Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10483 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10483 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10459/2024 R.G. proposto da:
ABBONDANDOLO NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in RM INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DI GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO
PORTOGHESI, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1628/2023 depositata il 13/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ex lavoratori dipendenti della fallita RAGIONE_SOCIALE, avevano richiesto l’indennizzo ex lege n. 89/2001 in relazione all’irragionevole durata della procedura concorsuale.
Proposta opposizione ex art. 5 ter l. cit. n. 89/2001 avverso al provvedimento del Giudice designato, che aveva liquidato loro gli indennizzi riconoscendo in 18 anni l’eccedenza di durata della procedura fallimentare e considerando come riferimento l’ammontare del credito ammesso per il solo capitale al netto dei pagamenti eseguiti dal Fondo di Garanzia INPS, la Corte d’Appello di Napoli l’aveva respinta.
Le motivazioni poste dalla Corte di merito a fondamento del provvedimento di rigetto erano le seguenti: si ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui l’ammontare del credito, cui rapportare l’indennizzo anche ai fini dell’art.2 bis comma 3 l. n.89/2001, è la somma che residua all’esito del pagamento Fondo di Garanzia presso l’INPS alla scadenza della normale e ragionevole durata della procedura concorsuale presupposta, perché il lavoratore ha incertezza solo sulla parte del credito che non può recuperare dal Fondo, appositamente costituito per tutelare il credito da lavoro; nel caso di specie il pagamento ad opera del Fondo è avvenuto entro il termine di durata ragionevole; non si devono includere nel valore del diritto accertato anche gli interessi, maturati dopo l’accertamento e fino al piano di riparto, vista la speciale maturazione di ulteriori accessori ex art.54 LF per i crediti
privilegiati quali sono i crediti di lavoro, in quanto il diritto accertato implica il riferimento alla somma determinata al momento dell’accertamento.
Avverso il provvedimento della Corte d’Appello hanno proposto ricorso per cassazione gli ex dipendenti di RAGIONE_SOCIALE sopra indicati formulando un unico motivo di critica.
Il Ministero ha resistito con controricorso.
Le parti costituite non hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso proposto i ricorrenti lamentano la violazione e mancata applicazione dell’art.2 bis l. n.89/2001, in relazione all’art.10 c.p.c., rilevanti ex art.360 co 1 n.3 c.p.c.
Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe errato nell’individuazione dei crediti da prendere a riferimento ai fini della determinazione dell’importo massimo indennizzabile, ingiustificatamente circoscrivendolo alle somme distribuite in esito al riparto finale, al netto di quanto corrisposto dal Fondo di Garanzia INPS, mentre avrebbe dovuto fare riferimento ai crediti oggetto delle domande di insinuazione al passivo fallimentare -in applicazione del disposto dell’art.10 c.p.c. quale valore della causa-, attualizzati e comprensivi di interessi.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Questa Corte di cassazione è recentemente intervenuta con la sentenza n.1103/2025, sezione seconda, dando atto dell’esistenza al suo interno di orientamenti interpretativi non coincidenti sull’identificazione del ‘valore della causa’ e del ‘credito accertato’, da prendere a riferimento anche per l’operatività del limite individuato ex art.2 bis, co. 3 l. n.89/2001, e componendo il contrasto come segue: ‘ Il comma terzo dell’art. 2 bis, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, …, prevede che «la misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice». La Corte Costituzionale, nelle ordinanze n. 124 e 204 del 2014, ha chiarito che il limite del «valore accertato», posto dalla norma, deve essere inteso come riferito ai soli casi in cui il Giudice abbia comunque accertato l’esistenza di un diritto e che il «valore» dell’accertamento contenuto nella sentenza, come individuato nella norma, è quello del diritto fatto valere dalla parte attrice, che costituisce un dato oggettivo, che non muta in ragione della posizione che la parte
che chiede l’indennizzo aveva nel processo presupposto; in tal senso, è possibile attribuire alla norma un significato conforme alla CEDU, tenuto conto che la Corte europea dei diritti dell’uomo interpreta l’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, nel senso della spettanza dell’equa soddisfazione per la lesione del diritto alla durata ragionevole del processo a tutte le parti di esso e, in particolare, anche alla parte che sia risultata soccombente (ex aliis, sentenza 19 febbraio 1998, COGNOME e Svensson contro Svezia, 149/1996/770/967) (così Corte costituzionale, n. 124 del 2014 e, di seguito, n. 204 del 2014, n. 240 del 2014, n. 280 del 2014). Il nesso di dipendenza tra valore della domanda nel giudizio presupposto e liquidazione dell’indennizzo non può intendersi superato neppure dalla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 legge 24 marzo 2001 n. 89, che ha ripristinato la proponibilità della domanda di equa riparazione in pendenza del giudizio presupposto . Come evidenziato, l’introduzione dell’art. 2 bis nel 2012, infatti, «positivizza l’esigenza avvertita, sia pure con accenti e tecniche differenti, tanto nella giurisprudenza della Corte EDU (v. sentenza 21 dicembre 2010, divenuta definitiva il 20 giugno 2011, nel caso COGNOME ed altri c. Italia) quanto nei precedenti di questa Corte Suprema (cfr. Cass. nn. 633/14 e 12937/12) di evitare il rischio di sovracompensazioni, se non addirittura di occasionali e insperati arricchimenti»: «il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 si fonda non sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito (cfr. fra le tante, Cass. nn. 13083/11 e 23416/09). L’indennizzo del danno da durata irragionevole della lite riguarda un diritto la cui violazione, di natura morale, non può eccedere quello stesso valore economico che, essendo in bilico, provoca nella parte in causa l’ansia da attesa. Non senza considerare, infine, che mentre il valore della controversia identifica il proprium del patema indotto dalla pendenza giudiziaria, l’indennizzo annuo costituisce null’altro che una tecnica di liquidazione del danno; la quale, a sua volta, come non può essere confusa con il suo oggetto così non può neppure prevaricarlo» (così Cass. Sez. 6 – 2, n. 25804 del 22/12/2015). in riferimento alla particolare ipotesi della durata irragionevole di una procedura concorsuale per un creditore ammesso al passivo, qui in esame, questa Corte ha indicato, in più pronunce, che, per individuare il «valore della causa» ex art. 2 bis,
comma 3, della legge n. 89/2001, deve farsi ricorso al criterio fissato dagli artt. 10 e ss. cod. proc. civ. e quindi all’importo richiesto con la domanda proposta nel processo, così come, per le opposizioni in ipotesi di esecuzione individuale, deve considerarsi il valore del credito per cui si procede, come indicato dall’art. 17 cod. proc. civ. (sull’applicazione dell’art. 17 cod. proc. civ., Cass. Sez. 2, n. 24362 del 04/10/2018). In particolare, nel caso del giudizio di verificazione dello stato passivo, occorre aver riguardo al credito azionato dal ricorrente (art. 93, comma 3, n. 2, legge fall.) ovvero, se inferiore, alla somma per la quale il creditore, all’esito del giudizio stesso, risulti essere stato ammesso (artt. 96 e 99 legge fall.), a nulla, a tal fine, rilevando la somma per la quale il creditore ammesso risulti, poi, iscritto al riparto (artt. 110 ss. legge fall.) (così Cass. Sez. 2, n. 10176 del 2018). Sul punto, in numerose pronunce è stata esclusa la rilevanza dell’ammontare della somma percepita in base al piano di riparto divenuto esecutivo, perché dipendente da molteplici variabili, indipendenti sia dalla natura e dall’entità del credito azionato, sia dalla situazione soggettiva del creditore e, perciò, non coincidente con il valore della domanda come richiesto dalla norma speciale (ex multis, Cass. 24 febbraio 2023 n. 5757; Cass. 30 novembre 2022 n. 35319; Cass. 27 ottobre 2022 n. 31800; Cass. 29 aprile 2019 n. 11372). In difformità di questo orientamento, in altre pronunce di questa stessa Seconda sezione è stato invece dato rilievo ai pagamenti effettuati in attuazione dei piani di riparto intervenuti nel corso della procedura, dovendosi evitare che l’indennizzo sia superiore al danno, sicché, quando l’importo residuo del credito vantato e ammesso si sia consistentemente ridotto entro i termini di durata ragionevole della procedura, l’indennizzo da superamento della soglia ragionevole è stato parametrato all’effettiva entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta (Cass. Sez. 2, n. 4746 del 2024; Cass. 18 maggio 2022 n. 15966; Cass. 15 marzo 2022 n. 8402; Cass. 4 ottobre 2021 n. 26858, quest’ultima massimata). 1.3. È evidente che le incertezze di interpretazione sono conseguenza del succedersi, nella procedura di esecuzione concorsuale, della fase accertativa, l’insinuazione al passivo della liquidazione, con la fase propriamente esecutiva, in cui il riparto può avvenire per successivi step, secondo il susseguirsi di progetti parziali e può essere anche non integralmente satisfattivo. La stessa sovrapposizione tra accertamento ed esecuzione del diritto azionato ricorre nell’ipotesi dell’esecuzione individuale: nell’interpretazione del terzo comma dell’art. 2 bis in riferimento a tale ipotesi, questa Corte, in particolare, ha individuato il valore della causa rilevante in
applicazione della norma procedurale dell’art. 17 cod. proc. civ., cioè il valore del credito per cui si procede (e, precisamente, il valore del credito di cui al pignoramento), senza poter considerare «l’importo che il creditore concretamente finisce con il ricavare dall’esecuzione»: il danno da durata non ragionevole del processo di esecuzione deve, infatti, essere valutato in riferimento ad un giudizio considerato «nel suo complesso unitario, e non nei singoli atti nei quali si articola» (Sez. 2, Ordinanza n. 24362 del 04/10/2018). Torna, dunque, la considerazione che il danno da irragionevole durata, consistendo nel patema conseguente all’instaurazione della lite, non può che coincidere con il valore economico in bilico alla instaurazione e per tutta la pendenza della lite, fino all’accertamento del giudice, che segna il limite della sovracompensazione da scongiurare. 1.4. Per queste ragioni, il secondo indirizzo di questa Sezione qui esposto non può essere condiviso perché nell’insinuazione al passivo del fallimento la «pendenza giudiziaria» si determina con l’istanza di ammissione del creditore che, da tale momento, diventa parte della procedura, fino a che, con il provvedimento di ammissione, il suo credito non risulta accertato (Cass. Sez. 6 – 2, n. 13819 del 06/07/2016, con indicazione dei precedenti; Sez. 2, n. 324 del 05/01/2024): è, pertanto, in riferimento ai valori di questi due momenti, la presentazione dell’istanza e il provvedimento di ammissione, che devono essere individuati i limiti di valore dell’indennizzo liquidabile di cui al terzo comma dell’art. 2 bis. La parziale e successiva soddisfazione del credito, seppure avvenuta nel tempo in cui ancora la lite aveva una durata ragionevole, può, invece, riverberare i suoi effetti sull’individuazione della misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione. 1.5. Diversamente non può ritenersi neppure considerando la possibilità di esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, di cui alla legge n. 297 del 1982 ed al d.lgs. n. 80 del 1992: questa Corte ha, infatti, già escluso che l’azione del lavoratore nei confronti dell’INPS-Fondo di Garanzia in caso di fallimento del datore di lavoro possa rilevare nella sede della valutazione del danno da irragionevole durata del procedimento concorsuale, non soltanto in sede di quantificazione della misura dell’indennizzo complessivo (e, perciò, a prescindere dalla portata del ritardo) ma, addirittura, costituendo condizione per la sua insorgenza; negligenze, indifferenza e ritardo nel far ricorso a strumenti che
possano consentire la realizzazione alternativa dell’interesse alla base della azioneoriginante il processo irragionevolmente durato sono, invero, dati certamente rilevanti, ma soltanto per giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo (fermo restando che l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo) (così Cass. Sez. 1 n. 26421 del 16/12/2009; Cass. Sez. 2, n. 12584 del 18/05/2017; Cass. Sez. 2, n. 28268 del 06/11/2018, e, in ultimo, Sez. 6 – 2, n. 15502 del 2020 e n. 28372 del 2020, non massimate)’.
Dalle condivisibili considerazioni esposte consegue, con riferimento al ricorso sub iudice , quanto segue:
-gli importi da prendere a riferimento come tetto massimo, ex art.2 bis, co. 3, per la liquidazione degli indennizzi ex l. n.89/2001 a favore dei ricorrenti sono quelli risultanti dai provvedimenti di ammissione al passivo fallimentare, senza considerare né quanto versato dal Fondo Garanzia INPS, né eventuali somme percepite in sede di riparto per diminuirne l’entità: l’ammissione al passivo integra, infatti, il ‘diritto accertato dal giudice’ al quale fa riferimento la norma richiamata;
-l’intervento di pagamenti da parte del Fondo di Garanzia INPS e/o nell’ambito di eventuali riparti in sede fallimentare, e le relative tempistiche, non sono elementi in assoluto irrilevanti; essi non concorrono ad identificare il limite di indennizzo ai fini dell’art.2 bis, co. 3 l. cit., ma possono e debbono essere considerati ai fini della determinazione dell’indennizzo in base ai commi 1 e 2 dell’art.2 bis cit.;
-quanto agli interessi e alla rivalutazione monetaria dovuti per i crediti di lavoro anche dopo la pronuncia di fallimento, in base al disposto dell’art.55 LF (applicabile ratione temporis alla procedura fallimentare presupposta, nel testo risultante dai plurimi interventi correttivi posti in essere dalla Corte Costituzionale e in particolare, in relazione alla procedura fallimentare, dalla sentenza n.204/89 -cfr., per tutte, Cass. n.4403/2024-), occorre fare riferimento al contenuto della domanda di ammissione al passivo – che identifica il ‘valore della causa’ – e al provvedimento di ammissione al passivo perché, ove interessi e rivalutazione, pur richiesti, non siano stati riconosciuti (nemmeno all’esito di eventuale tempestiva opposizione allo stato passivo), essi non potrebbero concorrere a determinare l’entità del ‘diritto accertato dal giudice’ (prevalente, se inferiore, sul ‘valore della causa’).
L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, perché provveda al
riesame della opposizione proposta dai ricorrenti in applicazione del principio di diritto già identificato nella sentenza n.1103/2025 -‘ Ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, i limiti della misura dell’indennizzo ex comma 3 dell’art. 2-bis, l. n. 89 del 2001 devono essere individuati, per il creditore del fallito, quanto ‘al valore della causa’, nell’ammontare del credito indicato nell’istanza di ammissione e, quanto al ‘valore del diritto accertato dal giudice’, nel valore del credito ammesso al passivo; l’entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta all’esito dei piani di riparto ‘ e/o del pagamento ad opera del Fondo di Garanzia INPS ‘ può, invece, riverberare i suoi effetti sull’individuazione della misura del parametro annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione ‘-, con la seguente precisazione: fanno parte dell’identificazione del ‘valore della causa’ e del ‘valore del diritto accertato dal giudice’ anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, dovuti pure in pendenza di procedura fallimentare, ex art.55 LF applicabile ratione temporis , come risultante all’esito degli interventi della Corte Costituzionale-, come riconosciuti nel provvedimento di ammissione allo stato passivo.
6. La Corte d’appello regolerà anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in ROMA, nell’adunanza in camera di consiglio del 22.1.2025