Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6411 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6411 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22352/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria, intimato-
Avverso il decreto del Tribunale Roma n. 1499/2023 depositato il 14/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 Il Tribunale di Roma, con decreto depositato il 10 aprile 2013, respinse l’opposizione allo stato passivo della RAGIONE_SOCIALE, in amministrazione straordinaria, proposta da RAGIONE_SOCIALE ( breviter RAGIONE_SOCIALE), sulla sua domanda di insinuazione al passivo dei seguenti crediti: a) € 5.802.095,33, in via privilegiata ex art. 2751 bis , n. 3, c.c per indennità di cessazione dei rapporti di agenzia svolto per la zona di Cagliari in favore di RAGIONE_SOCIALE in bonis , per il periodo dal 16.12.1966 al 04.08.2010; b) € 3.128,17 in via chirografaria per il mancato pagamento delle fatture 1319, 1321 e 1529 del 2010.
1.1 Il tribunale ritenne che, non avendo la società opponente depositato in giudizio la documentazione già posta a fondamento della domanda di insinuazione, l’opposizione andasse senz’altro respinta, non potendo il giudice disporre l’acquisizione dal fascicolo fallimentare, né essendo sufficienti a dimostrare il credito gli estratti conto autentici relativi al rapporto di agenzia, pure prodotti nel procedimento di opposizione.
2 Avverso tale provvedimento NOME propose ricorso in Cassazione che, con ordinanza n. 4201/2018, depositata il 21 febbraio 2018, in accoglimento del primo motivo di ricorso, cassò con rinvio l’impugnato decreto ritenendo che il tribunale avrebbe dovuto disporre l’acquisizione del fascicolo d’ufficio della procedura di accertamento dello stato passivo ove erano contenuti i documenti ivi prodotti.
3 Riassunta la causa il Tribunale di Roma, dopo aver disposto l’espletamento di una CTU, rigettava l’opposizione.
3.1 I giudici capitolini, ricostruita l’evoluzione della normativa di settore, ritenevano applicabile alla fattispecie in esame la disciplina dell’art. 1751 c.c. così come modificata dai decreti legislativi nr.
303/1991 e 65/1999, che riconosce, per quanto di interesse in questa sede, la spettanza all’agente dell’indennità di fine rapporto solo se l’agente « abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti » .
3.2 Rilevava il tribunale che nessuna prova era stata fornita in ordine ai clienti che RAGIONE_SOCIALE avrebbe stabilmente procacciato alla RAGIONE_SOCIALE e ai conseguenti sostanziali vantaggi economici, essendo emersa, al contrario, seppure indipendentemente dall’attività dell’agente, una sensibile contrazione RAGIONE_SOCIALE affari della RAGIONE_SOCIALE stessa.
4 RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione affidato a sette motivi; la procedura intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 I mezzi di impugnazione possono così sintetizzarsi:
primo motivo: violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. (art. 360 n.3) per avere il Tribunale errato nel ritenere applicabile la disciplina dell’art. 1751 c.c. (nel testo attualmente vigente a seguito di modifica ex D.Lgs.n.62/1999) anche al primo contratto di agenzia intercorso tra le parti del 13.12.1966, in quanto, secondo il giudice di merito, quest’ultimo risultava sì novato, ma non sotto il profilo della disciplina dell’indennità di fine rapporto. La ricorrente sostiene che il tribunale, in aperto contrasto con la chiara ed inequivoca volontà novativa espressa dalle parti con l’art. 30 delle condizioni del contratto del 30/9/1991, ha attribuito alla semplice ricognizione tra le parti del diritto alla immediata liquidazione dell’indennità di fine rapporto , maturata per effetto della cessazione (per novazione) del ‘primo’ contratto con la stipula del secondo, valore conservativo del pregresso rapporto
negoziale con riferimento al profilo dell’indennità di fine rapporto maturato ai sensi dell’art. 1751 c.c.. A dire della ricorrente, il primo giudice avrebbe omesso, nell’interpretare il contratto , di indagare sulla comune intenzione delle parti, tenendo conto del ‘ comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto ‘ , intenzione che sarebbe sempre stata quella unanime di considerare i due contratti distinti, con la sottoscrizione di uno nuovo, ma con la specifica previsione del diritto alla liquidazione dell’indennità di fine rapporto rispetto a quello vecchio ; il tribunale non avrebbe altresì considerato che per il nuovo rapporto negoziale le parti avevano espressamente escluso l’indennità prevista per l’art 1721 c.c.;
secondo motivo: violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1230 e 1322 c.c. (art. 360 n.3 c.p.c.); la ricorrente lamenta l’illegittimità della ricostruzione del passaggio tra il contratto del 1966 e quello del 1991 in termini di novazione ‘parziale’ , con una sorta di ‘ultra operatività’ (post novazione) del primo contratto sotto il profilo dell’indennità di fine rapporto non pattuita dalle parti né prevista dalla legge;
terzo motivo: «nullità della sentenza per vizio di motivazione in relazione alla violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. in combinato disposto con l’art . 156, comma 2, c.p.c. (omessa o inadeguata o apparente motivazione -art. 360 n. 4 e 5 c.p.c.)»: vengono mosse le medesime censure del primo motivo inquadrate nel vizio di motivazione apparente e illogica, in quanto il giudice di merito, da un lato, ha riconosciuto la spettanza dell’indennità di fine rapporto maturata al 30.9.1991, dall’altro ha ritenuto, in sostanza, non ancora maturata al 30.9.1991 la medesima indennità, per via di una asserita ‘novazione parziale’ non pattuita né prevista dalla legge;
quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’ art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’ art. 1751 c.c., per avere il
tribunale applicato al rapporto di agenzia sorto nel 1966 e conclusosi nel 1991 la nuova disciplina sul trattamento di fine rapporto introdotta con i decreti legislativi nr 303/1991 e 65/1999, efficace dal 1° gennaio 1994. Il principio di irretroattività della legge, cristallizzato dal citato art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, non consente – salvo espressa previsione – di applicare a fatti o atti, già definiti e conclusi, norme entrate in vigore in un momento successivo;
quinto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 e 2697 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), per avere il tribunale illegittimamente subordinato il diritto a percepire l’indennità di fine rapporto ai risultati ottenuti quando invece i predetti emolumenti sono sempre dovuti e maturano automaticamente -al momento dello scioglimento del contratto – sulla base delle provvigioni percepite in corso di rapporto: l’unico onere ex art. 2697 c.c. in capo all’agente è, quindi, quello di dimostrarne la relativa quantificazione per il tramite dell’ammontare delle provvigioni liquidate in corso di contratto.; onere che l’RAGIONE_SOCIALE aveva, peraltro, pienamente assolto con copiose produzioni documentali (i contratti, i documenti contabili con i registri di conto corrente e i libri IVA, le raccomandate interruttive della prescrizione, i conteggi analitici, la perizia di parte prodotta nel giudizio di rinvio);
sesto motivo «nullità della sentenza per vizio di motivazione in relazione alla violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 , c.p.c. in combinato disposto con l’art . 156, comma 2, c.p.c. (omessa o inadeguata o apparente motivazione – art. 360 n. 4 e 5 c.p.c.)»: la ricorrente deduce che il tribunale non solo avrebbe omesso di rilevare la circostanza decisiva per il giudizio, costituita dal venir meno – a seguito di novazione – in data 30.9.1991 RAGIONE_SOCIALE effetti del contratto di agenzia del 1966, ponendone un’altra – totalmente diversa ed errata (vigenza del primo contratto alla data del 1.1.1994) -a fondamento della propria decisione, ma avrebbe
anche trascurato di valutare le prove offerte a dimostrazione del diritto all’indennità di fine rapporto;
settimo motivo «violazione e falsa applicazione art. 1751 e 2697 c.c. e artt. 12, 13 e 14 Accordo Economico Collettivo (AEC) per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio T.U. del 16.2.2009 o, in subordine, artt. 1 e 9 dell’AEC del 20.06.1956, con efficacia erga omnes, giusto il combinato disposto RAGIONE_SOCIALE art. 1 e 7 L. 14.07.1959 n.741 (e ss.mm.) e dell’ art. unico del D.P.R. 25.03.1961 n. 76 o, in ulteriore subordine, art. 13 AEC del 1941 tra armatori e RAGIONE_SOCIALE marittimi raccomandatari, avente forza di legge in virtù del Decreto del Capo del Governo del 19.11.1942, n. 1386 (art. 360, n. 3)»: la ricorrente lamenta la mancata applicazione RAGIONE_SOCIALE accordi economici collettivi del 2009 e del 1956 che contengono previsioni più favorevoli per gli RAGIONE_SOCIALE rispetto alla disciplina codicistica con particolare riferimento ai trattamenti minimi di fine rapporto.
In particolare, per l’accordo economico del 2009 erano del tutto irrilevanti i vantaggi che il preponente aveva ricevuto nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, i quali costituivano, invece, uno dei presupposti dell’art. 1751 c.c.
Il terzo motivo, da esaminarsi preliminarmente in quanto pregiudiziale dal punto di vista logico, dato che investe la motivazione del provvedimento impugnato, è fondato.
2.1 Per effetto della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, è ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si
esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, 8053/2014, Cass. 7472/2017; si vedano nello stesso senso anche le più recenti Cass. 20042/2020, Cass. 23620/2020 e Cass. 395/2021).
2.2. Nel caso di specie il tribunale, dopo aver riportato l’art . 30 del contratto di agenzia del 30/9/1991 (a tenore del quale : « il presente contratto costituisce novazione oggettiva ai sensi dell’articolo 1230 codice civile del contratto stipulato fra l’armatore e l’agente in data 13 dicembre 1966 che successive modificazioni, e pertanto lo annulla e lo sostituisce, fatto salvo comunque il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto maturato ai sensi dell’articolo 1751 codice civile »), afferma che « in base alla disciplina contrattuale, quindi, il nuovo contratto ha avuto carattere novativo rispetto al precedente, salvo che per quanto di spettanza rispetto alla indennità di fine rapporto maturata fino a quella data ». Nel successivo passaggio motivazionale i giudici circondariali, richiamando ancora la clausola contrattuale di cui all’art. 30, giungono alla conclusione che, nonostante il verificarsi dell’effetto novativo correlato alla stipula del nuovo contratto, «il rapporto negoziale tra le parti ha mantenuto sostanziale unicità» sotto il profilo dell’indennità di fine rapporto.
In sostanza, pur a fronte della dichiarata cessazione del primo contratto per novazione, il decreto impugnato fa ‘rivivere’ l’indennità di fine rapporto già maturata con il primo rapporto e la assoggetta alla disciplina (ben più restrittiva per l’agente) dell’art. 1751 c.c., così come riformulato dai decreti legislativi 303/1991 e 65/1999, senza però indicare l’iter logico -giuridico seguito per arrivare a una simile conclusione e senza neppure esplicitare i
parametri ermeneutici utilizzati per addivenire a tale convincimento.
2.3 Si tratta di una motivazione apodittica che, non consentendo alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, si pone al di sotto del minimo costituzionale.
3 Il buon esito della doglianza consente di ritenere assorbiti il primo, secondo, quarto e sesto motivo.
4 Il quinto e il settimo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione, vanno accolti per quanto di ragione.
4.1 Va opportunamente precisato che l’art. 2 del d.lvo 40/2006, modificando l’art. 360 c.p.c., ha sancito che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possano essere impugnate con ricorso per cassazione «per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ».
Con tale riforma, il ricorrente in Cassazione ha oggi la possibilità di denunciare direttamente in sede di legittimità il vizio di violazione o falsa applicazione di contratti collettivi nazionali di lavoro, analogamente a quanto avviene con riferimento alle norme di diritto.
Questa Corte ha affermato che la norma ha inteso estendere la funzione di nomofilachia anche nei confronti dei contratti collettivi: in buona sostanza, si assiste alla parificazione, sul piano processuale, dei ‘contratti o accordi collettivi di lavoro’ alle ‘norme di diritto’ ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1 e 2. Pertanto, una pronuncia per violazione o falsa applicazione di norme dei contratti collettivi dà luogo all’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c. comma 1, nonché alla decisione della causa nel merito, ai sensi del comma 2, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass.17231/2016).
4.2 Ciò premesso, è pacifico che il rapporto di agenzia intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sorto nel 1966 e conclusosi nel 2010, abbia nel corso del lungo periodo trovato la propria regolamentazione nei contratti del 13/12/1966 e del 30/9/1991.
Al riguardo afferma l’impugnato provvedimento: « Nel contratto del 13 dicembre 1966 nulla era specificato in ordine alla determinazione dell’indennità di fine rapporto. Per converso all’art. 29 del contratto del 30 settembre 1991 si legge testualmente: ‘All’atto dello scioglimento del rapporto vuoi di agenziamento merci e passeggeri, vuoi di raccomandazione, vuoi di entrambi, e sia che tale scioglimento risulti conseguente a scadenza del termine contrattuale, ovvero a risoluzione anticipata ai sensi dell’art. 28, ovvero per qualsiasi altro fatto o causa, l’Armatore non sarà tenuto a corrispondere all’agente alcuna indennità ex art. 1751 Codice Civile o altra simile indennità che possa essere prevista dalla legge o da altre fonti normative.
Al riguardo l’Agente dichiara che nel concordare con l’Armatore gli aspetti economici del presente accordo egli ha considerato che le provvigioni e i corrispettivi spettantigli sono già compensativi e comprensivi delle predette indennità anche nell’ipotesi peraltro esclusa dal capoverso che precede -che un simile riconoscimento dovesse effettuarsi a carico dell’Armatore…’.
Si legge anche che: « Tuttavia, qualora si addivenisse ad un accordo collettivo tra le RAGIONE_SOCIALE, sia RAGIONE_SOCIALE che RAGIONE_SOCIALE da una parte e le RAGIONE_SOCIALE dall’altra, che riconosca e determini un’indennità di fine rapporto e la relativa percentuale, la disposizione su estesa dovrà ritenersi priva di efficacia a partire dalla data di entrata in vigore dell’accordo e senza alcun effetto retroattivo ».
4.3 Poiché, come appresso si dirà, dopo la conclusione del contratto è intervenuto un accordo collettivo tra le contrapposte
organizzazioni sindacati che ha espressamente riconosciuto all’agente l’indennità di fine rapporto, ne consegue che tale emolumento, ricorrendone i presupposti, spetti all’agente anche con riferimento al periodo di vigenza del secondo contratto dovendosi ritenere superata, almeno per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’accordo collettivo, la previsione contrattuale che nega all’agente ogni emolumento correlato alla definizione del rapporto.
4.4 Ciò chiarito, nell’accertare la disciplina applicabile al caso di specie il tribunale ha tenuto conto esclusivamente del dettato normativo dell’art. 1751 c.c., ritenuto estensibile anche al periodo di vigenza del primo contratto, che a seguito delle modifiche apportate dei decreti legislativi n. 303/1991 e 65/1999 prevede che «a ll’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti ».
L’impugnato decreto, sulla scorta del novellato art. 1751 , comma 1, c.c., ha stabilito che la ricorrente non avesse diritto ad alcuna indennità di cessazione del rapporto di agenzia, considerato sotto tale profilo tutt’uno, non avendo fornito la prova, malgrado ne fosse onerata, di aver procurato nuovi clienti al preponente o comunque di aver incrementato sensibilmente gli affari esistenti e che il preponente ne riceva ancora sostanziali vantaggi.
4.5 Occorre ricordare, in linea generale, che la predetta disposizione inderogabile a svantaggio dell’agente (art. 1751,
comma 5, c.c.), è tuttavia suscettibile di previsioni migliorative da parte RAGIONE_SOCIALE Accordi Economici Collettivi (cfr. Cass. 12113/2024).
4.6 In giurisprudenza si è posta la questione del rapporto tra la disciplina dettata dal codice civile dopo la modifica del 1991 e gli Accordi Economici Collettivi stipulati dalle organizzazioni di RAGIONE_SOCIALE che prevedono, indipendentemente dai presupposti inerenti all’attività dell’agente richiesti dall’art. 1751 c.c., la corresponsione di un ‘ indennità determinata senza alcun riferimento specifico all’incremento RAGIONE_SOCIALE affari procurato dall’agente, secondo percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto.
E’ stato , a questo proposito, affermato da questa Corte che «in tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, a seguito dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (con la sentenza 23 marzo 2006, in causa C465/04) sulla portata RAGIONE_SOCIALE artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto RAGIONE_SOCIALE Stati membri concernenti gli RAGIONE_SOCIALE commerciali indipendenti, l’art. 1751, comma 6, cod. civ., nel testo sostituito dall’art. 4 del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della predetta direttiva comunitaria), va inteso nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. Ne consegue, pertanto, che l’indennità contemplata dall’Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l’agente un trattamento minimo garantito, che può essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all’agente l’indennità di legge in misura inferiore» (cfr. Cass.
16347/2007; nello stesso senso si vedano anche Cass. 687/2008, Cass. 486/2016 e Cass. 12113/2024).
4.7 Giova ricordare, inoltre, che l’ Accordo Collettivo -T.U. 16 febbraio 2009 per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore commercio stabilisce all’art. 13 quanto segue: « Con la presente normativa le parti intendono dare piena ed esaustiva applicazione all’art. 1751 c.c., anche in riferimento alle previsioni dell’art. 17 della Direttiva CEE 86/653, individuando modalità e criteri applicativi, particolarmente per quanto attiene alla determinazione in concreto della misura dell’indennità in caso di cessazione del rapporto. A tal fine si conviene che l’indennità in caso di cessazione del rapporto sarà composta da tre emolumenti: il primo, denominato ‘Indennità di risoluzione del rapporto’, viene riconosciuto all’agente o rappresentante anche se non ci sia stato da parte sua alcun incremento della clientela e/o del fatturato, e risponde principalmente al criterio dell’equità; – il secondo, denominato ‘Indennità suppletiva di clientela’, sarà riconosciuto ed erogato all’agente o rappresentante secondo le modalità di cui al successivo capo II. Anche tale emolumento risponde al principio di equità, e non necessita per la sua erogazione della sussistenza della prima condizione indicata nell’art. 1751, I comma, c.c.; -il terzo, denominato ‘Indennità meritocratica’ risponde ai criteri indicati dall’art. 1751 c.c., relativamente alla sola parte in cui prevede come presupposto per l’erogazione l’aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l’acquisizione di nuovi clienti ».
Ai capi I (indennità di fine rapporto), II (indennità suppletiva di clientela) e III (indennità meritocratica) del medesimo art. 13, vengono indicati, nel dettaglio, le rispettive percentuali e/o condizioni per la corresponsione dell’indennità.
In base all’A.E.C. del 2009, dunque, solo l’indennità c.d. meritocratica risponde ai criteri indicati dall’art. 1751 c.c.,
relativamente alla parte in cui prevede come presupposto per l’erogazione l’aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l’acquisizione di nuovi clienti.
4.8 Ne consegue che il tribunale ha erroneamente ritenuto che il riconoscimento dell’indennità di risoluzione del rapporto fosse condizionato e precluso dal fatto che non sarebbe stato dimostrato dall’agente l’apporto di nuovi clienti o lo sviluppo sensibile RAGIONE_SOCIALE affari con persistenza dei vantaggi, atteso che, come sopra si è dato conto, l’RAGIONE_SOCIALE non subordina il diritto alla prestazione alla sussistenza della prima condizione indicata nell’art. 1741 , comma 1, c.c , requisito che è invece necessario per conseguire l’indennità meritocratica.
In conclusione, l’impugnato decreto deve essere cassato in accoglimento del terzo, quinto e settimo motivo, con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che rivaluterà