Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2047 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2047 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
Oggetto: comunione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25263/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1135/2021, pubblicata in data 8.7.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 4011/2018 del 21/9/2018, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE , ha rigettato la domanda di NOME COGNOME nei confronti dell’ex coniuge NOME COGNOME per ottenere lo scioglimento della comunione di un immobile già adibito a casa coniugale sito in RAGIONE_SOCIALE nella INDIRIZZO, per la rilevata presenza di irregolarità
urbanistico-edilizie, ma ha condannato la convenuta al pagamento di € 425,00 mensili dal 13.5.2013 alla sentenza, oltre interessi, per l’utilizzazione personale ed esclusiva del bene comune, nonché al pagamento delle spese di giudizio.
La pronuncia, impugnata da entrambe le parti, è stata parzialmente riformata dalla Corte distrettuale di RAGIONE_SOCIALE, che ha respinto anche la domanda di indennità per l’occupazione dell’immobile, rilevando che l’attore non aveva mai chiesto di utilizzarlo, confermando il rigetto della richiesta di divisione, sia in ragione dell’abusività dell’immobile e del mancato pagamento integrale dell’oblazione prevista per la sanatoria, sia per il difetto di conformità dello stato di fatto alle risultanze catastali.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME propone ricorso in dieci motivi, illustrati con memoria; resiste con controricorso, NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 158 c.p.c., 63 e 69 D.L. 69/2013, 16 L. 12/1941, 2 L. 89/2013, 2, 24 102 e 106 Cost., e la nullità della sentenza poiché deliberata e redatta da un notaio, nominato giudice onorario, iscritto al RAGIONE_SOCIALE.
Deduce il ricorrente che, applicandosi ai giudici onorari le incompatibilità previste per i magistrati ordinari, sarebbe precluso ai notai lo svolgimento di attività professionale e che, comunque, occorrerebbe estendere a tale categoria il divieto di svolgere le funzioni nel distretto in cui ha sede il consiglio dell’or dine cui era iscritto il professionista al momento della nomina o nei cinque anni precedenti; solleva in subordine questione di legittimità costituzionale della disciplina che non estende ai notai le incompatibilità previste per gli avvocati.
Il motivo è infondato.
Gli artt. 62 e 63 del D.L. 69/2013 hanno previsto la nomina di giudici onorari destinati a comporre i Collegi giudicanti d’appello a l fine di agevolare la definizione dei procedimenti penali e civili, individuando all’art. 64, comma 5, i soggetti incapaci di rivestire la carica (membri del Parlamento nazionale ed europeo, deputati e i consiglieri regionali, membri del Governo, presidenti delle regioni e delle province, membri delle giunte regionali e provinciali; i sindaci, gli assessori comunali, i consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali; gli ecclesiastici e i ministri di culto; coloro che ricoprano incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici).
L’art. 69, comma primo, estende ai giudici onorari le incompatibilità previste per i magistrati ordinari, ma il precedente art. 63, comma 3, lettera e) consente che siano nominati i notai anche a riposo da non più di tre anni al momento della presentazione della domanda, e a fortiori anche quelli in servizio, in deroga al generale divieto, sancito dall’ordinamento giudiziario (art. 16, comma primo, R.D. 12/1941) di esercitare industrie o commerci o qualsiasi libera professionale.
D’altronde tale divieto non opera per le altre categorie (ad es. gli avvocati) e comunque il regime delle incompatibilità dei magistrati professionali si differenzia legittimamente in più aspetti da quello dei magistrati onorari (Corte cost. 60/2006).
Per giunta, l ‘incompatibilità di funzione non era contemplata nell’art. 42 quater dell’ordinamento giudiziario e non è prevista dall’art. 4 del d.lgs. 116/2017 , contenente la riforma organica della magistratura onoraria e le altre disposizioni sui giudici di pace nonché la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28.4.2016, n. 57 o per i giudici onorari aggregati di Tribunale per lo smaltimento.
Quanto all’incompatibilità territoriale l’art. 69, comma secondo, dispone il divieto di svolgere le funzioni presso la Corte di appello nel cui distretto ha sede il consiglio dell’ordine cui era iscritto al momento della nomina o nei cinque anni precedenti, ma relativamente alle categorie di cui all’art. 63, comma terzo, lettera d), ossia agli avvocati, valendo, invece per i notai i soli obblighi di astensione di cui all’art. 70, che, in particolare, dispone che i giudici ausiliari d’appello devono inoltre astenersi quando abbiano svolto attività professionale come notaio per una delle parti in causa o uno dei difensori (art. 70 del D.L. n. 69 del 2013).
Il dubbio di incostituzionalità delle norme, sollevato in ricorso, è infondato.
La ratio delle norme che stabiliscono cause di incompatibilità all’esercizio di determinate funzioni, consiste, in generale, nella necessità di prevenire possibili conflitti di interesse, per garantire l’imparzialità dei poteri pubblici, nell’esigenza di tutelare la sostanza e l’immagine dell’indipendenza dei giudici, a qualunque categoria essi appartengano (cfr. Corte cost. 60/2006), esigenza particolarmente avvertita per gli avvocati che, a differenza dei notai, svolgono le loro attività presso gli uffici giudiziari.
L ‘incompatibilità di sede per tale categoria ha lo scopo di tutelare la corretta ed imparziale amministrazione della giustizia ed evitare possibili condizionamenti o improprie interferenze, nell’ambito del medesimo ufficio giudiziario, tra l’esercizio delle funzioni onorarie e lo svolgimento dell’attività forense, situazione che non ricorre anche per i notai, valendo per le altre categorie, diverse dagli avvocati, le norme ordinarie sull’astensione e la ricusazione atte ad evitare concreti conflitti di interesse con riferimento alle singole controversie.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 158 c.p.c., 62 e ss. D.L. 69/2013, 2, 24, 102 e 106 Cost., sostenendo che la Corte costituzionale, nel dichiarare illegittime le norme di cui agli artt. 62 e ss. D.L. 69/2013, non poteva differire gli effetti della pronuncia di illegittimità, dovendo provocare l’automatica caducazione delle norme impugnate e il divieto immediato deli giudici onorari di svolgere funzioni di Goa presso le Corti d’appello. Il motivo è inammissibile.
La pronuncia di costituzionalità di cui alla sentenza 41/2021 ha effetti manipolativi e valore additivo della norme censurate ed è perciò vincolante, avendo la Corte costituzionale dichiarato l’illegittimità degli artt. 62 -72 del D.L. 69/2013, ove non prevedono che essi si applicassero fino a quando non fosse completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57).
Per la parte in cui ha previsto un limite di efficacia delle norme impugnate la sentenza ha valore normativo, sulla cui legittimità questa Corte non ha poteri di sindacato.
La sentenza n. 41/2021, nel dichiarare l’illegittimità delle norme ha -peraltro – attuato un necessario bilanciamento tra i principi sottesi alla declaratoria di incostituzionalità, con riguardo alla figura del giudice onorario, con valori costituzionali di pari livello, suscettibili di esser pregiudicati ove gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale fossero stati fatti risalire (retroattivamente, come di regola) fin dalla data di efficacia della norma oggetto della pronuncia.
3. Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1102, 2697 1148, 1149, 1150 c.c., 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c., per aver la Corte d’appello respinto la richiesta di pagamento di un’indennità per l’utilizzo esclusivo dell’immobile comune, sebbene il ricorrente avesse avanzato la richiesta di utilizzare il bene e di ottenere un’indennità già con l’invito alla mediazione, nella domanda di divorzio e di revisione delle condizioni di separazione, oltre che della domanda di divisione.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1102, 1148, 1149, 1150, 2697 c.c., 115, 116 e 132 c.p.c., 42 Cost., per aver la Corte d’appello negato che il ricorrente avesse chiesto di poter utilizzare l’immobile comune, non spiegando per quali ragioni fossero insufficienti richieste formulate nel giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, in mediazione e nel giudizio divisorio.
Il quinto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione degli artt. 1102, 1148, 1149, 1150, 2697 c.c., 115 e 116 e 132 c.p.c., 42 e 111 COST., per aver la Corte d’appello omesso di considerare che la richiesta di indennità e di uso congiunto dell’immobile era contenuta nell’istanza di mediazione e nella domanda giudiziale, non occorrendo l’adozione di formule sacramentali.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.
L’art. 1102 c.c. consente al comproprietario l’utilizzazione ed il godimento dell’intera cosa comune anche in modo particolare e più intenso, con il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Solo qualora l’uso individuale del bene in comunione non ecceda i limiti dell’art. 1102 c.c. non è dovuto alcun risarcimento ai comproprietari che siano rimasti inerti o vi abbiano acconsentito,
né è possibile riconoscere una ‘indennità’ per la semplice occupazione del bene, poiché tale utilizzo costituisce pur sempre manifestazione del diritto di comproprietà che compete al singolo e che investe l’intera cosa comune; l’eventuale ripartizione dei frutti naturali e civili tratti dal bene goduto individualmente è regolata in sede di divisione e di resa del conto (cfr. Cass. 18458/2022; Cass. 7019/2019; Cass. 14213/2012).
L’occupante è invece tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta senza nulla ottenere, ove ne abbia tratto un vantaggio patrimoniale (Cass. 2423/2015; Cass. 24647/2010; Cass. 13036/1991).
Occorre la prova di una sottrazione o di un impedimento assoluto all’esercizio delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene comune spettanti agli altri contitolari o una violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c.; in tal caso il danno può essere quantificato in base ai frutti civili ricavati dall’uso esclusivo del bene (Cass. 18458/2022; Cass. 10264/2023).
Nel caso in esame la richiesta di accedere all’uso del bene era già stata avanzata con la richiesta di revoca dell’assegnazione della causa coniugale o di ottenere un’indennità per l’occupazione, nel 2012, sfociata nel provvedimento di modifica delle condizioni divorzili del 13.5.2013, confermato in sede di reclamo, dopo il quale la resistente ha continuato ad occupare l’immobile comune senza consentire il pari uso da parte dell’ex marito, il che dava titolo al riconoscimento di una somma equivalente ai frutti che sarebbe stato possibile trarre dall’uso del bene.
4. Il sesto motivo deduce la violazione degli artt. 713, 2697 c.c., 115, 116 e 132 c.p.c., 35 e 40 L. 40/47, 46 D.P.R. 380/2001, 2,
comma 58, L. 662/96, 2 Cost e del D.L. 78/2010, censurando la sentenza per aver respinto la domanda di divisione per le difformità urbanistiche dell’immobile, in applicazione dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001, non considerando che la costruzione era stata realizzata prima del 1967 e che, comunque, il ricorrente aveva versato l’intero importo dell’oblazione.
Il settimo motivo denuncia vizio di motivazione e la violazione degli agli artt. 713 e 2697 c.c., 115 e 116 e 132 c.p.c., 35, 40 L. 47/85, 46 D.P.R. 380/2001, 2, comma 58, L. 662/1996, 19 D. L 78/2010 e 42 Cost., sostenendo che del tutto immotivatamente la Corte d’appello abbia respinto la domanda di divisione , ritenendo erroneamente il ricorrente non avesse versato l’intero importo dell’oblazione.
L’ottavo motivo denuncia la violazione degli artt. 713 e 2697 c.c., 115 e 116 e 132 c.p.c., 35, 40 L. 47/85, 19 D. L 78/2010 e 42 Cost., lamentando che la pronuncia abbia respinto l’azione di divisione per il difetto di conformità dello stato di fatto alla situazione catastale, non rilevando che, alla luce delle circolari applicative dell’Agenzia del territorio, essendo tali difformità di minima consistenza, non era necessaria la denuncia di variazione catastale.
Il nono motivo denuncia la violazione degli artt. 713 e 2697 c.c., 115 e 116 e 132 c.p.c., 35, 40 L. 47/85, 19 D. L 78/2010 e 42 Cost., per aver il giudice omesso di esaminare la relazione di CTU e le planimetrie in atti da cui emergeva che l’immobile aveva subito modifiche minime e non necessità di un nuovo accatastamento.
4.1. L’ottavo ed il nono motivo sono infondati; il loro rigetto rende superfluo esaminare le restanti censure, che vanno dichiarate inammissibili, non potendo condurre alla cassazione della sentenza.
L’art. 29, comma 1 bis della l. 52/1985, aggiunto dal comma 19, comma 14, del D.L. 78/2010, convertito con L. 122/2010, richiede le indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare per gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali, requisiti che devono sussistere anche per la divisione le previsioni agli atti di trasferimento immobiliare oggetto di accordi di separazione e divorzio, ha escluso che le norme si applichino solo ai negozi e non agli atti giudiziali, come già affermato, in altri precedenti, con riguardo alle pronunce ex art. 2932 c.c.: Cass. 7521/2022; Cass. 20526/2020; per l’analoga soluzione riguardo alla divisione giudiziale di immobili abusivi Cass. s.u. 8230/2019).
giudiziale (cfr. Cass. s.u. 21761/2021 che, nell’estendere L’omissione determina la nullità assoluta dell’atto che ha carattere oggettivo, avendo la norma una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale (Cass. s.u. 21761/2021, nonché, in tema di responsabilità RAGIONE_SOCIALE, Cass. 8611/2014; Cass. 15073/2016; Cass., 03/06/2016, n. 11507; Cass., 29/08/2019, n. 21828).
Non poteva, quindi, procedersi alla divisione dell’immobile in assenza di conformità dello stato di fatto alle risultanze catastali a prescindere dalla rilevanza delle modificazioni materiali nel frattempo apportate all’immobile, non discutendosi della necessità di procedere alla denuncia di variazione catastale in considerazione dell’entità delle modifiche stesse, la cui rilevanza non è comunque valutabile direttamente in questa sede, ma alla carenza stessa di
tale conformità rilevata dalla Corte di merito in base alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
5. Il decimo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., censurando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonostante la fondatezza delle domande, risultante dalla documentazione prodotta in giudizio.
Il motivo è assorbito, dovendo il giudice procedere ad una nuova regolazione delle spese in base all’esito finale della causa.
Sono, per tali ragioni, accolti i motivi terzo, quarto e quinto, è assorbito il decimo motivo, con rigetto di ogni altra censura.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il decimo e rigetta le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda