Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22398 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22398 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17516 – 2023 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– ricorrente e intimato incidentale-
contro
COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME di Perugia, dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura a margine del controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, n. cronol. 81/2023 del 14/6/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. cronol. 81/2023 del 14/6/2023, la Corte d’appello di Perugia respinse l’opposizione del Ministero di Giustizia avverso il decreto monocratico con cui era stato riconosciuto a NOME COGNOME e NOME COGNOME un indennizzo di Euro 3.200,00 ciascuno, per l’irragionevole durata di un fallimento al cui passivo erano stati iscritti per il loro credito da lavoro dipendente.
1.2. In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello rimarcò che il limite massimo dell’indennizzo era inferiore al valore del credito ammesso al passivo (oltre Euro 10.000,00 per entrambi i lavoratori), comprensivo degli interessi, e che l’intervento del Fondo di garanzia non ha effetto sul diritto all’indennizzo ma ne giustifica soltanto un’eventuale decurtazione in considerazione dell’attenuarsi del pregiudizio in pendenza del fallimento; condannò, quindi, il Ministero opponente al rimborso delle spese in favore dei due opposti, liquidandole in Euro 962,00 per compenso professionale, oltre IVA e contributi e rimborso forfettario delle spese generali.
Avverso questo decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione per un solo motivo; NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale per un solo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso principale, articolato in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., il Ministero ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 -bis, comma 3, della legge 24 marzo 2001, n. 89 per non avere la Corte d’appello considerato, quale limite all’ammontare dell’indennizzo, il
valore del credito residuato dopo la parziale soddisfazione conseguita in sede di riparto parziale.
1.1. Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha deciso in conformità di un principio già affermato in precedenza da questa Corte e ribadito in ultimo dalla sentenza n. 1103 del 16/01/2025, secondo cui ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, i limiti dell’indennizzo ex art. 2-bis, comma 3, l. n. 89 del 2001 devono essere individuati, per il creditore del fallito, quanto al valore della causa, nell’ammontare del credito indicato nell’istanza di ammissione e, quanto al valore del diritto accertato dal giudice, in quello del credito ammesso al passivo; l’entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta all’esito dei piani di riparto, invece, può riverberare i suoi effetti soltanto sulla misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione.
Il danno da irragionevole durata, infatti, consistendo nel patema conseguente all’instaurazione della lite, non può che coincidere con il valore economico in bilico alla instaurazione e per tutta la pendenza della lite, fino all’accertamento del giudice, c he segna il limite della sovracompensazione da scongiurare: nell’insinuazione al passivo del fallimento la «pendenza giudiziaria» si determina con l’istanza di ammissione del creditore che, da tale momento, diventa parte della procedura, fino a che, con il provvedimento di ammissione, il suo credito non risulta accertato (Cass. Sez. 6 – 2, n. 13819 del 06/07/2016, con indicazione dei precedenti; Sez. 2, n. 324 del 05/01/2024), sicché è in riferimento ai valori di questi due momenti, la presentazione dell’is tanza e il provvedimento di ammissione, che devono essere individuati i limiti di valore dell’indennizzo liquidabile di cui al terzo comma dell’art. 2 bis.
La parziale e successiva soddisfazione del credito, seppure avvenuta nel tempo in cui ancora la lite aveva una durata ragionevole, può, invece, riverberare i suoi effetti sull’individuazione della misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione.
Diversamente non può ritenersi neppure considerando la possibilità di esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, di cui alla legge n. 297 del 1982 ed al d.lgs. n. 80 del 1992: questa Corte ha, infatti, già escluso che l’azione del lavoratore nei confronti dell’INPS-Fondo di Garanzia, in caso di fallimento del datore di lavoro, possa rilevare nella sede della valutazione del danno da irragionevole durata del procedimento concorsuale, non soltanto in sede di quantificazione della misura dell’indennizzo complessivo (e, perciò, a prescindere dalla portata del ritardo) ma, addirittura, costituendo condizione per la sua insorgenza; negligenze, indifferenza e ritardo nel far ricorso a strumenti che possano consentire la realizzazione alternativa dell’interesse alla base della azione-originante il processo irragionevolmente durato sono, invero, dati certamente rilevanti, ma soltanto per giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo (fermo restando che l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo) (così Cass. Sez. 1 n. 26421 del 16/12/2009; Cass. Sez. 2, n. 12584 del 18/05/2017; Cass. Sez. 2, n. 28268 del 06/11/2018, e, in ultimo, Sez. 6 – 2, n. 15502 del 2020 e n. 28372 del 2020, non massimate).
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del
comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 6, legge n. 247/2012 , nonché dell’ art. 4, comma 1 e comma 2, d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. 147/2022 , per avere la Corte d’appello di Perugia, nel decidere l’opposizione proposta dall’Avvocatura, liquidato le spese legali, senza alcuna motivazione sul punto, in un importo inferiore ai parametri minimi applicabili al caso concreto, avuto riguardo al valore della causa e alla spettanza del compenso per la fase istruttoria.
2.1. Il motivo è fondato. Questa Corte ha già stabilito che il giudizio di opposizione ex art. 5 ter legge n.89/2001 ha natura contenziosa, sicché alla liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati deve essere applicata la tabella 12 allegata al d.m. n. 55 del 2014 (Sez. 6 – 2, n. 15493 del 21/07/2020).
Questa Corte ha, altresì, affermato che al difensore compete anche il compenso per la fase istruttoria (cfr. Sez. 6 – 2, n. 38477 del 06/12/2021).
Nella specie, dunque, la liquidazione operata dalla Corte d’appello nell’importo complessivo di Euro 962,00 è in violazione dei suesposti principi perché non è stato riconosciuto il compenso per la fase istruttoria. Il valore della causa, infatti, deve essere individuato nella specie in Euro 3.200,00, pari al credito riconosciuto a ciascuna parte: in caso di litisconsorzio facoltativo ex art. 103 cod. proc. civ., invero, il valore della causa non si determina sommando il valore delle singole domande proposte da più attori contro un solo convenuto, posto che queste, essendo cumulate soltanto dal lato soggettivo, vanno ritenute fra loro distinte ed autonome, e si deve, invece, fare riferimento al criterio della domanda dal valore più elevato (in ultimo, Sez. 3, n. 2956 del 31/01/2024).
Per le cause di valore compreso tra Euro 1.100 ed Euro 5.200, il compenso in applicazione della tabella 12 e dei parametri minimi, come utilizzati dalla Corte d’appello, compresa la remunerazione della fase istruttoria, avrebbe dovuto, perciò, essere liquidato in complessivi Euro 1.458,00 e non nei riconosciuti Euro 962,00.
Il ricorso incidentale è, perciò, accolto; il ricorso principale è, invece, rigettato; il decreto impugnato deve essere cassato quanto alla statuizione sulle spese.
Non risultando necessari altri accertamenti in fatto, la causa può essere decisa in merito, con una nuova liquidazione delle spese che consideri anche la fase istruttoria, come chiesta dai ricorrenti, secondo quanto statuito in dispositivo.
L’aumento ex art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014, che prevede la spettanza di un solo compenso, ma maggiorato, è rimesso alla discrezionalità del Giudice: nella specie, non ne sono stati ravvisati i presupposti, per le caratteristiche dell’ attività espletata, sostanzialmente unitaria.
3.1. Le spese del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, sono poste a carico del Ministero in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME secondo la liquidazione operata in dispositivo in relazione al valore (pari alla differenza riconosciuta per l’attività istruttoria).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese di opposizione in Euro 1.470,00, condannando il Ministero al relativo pagamento in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME
condanna il Ministero al rimborso, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda