Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2266 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7360/2024 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente agli avvocati COGNOME (MPDGPP81T10A089A), COGNOME (RBNGLM58P02A089G)
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato COGNOME NOME (RSSNZN64E25G371U)
-controricorrente-
nonchè contro
ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA- PRESIDENZA REGIONE SICILIANA UFFICIO ELETTORALE REGIONALE SICILIANO,
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO PALERMO n. 286/2024 depositata il 21/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME NOME COGNOME candidato alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana (ARS) nella lista denominata ‘Sud chiama Nord’ (settembre 2022) è risultato l’ultimo degli eletti, assumendo così la carica di Deputato regionale.
NOME NOMECOGNOME odierno controricorrente, si è posizionato, invece, quale primo dei non eletti, e immediatamente dopo si è posizionato NOME Santo che pertanto ha proposto un ricorso al Tribunale di Palermo al fine di sentire dichiarare l’ineleggibilità di Vasta ai sensi dell’art. 10 lett. a) della Legge regionale n. 29/1951 in quanto il Vasta aveva rivestito fino al mese di novembre 2022 (e quindi dopo la convocazione dei comizi elettorali) la carica di consigliere di amministrazione della società cooperativa RAGIONE_SOCIALE, che intratteneva rapporti economici con la Regione siciliana e con lo Stato, in forza di vari appalti nel settore della ristorazione, servizio mensa e somministrazione pasti ai dipendenti della pubblica amministrazione, rilevando che la norma invocata dichiara ineleggibili coloro che sono vincolati con Stato o Regione da ‘contratti di opere o somministrazione’. Primavera, con lo stesso ricorso, ha dedotto anche la ineleggibilità di COGNOME.
Il Tribunale di Palermo ha accolto il ricorso proposto da COGNOME limitatamente alla posizione del COGNOME dichiarandolo ineleggibile alla carica di deputato dell’ARS e per l’effetto decaduto. Ha
dichiarato invece inammissibile il ricorso proposto nei confronti di COGNOME non essendo questi ancora eletto, con conseguente mancanza di legittimazione passiva e non essendo possibile una sentenza di mero accertamento.
Averso la predetta sentenza ha proposto appello Vasta e appello incidentale Primavera sulla posizione del COGNOME, il quale costituendosi ha rilevato, altresì, la sussistenza di una causa di ineleggibilità anche ai sensi dell’art. 10 lett. b) della L.R. n. 29/1951 per le imprese che ricevono contributi da parte dello Stato, considerato che la RAGIONE_SOCIALE aveva in corso due finanziamenti da parte dell’IRCAC, ente strumentale della Regione.
La Corte d’appello ha respinto l’appello sulla base dei seguenti rilievi:
ha ritenuto incontestato che NOME NOME Maria dal luglio 2019 al 19.11.2022 abbia rivestito la carica di consigliere di amministrazione della società cooperativa RAGIONE_SOCIALE la quale ha sede legale a Palermo e svolge la propria attività -consistente nell’erogazione di servizi di mensa – a mezzo di unità locali e impianti operativi in tutto il territorio regionale;
ha ritenuto che al momento delle competizioni elettorali erano in corso di esecuzione diversi contratti per il servizio di somministrazione di pasti al personale della Polizia di Stato e al personale della Guardia di Finanza, proprio in occasione delle elezioni politiche e regionali siciliane del 25.9.2022, il servizio di ristorazione e mensa presso i locali dell’Arsenale Militare Marittimo di Augusta per il Ministero della Difesa, e altri servizi mensa per pubbliche amministrazioni;
ha rilevato che il primo giudice ben poteva qualificare il contratto come somministrazione (di cose) anziché appalto (di servizi) e che è comunque assorbente il rilievo che ‘somministrazione’ e ‘appalto’ hanno, nella sostanza, effetti e obblighi identici, e in ogni
caso il divieto risponde alla medesima ratio , di scongiurare il pericolo della captatio benevolentiae derivante dal complesso di rapporti economici (caratterizzati da prestazioni periodiche o continuative) tra la società della quale il candidato è amministratore o dirigente e gli enti pubblici ove aspira ad essere eletto;
ha differenziato l’ipotesi di cui in questione (causa di ineleggibilità) con la ipotesi di incompatibilità introdotta dalla legge regionale n. 22/2007 ritenendo che non sia corretta la interpretatio abrogans del ricorrente, poiché il legislatore regionale del 2007 ha introdotto i casi di incompatibilità, mantenendo volutamente quelli di ineleggibilità;
ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità posta dal COGNOME richiamando l’ordinanza n. 162/2019 della Corte Costituzionale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Vasta affidandosi a otto motivi. Si sono costituiti con controricorso COGNOME e COGNOME. Non si è costituita l’ARS.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato memorie.
RILEVATO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 comma 1 lett. a) della L.R. n. 29/1951 in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3) del c.p.c. Il ricorrente rileva che l’intero compendio motivazionale della sentenza impugnata ruota attorno alla previsione di cui alla lettera a) della L. R. 29/1951 avendo il giudice di appello ritenuto assorbiti gli ulteriori motivi di appello. Deduce che la società di cui egli era consigliere di amministrazione aveva stipulato un contratto di ‘appalto’ e non di somministrazione e lamenta che i giudici di appello, pur riconoscendo una intrinseca differenza tra il contratto d’opera e quello di somministrazione rispetto a quello d’appalto, abbiano concluso –
sulla scorta della presunta medesima ratio legis -per la sovrapponibilità delle due fattispecie contrattuali e la riconducibilità di entrambe alla previsione di cui alla lett. a), dichiarandolo pertanto ineleggibile. Lamenta che la conclusione a cui è giunta la Corte di appello di Palermo è manifestamente viziata poiché assunta in violazione di legge e, nello specifico, in violazione della previsione di cui all’articolo 10 comma 1 lett. a) della L.R. 29/1951. Infatti, il chiaro tenore letterale della disposizione non lascia adito a dubbi: il vincolo con lo Stato o con la Regione da cui deriva la causa di ineleggibilità in capo al soggetto che ricopra ruoli all’interno di una compagine societaria, riguarda i contratti di prestazioni d’opera o di somministrazione, non anche altre e differenti ipotesi e tipologie contrattuali. Le ipotesi di ineleggibilità devono essere tassativamente e chiaramente indicate dal legislatore per evitare la loro dilatazione o restrizione, come affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 288 del 2007 e n. 143 del 2010, dovendosi assicurare la stretta interpretazione delle norme ed escludere qualunque ipotesi di interpretazione estensiva o analogica.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta il vizio di motivazione sulla dedotta illegittimità costituzionale della lett. a) dell’articolo 10 della legge regionale n. 29/1951 in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 5) c.p.c. Il ricorrente deduce che egli, in subordine rispetto al primo motivo di ricorso, aveva sollevato innanzi al giudice di appello talune questioni di legittimità costituzionale ritenendo la norma -ove confermata l’interpretazione analogica dell’articolo 10 comma 1 lett. a) della L.R. 29/1951 lesiva degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione italiana. Osserva che è irrazionale che la medesima fattispecie in fatto sia sanzionata a titolo di ineleggibilità che di incompatibilità. Il legislatore regionale, infatti, con legge reg. n. 22/2007 ha aggiunto alla legge originaria del 1951 un capo III (‘delle incompatibilità’) nel quale è previsto il di-
vieto per il deputato regionale di esercitare funzioni di amministratore o dirigente ‘in associazioni, enti, società o imprese che gestiscono servizi di qualunque genere per conto di enti regionali, o ai quali la Regione contribuisce in via ordinaria, direttamente o indirettamente’ (art. 10 quater, co. 1 lett. a). Si tratta di ipotesi sovrapponibile a quella prevista dall’art 10 L.r. 29/1951 . Per coerenza l’art. 10 lett. a) avrebbe dovuto essere abrogato. Non essendo ciò avvenuto, è evidente la sua illegittimità costituzionale: perché continua a sussistere come causa di ineleggibilità una situazione che lo stesso legislatore ha riconosciuto, intervenendo successivamente, essere una causa di incompatibilità. Lamenta che sul punto la motivazione della Corte d’appello sia contraddittoria rispetto ai precedenti capi di sentenza (20, 21 e 22) in cui si spinge ad una interpretazione sostanzialmente analogica della disposizione. La sentenza impugnata, quindi, è viziata poiché il giudicante omette di motivare la ritenuta infondatezza della proposta questione e di censurare, piuttosto, una previsione legislativa lesiva degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta il vizio di motivazione sulla illegittimità costituzionale del citato articolo 10 lett. a) per contrasto con gli articoli 3, 45, 48 e 51 Costituzione in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 5) c.p.c. Il ricorrente deduce che con l’ulteriore motivo di appello aveva sollevato l’illegittimità costituzionale della previsione per violazione degli articoli 3, 45, 48 e 51 della Costituzione rispetto alle previsioni di cui all’articolo 3 comma 2 della L. 23 aprile 1981 n. 151 e rispetto alle previsioni di cui all’articolo 10 del d.P.R. 30 marzo 1957 recante norme per la elezione della Camera dei deputati. In entrambi i casi le ipotesi di ineleggibilità ivi previste e indicate escludono l’applicabilità della disposizione per i dirigenti di cooperative e i consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di prefettura. Esclusione, invece,
non prevista nella Legge regionale siciliana che produce, inevitabilmente, una disparità di trattamento e una irragionevole restrizione del diritto di elettorato passivo dell’odierno ricorrente e di tutti gli eletti all’Assemblea Regionale Siciliana rispetto agli eletti nelle altre regioni e agli eletti al Parlamento nazionale. Osserva che sul punto il giudice d’appello si è limitato a poche righe ove si afferma che non diversa sorte va assegnata alla questione di legittimità della disposizione in scrutinio sollevata con riferimento agli articoli 3, 45, 48 e 51 nella parte in cui non esclude dal novero degli ineleggibili ‘coloro che hanno parte in cooperative o consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei pubblici registri’ e che questa motivazione non esplicita la ragione del rigetto e non giustifica l’evidente disparità di trattamento tra i candidati all’assemblea regionale siciliana nonché i candidati dei consigli regionali delle altre regioni e del Parlamento.
4.- I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi e sono infondati.
4.1.- Il Procuratore Generale sul punto osserva che il ricorrente, invocando un principio di tassatività in tema di accesso all’elettorato passivo, propone un’interpretazione restrittiva della norma in esame per cui le cause di ineleggibilità sarebbero limitate al titolare o legale rappresentante di società che svolga per la Regione Siciliana appalti di opere o fornitura di beni sotto forma di somministrazione, non la prestazione di servizi, che costituisce l’unico vincolo contrattuale esistente tra la COT (di cui il ricorrente è gestore) e la Regione Siciliana. Dalla sentenza di secondo grado emerge tuttavia come la COT svolge(va) servizio di erogazione di pasti al personale di Polizia di Stato e della Guardia di Finanza. Una tale tipologia contrattuale, al di là del nomen juris , rientra ad avviso del Procuratore Generale nell’alveo dei ‘contratti di opere e somministrazione’ contemplati dalla norma, non potendosi limitare
il concetto di somministrazione alla mera prestazione di beni materiali. La Corte Costituzionale ha, difatti, affermato (sentenza n. 294/2011) che ‘ Le incompatibilità tra cariche elettive sono dirette a salvaguardare i principi di buon andamento imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), il che è evidente ai fini della salvaguardia di un principio di separazione fra candidato alla rappresentanza della Regione, quale ente richiedente servizi di fornitura ed erogazione di beni e servizi, e titolare di società che per l’appunto tali beni e servizi erogano ‘. Osserva inoltre che sempre la Corte Costituzionale pur avendo ripetutamente osservato che le categorie dell’ineleggibilità e dell’incompatibilità devono muoversi nell’alveo di una disciplina comune in tutte le regioni, siano esse a statuto ordinario che a statuto speciale, ha anche costantemente ammesso un adattamento a livello locale delle singole disposizioni relative alle incompatibilità ed ancor di più in Sicilia, in ragione di più gravi fenomeni di infiltrazioni delinquenziali nelle amministrazioni pubbliche e di condizioni locali ‘peculiari ed eccezionali’. In particolare, le osservazioni contenute nelle sentenze nn. 288/2007 e 134/2018 rispondono alla questione di costituzionalità sollevata dal ricorrente che lamenta la disparità di trattamento riservata ai candidati all’Assemblea Regionale siciliana rispetto ai candidati ai consigli regionali delle altre Regioni nonché ai candidati al Parlamento della Repubblica.
4.2.- Le considerazioni del Procuratore Generale sono condivisibili.
La norma qui applicabile è l’art.10 della legge n. 29/1951 della Regione Sicilia in tema di elettorato passivo e cause di ineleggibilità, modificato dall’art. 2 della L.R. 6/58, dall’art. 1 della L.R. 33/72, dall’art. 5 della L.R. 87/75, dall’art. 33 della L.R. 6/81, modificato dall’art. 12, comma 2, della L.R. 7/2005 e sostituito
dall’art. 1, comma 3, della L.R. 22/2007. La norma, per quanto qui di interesse, così dispone:
‘1. Non sono eleggibili inoltre:
coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali, amministratori e dirigenti di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato o con la Regione per contratti di opere o di somministrazione, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta;
i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società ed imprese volte al profitto di privati, che godano di contributi, concorsi, sussidi o garanzie da parte dello Stato o della Regione’
Si tratta di norma diretta a garantire la par condicio tra i candidati e che, in quanto limita il diritto di elettorato passivo è di stretta interpretazione.
La Corte costituzionale (sentenza n. 141/1996) sul punto ha affermato che ‘le norme che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi entro i limiti di quanto è necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate ‘.
La Corte di Cassazione, nella sua giurisprudenza, ha sempre escluso la possibilità di ricorrere, in materia, alla interpretazione analogica (Cass. n. 7949/2013) pur con talune (ma invero non recenti) caute e limitate aperture verso la interpretazione estensiva (Cass. n. 15285/2000), ma solo nella misura in cui ‘si ritenga che il legislatore abbia detto meno di quanto abbia effettivamente voluto’.
Volendo aderire all’indirizzo più rigoroso e cioè che non sia consentita né la interpretazione analogica né quella estensiva delle norme che limitano, in via eccezionale, il diritto di elettorato passi-
vo, la sentenza della Corte d’appello resi ste comunque alla censura proposta.
La Corte di merito, come si rende evidente dalla lettura complessiva della motivazione, non ha reso una interpretazione estensiva della norma in esame (l’art. 10 L.R. n. 29/1951) ma ha piuttosto operato una sussunzione dei contratti stipulati dalla COT nell’ambito di quelli previsti dalla norma, osservando che si tratta di tipologia contrattuale per la quale non si evidenziano significative differenze rispetto alla somministrazione dal momento che comporta obblighi identici, differenziandosi eventualmente solo per l’oggetto (servizi o cose).
La Corte d’appello non ha quindi ampliato l’oggetto delle cause di ineleggibilità che resta limitata, ai sensi dell’art 10 cit. a coloro ‘ che in proprio o in qualità di rappresentanti legali, amministratori e dirigenti di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato o con la Regione per contratti di opere o di somministrazione…’ ma ha piuttosto osservato che, non essendo il giudice vincolato al nomen iuris dato al contratto dalle parti, nel caso di specie quella tipologia di contratti concretamente stipulati rientrava, date le sue caratteristiche, nella previsione normativa. Ciò rientra indubbiamente nei poteri del giudice di merito, che deve verificare in concreto a quale tipologia corrisponda il contratto stipulato tra le parti e quindi individuarne la relativa disciplina legale.
Peraltro, va qui ricordato che ciò che contraddistingue l’appalto dalla somministrazione è l’oggetto della prestazione, costituito nel primo caso da servizi prestati continuativamente, nel secondo da cose prodotte dal somministrante e da prestare in via continuativa, ma che nel caso in cui l’attività di fare sia strumentale rispetto all’erogazione, e le cose da prestare, in via continuativa, debbano essere prodotte dal somministrante, la fattispecie va qualificata come somministrazione (Cass. n. 18179 del 05/07/2019); e
quindi correttamente un contratto in cui una parte si obbliga a fornire pasti da essa preparati può qualificarsi come somministrazione.
La parte deduce che è incontestato -e provato dalla documentazione allegata – che la RAGIONE_SOCIALE intrattenesse con lo Stato, durante la celebrazione delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana, esclusivamente un contratto di appalto di servizi, sottoscritto all’esito di una procedura ad evidenza pubblica; ma ciò che è incontestato è che questa fosse la qualificazione data dalle parti al contratto, che, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, non è vincolante per il giudice.
5.- Quanto alla prospettata questione di legittimità costituzionale ed ai dedotti difetti motivazionali, in primo luogo si rileva che, come sopra detto, non vi è stata alcuna interpretazione analogica (e neppure estensiva) della normativa applicabile in materia.
5.1.- Sulla pretesa irrazionalità, perché la medesima fattispecie in fatto è sanzionata a titolo di ineleggibilità che di incompatibilità per effetto della innovazione introdotta con legge reg. n. 22/2007, la Corte d’appello ha reso una motivazione logica ed esaustiva osservando in primo luogo che le norme non sono esattamente sovrapponibili, dal momento che la prima opera ex ante e mira a garantire la libertà di voto, mentre la seconda agisce ex post e mira a evitare possibili situazioni di conflitto di interesse; e ciò spiega perché nel primo caso vi è ineleggibilità anche quando il contratto è con lo Stato e non solo (come nel secondo caso) con la Regione.
5.2.La Corte d’appello ha richiamato inoltre la giurisprudenza costituzionale (ordinanza n. 162/2019) con la quale la Consulta ha osservato che, a seguito dell’adozione della L. 2 luglio 2004 n. 165 è stato inevitabilmente lasciato ampio spazio alla legislazione regionale proprio in tema di cause di ineleggibilità e incompatibilità, con conseguente sensibile attenuazione della rigida disciplina unita-
ria dell’elettorato passivo e ampliamento dei confini alla discrezionalità legislativa regionale in tema di ineleggibilità. Ed inoltre la Corte distrettuale ha richiamato la ulteriore giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 143/2010) ove si osserva che la Regione Siciliana ‘ non può incontrare, nell’esercizio della propria potestà legislativa primaria, limiti eguali a quelli che, ai sensi dell’art. 122 Cost., si impongono alle Regioni a statuto ordinario, ciò di cui si ha conferma nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3’ .
Ed invero tutta la giurisprudenza costituzionale, sia quella citata dalla Corte di merito che quella citata anche dal Procuratore Generale, afferma che le categorie dell’ineleggibilità e dell’incompatibilità devono muoversi nell’alveo di una disciplina comune in tutte le regioni, siano esse a statuto ordinario che a statuto speciale, ma ha anche costantemente ammesso un adattamento a livello locale delle singole disposizioni relative alle incompatibilità ed ancor di più in Sicilia, in ragione di più gravi fenomeni di infiltrazioni delinquenziali nelle amministrazioni pubbliche e di condizioni locali ‘peculiari ed eccezionali’ (Corte Cost. n. 288/2007).
Ciò è sufficiente a rispondere ai rilievi del ricorrente sulla presunta incostituzionalità delle norme in esame e sulla asserita disparità di trattamento con altri deputati nazionali e regionali.
6.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 comma 1 lett. a) della L.R. n. 29/1951 ultimo periodo. Il ricorrente deduce che gli è stato contestato di essere ineleggibile poiché componente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE la quale sarebbe stata -a dire della sentenza di primo grado -titolare di autorizzazione amministrativa rilasciata dalla Regione, il che è erroneo, posto che le autorizzazioni e concessioni idonee a produrre la ineleggibilità
sono solo quelle che importino l’obbligo di adempimenti specifici. Elemento che si riscontra nelle concessioni (che implicano l’obbligo del pagamento di un canone) ma non nelle autorizzazioni rilasciate a RAGIONE_SOCIALE.
6.1.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 co. 1 lett. b) della l.r. n. 29/1951. Il ricorrente deduce di essere stato dichiarato ineleggibile dal giudice di primo grado poiché il Tribunale ha erroneamente ritenuto (par. 5 dell’ordinanza emessa nel primo grado di giudizio) applicabile l’art. 10 lett. b) L.R. n. 29/1951 in quanto la RAGIONE_SOCIALE -la cooperativa di cui era componente del c.d.a. ha ‘ricevuto agevolazioni e finanziamenti garantiti dall’IRCAC Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione. Deduce che la norma in questione è inapplicabile al ricorrente.
6.2.- In subordine rispetto al motivo quarto deduce la illegittimità costituzionale dell’art. 10 co. 1 lett. b) della l. n. 29/1951 per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. La disposizione è incostituzionale: perché qualifica come causa di ineleggibilità quella che al più è una causa di incompatibilità; perché estende la ineleggibilità (incompatibilità) dai rapporti contrattuali intercorsi con la Regione siciliana ai rapporti contrattuali con amministrazioni dello Stato; perché non esclude dalla ineleggibilità (incompatibilità) i soggetti aventi parte in cooperative.
6.3.- Con il settimo motivo del ricorso si lamenta il vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’articolo 8 lett. d) e dell’articolo 10 lett. f) della L.R. 29/1951, posto che le cooperative, ancorché soggette ad una parziale vigilanza regionale non rientrano in nessuna delle persone giuridiche contemplate dal citato art. 10 co. 1 lett. f) della L.R. n. 29/1951.
6.4.- Questi motivi sono inammissibili posto che ripropongono -dichiaratamente censure che il giudice d’appello non ha esami-
nato ritenendole assorbite e nel giudizio di legittimità non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite (Cass. n. 23558 del 05/11/2014; Cass. n. 4804 del 01/03/2007; Cass. n. 1755 del 29/01/2016). E’ vero che in materia elettorale la giurisdizione della Suprema Corte è estesa al merito, ma una volta ritenuto corretto il giudizio sulla sussistenza di una causa di incandidabilità non è necessario esaminare le altre.
7.Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la ingiusta condanna alle spese deducendo che se, come sarebbe stato giusto, il ricorso fosse stato respinto, condannato alle spese avrebbe dovuto essere il ricorrente originario sia in primo che in secondo grado.
Il motivo è assorbito e comunque infondato posto che l’odierno ricorrente Vasta risulta soccombente non solo all’esito complessivo della lite, ma anche in ciascuno dei gradi di giudizio.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore delle parti costituite
P.Q.M.
Rigetta il ricorso Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna parte costituita nella misura di euro 5.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/11/2024.