Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24398 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24398 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 213/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente principale- contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-Controricorrente, ricorrente incidentale-
e
NOME COGNOME;
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1308/2019, depositata il 21/06/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. La società RAGIONE_SOCIALE ha citato in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che con contratto preliminare di compravendita si era obbligata ad acquistare un immobile dai convenuti promittenti venditori, che si erano obbligati a risolvere per mutuo consenso la donazione con la quale NOME aveva trasferito alla moglie NOME l’immobile e che la risoluzione della donazione costituiva condizione essenziale della vendita; che per la stipula del definitivo era stato fissato il termine essenziale del 30 maggio del 2013 ed era stata immediatamente trasferita la detenzione dell’immobile alla promissaria acquirente; che con successiva scrittura privata del 1° agosto 2013 le parti avevano confermato il preliminare, modificando le modalità di pagamento del prezzo e stabilendo al 31 marzo 2014 il termine ultimo di stipulazione del definitivo; che l’attrice aveva corrisposto la somma complessiva di euro 113.000; che in sede di stipulazione del definitivo erano emersi contrasti tra i promittenti venditori e NOME aveva dichiarato di non volere stipulare l’atto di risoluzione per mutuo consenso della donazione; che, posticipata la stipulazione dell’atto di risoluzione della donazione, si era preso atto che il medesimo non era stato stipulato. L’attrice chiedeva quindi al Tribunale di Palermo di accertare il mancato verificarsi della condizione essenziale della risoluzione della donazione e chiedeva, quindi, di pronunciare sentenza costitutiva per l’adempimento coattivo del preliminare; chiedeva, poi, di condannare le controparti al risarcimento del danno. Si è costituita NOMECOGNOME
chiedendo il rigetto delle domande dell’attrice e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento di un’indennità o di un risarcimento per l’occupazione senza titolo dell’immobile, nonché alla rimozione di tutte le innovazioni e migliorie compiute. Si è costituito NOMECOGNOME sostanzialmente aderendo alle domande e difese dell’attrice, solo specificando che nessuna responsabilità poteva essere a lui addebitata, stante la sua disponibilità alla stipula dell’atto di risoluzione della donazione. In sede di memoria, ex art. 183, comma 6, c.p.c., l’attrice chiedeva, in caso di mancato accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica, che venisse dichiarato risolto il preliminare e che i convenuti fossero condannati alla restituzione delle somme versate, oltre al doppio della caparra confirmatoria, pari a euro 100.000. Nel corso del giudizio di primo grado l’attrice ha dichiarato di rinunciare alla domanda ex art. 2932 c.c. e ha insistito ‘in tutto quanto dedotto nelle ulteriori memorie in ordine alla restituzione di quanto corrisposto e per il risarcimento dei danni patiti’.
Con la sentenza n. 3196/2015, il Tribunale di Palermo ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare e della successiva scrittura integrativa per inadempimento imputabile ai convenuti e per l’effetto li ha condannati in solido alla restituzione delle somme versate e al pagamento del doppio della caparra confirmatoria pari a euro 200.000; ha rigettato la domanda di Nania di pagamento dell’indennità di occupazione.
La sentenza è stata impugnata in via principale da NOME e in via incidentale da NOME. Con la sentenza n. 1308/2019 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato NOME COGNOME a pagare a NOME la somma di euro 160.000 a titolo di indennità per l’occupazione dell’immobile.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE Resiste con controricorso NOMECOGNOME che fa valere ricorso
incidentale.
L’intimato NOME COGNOME non ha proposto difese.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente incidentale.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso principale di NOME COGNOME è articolato in due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e segg. c.p.c. in relazione agli artt. 1382, 1453, 2963 e 1187 c.c. ed è articolato in più profili:
1.1 il primo profilo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 c.c., in quanto la Corte d’appello ha errato nel ritenere come idoneo criterio di quantificazione dell’indennità di occupazione senza titolo, dovuta dalla parte promissaria acquirente, l’importo determinato dalle parti a titolo di clausola penale;
1.2. il secondo profilo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.c. in relazione all’art. 1453 c.c., in quanto parte appellante aveva chiesto di condannare la ricorrente al versamento di un’indennità e/o al risarcimento per l’occupazione senza titolo dal novembre 2012 sino all’effettivo rilascio, in un importo pari a euro 150.000 o in quell’importo che verrà liquidato dal nominando consulente tecnico d’ufficio;
1.3. il terzo profilo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2963 e 1187 c.c., in quanto, nella denegata ipotesi di riconoscimento della legittimità della quantificazione dell’indennità di occupazione mensile effettuata dalla Corte territoriale, va evidenziato che la detenzione dell’immobile è stata trasferita alla società il 13 novembre 2012 e che quest’ultima si è resa disponibile a riconsegnarlo il 21 maggio 2015 per poi procedere alla materiale riconsegna, solo per ritardo imputabile alla proprietaria, il 30 giugno 2015.
Il motivo è fondato in riferimento al primo profilo, che comporta l’assorbimento dei restanti profili. La Corte d’appello, in relazione alla quantificazione del corrispettivo dovuto dalla ricorrente per il godimento del bene nel periodo in cui è stato nella sua
disponibilità, ha fatto riferimento alla somma di euro 5.000 mensili, somma prevista a titolo di penale. Il giudice d’appello ha riconosciuto che nel caso in esame non si tratta di applicazione di una penale, ma appunto di riconoscimento del corrispettivo per l’uso e il godimento del bene promesso in vendita, ma ha ritenuto che tale importo costituisca comunque una quantificazione pattizia e concordata tra le parti del valore d’uso dell’immobile, seppure in riferimento ad una finalità del tutto differente, ‘che ben può costituire criterio di base per la liquidazione equitativa del corrispettivo dovuto quale equivalente pecuniario dell’uso e del godimento’. Il ragionamento seguito dalla Corte d’appello non è corretto. La penale è prevista dall’art. 2 della scrittura privata integrativa del contratto preliminare sottoscritta il 1° agosto 2013. Tale articolo prevedeva la stipulazione del contratto entro il 31 marzo 2014 e che il contratto, in ipotesi di inadempimento della promissaria acquirente, si sarebbe risolto ipso iure a norma dell’art. 1456 c.c. e che, nel momento in cui la promittente venditrice avesse dichiarato di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, la promissaria acquirente avrebbe dovuto rilasciare l’immobile da essa detenuto e che, ove vi fosse stato ritardo nel rilascio, a titolo di penale la promissaria acquirente si obbligava a versare a controparte la somma di euro 5.000 mensili sino all’effettivo rilascio. La penale era pertanto prevista per l’ipotesi di inadempimento della promissaria acquirente e nel caso in cui quest’ultima non avesse tempestivamente rilasciato l’immobile. Nella situazione in esame, invece, si è avuta la risoluzione del contratto a causa dell’inadempimento non della promissaria acquirente, ma della promittente venditrice e l’indennità per l’uso dell’immobile attiene non al mancato tempestivo rilascio dell’immobile, ma alla detenzione dell’immobile concessa dalla promittente venditrice in relazione alla conclusione del contratto preliminare venuto meno a causa dell’inadempimento della
medesima. L’ammontare previsto in relazione alla penale di cui all’art. 2 della scrittura privata integrativa non può pertanto valere quale criterio di determinazione dell’indennità in questione, anche se nel suddetto art. 2 le parti hanno dichiarato che il canone locativo sarebbe pari all’importo convenuto per la penale, essendo una dichiarazione espressamente formulata ‘avuto riguardo all’interesse della parte promittente venditrice’, parte promittente venditrice che si è rivelata inadempiente. Va poi considerato che l’ultimo paragrafo del medesimo art. 2, che si occupa dell’inadempimento della parte promittente venditrice, prevede sì la risoluzione del contratto ipso iure e il rilascio tempestivo dell’immobile da parte della promissaria acquirente, ma non dispone alcuna penale al riguardo.
D’altro canto, la penale per l’inadempimento e l’indennità di occupazione sono istituti che svolgono due funzioni diverse: la prima predetermina il danno da risoluzione del preliminare, il quale comprende l’interesse negativo, ossia quello a non essere coinvolti in una vicenda contrattuale che poi non ha esito e, dunque, il danno da tempo e occasioni perdute, nonché le spese sostenute; la seconda ripaga da altri pregiudizi, ossia quelli derivanti dalla circostanza che il proprio bene è goduto senza titolo da altri (in tal senso v. Cass., n. 5651/2023).
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nullità della sentenza per avere la Corte d’appello compensato parzialmente tra le parti le spese di lite con motivazione apparente o incomprensibile.
Il ricorso incidentale di NOME è articolato in due motivi tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c.: la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui, sostenendo a torto che
la ricorrente principale avesse esercitato il recesso a norma dell’art. 1385 c.c., ha condannato NOME al pagamento del doppio della caparra, affermando che occorreva dare prevalenza alla richiesta di pagamento del doppio della caparra rispetto a quella di risarcimento del danno.
2. Il secondo motivo contesta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., riproponendo la censura del primo motivo sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo e della violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello ha condiviso l’interpretazione del primo giudice in relazione alla domanda fatta valere da NOME COGNOME. Il Tribunale aveva evidenziato che l’attrice aveva avanzato due domande apparentemente contraddittorie, ossia il pagamento della caparra e genericamente il risarcimento del danno, e ha interpretato la domanda dando la prevalenza al profilo dell’esercizio del diritto di recesso, ritenendo la seconda domanda subordinata alla prima, e ha così affrontato e accolto la domanda relativa al pagamento del doppio della caparra alla quale era sottesa la domanda di esercizio del recesso. Tale scelta il secondo giudice ha condiviso, in quanto coerente con il dato testuale della citazione e della memoria di cui al primo comma dell’art. 183 c.p.c. I giudici di merito hanno pertanto interpretato le domande proposte da NOME COGNOME e l’attività di interpretazione della domanda è attività che spetta al giudice di merito compiere e che è pertanto non censurabile, ove motivata con argomenti non meramente apparenti o insanabilmente contrastanti, da parte di questa Corte di legittimità (cfr. al riguardo, ex multis , Cass. n. 31546/2019).
III. Il ricorso principale va pertanto, con i limiti di cui in motivazione, accolto e il ricorso incidentale va rigettato.
La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Palermo, che deciderà il ricorso principale attenendosi al seguente principio di diritto: ‘la penale per l’inadempimento e l’indennità di occupazione sono istituti che svolgono due funzioni diverse – la prima predetermina il danno da risoluzione del preliminare, il quale comprende l’interesse negativo, ossia il danno da tempo e occasioni perdute, nonché le spese sostenute, la seconda ripaga da altri pregiudizi, ossia quelli derivanti dalla circostanza che il proprio bene è goduto senza titolo da altri -così che la penale stabilita dalle parti per l’inadempimento del promissario acquirente non può costituire criterio di quantificazione dell’indennità di occupazione dell’immobile che, a seguito della risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento del promittente venditore, si sia palesato detenuto senza titolo dal promissario acquirente’.
Il giudice di rinvio provvederà pure in relazione alle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il rispettivo ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione