Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 103 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 103 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
Oggetto
Responsabilità civile p.a. -Mancata attuazione direttive comunitarie -Medici specializzandi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2234/2021 R.G. proposto da COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMEp.e.c. indicata: EMAIL, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO -ricorrente –
contro
Repubblica Italiana e, per essa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero del Tesoro;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3211/2019 depositata il 3 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre
2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
pronunciando in controversia relativa alla pretesa risarcitoria azionata da NOME COGNOME nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri dell’Istruzione Università e Ricerca, della Salute e dell’Economia e Finanze per i danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza del corso di specializzazione in Chirurgia generale negli anni 1990-1994, con iscrizione iniziale nell’anno accademico 1989/90 , la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4066 del 10 settembre 2012, in parziale riforma della decisione di primo grado che tale domanda aveva rigettato, condannò la sola Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di € 32.000, oltre interessi dalla pubblicazione della sentenza al saldo, avendo ritenuto spettare all’appellante, per la detta causale, l’importo annuo di € 6.713,94, rivalutato però all’attualità in € 8.000, e quindi moltiplicato per gli anni di corso (ritenuti nel numero di quattro);
tale decisione venne impugnata con ricorso per cassazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (che, con unico motivo, denunciava l’erronea rivalutazione dell’importo) e con ricorso incidentale dal COGNOME che si doleva dell’erroneo computo, a base della liquidazione, di quattro anni di corso, invece degli effettivi cinque;
con ordinanza n. 18021, pubblicata il 18 agosto 2014, questa Corte accolse il ricorso principale (rilevando trattarsi, in continuità con principio già allora affermatosi, di un peculiare diritto pararisarcitorio, oggetto di quantificazione equitativa parametrata alle indicazioni contenute nella legge 19 ottobre 1999, n. 370, come tale avente natura di debito di valuta e quindi non suscettibile di
rivalutazione, salva la prova del maggior danno ai sensi del capoverso dell’art. 1224 cod. civ. ma tale da comportare la maturazione di interessi dalla data di messa in mora) e dichiarò assorbito quello incidentale, relativo all’effettiva durata del corso di specializzazione, evidenziando al riguardo che il giudice del rinvio avrebbe dovuto « riliquidare l’intero importo del risarcimento in relazione a quest’ultima, come risulterà concretamente provata in corso di causa in base alla documentazione prodotta e per gli anni dei corsi di specializzazione iniziati dopo il 1° gennaio 1983 »;
pronunciando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma , con sentenza n. 3211/2020, resa pubblica il 3 luglio 2020, posto a base del calcolo l’importo unitario di € 6.713,94 per ogni anno di corso, ha liquidato in favore del riassumente dr. COGNOME l’importo di € 13.427,88 (= 6.713,94 x 2), oltre interessi legali dalla data di notifica dell’atto di citazione introduttivo, avendo ritenuto, in motivazione, che « sono valutabili solo i primi due anni »;
compensò, inoltre, le spese processuali «del doppio grado di giudizio» per la ritenuta sussistenza di «giustificati motivi», in considerazione della «oscillazione giurisprudenziale quanto ai temi della presente controversia»;
avverso tale decisione il dott. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;
le amministrazioni intimate non svolgono difese nella presente sede;
è stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione delle norme di diritto … relativamente alla normativa
sulla immodificabilità della sentenza passata in giudicato: artt. 2909 c.c. e 345 c.p.c. »;
rileva che: a) con la sentenza n. 4066 del 2012 resa in grado di appello, la Corte capitolina aveva riconosciuto il diritto all’indennizzo commisurandolo ad una durata del corso di specializzazione di quattro anni; b) tale decisione era stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri esclusivamente con riferimento alla applicata rivalutazione dell’importo e non anche quanto alla base di calcolo rappresentata dalla durata del corso; c) con il ricorso incidentale era stato egli stesso a impugnare tale parte della sentenza d’appello ma solo in senso a sé favorevole, ossia per aver erroneamente ridotto tale durata calcolando quattro anni di corso invece degli effettivi cinque; d) con l’ordinanza sopra menzionata la SRAGIONE_SOCIALE ha dichiarato assorbito il ricorso incidentale, demandando al giudice di rinvio di riliquidare l’indennizzo dovuto in relazione alla effettiva durata del corso di specializzazione ;
su tali premesse argomenta l’esistenza di giudicato interno ─ violato dal giudice di rinvio con la sentenza in questa sede impugnata ─ sul diritto di esso ricorrente di ricevere un indennizzo per tutti gli anni di durata della specializzazione;
con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione delle norme di diritto art. 8 n. 2 d.lgs. n. 257/1991 ed art. 11 legge 19 ottobre 1999, n. 370, nonché della normativa sulla valutazione delle prove, art 116 c.p.c.: omessa ed ingiustificata valutazione delle prove documentali prodotte dal Dr. NOME COGNOME, per avere la Corte d’appello, « del tutto immotivatamente ed erroneamente », liquidato l’indennità spettante per due sole annualità del corso di specializzazione frequentato dal ricorrente;
premesso che la durata quinquennale del corso era stata documentata in giudizio, è rimasta incontestata ed è stata anche
riconosciuta in sentenza, rileva che, ciò nonostante, del tutto incomprensibilmente ha affermato spettare ad esso istante « la somma risultante dal seguente computo: € 6.713,94 x 2 = € 13.427,88 atteso che sono valutabili solo i primi due anni »;
con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione delle norme di diritto … relativamente alla regolamentazione delle spese del giudizio secondo il principio della soccombenza: art. 91 c.p.c. »;
lamenta che erroneamente la Corte ha ritenuto sussistere nella specie una oscillazione giurisprudenziale sulla questione dibattuta, tale da giustificare la disposta compensazione integrale delle spese, obiettando che, già al momento della pronuncia di secondo grado, questa risultava ormai univocamente risolta dalla S.C. con un filone di decisioni di identica portata;
il ricorso è inammissibile in quanto proposto nei confronti dei Ministeri, che non sono stati parti del giudizio di rinvio e dei quali già la prima sentenza di appello ─ non impugnata sul punto ─ aveva dichiarato il difetto di legittimazione rispetto alla pretesa azionata;
lo scrutinio che segue deve pertanto intendersi riferito al ricorso in quanto proposto nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
il primo motivo è parzialmente fondato, nei termini appresso precisati;
dall’esposto sviluppo del procedimento emerge effettivamente l’esistenza di un giudicato interno, che deve però ritenersi formato non, come sostiene il ricorrente, sulla affermazione della spettanza dell’indennizzo per l’effettiva durata del corso ─ che di per sé esprime solo una astratta regola di giudizio ma non dice quale sia tale durata effettiva e, dunque, non definisce ancora quale sia il diritto spettante in relazione al bene della vita che ne costituisce oggetto (giova
rammentare in proposito che, secondo pacifico insegnamento, il giudicato si determina « su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia »: v. ex multis Cass. n. 12202 del 16/05/2017) ─ bensì sulla base (quadriennale) di computo considerata nella sentenza di secondo grado, ma solo nel senso che quella base non poteva essere modificata in senso riduttivo e sfavorevole per l’appellante;
una tale indicazione era stata infatti impugnata solo dal COGNOME e solo, ovviamente, per la parte a sé sfavorevole che ometteva di considerare l’effettiva maggiore durata (quinquennale) del corso;
in sé quella indicazione non era stata invece impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, dunque, sul punto aveva prestato acquiescenza (art. 329, secondo comma, cod. proc. civ.);
la sentenza impugnata, nella parte in cui ha liquidato l’indennizzo con riferimento ad una durata di soli due anni del corso incorre dunque in un primo errore di diritto, rappresentato dalla violazione del giudicato interno formatosi nei limiti predetti sulla sentenza di secondo grado, circa la spettanza dell’indennizzo da liquidare in relazione ad un corso di durata non inferiore a quattro anni, fermo restando che restava invece ancora aperta (per effetto del ricorso incidentale proposto dal COGNOME avverso quella sentenza e della declaratoria di assorbimento dello stesso) la questione se invece la effettiva durata del corso fosse ancora maggiore;
sul punto viene in rilievo il secondo motivo del ricorso in esame, che deve dirsi anch’esso fondato;
è oggetto di espresso accertamento in sentenza (pag. 2) che la formazione specialistica dell’odierno ricorrente in Chirurgia generale è « avvenuta negli anni tra il 1989 e il 1994 »: essa, dunque, ha avuto inizio nell’anno accademico 1989/90 e termine in quello 1993/94 con una durata effettiva di cinque anni;
