Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13987 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13987 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5815/2024 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (PSLMRA51L29H501C), NOME COGNOME (BLDGNN41P12H294C), NOME COGNOME (BLDMRC75B25H294D).
– Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’ appello di Milano n. 2627/2023 depositata in data 11/09/2023.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.
Rilevato che:
NOME COGNOME ha impugnato la sentenza n. 1014/2022 del Tribunale di Milano che rigettava, da un lato, la sua domanda di condanna della ex moglie NOME COGNOME al pagamento di euro
Comunione
28.890,61, a titolo di rimborso della quota a carico della convenuta delle spese per oneri condominiali, imposte e tributi anticipati dall’attore per l’appartamento , di cui i coniugi erano comproprietari al 50 per cento, situato nel condominio ‘ INDIRIZZO ‘ all’Avana (Cuba) ; dall’altro, la domanda riconvenzionale de lla convenuta di condanna dell’attore al pagamento dell’indennità per l’ occupazione esclusiva dell’immobile (in esito alla separazione personale dei coniugi del 2013) a partire dal 2011, per un importo indicato in almeno euro 60.000.
La sentenza è stata impugnata anche da NOME COGNOME con appello incidentale;
la Corte d’appello di COGNOME ha respinto l’appello principale di COGNOME e, in accoglimento di quello incidentale di COGNOME ha condannato l’attore al pagamento di euro 24.533,74, a titolo di indennità di occupazione in via esclusiva dell’appartamento in comproprietà, oltre agli accessori e ad un’indennità mensile (di euro 275,66) con decorrenza dalla decisione e fino alla cessazione dell’uso esclusivo dell ‘immobile.
Questi, in breve, i punti salienti della sentenza: (i) la statuizione del Tribunale sulla domanda principale di COGNOME è corretta perché la documentazione in atti non consente di individuare, in maniera obiettiva, spese sostenute dall’attore nell’interesse dell’ex coniuge o per l’immobile di proprietà comune; (ii) viceversa, è fondato l’appello incidentale di COGNOME: come afferma la giurisprudenza di legittimità, il comproprietario, che da solo ha goduto del l’immobile , deve corrispondere l’indennità di occupazione agli altri comunisti dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o di compartecipazione al l’uso del bene; (iii) nella specie, la richiesta è stata fatta il 12/02/2016, quando la convenuta ha manifestato all’attore la volontà di utilizzare il bene presentando la domanda di media-conciliazione.
La misura dell’indennizzo va determinata equitativamente prendendo come parametro il valore locativo dell’immobile ;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il 07/06/2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella versione vigente ratione temporis , che è stata ritualmente comunicata alle parti. In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, tramite i difensori con nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. Fissata l’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che:
il primo motivo di ricorso denuncia ‘nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed errata valutazione delle allegazioni e delle prove documentali in relazione al rigetto della domanda formulata dal signor COGNOME
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente apprezzato le risultanze documentali che, in realtà, attesterebbero inequivocabilmente che egli ha pagato le imposte e le spese condominiali dell’appartamento in Cuba, in comproprietà con la convenuta;
il secondo motivo denuncia ‘nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed errata valutazione delle allegazioni e delle prove documentali in relazione all’accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla signora COGNOME
Si sostiene che la sentenza sarebbe errata, nella parte in cui accoglie la riconvenzionale della convenuta, per le seguenti ragioni:
primo, perché è provato che NOME, anche a fronte del mancato accordo durante il procedimento di mediazione, non ha mai avanzato domanda di uso dell’immobile; secondo, perché la convenuta non ha affermato, allegato o dimostrato che l’utilizzo dell’appartamento le è stato impedito dall’ex coniuge; e, terzo, perché non è corretta la quantificazione del l’indennità d’occupazione operata in via equitativa dal giudice distrettuale;
il terzo motivo denuncia ‘nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 111 Cost., nonché dell’art. 2907, artt. 99 e 112 c.p.c.; violazione del principio della domanda, di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del contraddittorio’.
S’addebita alla Corte d’appello di avere esteso il tema del decidere a questioni nuove, non prospettate dalle parti e di avere, ad esempio, ravvisato la circostanza, non allegata, dell’impedimento dell’uso dell’immobile da parte dell’attore in danno della convenuta ; di avere deciso facendo leva sulla scienza privata per il calcolo dell’indennità di occupazione , senza assicurare sul punto il necessario contraddittorio delle parti;
il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
A partire da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella fattispecie concreta il ricorrente non rivolge alla sentenza d’appello rilievi riconducibili al paradigma legale di cui al novellato n. 5, dell ‘ articolo 360, in quanto, in sostanza, le ascrive di non avere correttamente apprezzato il materiale probatorio.
Si è però chiarito (Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, Rv. 664330 – 01) che, in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
In altre parole, alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto saldo in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito,
tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’àmbito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; Cass. 07/03/2018, n. 5355; Cass. 13/06/2023, n. 16781).
A queste considerazioni se ne affiancano ancora due: detto che entrambe le sentenze di merito respingono la domanda dell’attore, il primo motivo è altresì inammissibile perché trova applicazione la previsione di cui all ‘ art. 348 ter comma 5 c.p.c., che esclude che possa essere così censurata la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cosiddetta doppia conforme).
I due motivi – a prescindere dal riferimento ivi contenuto al vizio di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ‘ , la cui inammissibilità è già stata sottolineata – nel loro ulteriore rilievo critico non indicano la norma di diritto che si assume violata; pertanto, non soddisfa i requisiti formali dell’art. 366 comma 1 n. 4 c.p.c., secondo cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, «i motivi per i quali si chiede la cassazione con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano». È orientamento radicato di questa Corte, enunciato anche dalle Sezioni unite (Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745) che «n tema di ricorso per
cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»;
il terzo motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile.
Costituisce orientamento costante di questa Corte (tra le altre, Sez. 2, Sentenza n. 8048 del 21/03/2019, Rv. 653291 – 01) che il potere-dovere del giudice di inquadrare nell ‘ esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del ‘ petitum ‘ e della ‘ causa petendi ‘, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ‘ ultra ‘ o ‘ extra ‘ petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (‘ petitum ‘ o ‘causa petendi’), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (‘ petitum ‘ immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (‘ petitum ‘ mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori.
La sentenza impugnata non incorre nel prospettato vizio in ragione del fatto che essa , oltre a respingere l’appello principale di COGNOME, accoglie quello incidentale di COGNOME la quale, come si evince dalle conclusioni trascritta a pag. 2 della decisione, chiedeva la
condanna dell’attore al pagamento dell’indennizzo per l’uso esclusivo dell’immobile di proprietà comune, avanzando una pretesa , quella di un rimborso di almeno euro 60.000, maggiore di quella liquidata dalla Corte di Milano.
Sotto altro profilo, sono evidentemente generici e appena abbozzati e, dunque, inammissibili gli addebiti in punto di violazione, da parte del giudice d’appello, del principio del contraddittorio e del ricorso alla scienza privata ai fini della liquidazione di indennità di occupazione dell’immobile. In realtà, la sentenza correttamente menziona e applica il principio di diritto, enunciato dalle Sezioni unite della Corte (Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, Rv. 666193 02), secondo cui, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato;
6. il ricorso, pertanto, va rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
8. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad euro 500 e non superiore a euro 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 -01; Sez. U, Ordinanza n. 27195
del 22/09/2023, Rv. 668850 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 -01);
9. ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.500,00, in favore della controricorrente e di una ulteriore somma di euro 1.500,00, in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione