Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25283 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25283 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6555/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CF:CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF:CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
CUSTODIA GIUDIZIARIA DEGLI IMMOBILI OGGETTO DI PROCEDURA ESECUTIVA IMMOBILIARE PROMOSSA DA SICILCASS
–NOME – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di PALERMO n. 1530/2022 depositata il 14/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
Con sentenza n. 4140, del 24/09/2019 il Tribunale di Palermo, pronunziando sulle domande proposte dalla COGNOME Giudiziaria dei beni immobili pignorati in danno della società RAGIONE_SOCIALE, nella procedura esecutivaimmobiliare n. 1448/1996 R.G. Es.,
promossa da RAGIONE_SOCIALE, intese a ottenere la condanna di COGNOME al pagamento, in favore della procedura, del complessivo importo di euro 68.800,00 a titolo di risarcimento del danno causato dall ‘ illegittima occupazione dell ‘ immobile sito nel Comune di Palermo, località INDIRIZZO Ridente INDIRIZZO , INDIRIZZO, denominato INDIRIZZO, distinto al NCEU del Comune di Palermo al foglio 141, particella 1728, sub. 11 e 3, dalla data di immissione del Curatore nel possesso dell ‘ immobile (7/05/2009), a quella di emissione del decreto di trasferimento del bene a favore del convenuto (25/11/2016), rigettò le domande formulate da parte attrice, e compensò tra le parti le spese di lite.
Avverso tale pronuncia la COGNOME Giudiziaria interpose gravame dinnanzi alla Corte d ‘ appello di Palermo, di cui COGNOME NOME, costituendosi, chiese il rigetto.
Con sentenza n. 1530/2022, depositata in data 14/09/2022, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Palermo, in accoglimento dell ‘ appello proposto dalla custodia Giudiziaria dei beni pignorati nella procedura esecutiva immobiliare n. 1448/1996 R.G. del Tribunale di Palermo, ha condannato NOME COGNOME al pagamento, in favore della procedura esecutiva, dell ‘ importo di euro 56.800,00, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat Foi dal 3/11/2010 alla data della sentenza, e agli interessi legali su ciascun importo mensile rivalutato anno per anno dal mese di maturazione sino alla data della sentenza, a far tempo dalle singole scadenze mensili fino al soddisfacimento del credito. Ha compensato tra le parti per un quarto le spese di primo e di secondo grado, e ha condannato l ‘ appellato alla rifusione, a favore dell ‘ appellante, dei restanti tre quarti.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
6. L ‘ intimata non ha svolto difese nel presente giudizio di legittimità.
RITENUTO CHE:
1.
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. -Nullità della sentenza ex art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. -Violazione dell ‘ art. 2909 cod. civ. e dell ‘ art. 100 c.p.c. nella parte in cui la Corte di Appello di Palermo ha omesso di rilevare il passaggio in giudicato delle motivazioni della sentenza di primo grado non impugnate in appello dalla custodia e/o ha omesso di rilevare la carenza d ‘ interesse dell ‘ appellante ‘ . Il ricorrente espone di avere ritualmente contestato, in sede di comparsa di costituzione di primo grado (doc. 5 fascicoletto, cit.), « il diritto ad agire nel permanere dell ‘ inerzia della custodia e dello stesso creditore procedente che hanno sempre tollerato la detenzione dell ‘ immobile da parte del Sig. COGNOME traendone evidenti benefici » (doc. 5, cit., pag. 5), rilevando al contempo che « qualora risulti ex actis il mancato esercizio in concreto da parte del custode del suo diritto, nessun risarcimento sarà dovuto » (stesso doc., pag. 7).
Il Tribunale di Palermo ha così statuito in sentenza: « orbene, il prodotto verbale di sopralluogo e di immissione in possesso della custodia nell ‘ immobile di che trattasi data 7 maggio 2009. Nel detto verbale si legge nelle ultime righe: «Il signor COGNOME chiede di essere autorizzato a continuare a detenere l ‘ immobile non avendo altra possibilità di trasferire la propria residenza. Insiste nella richiesta di svincolo dell ‘ immobile con accollo della frazione del mutuo di pertinenza dello stesso. Il Custode si riserva di relazionare al G.E. lasciando l ‘ immobile (che è abitato e ammobiliato) nella detenzione temporanea del signor COGNOME. Il successivo atto compiuto dalla COGNOME nei confronti del COGNOME è l ‘ atto di costituzione in mora del 3 novembre 2015, cioè a distanza di ben 6 anni e sei mesi dall ‘ immissione in possesso della custodia. Durante tale periodo, la COGNOME giudiziaria non chiese nulla a COGNOME
COGNOME, essendo ben consapevole il Custode di aver lasciato il predetto nella ‘ detenzione ‘ dell ‘ immobile, avendo l ‘ acquirente un giusto titolo di detenzione del bene » (sentenza primo grado, pag. 3), affermando in conclusione che ‘ l ‘ occupazione senza titolo di un bene patrimoniale costituisce illecito permanente quando non venga interrotta la permanenza, ma la permanenza non sussiste laddove il soggetto legittimato ad esercitare il diritto di chiedere la restituzione del bene di sua pertinenza lascia l ‘ occupante nella detenzione dell ‘ immobile; né sussiste alcuna illecita occupazione laddove la detenzione sia stata consentita ‘ (sentenza primo grado, pag. 45).
Ne consegue- sostiene il ricorrente- che alla motivazione resa dal Tribunale doveva attribuirsi una duplice valenza processuale: (i) accogliere l ‘ eccezione di infondatezza della domanda di parte attrice in ragione della tolleranza (in realtà una vera e propria autorizzazione) manifestata dal custode giudiziario in data 07.05.2009 e, per altro verso, (ii) supportare l ‘ ulteriore motivazione resa dal Tribunale che ha affermato l ‘ opponibilità del preliminare non trascritto alla custodia giudiziaria, ritenendo che si fosse venuto a generare un rapporto locatizio con la custodia (v. pag. 4 sentenza primo grado).
Deduce il ricorrente che tali parti della sentenza di primo grado sono da ritenersi tra loro autonome, e come tali dotate di separate rationes decidendi . Avendo controparte omesso di censurare in appello tali specifici punti della motivazione resa dal Tribunale di Palermo (limitando le proprie censure alla sola inopponibilità nei suoi confronti del preliminare non trascritto ed alla non configurabilità di un rapporto locatizio -v. atto di appello, pagg. 9-14, doc. 15, cit. fascicoletto), la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l ‘ inammissibilità del gravame, in considerazione della piena autorità di giudicato della statuizione che aveva riconosciuto la legittimazione del COGNOME a detenere in via temporanea gratuitamente l ‘ immobile
per cui è causa in forza del citato verbale di immissione in possesso (doc. 3, cit.) sino a diversa determinazione del giudice dell ‘ esecuzione, assunta poi solo in data 17/08/2015 (doc. 4, cit.) e resa nota al COGNOME dalla custodia per effetto della diffida del 03/11/2015 (doc. 6, cit.).
Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare il gravame inammissibile, mentre, con error in procedendo , ha omesso di esaminare un punto di diritto essenziale della vicenda definita in primo grado, in violazione dell ‘ art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., non statuendo ex art. 2909 cod. civ. l ‘ intervenuto passaggio in giudicato delle parti della sentenza di primo grado non gravate di appello.
Il motivo è infondato in quanto non si correla alla motivazione della sentenza di primo grado e non trova gradatamente fondamento in essa, che non conteneva l ‘ ipotetica motivazione autonoma. Rileva il Collegio che parte ricorrente sostiene l ‘ esistenza della pretesa ratio decidendi autonoma della sentenza di primo grado in modo assolutamente privo di corrispondenza con l ‘ effettivo tessuto motivazionale della detta sentenza. Infatti, essa pretende di ravvisare la pretesa ratio autonoma riproducendo due passi della motivazione, uno a pag. 3, come s ‘ è detto, l ‘ altro a pag. 4-5, come pure s ‘ è detto. Senonché, la lettura della motivazione anche per tutto ciò che intercorre fra le due parti riprodotte evidenzia che la seconda parte riprodotta conclude un ‘ unica ratio motivazionale che finisce per basarsi sull ‘ assunto che il godimento sarebbe stato attribuito iure locationis .
2.1 Mette conto di riprodurre la parte intermedia fra le due evocate: « 3) Il successivo atto compiuto dalla COGNOME nei confronti di COGNOME è l ‘ atto di costituzione in mora del 3 novembre 2015, cioè a distanza di ben 6 anni e sei mesi dall ‘ immissione in possesso della custodia. Durante tale periodo la COGNOME giudiziaria non chiese nulla a COGNOME, essendo ben consapevole il Custode di aver lasciato il predetto nella ‘ detenzione ‘ dell ‘ immobile, avendo
l ‘ acquirente un giusto titolo di detenzione del bene. E ‘ provato documentalmente in giudizio che RAGIONE_SOCIALE ebbe ad acquistare dalla società RAGIONE_SOCIALE l ‘ unità immobiliare costituita dal INDIRIZZO, in forza del contratto preliminare di compravendita del 5 agosto 1998, di averlo avuto consegnato realmente, così come emerge dalla clausola n. 2 del contratto preliminare e dalla clausola n. 7, di aver pagato alla società venditrice la somma di lire 384.600.000 (come emerge al punto 5 del contratto); di essersi accollato l ‘ acquirente i costi di definizione edile dell ‘ immobile e di concessione in sanatoria, di essersi accollato gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria dell ‘ immobile. 4) D ‘ altra parte v ‘ è da dire che seppur la RAGIONE_SOCIALE dichiarò al promettente acquirente di sciogliersi dal preliminare di compravendita del 5/08/1998, affermando che non fosse nei suoi confronti opponibile, tale circostanza non risulta giuridicamente fondata il calendato preliminare di vendita è munito da data certa, quella del 10/08/1998, n° 32094 serie 3-A, ed oggi non è affatto inopponibile dalla COGNOME dei beni pignorati in danno della RAGIONE_SOCIALE al sig. COGNOME NOME. La RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE della ditta appaltatrice-costruttrice degli immobili di INDIRIZZO in INDIRIZZO, in persona dell ‘ AVV_NOTAIO, previa autorizzazione del Giudice Delegato (d.ssa COGNOME del 11/05/2015) dichiarò di sciogliersi dal preliminare di compravendita del 5/08/1998, con la lettera del 15/05/2015, inviata a mezzo posta elettronica certificata a COGNOME all ‘ indirizzo p.e.c. degli avvocati NOME e NOME COGNOME. Gli effetti di tale missiva tuttavia non possono aver sortito alcun effetto nei confronti di COGNOME per molteplici motivi: a) la COGNOME dei beni pignorati nell ‘ ambito del procedimento esecutivo fondiario aveva già dal 7 maggio 2009, cioè da ben sei anni, lasciato al COGNOME COGNOME la detenzione dell ‘ immobile, quindi con lui aveva costituito un nuovo rapporto contrattuale fra la COGNOME e il promettente
acquirente dell ‘ immobile; b) tale rapporto contrattuale, cui bisogna attribuire natura di contratto di locazione abitativa, trovava legittimità e causa nella pregressa cessione dell ‘ immobile al Lo COGNOME a titolo di comodato immobiliare precario, perché oneroso (come è noto da sempre la giurisprudenza di legittimità attribuisce natura di comodato alla cessione dell ‘ immobile promesso in vendita col contratto preliminare); c) la COGNOME ebbe a percepire due canoni di locazione di 800,00 ciascuno dimostrando, per tabulas, di aver costituito con l ‘ acquirente COGNOME un vero e proprio autonomo rapporto contrattuale, dapprima di comodato, di poi di locazione onerosa; d) nessun illecita occupazione, dunque, ha commesso il convenuto, poiché egli era già legittimo detentore comodatario di un bene immobile promessogli in vendita; e) in data 1/07/2016, dopo ben diciotto anni dall ‘ acquisto RAGIONE_SOCIALE si aggiudica l ‘ immobile in sede di vendita giudiziaria; f) è da escludersi qualsiasi colpa civilistica sul convenuto COGNOME nell ‘ aver detenuto l ‘ immobile da lui compravenduto sin dal 1998. Infatti: f1) ».
2.2 Ora, è evidente che parte ricorrente – in disparte la mancanza nell’illustrazione del motivo di qualsiasi diretta immediata enunciazione che spieghi perché il lasciare nella detenzione cui in essa si allude significherebbe esclusione del diritto alll ‘indennità di occupazione -del tutto infondatamente pretende di ricollegare la parte di motivazione della sentenza di primo grado concernente la pag. 3 di essa, riprodotta nel ricorso (precisamente alla pag. 13 di esso) e fondante la censura prospettata, a quella evocata (pure alla pag. 13) riguardo alle pagg. 4-5 della stessa sentenza di primo grado. La riconduzione risulta del tutto arbitraria perché si omette di considerare tutto ciò che la sentenza di primo grado enuncia nella pagina e mezza intermedia.
Ma vi è di più: la lettura della sentenza evidenzia che ciò che si è riprodotto indicandolo come relativo alle pagg. 4-5 della sentenza di primo grado risulta infedele, atteso che dopo la lettera f) il tenore
motivazionale risulta essere il seguente: « Infatti: f1) l ‘ occupazione senza titolo di un bene patrimoniale costituisce illecito permanente sin quando non venga interrotta la permanenza; f2) ma la permanenza non sussiste laddove il soggetto legittimato ad esercitare il diritto di chiedere la restituzione del bene di sua pertinenza lascia l ‘ occupante nella detenzione dell ‘ immobile, persino qui, costituendo in suo favore un rapporto contrattuale; f3) né sussiste alcun illecita occupazione laddove la detenzione sia stata consentita e a fronte persino del pagamento di un emolumento mensile (qui erroneamente definito indennità di occupazione) come è avvenuto nel caso di specie. In conclusione non sussiste alcuna occupazione sine titulo dell ‘ immobile oggetto di causa ».
Come si vede, la parte di motivazione alle pagg. 4-5 è stata riprodotta in modo palesemente infedele ed inoltre omissivo (mancano sia l ‘ inciso: ‘ persino qui, costituendo in suo favore un rapporto contrattuale ‘ , sia quello ‘ e a fronte persino del pagamento di un emolumento mensile (qui erroneamente definito indennità di occupazione) come è avvenuto nel caso di specie ‘ ).
2.3 Dalla lettura della motivazione nella sua integralità ed effettività risulta in realtà palese che la ratio decidendi è stata unica, ed appare basata sull ‘ evocazione della costituzione di un rapporto contrattuale e sul pagamento di un emolumento mensile, là dove all ‘ affermazione iniziale del lasciare nella detenzione non viene fatta conseguire non solo un ‘ autonomia motivazionale percepibile del rigetto della domanda e ciò al di là dell ‘ assoluta ambiguità del detto ‘ lasciare ‘ , tanto più ‘ temporaneo ‘ .
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 116, 132 e 346 c.p.c. (error in procedendo) per aver la Corte di Appello di Palermo omesso di esaminare e pronunciarsi sulle domande ed eccezioni formulate dal sig. COGNOME. Domanda volte
ad accertare che la custodia giudiziaria non aveva titolo a chiedere l ‘ indennità di occupazione per il periodo antecedente alla richiesta del 03.11.2015 – Contestazione dell ‘ an e del quantum debeatur ‘ . Espone il ricorrente che, dall ‘ esame dell ‘ atto introduttivo del giudizio di primo grado si evince chiaramente che la custodia giudiziaria ha fondato la propria pretesa risarcitoria esclusivamente in ragione della natura illegittima dell ‘ occupazione (in mancanza di titolo opponibile), quale generica perdita della disponibilità del bene e della conseguente possibilità di una sua proficua utilizzazione e della difficoltà di porlo in vendita quanto prima al suo valore di mercato (v. citazione primo grado, pag. 3- 4 – doc. 1, cit.).
A fronte di tali argomentazioni, nel costituirsi in giudizio, il ricorrente ha da subito rappresentato che il petitum del giudizio doveva essere individuato non tanto nel fatto che il preliminare non trascritto fosse o meno opponibile alla custodia giudiziaria, ma sulla « effettiva fondatezza, nel caso di specie, del diritto del custode a vedersi corrisposta l ‘ indennità di indebita occupazione e in ogni caso la sua quantificazione si intende contestare il diritto di agire in tal senso nel permanere dell ‘ inerzia della custodia e dello stesso creditore procedente che hanno sempre tollerato -sin dal 1998 -la detenzione dell ‘ immobile da parte del sig. COGNOME traendone evidenti benefici » (v. comparsa costituzione primo grado, punto 4 pag. 5, doc. 5 fascicoletto), e ancora « il permanere nella materiale detenzione dell ‘ immobile, come detto autorizzata senza riserve dalla custodia sin dal 09.05.2009, con il compimento degli annessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ha permesso al bene il mantenimento del suo valore di mercato e la conseguente aggiudicazione al prezzo poi conseguito, che senz ‘ altro sarebbe stato di gran lunga inferiore nel caso in cui il sig. COGNOME non avesse compiuto i riferiti interventi di ultimazione e non avesse mantenuto il bene nello stato in cui si trovava al momento della celebrazione delle aste » (v. comparsa, cit., pag- 6 – doc. 5 fascicoletto).
È stato quindi eccepito che « qualora risulti ex actis il mancato esercizio in concreto da parte del custode del suo diritto, nessun risarcimento sarà dovuto ». Allo stesso modo l ‘ odierno ricorrente rilevò che non è stata minimamente preclusa la più proficua utilizzazione del bene (genericamente ipotizzata dalla custodia), né tanto meno se ne è resa più difficile la vendita essendo tutti gli immobili (sia quelli liberi che quelli occupati) andati all ‘ asta – e poi aggiudicati- a prezzi di vendita del tutto similari, ed avendo comunque il COGNOME apportato notevoli migliorie all ‘ immobile (con opere edilizie sostenute per euro 193.266,59) di cui ha certamente beneficiato la procedura esecutiva (e quindi la custodia), continuando a sostenere -anche in data successiva al 07.05.2009 -tutti gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria del bene, che ne hanno consentito una perfetta conservazione e il mantenimento del valore di mercato (v. comparsa primo grado, pag. 5-6 – doc. 5, cit.).
L ‘ odierno ricorrente ha quindi specificamente opposto a parte attrice, in conformità a quanto disposto dall ‘ art. 115, comma 1, c.p.c., la mancanza di un pregiudizio azionabile in considerazione dell ‘ espressa autorizzazione (sia pur temporanea) data dal custode all ‘ atto dell ‘ immissione in possesso del 07/05/2009 e della inerzia dallo stesso poi protratta per oltre sei anni e mezzo e in ogni caso la mancanza di un danno effettivo connesso al preteso mancato utilizzo del bene.
Tali deduzioni difensive – deduce il ricorrente – non sono state oggetto di contestazione da parte della custodia (sulla quale gravava invece l ‘ onere di controdedurre), che ha invece pacificamente ammesso in seno al successivo atto difensivo (la memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c. dell ‘ 08/03/2018) di aver lasciato il COGNOME nella detenzione (gratuita) temporanea del bene, laddove ha affermato che in forza del citato verbale di immissione in possesso del 07/05/2009 « il custode si riserva di relazionare al NOME COGNOME
lasciando l ‘ immobile nella detenzione temporanea del bene » (v. memoria istruttoria custodia primo grado, pag. 5, doc. 21 fascicoletto), omettendo poi, anche in comparsa conclusionale (doc. 22 fascicoletto), di prendere minimamente posizione e controdedurre sulle specifiche contestazioni mosse in comparsa di costituzione dall ‘ odierna difesa esponente.
Tali argomentazioni sono state espressamente reiterate anche nel giudizio di appello, laddove il COGNOME ha ribadito che « da tale inerzia protratta nel tempo l ‘ Autorità di prime cure ha dedotto la sussistenza di un valido titolo per la detenzione del bene, tanto che ‘ la custodia giudiziaria non chiese nulla a COGNOME NOME, essendo ben consapevole di averlo lasciato nella detenzione dell ‘ immobile » (v. comparsa costituzione appello, pag. 4-5, doc. 16, cit.), e in ogni caso che « si contesta ancora una volta la sussistenza del diritto di controparte a vedersi riconosciuta un ‘ indennità di indebita occupazione, in considerazione dell ‘ inerzia e della tolleranza manifestata nel tempo dalla custodia giudiziaria (e prima di essa, sin dal 1998, dallo stesso creditore procedente), ed in ogni caso la mancanza di prova da parte della custodia di un danno effettivo e concreto » (pag. 6 comparsa cit., e ulteriore esposizione contenuta nelle pagine successive).
A fronte di tali difese, la custodia giudiziaria, anche in appello, ha orientato le proprie difese esclusivamente sulla inopponibilità del preliminare non trascritto nei confronti della custodia giudiziaria e sulla impossibilità di configurare l ‘ intervenuta stipula tacita di un contratto di locazione con il detentore, senza minimamente prendere posizione sul contraddittorio assunto e sulle specifiche contestazioni in ordine all ‘ an debeatur formulate dal COGNOME sin dal giudizio di primo grado.
In ragione di ciò, la Corte territoriale (a prescindere dal primo motivo di impugnazione), avrebbe omesso di scrutinare le domande (eccezioni) espressamente formulate dal COGNOME, poi anche
riproposte al momento della costrizione (sic) agli atti del giudizio di secondo grado ai sensi dell ‘ art. 346 c.p.c. (in violazione dell ‘ art. 112 c.p.c.), così come ha omesso di esaminare il materiale probatorio acquisito e di valutare al contempo il contegno assunto in giudizio dalla custodia (in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.). Esame all ‘ esito del quale la Corte avrebbe dovuto rilevare che (a prescindere dalla ritenuta inopponibilità del preliminare e/o mancata stipula di una locazione) risultava fornita prova del fatto che la detenzione ‘ temporanea ‘ dell ‘ immobile in favore del Lo COGNOME era stata consentita dalla custodia in seno al citato verbale del 07/05/2009 (con inerzia e tolleranza poi prestata sino all ‘ intimazione del 03/11/2015), e che nessun danno poteva essere lamentato dalla custodia attrice, sia in ragione del disinteresse manifestato (anche in ragione della convenienza a lasciare nella detenzione del bene il Lo COGNOME) che, in ogni caso, della mancata allegazione e prova di fatti ulteriori volti a superare le eccezioni di inammissibilità ed infondatezza della domanda espressamente formulate dal convenuto.
La denuncia di omesso esame della questione riproposta è inammissibile ai sensi dell ‘ art. 360bis n. 2 c.p.c., in quanto inerente ad una questione giuridicamente inidonea a giustificare il vantaggio postulato. Infatti, la mera inerzia della custodia non poteva in alcun modo escludere la spettanza del diritto alll’indennità di occupazione, atteso che nessun principio giuridico giustifica che un’inerzia nell’attivarsi per ottenere la cessazione della situazione di occupazione implichi una rinuncia alla spettanza della relativa indennità. Ne segue che, ove pure si ritenesse fondato il dedotto omesso esame della questione riproposta, la relativa violazione delle regole processuali invocate che imponevano al giudice del merito di decidere, in realtà non avrebbe leso in alcun modo i principi indicati nell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c. Invero, la censura della violazione delle dette norme processuali, una volta accolta, comporterebbe il rinvio
al giudice di merito per una decisione che dovrebbe escludere manifestamente -per quanto detto – la fondatezza della questione riproposta ed anzi tanto potrebbe, non occorrendo accertamenti di merito, rilevarlo questa stessa Corte con una decisione nel merito, senza far luogo al rinvio. L’art. 360 -bis n. 2 c.p.c., riguardo al quale il Collegio condivide l’esegesi fattane da Cass. n. 22341 del 2017 (secondo cui: ‘ In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 n. 4 c.p.c., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia. (Nella specie, il ricorrente ha dedotto la violazione dei principi regolatori del giusto processo in relazione all’irritualità della forma con cui l’atto di integrazione del contraddittorio era stato notificato, senza evidenziare in alcun modo quale pregiudizio la violazione denunciata avrebbe arrecato; la RAGIONE_SOCIALE, enunciando l’anzidetto principio, ha ritenuto la censura inammissibile ex art. 360 bis, n. 2, c.p.c.). ‘ ) giustifica, dunque, una valutazione di inammissibilità del motivo. Si ricorda, altresì, che già Cass. n. 16102 del 2016, sempre evocando l’art. 360 -bis n. 2 c.p.c. e proprio scrutinando una violazione dell’art. 112 c.p.c., aveva statuito che ‘ Nel caso di denuncia, in sede di ricorso per cassazione, del vizio di omessa pronuncia, è necessaria l’illustrazione del carattere decisivo della prospettata violazione, dimostrando che ha riguardato una questione astrattamente rilevante, posto che, altrimenti, si dovrebbe cassare inutilmente la decisione gravata ‘ . Questa decisione aveva enunciato nella motivazione quanto segue: ‘ In proposito si ricorda che l’art. 360-bis n. 2 c.p.c., là dove implica che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto processo, nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso implica proprio che detta violazione abbia svolto una qualche decisività, sicché può reputarsi che quando si
denuncia un’omessa pronuncia su un’eccezione non sia del tutto irrilevante la opportuna attività dimostrativa che l’eccezione avrebbe avuto un qualche fondamento astratto in iure e che, dunque, il suo omesso esame ha riguardato una quaestio iuris astrattamente rilevante. L’alternativa sarebbe altrimenti che la Corte di Cassazione dovrebbe cassare sentenza in modo del tutto inutile, in quanto dopo aver pronunciato la cassazione per l’omesso esame, dovrebbe decidere nel merito e rigettare l’eccezione priva di fondamento in iure in quel senso ‘ .
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (autorizzazione alla permanenza nella detenzione dell ‘ immobile) che è stato oggetto di allegazione e discussione tra le parti -Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2043 cod. civ. e 2697 cod. civ. nella parte in cui la Corte di Appello di Palermo ha omesso di valutare le risultanze probatorie acquisite che comprovavano il diritto del sig. COGNOME a permanere nella detenzione del bene per effetto del verbale della custodia giudiziaria del 07.05.2009 ‘ . Con il motivo in esame il ricorrente formula un autonomo motivo di impugnazione, sostenendo che, alla luce di quanto dedotto e documentato, appare la decisività dell ‘ autorizzazione concessa dal custode in data 07/05/2009 al fine di provare la legittimazione del COGNOME a rimanere nella detenzione temporanea del bene (sino a diversa determinazione del giudice dell ‘ esecuzione), la quale, se correttamente scrutinata dalla Corte di Appello di Palermo, avrebbe portato al rigetto del gravame proposto dalla custodia, in via del tutto indipendente dalla ritenuta inopponibilità del preliminare e/o mancata stipula di una locazione. Il motivo è inammissibile, giacché deduce ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. quanto correttamente in thesi si è prospettato come vizio del procedimento, sebbene in modo inammssibile per quanto detto.
In sostanza, ciò di cui si lamenta l’omessa considerazione non è un ‘fatto’ ai sensi dell’art. 360 , n. 5, c.p.c.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.
Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 132 c.p.c. (error in procedendo) per aver la Corte di Appello di Palermo omesso di pronunciarsi in merito alla eccepita nullità della CTU, espletata in primo grado dal consulente del Tribunale acquisendo aliunde documenti non prodotti dalla custodia attrice ritenuti essenziali ai fini dell ‘ espletamento della perizia -violazione dell ‘ art. 101 c.p.c., 183 VI comma c.p.c., 157 comma 2 c.p.c. e dell ‘ art 2697 cod. civ. ‘ Espone il ricorrente che il Tribunale di Palermo ha nominato CTU al fine di accertare il valore locativo del cespite oggetto della domanda di parte attrice ed il valore dei frutti civili non percepiti, tenuto conto del fatto che l ‘ odierno ricorrente aveva espressamente contestato in comparsa di costituzione la congruità dell ‘ importo di euro 800/mese preteso dalla custodia (v. comparsa cit., punto 5, pag. 8, doc. 5 fascicoletto: « senza recesso alcuno dalle superiori eccezioni e difese, si rappresenta che l ‘ importo mensile di euro 800 richiesto dalla custodia risulta esorbitante rispetto all ‘ effettivo valore locatizio del bene »).
Prima dell ‘ inizio delle operazioni peritali del 09/07/2018 il nominato consulente constatava la indisponibilità del COGNOME a consentire l ‘ accesso nella propria abitazione (che si era nel frattempo aggiudicato all ‘ asta dell ‘ 01/07/2016 – v. verbale aggiudicazione e decreto di trasferimento, sub doc. 11 e 12 fascicolo di primo grado -docc. 24-25 fascicoletto), dando atto della impossibilità di espletare la perizia in mancanza della documentazione occorrente. In maniera illegittima ed arbitraria (peraltro, senza autorizzazione del G.I.) il CTU decise di contattare il custode giudiziario dal quale acquisì una precedente relazione di consulenza tecnica disposta nell ‘ ambito della pendente procedura esecutiva, dando poi atto nella
propria relazione peritale che ‘ presane visione lo scrivente riusciva a dedurre tutti i dati tecnici necessari all ‘ espletamento del mandato ‘ rappresentando altresì di aver acquisito presso l ‘ Agenzia delle Entrate -Ufficio provinciale del Territorio -servizi catastali (in maniera altrettanto illegittima) ‘ visura e planimetria catastale dell ‘ immobile ‘ (v. pag. 3 relazione peritale -doc. 26 fascicoletto) che la custodia aveva omesso di depositare nei termini di cui all ‘ art. 183 VI comma n. 2 c.p.c.
Il ricorrente eccepì prontamente in sede di osservazioni alla medesima bozza di CTU l ‘ inammissibilità dei documenti acquisiti in violazione del principio del contraddittorio e delle decadenze probatorie già maturate (v. osservazioni alla CTU, pag. 2 -doc. 27 fascicoletto), negando al contempo ogni consenso alla tardiva acquisizione ed invitando per l ‘ effetto il CTU a prendere in esame la sola documentazione ritualmente versata agli atti di causa (doc. 27, cit., pag. 5).
Seguiva il deposito della comparsa conclusionale, in seno alla quale il ricorrente insisteva per la declaratoria di nullità della CTU e per il connesso rigetto della domanda azionata dalla custodia anche per mancato assolvimento dell ‘ onere probatorio gravante a suo carico, rilevando che era preciso onere di parte attrice (disatteso) produrre tempestivamente le planimetrie, i certificati catastali e soprattutto le perizie storiche attestanti lo stato dell ‘ immobile e le eventuali modifiche nel periodo oggetto di accertamento peritale, poi illegittimamente acquisite dal CTU (v. comparsa ex art. 190 c.p.c. primo grado, punto 3, pag. 7-8 – doc. 14, cit.).
L ‘ eccezione, non scrutinata dal Tribunale per effetto del rigetto della domanda azionata dalla curatela, venne ritualmente riproposta in appello ex art. 346 c.p.c. (punto 4, pag. 10-11 comparsa costituzione secondo grado sub doc. 16 fascicoletto e punto 2, pag. 6-7, comparsa conclusionale appello doc. 19 fascicoletto), laddove venne espressamente eccepito come la custodia avesse omesso di
fornire gli elementi di prova utili alla determinazione del valore locatizio del bene producendo tardivamente, a richiesta del CTU e senza minimamente informare la difesa dell ‘ odierno ricorrente (che comunque ha poi denegato il proprio consenso una volta venutane a conoscenza), una precedente perizia (di parte) utilizzata per la compilazione della relazione peritale, quando invece era suo onere -del tutto disatteso -produrre tempestivamente le planimetrie, i certificati catastali e soprattutto le perizie storiche attestanti lo stato dell ‘ immobile e le eventuali modifiche nel periodo oggetto di accertamento peritale, non essendo consentito al consulente sostituirsi alla parte processuale, andando a ricercare aliunde (nel caso di specie facendosene consegnare copia dall ‘ attrice o accedendo ai pubblici uffici) dati nella libera disponibilità della parte che agisce in giudizio e che avrebbero dovuto essere oggetto di tempestiva prova ed allegazione, venendosi in questo modo illegittimamente a supplire all ‘ omesso espletamento dell ‘ onere probatorio, in violazione sia dell ‘ art. 2697 cod. civ. che del principio del contraddittorio di cui all ‘ art. 101 c.p.c. (cfr. Cassazione n. 12921 del 23.06.2015) – v. di nuovo comparsa appello, punto 4, pag. 10-11, doc. 16, cit., ma anche in questo caso la contestazione non veniva esaminata dalla Corte di Appello.
Avendo quindi il ricorente ritualmente eccepito la nullità dell ‘ atto nel rispetto dei termini di cui all ‘ art. 157, comma 2, c.p.c., il ricorrente denuncia l ‘ error in procedendo in cui è incorsa la Corte territoriale omettendo di esaminare la censura proposta dal COGNOME, all ‘ esito della quale avrebbe dovuto statuire la nullità della CTU e per l ‘ effetto l ‘ omesso ottemperamento dell ‘ onere probatorio gravante sull ‘ attore anche in ordine al quantum debeatur .
Il motivo è inammissibile: la Corte territoriale, a giusta ragione, ha omesso di considerare quanto parte ricorrente lamenta non considerato. Invero, parte ricorrente non dice se aveva ribadito in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado l ‘ eccezione di
nullità della CTU. Tale carenza è esiziale, in quanto in mancanza la questione non poteva essere riproposta ai sensi dell ‘ art. 346 c.p.c. nel giudizio di appello e, dunque, legittimamente la Corte palermitana non se n ‘ è occupata. Come chiarito da Cass., sez. III, sent. 12/01/2006, n. 413: ‘ La parte concretamente vittoriosa nel merito non ha l ‘ onere di proporre appello incidentale per richiamare eccezioni o questioni che risultano superate o assorbite; essa è, tuttavia, tenuta a riproporre le une e le altre in modo espresso fino alla precisazione delle conclusioni, operando altrimenti la presunzione di rinuncia di cui all ‘ art. 346 cod. proc. civ. con conseguente formazione del giudicato implicito ‘ (conformi in precedenza Cass., n. 12696/2001; Cass., n. 1788/1988).
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 132 e 346 c.p.c. (error in procedendo) per aver la Corte di Appello di Palermo omesso di pronunciarsi in ordine alla eccezione di compensazione formulata in via subordinata in primo grado dal Sig. COGNOME poi riproposta in appello -violazione dell ‘ art. 1241, 2041, 2864 cod. civ. e 56 legge fallimentare ‘ . Espone il ricorrente che, sia al momento della costituzione nel giudizio di primo grado (v. doc. 5, punto 6, pag. 8-9) che, ai sensi dell ‘ art. 346 c.p.c., nel giudizio di appello (v. doc. 16, punto 5, pag. 11), egli propose eccezione di compensazione, deducendo che le pretese dalla custodia giudiziaria a titolo di indebita occupazione dovevano essere compensate con il maggior importo di euro 261.697,13 riconosciuto come dovutogli nell ‘ ambito della procedura fallimentare della società esecutata La RAGIONE_SOCIALE, di cui l ‘ importo di euro 193.266,59 a titolo di migliorie apportate all ‘ immobile (v. decreto di ammissione al passivo del fallimento sub doc. 9), poi oggetto d ‘ intervento anche nell ‘ esecuzione portante R.G. Es. 1448/1996, da cui è scaturito il presente giudizio (v. doc. 7 fascicolo primo grado -doc. 29 fascicoletto).
Il ricorrente osservava infatti che dal decreto di ammissione al passivo del fallimento del credito di euro 193.266,59 (v. doc. 9, cit.) si otteneva conferma del fatto che le migliorie apportate avevano consentito al bene di acquisire un incremento di valore di circa euro 345.000, pari alla differenza tra il valore di euro 487.000 oggetto di stima e quello di euro 141.667 stimabile alla data di acquisto del 1998 (v. comparsa costituzione primo grado, pag. 5-6, doc. 5). Su tale scorta, in forza del richiamo in via analogica all ‘ art. 56 della l. fall., il ricorrente eccepì la compensazione sino alla corrispondenza dei riferiti importi (richiedibili ai sensi dell ‘ art. 2864 cod. civ.). Sostiene il ricorrente che tale norma, diversamente da quanto prospettato da controparte in primo grado, è pienamente applicabile al caso di specie, sia in quanto la società RAGIONE_SOCIALE era effettivamente fallita, sia in via analogica, stante la sostanziale equiparazione tra le due procedure (fallimentare ed esecutiva), tendenti alla liquidazione dei beni del debitore.
D ‘ altronde, indipendentemente dal richiamo all ‘ art. 56 della l. fall., se ai sensi dell ‘ art. 2864 cod. civ. compete al soggetto che ha eseguito migliorie su un immobile gravato da ipoteca il diritto di far separare dal futuro prezzo di vendita la parte corrispondente alle migliorie apportate, non può dubitarsi del diritto dell ‘ odierno esponente ad eccepire in compensazione importi che, in ogni caso, avrebbe avuto titolo a percepire in restituzione nell ‘ ambito della medesima procedura esecutiva, e quindi anche nei confronti della custodia. La formulazione dell ‘ eccezione di compensazione in via riconvenzionale, attribuisce al giudice di merito investito della questione il potere/dovere di valutare la fondatezza della contropretesa volta a paralizzare la domanda avversaria.
Nell ‘ ottica dell ‘ equo contemperamento dei reciproci interessi contrapposti tra creditore ipotecario e terzo che ha eseguito le migliorie, con evidente intento compensativo, l ‘ art. 2864 cod. civ. determina la misura in cui il terzo possa partecipazione alla
distribuzione del ricavato della vendita dell ‘ immobile, con modalità idonee a evitare l ‘ ingiustificato arricchimento del creditore ipotecario a discapito del connesso nocumento patrimoniale patito dal terzo in relazione all ‘ incremento di valore apportato al bene.
Ancora una volta, quindi, la Corte di Appello di Palermo ha omesso pronunciarsi su eccezioni che, ove correttamente scrutinate, avrebbero necessariamente condotto al rigetto delle domande azionate dalla custodia giudiziaria, indipendentemente dalla decisione resa in ordine alla inopponibilità del preliminare alla custodia e/o alla inesistenza di un insorto rapporto locatizio.
Il motivo è inammissibile per ragioni identiche a quelle esposte per il motivo precedente: si omette di esporre se in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado l ‘ eccezione di compensazione era stata mantenuta. Nella comparsa di costituzione di appello essa venne riproposta: ‘ 5.- Eccezione di compensazione In ulteriore subordine è stata anche eccepita in primo grado la compensazione degli importi pretesi dalla custodia a titolo d ‘ indebita occupazione con quelli, ben maggiori, ammessi al passivo del fallimento de RAGIONE_SOCIALE in favore del sig. COGNOME, oggetto anche di intervento agli atti della procedura esecutiva immobiliare portante R. G. Es. n. 1448/1996. Al riguardo, si rimanda a quanto già esposto nel corso del giudizio di primo grado, tanto in comparsa di costituzione (punto n. 6) che nella successiva memoria conclusionale ex art. 190 c.p.c. (punto n. 1). Nel fare, quindi, riserva di più approfondite argomentazioni all ‘ atto della redazione della comparsa conclusionale, si rappresenta sin d ‘ ora che, a fronte dell ‘ utilità evidente tratta dalla custodia (ed in generale da tutta la procedura esecutiva) per effetto delle attività di miglioria, manutenzione e completamento dell ‘ immobile espletate dal sig. COGNOME, non è certamente conforme a diritto pretendere oggi di imputargli un ‘ indennità di indebita occupazione, o comunque non consentirgli di eccepire in compensazione gli ingenti esborsi sostenuti con i
minori (contestati) importi, pretesi dalla custodia giudiziaria a titolo di indebita occupazione ‘ .
Senonché, per dimostrare che la Corte di merito si doveva occupare dell’eccezione , si sarebbe dovuto dire e dimostrare nel rispetto dell’art. 366 , n. 6, c.p.c. che essa era stata mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, mentre nella comparsa non lo si dice. Dunque, in base a quanto dedotto, non è possibile reputare in alcun modo che illegittimamente la Corte abbia omesso di occuparsene.
10. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. nonché degli artt. 1227, 2033 cod. civ. 2043 cod. civ., 1803 cod. civ. e dell ‘ art. 72 della legge fallimentare nella parte in cui la Corte di Appello di Palermo non ha comunque ritenuto il sig. COGNOME titolato a detenere l ‘ immobile anche in forza del preliminare, sino alla dichiarazione di scioglimento del vincolo da parte del curatore del 15.05.2015 e non ha comunque rilevato il (grave) concorso di colpa ascrivibile alla custodia ‘ . Espone il ricorrente che la Corte territoriale ha rilevato che, ‘ ai sensi dell ‘ art. 72 della legge fallimentare, se un contratto non è compiutamente eseguito da entrambe le parti, quando nei confronti di una di esse è dichiarato il fallimento, l ‘ esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore dichiara di sciogliersi dal medesimo. Tale opzione era stata comunicata dal curatore in data 15.05.2015 ‘ (pag. 5 sentenza appello).
Nella concreta fattispecie, pertanto, secondo la Corte di Appello (diversamente da quanto reputato dal primo giudice), la permanenza nell ‘ immobile ‘ informalmente consentita dal custode ‘ in via temporanea, non avrebbe mai potuto dar luogo ad un valido rapporto di locazione. A detta del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare il preliminare legittimo titolo di detenzione
sino alla comunicazione di scioglimento del vincolo da parte del curatore del 15/05/2015 (doc. 7, cit.), laddove è la stessa Corte di Appello ad ammettere che gli effetti del preliminare (sospesi dopo la dichiarazione di fallimento) sono cessati solo allorché il curatore ha comunicato la sua volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale (v. pag. 6 sentenza di appello).
Nel preliminare di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un ‘ anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull ‘ esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (v Cassazione n. 11470 del 30/04/2021). Sulla scorta della detenzione qualificata così assunta, ai sensi dell ‘ art. 1807 cod. civ., andava riconosciuto al promittente acquirente -secondo lo stesso ragionamento seguito dalla Corte di territoriale -il titolo a permanere nella detenzione del bene sino al momento dell ‘ esercizio del potere di scelta da parte del curatore, che ben avrebbe potuto legittimare la protrazione nella detenzione (in caso di richiesta di stipula del definitivo), così come farne venire meno gli effetti -come in concreto accaduto -a far data dalla comunicazione di scioglimento ex art. 72 della legge fallimentare.
Se gli effetti del contratto preliminare che consentiva la detenzione del bene sono venuti meno solo il 15/05/2015, sino a tale data il COGNOME doveva ritenersi legittimato alla detenzione del bene ai sensi del riferito art. 1807 cod. civ., e nessun danno e/o indebito poteva essere per l ‘ effetto preteso dalla custodia.
A detta del ricorrente, in forza dell ‘ autorizzazione del 07/05/2009 (doc. 3, cit.) al permanere del Lo COGNOME nella detenzione temporanea del bene, costituisce grave concorso colposo del custode aver poi atteso sei anni e mezzo per relazionare al giudice
dell ‘ esecuzione e per chiedere di essere autorizzato alla richiesta dell ‘ indennità di occupazione.
L ‘ ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all ‘ art. 1227, comma 1, cod. civ., non concretando un ‘ eccezione in senso proprio ma una semplice difesa, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d ‘ ufficio, attraverso le opportune indagini sull ‘ eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell ‘ incidenza causale dell ‘ accertata negligenza nella produzione dell ‘ evento dannoso (Cass. 20/08/2009, n. 18544). Ciò comporta che, in considerazione della contestazione di ogni ipotesi di responsabilità da parte del COGNOME, la Corte territoriale dovuto valutare il concorso di colpa del danneggiato, riducendo per l ‘ effetto notevolmente -se non addirittura escludendo -ogni ipotesi di responsabilità a carico del convenuto in ragione dell ‘ interzia e del comportamento negligente tenuto dalla custodia dal 07.05.2009 sino al 03.11.2015.
La prospettazione, pur evocando in thesi la natura di mera difesa della deduzione ai sensi dell ‘ art. 1227, 1° comma, c.c., è priva di fondamento: la mera inerzia del creditore titolare dell ‘ indennità di occupazione nel rivendicarla non può essere ricondotta inn alcun modo ad un fatto colposo. Se un diritto può essere esercitato entro un certo termine, la fruizione di questo termine non può essere considerata tale e ciò per l’evidente contradition che nol consente .
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso dev’essere rigettato.
Non avendo parte intimata svolto difese nel presente giudizio di legittimità, nulla è dovuto a titolo di spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/06/2024 nella camera di consiglio della