Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18675 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18675 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9106/2019 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO AVV_NOTAIOINDIRIZZOAVV_NOTAIO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 600/2013 depositata il 17/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Bari, con ordinanza ex art. 702 ter comma 5° c.p.c. depositata il 17.1.2019 -nel giudizio promosso da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, finalizzato alla determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione dovuta a seguito del provvedimento con cui il predetto RAGIONE_SOCIALE ha disposto l’acquisizione sanante ex art. 42 bis DPR n. 327/2001 dell’area di mq 4315 occupata senza titolo sin dal 18.12.2000 e destinata all’ampliamento dei vicini impianti sportivi -ha determinato le residue somme in € 102.322,38, oltre accessori, per NOME COGNOME, e in € 94.688,48 per NOME COGNOME.
La Corte territoriale, dopo aver, preliminarmente, evidenziato che i fondi ablati, trovandosi in una zona cui lo strumento urbanistico assegnava una destinazione E1 (agricola normale), erano privi di vocazione residenziale e destinati comunque ad uso pubblico mai venuto meno, nella determinazione dell’entità dell’indennizzo, ha aderito alle conclusioni del CTU – che aveva stimato il loro valore in € 24,50 al mq, ‘ operando la media tra valori di area ceduta a strada, di area destinata a servizi secondo l’RAGIONE_SOCIALE, di area destinata a completamento intensivo B2 e di area B2 emergente da atto notarile di compravendita 27.11.2002 con rivalutazione al febbraio 2013′ e ha disatteso i rilievi del CTP dei proprietari dell’area.
La Corte d’Appello ha, altresì, escluso l’indennizzo per il soprasuolo ed ha ritenuto che la richiesta del riconoscimento di un maggior
valore dell’indennizzo per il deprezzamento RAGIONE_SOCIALE aree contigue non espropriate fosse inammissibile, in quanto introdotta per la prima volta con le note datata 23.1.2018, dopo il deposito della CTU, e comunque che tale deprezzamento fosse stato indimostrato.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a cinque motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso ed ha, altresì, depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod.proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dello ‘art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.: omesso esame di atti, documenti e fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti -documentazione versata in atti in occasione della perizia del CTU -criteri di applicazione dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c. : violazione e falsa applicazione dell’art. 42 della costituzione -violazione e falsa applicazione dell’art. degli artt. 6 -8-13-141 Protocollo Addizionale n. 1 della CEDU’.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha considerato, senza una giustificazione plausibile, la produzione documentale dagli stessi offerta dopo il deposito della prima relazione di CTU, ritenendola erroneamente irrilevante.
2. Il motivo è inammissibile.
La doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’omesso esame della documentazione dallo stesso prodotta nel giudizio di primo grado, in sede di osservazioni alla bozza del CTU, al fine della determinazione dell’esatto valore RAGIONE_SOCIALE aree ablate, è inammissibile per avere gli stessi ricorrenti dato atto -come emerge inequivocabilmente dall’esame del terzo capoverso a pag. 2 della sentenza impugnata -che la Corte d’Appello ha esaminato la
documentazione in oggetto, ritenendola, tuttavia, irrilevante. Né, peraltro, il ricorrente ha impugnato la motivazione (sotto il profilo dell’omissione o dell’apparenza) con cui la stessa documentazione in oggetto è stata ritenuta irrilevante dalla Corte territoriale, motivazione che si appalesa comunque ampia ed articolata.
In particolare, la Corte d’Appello ha evidenziato che il CTU ha ritenuto irrilevante la documentazione attinente i prezzi di alienazione utilizzati nel contratto di quartiere, trattandosi di valore riferito a ‘ immobili in zona di espansione e tutti già interessati da un piano urbanistico attuativo convenzionato e pertanto, presumibilmente, dotato RAGIONE_SOCIALE necessarie autorizzazioni .’ Sul punto, i ricorrenti hanno svolto mere censure di merito, finalizzate ad una diversa ricostruzione del fatto, ovvero che tale piano urbanistico attuativo non era mai stato convenzionato ed era scaduto.
La Corte d’Appello ha ritenuto, inoltre, non utilizzabili per quantificare l’indennità di espropriazione le stime di altre aree fabbricabili effettuate ai fini ICI e IMU, non sussistendo effettiva assimilabilità RAGIONE_SOCIALE destinazioni urbanistiche.
Altrettanto ampie e articolate appaiono le argomentazioni con cui la Corte d’Appello -richiamando le repliche del CTU alle osservazioni RAGIONE_SOCIALE parti – ha ritenuto irrilevante la stima di suoli oggetto di lottizzazione o di PEEP per circa € 160,00 al mq ai valori attuali, non essendo sufficiente la vicinanza di tali suoli ad aree edificate ed urbanizzate a garantirne la vocazione edificatoria, atteso che lo strumento urbanistico ‘ escludendo la ridotta porzione destinata a strada e perciò sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, prevede per essi l’utilizzo per spazi verdi di quartiere e per lo sport ovvero per parcheggi di urbanizzazione secondaria ‘, con la conseguenza che per tali suoli ‘ non esiste un mercato tale
da poterne dedurre il più probabile valore venale mediante il metodo di stima diretto’.
Pertanto, il ricorrente , con l’apparente doglianza dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., non ha fatto altro che svolgere censure di merito.
Parimenti inammissibile è la dedotta violazione RAGIONE_SOCIALE norme del Protocollo Addizionale n. 1 della CEDU, essendo principio consolidato di questa Corte quello secondo cui i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata, oltre ad avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, devono contenere l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione RAGIONE_SOCIALE dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito ( cfr. Cass. n. 7692(2014).
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dello ‘art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.: violazione degli artt. 37 e 42 bis del D.P.R. 327/2001, nonché dei principi in sentenze Corte Costituzionale n. 223/1983 e 335/1985- Caratteristiche essenziali del terreno -Vocazione edificatoria -violazione artt. 111 e 117 Cost., nonché art. 17 comma 1, Carta Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: mancato rispetto del diritto di proprietà privata. Art. 360 comma 1 n. 5, c.p.c.: omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti’.
Il ricorrente contesta l’affermazione con cui la Corte di merito non ha riconosciuto la vocazione edificatoria all’area oggetto dell’acquisizione sanante.
4. Il motivo è infondato.
Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale, tenuto conto che l’immobile oggetto di espropriazione confina con strade pubbliche ed è limitrofo a residenze di tipo signorile, strutture scolastiche, strada ferroviaria, immobili commerciali, abitazioni civili, etc., avrebbe dovuto riconoscere la ‘edificabilità di fatto’ RAGIONE_SOCIALE aree espropriate, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE caratteristiche essenziali dei beni a prescindere dalla loro classificazione negli strumenti urbanistici.
Tale impostazione non può essere condivisa.
Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 2062/2012; Cass. S.U. n. 172/2001) ha affermato che, (solo) in caso di area sita in RAGIONE_SOCIALE sprovvisto di strumenti urbanistici generali, nella liquidazione del danno da occupazione appropriativa, è utilizzabile in via suppletiva, per la determinazione del valore venale RAGIONE_SOCIALE aree occupate, il parametro della c.d. edificabilità di mero fatto. Pertanto, (solo) in mancanza di strumenti urbanistici idonei ad inquadrare l’area espropriata tra quelle edificabili o agricole, detto valore può essere correttamente liquidato tenendo conto RAGIONE_SOCIALE obiettive caratteristiche della zona e della possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al contesto tecnico e geologico. Dunque, tale parametro non è applicabile ove -come nel caso di specie – lo strumento urbanistico vi sia.
Anche, recentemente, questa Corte (vedi Cass. n. 4228/2021), ha evidenziato, nel suo percorso argomentativo, che il criterio estimativo da utilizzarsi nel giudizio di determinazione della indennità di esproprio va individuato ‘ in base alla classificazione urbanistica del terreno ablato alla cui applicazione resta estraneo, in via meramente paritetica ed alternativa, il criterio della cd. edificabilità di fatt o…. 11.1 . L’area espropriata può essere edificabile solo se, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, in applicazione di
un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale. Una volta escluse le possibilità legali di edificazione dallo strumento urbanistico, esse non possono essere neutralizzate, o altrimenti recuperate, in ragione di una edificabilità di fatto ritenuta per la vicinanza del terreno espropriato ad aree edificatorie …’.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha messo in luce (pag. 2, punto 3) che ‘ I fondi ablati sorgono in zona in cui lo strumento urbanistico assegna destinazione E1 (agricola normale), privi di vocazione residenziale e destinati comunque a uso pubblico mai venuto meno ‘, evidenziando, altresì, che ‘.. non si vede come aree agricole adiacenti allo stadio cittadino, quasi naturalmente destinate a soddisfarne esigenze di ampliamento e ristrutturazione, possano avere un mercato come aree edificabili o residenziali’. Ed è proprio in relazione a tale destinazione urbanistica che il CTU ha effettuato una stima dell’area ablata pari a 24,50 e al mq. ‘ operando la media tra valori di area ceduta a strada, di area destinata a servizi secondo l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di area destinata a completamento intensivo B2 e di area B2 emergente da atto notarile di compravendita 27.11.2002 con rivalutazione al febbraio 2013′.
Infondata è, pertanto, la dedotta violazione dell’art. 42 bis legge cit..
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dello ‘art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.: nella parte in cui non si è tenuto conto del deprezzamento dell’area non oggetto di espropriazione; art. 1 Protocollo addizionale n. 1 della CEDU’.
Contesta il ricorrente di aver solo tardivamente introdotto il tema del deprezzamento RAGIONE_SOCIALE aree contigue
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente non ha colto la seconda ratio decidendi della Corte d’Appello, che non si è limitata ad evidenziare che il tema del deprezzamento dell’aree contigue non espropriate era stato dagli stessi introdotto per la prima volta solo nelle note datate 23.1.2018, dopo il deposito della CTU, ma, ha, altresì affermato che tale deprezzamento era ‘indimostrato’. Tale ratio decidendi non è stata minimamente censurata, avendo i ricorrenti concentrato le proprie difese sola sulla dedotta avvenuta tempestiva richiesta della valutazione dell’esproprio parziale sul valore restante del fondo, e sulla necessità, comunque, del giudice di accertarlo, alla stregua dei precedenti della giurisprudenza amministrativa.
Con il quarto motivo è stata la dedotta violazione dello ‘art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.: violazione e falsa applicazione art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 nella parte in cui non si tiene conto del valore del soprasuolo; art. 1 protocollo Addizionale n. 1 della CEDU: protezione della proprietà privata’.
8. Il motivo è infondato.
Il mezzo propone un tema giuridico, dibattuto in dottrina e solo recentemente affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte, che attiene alla computabilità in sede di determinazione del valore venale del bene oggetto del provvedimento di acquisizione sanante, alla data della adozione dello stesso, anche il valore dell’opera pubblica che sullo stesso bene sia stata, anche solo parzialmente, realizzata dalla pubblica amministrazione.
La recente decisione di questa Corte (Sez. 1, n. 9871 del 13.4.2023) si è orientata negativamente.
In quella sede si sono ricordati alcuni, peraltro non univoci, precedenti della giurisprudenza amministrativa che hanno riconosciuto che il valore venale del suolo occupato dovesse ricomprendere anche le opere su di esso eventualmente realizzate
dalla pubblica amministrazione (sentenza n.4457 del 25.10.2016 della IV Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui « La disposizione dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.) risponde ad una finalità di favore per l’espropriato nella misura in cui sottintende che il valore venale del bene cui la norma si riferisce comprende non solo il valore del suolo occupato, ma anche quello RAGIONE_SOCIALE opere che su di esso siano state eventualmente realizzate (le quali, ove la p.a. non procedesse all’acquisizione, sarebbero soggette ad accessione a favore del privato in applicazione degli ordinari canoni civilistici) », nonché a TAR Marche, Ancona, n.625 del 28.9.2018; in senso contrario TAR Lazio, Sezione II Roma n.9107 del 31.8.2018, secondo cui « ai fini della quantificazione del valore del bene oggetto di risarcimento del danno da occupazione illegittima ovvero di indennizzo ex art. 42bis, il terreno oggetto di occupazione deve essere stimato nella sua mera consistenza materiale senza computare il costo dell’opera costruita dall’amministrazione ».
Si è detto tuttavia nel citato arresto che la tesi secondo cui nel valore venale del bene non si deve computare anche quello dell’opera pubblica che sul bene stesso è stata realizzata, trova riscontro, anzitutto, nel tenore letterale del terzo comma dell’art.42 bis in esame, che dispone: « Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base RAGIONE_SOCIALE disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 ».
Il legislatore ha previsto unicamente una misura forfettizzata (5%) per il periodo di occupazione sine titulo e che quanto al danno patrimoniale l’indennità sia commisurata « al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità » e non a quello del bene « risultante dalla » predetta utilizzazione. L’espressione « utilizzato »
vale solo ad individuare il bene oggetto della misura indennitaria, ma non legittima l’inclusione nel valore del bene anche di quello dell’opera pubblica su di essa realizzata, non dal privato ma dalla pubblica amministrazione.
Da ciò si è arguito che, se quello che rileva è il valore intrinseco del bene occupato e trasformato, non può essere inglobato in esso anche il valore RAGIONE_SOCIALE opere realizzate dalla pubblica amministrazione, che va dunque scomputato dal calcolo dell’indennizzo, così da evitare che quest’ultimo si traduca in un indebito arricchimento del privato ed in una altrettanto indebita duplicazione di costo per la amministrazione, la quale, dopo avere realizzato le opere a proprie spese, dovrebbe rimborsarne il valore al proprietario del bene occupato a tal fine, senza potere beneficiare dell’indennizzo previsto dagli artt. 936 c.c. per l’ipotesi -alternativa alla acquisizione -della restituzione del bene nello stato in cui si trova dopo la trasformazione.
Si è inoltre osservato che l’art.42 bis comma 3, in punto di quantificazione del pregiudizio patrimoniale, fa espresso rinvio all’art.37, commi 3,4,5,6 e 7, del d.p.r. 327/2001 e che l’art.37, comma 4, fa salva la disposizione dell’art.32, comma 1.
Quest’ultima norma detta le regole generali da seguire nel computo dell’indennità di espropriazione ed espressamente prescrive, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione sulla base RAGIONE_SOCIALE caratteristiche del bene « alla data dell’emanazione del decreto di esproprio », che si debba valutare « l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa » e che non si considerino « gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù ». In sostanza, gli effetti connessi alla realizzazione dell’opera pubblica non vanno considerati né in diminuzione né in accrescimento del valore venale del bene.
Si è rilevato, inoltre, che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 283/1993, nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5 bis del decreto legge 11.7.1992 n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8.8.1992 n. 359, aveva già chiarito, al § 6.6, che, una volta rispettato il canone di adeguatezza espresso dall’art.42, comma 3, Cost., « rientra nella discrezionalità del legislatore fissare i criteri di determinazione dell’indennità espropriativa secondo generali valutazioni di politica economico-finanziaria che possono tenere conto anche del fatto che la rendita di posizione, della quale è parzialmente privato il soggetto espropriato, è frutto in larga parte – oggi più ancora che in passato – di investimenti della collettività ». Infine, anche la Corte EDU, Grande Chambre, nella sentenza GuisoGallisay c. Italia del 22.12.2009, ha, inoltre, confermato il revirement della giurisprudenza inaugurato dalla sentenza del 21.10.2008, in tema di calcolo del risarcimento dei danni da espropriazione indiretta finora seguito (consistente nel riconoscere alle vittime una somma pari al valore attuale del fondo espropriato aumentata del plusvalore apportato dalla costruzione RAGIONE_SOCIALE opere: sentenza COGNOME del 31.10.1995 e sentenza COGNOME e COGNOME dell’11.12.2003), affermando che il criterio secondo cui l’indennizzo equo debba ricomprendere anche il plusvalore apportato dall’opera pubblica reca un pericolo discriminatorio decisivo, quello di differenziare il ristoro dovuto ai proprietari espropriati sulla base di un elemento, indipendente dalla loro volontà, del tutto casuale, quale il valore dell’opera costruita dall’ente pubblico procedente.
Merita, quindi, di ricevere continuità il principio di diritto in quella sede formulato, condiviso dal Collegio e non confutato dalle difese proposte dalle parti, secondo il quale « In tema di indennizzo ex art.42 bis d.p.r. 327/2001, ai fini della determinazione del valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. acquisizione sanante, alla data della adozione dello stesso, non deve
computarsi, alla luce del tenore della citata disposizione, nonché del richiamo all’art.37, comma 4, d.p.r. 327/2001, che fa salva la disposizione dell’art.32, comma 1, anche il valore dell’opera pubblica che sullo stesso bene sia stata, anche solo parzialmente, realizzata dalla pubblica amministrazione ».
Del resto, anche sotto il profilo sistematico, la conclusione così attinta sulla base RAGIONE_SOCIALE regole autonome che governano la materia speciale dell’indennità dovuta per l’acquisizione sanante, resta indirettamente avvalorata dai principi che disciplinano l’accessione di diritto comune, che comunque porterebbero ad escludere la correttezza della soluzione adottata dalla Corte territoriale di attribuire al proprietario del fondo acquisito una indennità parametrata al valore attuale del fondo acquisito, incluso il valore dell’opera pubblica sullo stesso nel frattempo realizzata, sol perché oggetto di acquisto medio tempore per accessione da parte del privato.
L’art.936 c.c., in tema di « Opere fatte da un terzo con materiali propri », prevede che quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle. Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo. Poiché in caso di acquisizione sanante è da escludersi, non foss’altro che in ragione del fenomeno ablativo speciale previsto dalla legge, che il proprietario del bene acquisito possa imporre la rimozione RAGIONE_SOCIALE opere realizzate alla Pubblica Amministrazione, inevitabilmente in sede di valutazione del valore di mercato del bene ablato occorre tener conto dell’onere che grava sulla proprietà acquisita, considerata la pacifica natura ambulatoria dell’obbligazione in questione (Sez. 2, n. 13603 del 30.5.2013;Sez. 2,n. 3586 del 6.8.1977;Sez. 1, n. 4780 del 7.9.19 84).
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dello ‘art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.: violazione e falsa applicazione art. 91 c.p.c. nella parte in cui si è disposta la parziale reciproca soccombenza’.
10. Il motivo è inammissibile.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 24502/2017; Cass. 8421/2017). In particolare, il potere del giudice di disporre la compensazione RAGIONE_SOCIALE stesse per soccombenza reciproca ha quale unico limite quello di non poter porne, in tutto o in parte, il carico in capo alla parte interamente vittoriosa, poiché ciò si tradurrebbe in un’indebita riduzione RAGIONE_SOCIALE ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito (Cass. 10685/2019). Nella specie, la Corte ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali che liquida in € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello del ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, così deciso il 30.5.2024