ciò attribuiva al ricorrente (nella incontestata ricorrenza degli altri presupposti) il diritto a ottenere un indennizzo commisurato all’importo di € 6.713,94 per ciascun anno di corso e dunque da moltiplicare, nella specie, per cinque (e non per due e nemmeno per quattro);
ciò in base al principio, più che consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e che è appena il caso di richiamare, in base al quale il debito para-risarcitorio dello Stato italiano per mancata tempestiva trasposizione di direttive comunitarie in tema di scuole di specializzazione medica va parametrato a quanto previsto (per un importo di £ 13 milioni annui), per ciascun anno di frequenza, dall’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (per tutte, v. Cass. 11/11/2011, n. 23558, nonché Cass. 13/03/2012, n. 3972, alle cui ampie argomentazioni è opportuno, per brevità qui rinviare integralmente);
questo principio si appalesa dunque violato dalla sentenza impugnata, per avere essa parametrato l’indennizzo spettante non ai cinque anni dell’effettiva intera durata del corso, ma solo ai «primi due anni»;
tale affermazione rimane, peraltro, del tutto immotivata e risulta incomprensibile;
ove con essa si intenda dire che, trattandosi di corso sviluppatosi a cavallo dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 257 del 1991, la pretesa para-risarcitoria potrebbe ritenersi giustificata solo per gli anni di corso ad essa anteriori (appunto i primi due), una tale (supposta e non esplicitata) esegesi del dato normativo dovrebbe comunque dirsi priva di fondamento;
questa Corte ha, infatti, da tempo chiarito, e va qui ribadito, che in materia di trattamento economico dei medici specializzandi, l’art. 8, comma 2, del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (« le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dall’anno accademico 1991-
1992 »), deve essere inteso nel senso che il precedente art. 6, il quale aveva tardivamente attuato il diritto comunitario, era applicabile soltanto ai medici che si fossero iscritti ad un corso di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 1991-1992, esclusi, quindi, gli specializzandi che, alla data di entrata in vigore del decreto, già frequentavano corsi di specializzazione, per essersi iscritti in un anno precedente, senza averli terminati, e ciò non solo per gli anni accademici pregressi, ma anche per i successivi» (Cass. n. 17068 del 10/07/2013; n. 19884 del 29/08/2013; n. 6469 del 31/03/2015; n. 13759 del 31/05/2018; n. 1585 del 24/01/2020);
l’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, con la conseguente cassazione della sentenza, comporta l’assorbimento del terzo, in punto di spese: la relativa statuizione rimane, infatti, caducata ex art. 336 cod. proc. civ. per effetto espansivo interno della pronuncia, dovendo comunque procedersi a nuovo regolamento;
non essendo necessari ulteriori accertamenti la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., con la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di Euro 33.569,70 con gli interessi legali dal 20 maggio 2002;
avuto riguardo alle alterne vicende dei precedenti gradi di giudizio ed all’esito del primo giudizio di cassazione, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese dei gradi di merito e del precedente giudizio di cassazione;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri va invece condannata alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di rinvio e di quelle relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore del procuratore antistatario, che ne ha fatto richiesta in ricorso;
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui
in motivazione; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione; decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 33.569,70 con gli interessi legali dal 20 maggio 2002.
Dichiara inammissibile il ricorso in quanto proposto nei confronti degli altri intimati.
Compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di primo grado, di quello di appello e del precedente giudizio di cassazione.
Condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di rinvio e di quelle relative al presente giudizio di legittimità liquidate, rispettivamente:
per il giudizio di rinvio, in Euro 3.400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, distratte in favore del procuratore antistatario, Avv. NOME COGNOME
b) per il presente giudizio di cassazione, in Euro 4.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, distratte in favore del procuratore antistatario, Avv. NOME COGNOME
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza