Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1314 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1314 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1412-2018 proposto da:
NOME COGNOME Rappresentato e difeso da l’avvocato NOME COGNOME P.E.C.:
EMAILpecEMAILordineavvocaticatania.it;
– ricorrente –
contro
COGNOME, Elettivamente domiciliata in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2166/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 22/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
COGNOME NOME conveniva in giudizio l’ ex coniuge COGNOME COGNOME per sentirla condannare al pagamento a suo favore della quota del valore locativo dell’immobile sito in Gravina di Catania alla
INDIRIZZO quale quota-parte mensile derivante dal mancato godimento del 45% del suo diritto di proprietà. Si costituiva in giudizio NOME COGNOME spiegando domanda riconvenzionale in danno del COGNOME per il pagamento a suo favore della quota dei valori locativi di altri cespiti immobiliari in comproprietà tra gli ex coniugi, posto che i frutti civili di detti cespiti erano stati percepiti dal solo COGNOME a far data dal 2005.
1.1. L’adito Tribunale di Catania – Sez. dist. di COGNOME rigettava la domanda attorea sul presupposto che il COGNOME avesse manifestato la volontà di far beneficiare del godimento dell’immobile di cui si discute la di lui madre; rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale, sul presupposto che la COGNOME non avesse mai formulato domanda di immissione nella disponibilità dei cespiti immobiliari dei cui frutti avrebbe goduto solo l’ ex coniuge.
1.2. Avverso detta pronuncia interponeva gravame innanzi alla Corte d’Appello di Catania il COGNOME, la COGNOME spiegava appello incidentale.
La Corte d’Appello di Catania rigettava l’appello principale, accoglieva l’appello incidentale, riconoscendo alla COGNOME la complessiva somma di €21.071,83 per il mancato godimento degli immobili. A sostegno della sua decisione, così argomentava la Corte:
da scrittura privata del 01.02.1987 in atti risulta che il COGNOME avesse ceduto, per la sua quota, l’usufrutto dell’immobile di cui è causa alla madre : tanto basta ad escludere il diritto di credito dell’appellante per i frutti civili dell’appartamento de quo , a nulla rilevando che il COGNOME si sia riservato nella stessa scrittura il possesso e il diritto di utilizzare l’immobile, poiché tali riserve non sono atte a superare la cessione dell’usufrutto;
-in relazione ai beni immobili indicati dall’appellante incidentale, risulta pacifico che alla data della domanda spiegata dalla COGNOME i cespiti immobiliari da ella indicati risultavano locati o concessi in comodato dal Mamazza: pertanto, quale comunista pretermessa, l’appellante incidentale ben poteva esercitare i diritti scaturenti dall’art. 1102 cod. civ., sebbene per taluni degli immobili descritti tale diritto di ottenere la quota dei frutti civili dovrà essere limitato al periodo tra la data della comparsa di costituzione in primo grado, 24.04.2008, e il 10.05.2011, data in cui ella aveva rifiutato l’offerta delle chiavi di detti appartamenti proveniente dal difensore del COGNOME.
Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Si difendeva con controricorso NOME COGNOME.
Si dà atto dell’ammissione al gratuito patrocinio di NOME COGNOME con provvedimento emesso dall’Ordine degli avvocati di Catania in data 21.05.2014.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 cod. civ., nonché dell’art. 832 ss. cod. civ. e 981 cod civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per avere erroneamente escluso il diritto all’indennizzo d el COGNOME in relazione al possesso esclusivo della comproprietaria COGNOME per avere egli ceduto l’usufrutto con scrittura privata del 01.02.1987. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non considera che l’ordinamento intende tutelare il m ancato godimento anche potenziale dell’immobile, e dunque a prescindere dal personale utilizzo o godimento. La scrittura privata del 01.02.1987, d’altra parte, contiene una manifestazione di volontà del COGNOME di cedere la propria quota di proprietà in usufrutto in favore della madre comunque mantenendo egli il diritto di utilizzare
l’appartamento unitamente all’usufruttuaria, ossia il possesso dell’immobile con conseguente diritto all’indennizzo.
1.1. E’ doveroso, innanzitutto, precisare che – diversamente da quanto richiesto nel controricorso – si prescinderà dal fatto che la prima e quarta doglianza sono state formulate senza riferimento alcuno ai motivi di cui al primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., senza cioè rispettare puntualmente il canone della specificità del motivo, posto che «L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato» (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239, conf. da: Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017, Rv. 646419 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018, Rv. 648018 – 01).
1.2. Tanto premesso, il motivo è infondato. Contenuto tipico del diritto di usufrutto è la facoltà di godere della cosa nei limiti della sua destinazione economica, traendo da essa ogni utilità (art. 981, commi 1 e 2 cod. civ. ), compresi i frutti naturali e civili che all’usufruttuario competono per tutta la durata del diritto (art. 984, comma 1, cod. civ.). Rientrano, altresì, tra le facoltà – come contenuto del diritto di usufrutto – quella di possedere la cosa (ad immagine di diritto reale minore), intesa come facoltà di conservare o pretendere il possesso (art. 982 cod. civ.). Tenuto conto della scrittura privata del 01.02.1987, non c’è stata «privazione del godimento del bene» ( ex plurimis : Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 35210 del 18/11/2021, Rv. 663262 – 01), quanto piuttosto spontanea rinuncia ad esso con la cessione dell’usufrutto a terzi: dunque, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, egli si è spogliato di entrambe le facoltà dominicali, ossia percepire i frutti
civili dell’appartamento di INDIRIZZO in Gravina di Catania; conservarne o pretenderne il possesso.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 1102 e 1106 cod. civ., 2043, 820 e 821 cod. civ. e 981 cod civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.; violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ.: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente si duole del fatto che il giudice di seconde cure abbia accolto l’app ello incidentale della COGNOME senza aver previamente accertato il necessario presupposto, richiesto anche da questa Corte, dato dall’eventuale dissenso all’altrui possesso. Risulta dagli atti di causa che la COGNOME abbia mostrato acquiescenza all’utilizzo esclusivo degli immobili da par te del Mamazza, non avendo ella mai manifestato all’ ex coniuge, incontestabilmente amministratore dei beni in comunione, l’intenzione di utilizzare gli immobili in maniera diretta.
2.1. Il motivo è infondato. D eve escludersi l’acquiescenza della comproprietaria, grazie alla proposizione della domanda riconvenzionale: l’odierna resistente ha correttamente chiesto la liquidazione della propria quota dei frutti civili mediante domanda giudiziale, non potendosi dunque ad ella rimproverare alcuna inerzia, posto che non ricorrono nel caso di specie gli effetti preclusivi della prescrizione.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 1102 cod. civ., sotto altro profilo, in relazione all’art. 347 cod. proc. civ.: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta l’omessa acquisizione del fasc icolo del primo grado di giudizio: la sentenza impugnata sarebbe stata emessa senza neanche aver letto le risultanze cui era pervenuto il C.T.U. in primo grado, dalla cui
relazione risulta, invece, che il valore locativo di taluni degli immobili era azzerato, in considerazione degli interventi necessari da effettuarsi su immobili inagibili; mentre, per un altro cespite, esisteva un contratto di locazione ad un prezzo più basso rispetto a quello di mercato utilizzato dalla Corte d’Appello.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 201 ss. cod. proc. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. Nella prospettazione del ricorso, la mancata lettura della C.T.U. con riferimento ai conteggi effettuati per la determinazione delle quote dovute alla COGNOME, avrebbe comportato anche l’omessa statuizione sui rilievi ad essa, a firma del C.T.P. inviati dall’odierno ricorrente, sussistendo perciò vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi attengono alla valutazione delle prove, e sono pertanto inammissibili.
5.1. In disparte l’inammissibilità del quarto motivo nella parte in cui deduce il vizio di motivazione («insufficiente motivazione») secondo un paradigma censorio non più attuale. E’ utile a tal proposito ricordare che con riferimento al vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che tale vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass.
Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01).
5.2. Tanto premesso, vige il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio (nel caso di specie, la C.T.U.), una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27231 del 22/12/2014, Rv. 634223 -01). In definitiva, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito. E’ utile a tal proposito ricordare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti ( ex multis : Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019, Rv. 653222 -01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 -01).
Il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore
della controricorrente, che liquida in €2.500,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda