obliterazione del controllo di legittimità del provvedimento sanzionatorio sotto il profilo del rispetto delle garanzie endoprocedimentali fissate dagli artt. 187 septies e 195 del T.U.F.; in particolare, deve essere valutata la violazione del nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale, rappresentato dalla contestazione dell’addebito e dalla valutazione delle controdeduzioni dell’interessato (Cass., Sez. II, 11 febbraio 2022, n. 4521).
In tema di opposizione a ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che dovrà valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto. (Cass., Sez. II, 21 maggio 2018, n. 12503).
Nella specie, la Corte d’appello ha esaminato il motivo di opposizione relativo ai vizi procedimentali e di motivazione del
provvedimento, escludendone la rilevanza, sottolineando come l’atto sanzionatorio e l’antecedente atto di accertamento siano adeguatamente motivati sotto ogni profilo, a prescindere dalla condivisibilità delle argomentazioni addotte. Si sottolinea, inoltre, che la Banca ha avuto modo di sviluppare in sede giudiziale una strutturata attività difensiva nel pieno esercizio del diritto di difesa, di cui non si ravvisa alcuna lesione.
3. -Con il terzo motivo la Banca ha dedotto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nella parte in cui la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che le informazioni relative ai « criteri e delle modalità di determinazione del prezzo delle azioni» siano da qualificare come ‘informazioni privilegiate’ ai sensi dell’art. 181 del T.U.F. all’epoca vigente (violazione e falsa applicazione degli artt. 114, comma 1, 116, comma 1, e 181, comma 1, d.lgs . 58/1998 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Il requisito della ‘precisione’ dell’informazione si riferiva alla contestuale presenza nell’informazione stessa delle due condizioni indicate dall’art. 1 81 del T.U.F. ratione temporis vigente (e, ora, ai sensi dell’art. 7 del Regolamento (UE) n. 596/14 del 16 aprile 2014 (MAR)), ossia: (a) il riferimento a circostanze esistenti o che si possa ragionevolmente prevedere che verranno ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; (b) una specificità sufficiente a consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di tali circostanze o dell’evento sui prezzi degli strumenti finanziari. In altri termini, le informazioni di cui è stata contestata l’omessa comunicazione al pubblico non erano, di per sé, sufficientemente specifiche e tali da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto sul prezzo delle azioni; pertanto, risultano del tutto prive del requisito della ‘precisione’ di cui all’art. 181 T.U.F. vigente all’epoca dei fa tti contestati. Quanto alla materialità delle informazioni in esame, la sentenza impugnata si sarebbe limitata a fondare il proprio
convincimento su elementi non idonei a fornire alcuna utile indicazione, quali l’asserita incidenza dell’informazione sul volume di scambi e l’astratta possibilità che le azioni della Banca potessero essere negoziate al di fuori dell’unica sede di negoziaz ione sussistente all’epoca. Tuttavia, ai sensi dell’art. 181 T.U.F. ratione temporis vigente, per informazione ‘materiale’ deve intendersi un’informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui basare le proprie decisioni di investimento, in quanto – se comunicata – potrebbe influire ‘in modo sensibile’ sui prezzi degli strumenti finanziari. Dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto avvedersi della oggettiva impossibilità per le informazioni di cui trattasi di incidere in modo significativo sull’andamento dei corsi azionari in considerazione della sede, della modalità e dei volumi di negoziazione delle azioni della Banca, come già ampiamente dedotto. La Corte barese avrebbe disatteso i principi normativi e gli orientamenti interpretativi affermatisi in relazione alla nozione di ‘informazione privilegiata’ anche per come emergono dagli schemi di comunicati stampa price sensitive contenuti nella Sezione IA.2.6 delle Istruzioni al Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana S.p.A., i quali non contengano riferimenti al processo, ai criteri e alle modalità di pricing. Si tratta di un rilievo -di cui controparte contesta l’ammissibilità, travisando l’oggetto e la portata di una simile deduzione – volto a chiarire come in situazioni oggetto di attenzioni ben maggiori, quali operazioni di fusione, scissione, acquisizione di emittenti quotati, non è affatto previsto che vengano comunicate al pubblico informazioni dello stesso tipo di quelle di cui, paradossalmente, Consob ha contestat o l’omessa diffusione alla Banca.
3.1. -Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
L’informazione si ritiene ‘privilegiata’ , ai sensi dell’art. 181 T.U.F. ratione temporis vigente, quando è di carattere preciso, non
è stata resa pubblica, concerne direttamente o indirettamente uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari e, qualora venga resa pubblica, se potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. In particolare, un’informazione si dice ‘precisa’ se: 1. si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; 2. è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze sopra menzionate sui prezzi degli strumenti finanziari.
Dunque, è ravvisabile una informazione di carattere preciso ai sensi dell’art. 181 T.U.F. non soltanto quando la stessa si riferisca a un evento verificatosi, bensì anche quando riguardi un evento che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà e l’insieme delle circostanze indicate consenta di formulare tale prognosi.
Nel caso di specie, come apprezzato dalla Corte di appello, in difetto di una policy interna sulla determinazione del prezzo delle azioni, assumeva interesse rilevante per l’investitore sapere con immediatezza quale fosse il metodo seguito dalla Banca per la determinazione del prezzo delle azioni ai sensi dell’art. 2528 cod. civ. sia in sede di offerta per aumento di capitale, a prescindere dal prezzo così come determinato dal Consiglio d’amministrazione, sia riguardo all’offerta di aumento di capitale sia al sovrapprezzo delle azioni.
La proposta di sovrapprezzo di competenza degli amministratori è un momento necessario e codificato della sequenza procedimentale prevista dall’art. 2528 cod. civ., e quindi in sé fornita di autonoma rilevanza. Il sovrapprezzo è un versamento aggiuntivo alla quota sociale che mira ad evitare che in nuovi soci acquisiscano i vantaggi derivanti dall’ingresso in una società già avviata senza alcun corrispettivo; non può essere preventivamente fissato, ma va determinato in sede di bilancio ed è variabile in relazione al risultato
di esercizio, dovrà essere commisurato alla presenza di riserve patrimoniali divisibili.
Solo attraverso la conoscenza del metodo seguito dagli organi amministrativi, l’investitore è posto nelle condizioni di comprendere la serietà e la attendibilità dell’offerta ha lo scopo di valutare la convenienza dell’investimento o del disinvestimento nelle azioni.
Il motivo è peraltro inammissibile nella parte in cui si deduce un omesso esame di diversi elementi dedotti dalla Banca, stante la genericità della doglianza.
4. -Con il quarto motivo di ricorso si contesta la decisione per aver escluso che al caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 116, comma 1bis T.U.F., introdotto dal d.lgs. 107/2018 (quale norma più favorevole per la Banca rispetto a quella vigente all’epoca delle presunte violazioni) sulla scorta della natura sostanzialmente penale degli illeciti oggetto di contestazione alla Banca (violazione e falsa applicazione degli artt. 116, comma 1bis , e 195 d.lgs. 58/1998, nonché art. 25 Cost. e art. 7 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. – sulla lex mitior ). Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello , al fine di valutare l’applicabilità ad una specifica sanzione degli artt. 6 e 7 CEDU, occorre valutare, caso per caso, se la sanzione, pur se formalmente amministrativa, possa riqualificarsi come “sanzione sostanzialmente penale’. E tale valutazione risulta del tutto omessa dalla sentenza impugnata, la cui decisione riposa unicamente su un precedente della Suprema Corte (ma del tutto inconferente con il caso qui in esame, in quanto concernente le sanzioni di cui al Titolo V del T.U.F. ) e pare voler affermare l’assurdo principio secondo cui, che in mancanza di un’espressa disposizione di legge che qualifichi la sanzione come penale, questa non può che ritenersi amministrativa e quindi soggetta al principio tempus regit actum .
4.1. -Il motivo è infondato.
Alla luce della giurisprudenza della CEDU, infatti, il principio del favor rei , di matrice penalistica, non ha ad oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale; per altro verso, non può ritenersi che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale (Cass., Sez. II, 24 settembre 2019, n. 23814).
Questa Corte ha costantemente affermato la natura amministrativa delle sanzioni Consob non rientranti nell’ambito degli abusi di mercato (Cass. Civ., 24375/2023, Cass. Civ. 11722/2019, Cass. Civ. 8047/2019, Cass. Civ. 8855/17, anche Cass. Civ. 5/2019 in tema di sanzioni ex art. 193, T.U.F.) e ha ribadito la conseguente applicabilità alle medesime sanzioni del principio generale del tempus regit actum . Diverso, infatti, è il caso dell ‘ abuso di informazioni privilegiate ex art. 187 bis del d.lgs. n. 58 del 1998 lì dove, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale del 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, deve trovare applicazione retroattiva in mitius il più favorevole regime sanzionatorio introdotto dal comma 3 dello stesso (Cass., Sez. VI-2 19 febbraio 2021, n. 4524).
Correttamente, pertanto, non è stato applicato lo jus superveniens , risultando la fattispecie estranea alle ipotesi richiamate dalla giurisprudenza.
-Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione