Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5120 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5120 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26217/2021 R.G. proposto da : NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
REGIONE PUGLIA, elettivamente domiciliato in BARI LUNGOMARE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 167/2019 depositata il 15/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. e 29 d.lgs. n. 150/2011, le RAGIONE_SOCIALE, nel proporre opposizione alla stima effettuata dal Collegio dei Tecnici, a norma dell’art. 21 DPR n. 327/2001, hanno chiesto la determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio spettante ai signori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione all’intervenuta espropriazione, da parte delle RAGIONE_SOCIALE, del loro fondo sito nel Comune di Bari per la costruzione della viabilità di collegamento tra la nuova stazione ferroviaria di Carbonara e INDIRIZZO
La Corte d’Appello di Bari, con ordinanza del 15.9.2021, ha liquidato ai predetti titolari del fondo, a titolo di indennità di esproprio, la somma di € 10.742,00 ciascuno, oltre accessori di legge, e, a titolo di occupazione legittima, la somma di € 1939,70, oltre accessori di legge.
La Corte di merito ha ritenuto che, erroneamente, il Collegio Tecnico aveva ritenuto di natura edificabile il fondo di cui è causa, che ricadeva, in parte, in ‘area ad uso delle attrezzature di servizio pubblico a carattere regionale o urbano -aree per attrezzature universitarie’, in parte, in ‘aree di rispetto ai principali assi di comunicazione stradali e ferroviari’ e, in parte, viabilità di P.R.G.’, trattandosi di aree vincolate ad un utilizzo meramente pubblicistico, che precludeva ai privati quelle forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.
Pertanto, i terreni espropriati, in quanto gravati da vincolo di inedificabilità assoluta, dovevano essere indennizzati come agricoli, essendo sottoposti ad un vincolo conformativo.
Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE hanno resistito in giudizio con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del DPR n. 327/2001, dell’art. 37 , comma 3, Legge Regionale Puglia n. 3/2005, dell’art. 2 D.M. n. 1444/1968 nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti concernente la reale destinazione urbanistica della parte dell’area ablata collocata in PRG in zona omogenea D.
Espongono i ricorrenti che, secondo quanto disposto dalle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G., le aree per le Attrezzature Universitarie sono da considerarsi edificabili, così come le aree di rispetto ai principali assi di comunicazione stradali e ferroviari, che hanno la stessa capacità edificatoria delle aree contermini.
La Corte d’Appello, prescindendo dallo strumento urbanistico e dall’art. 19 , comma 2°, Legge Regione Puglia n. 3 del 2005 -secondo cui ‘Sono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968, , comprese anche le aree a standard a esse riferite’ – aveva erroneamente non edificabili la porzione di area ricadente nella zona omogenea D.
2. Il motivo è fondato.
Va, in primo luogo, osservato che è pur vero che questa Corte (cfr. Cass. n. 32422/2023; conf. Cass. n. 5247/2023) ha più volte affermato quello secondo cui ‘Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), la destinazione di aree a edilizia scolastica, nella cui nozione devono ricomprendersi tutte le opere e attrezzature che hanno la funzione di integrare il complesso scolastico, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti; né può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacché l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato’.
Va, tuttavia, osservato che questa Corte (vedi Cass. n 24744/2022, punto 3.2.) ha, altresì, affermato che ‘al fine di accertare la natura edificabile o meno delle aree espropriate, dunque, è necessaria un’indagine sulla concreta disciplina e destinazione attribuita, in
sede di pianificazione, all’area. Ove la zona risulti concretamente vincolata ad un utilizzazione meramente pubblicistica, che non tollera la realizzazione di opere a iniziativa privata, neppure attraverso strumenti di convenzionamento, la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati stessi tutte quelle forme di trasformazione del suolo, che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime di abilitazione previsto dalla vigente legislazione edilizia, con la conseguenza che l’area deve essere qualificata come non edificabile. Ove, invece, il vincolo posto dalla classificazione introduca una destinazione realizzabile anche ad iniziativa privata, o promiscua pubblico-privata, tale da non comportare, cioè, interventi o successive espropriazioni ad esclusiva iniziativa pubblica e, quindi, attuabili anche dal soggetto privato (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa), detto vincolo non è idoneo ad escludere la vocazione edificatoria del suolo’ (così da ultimo Cass. n. 34205/2021; v. anche Cass. n. 19193/2016 e Cass. n. 24930/2007).
Dunque, al fine di accertare la natura edificabile o meno è necessaria un’indagine sulla concreta disciplina e destinazione attribuita, in sede di pianificazione, all’area (e ciò anche a prescindere da quanto previsto, in astratto, dall’art. 19 , comma 2°, Legge Regione Puglia n. 3 del 2005, norma dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n 120/2022).
Nel caso di specie, dall’esame dell’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione (aventi la funzione di pianificare il territorio), emerge che nella zona omogenea D sono state previste ‘aree per attrezzature universitarie statali, nelle quali è ammessa la costruzione di attrezzature ed edifici per l’insegnamento, la ricerca, la residenza di docenti e di studenti, gli impianti sportivi nonché i relativi alloggi per la custodia ed il servizio…..Gli interventi nelle
predette aree sono riservati all’intervento pubblico e possono essere attuati anche dal privato, regolamentandone l’uso attraverso apposita convenzione……’.
Dunque, lo strumento urbanistico attuativo ha previsto, in concreto, nell’area destinata ad attrezzature universitarie statali non solo la costruzione di edifici per l’insegnamento, e quindi, ad esclusivo uso pubblico, ma anche la costruzione di residenze per studenti e docenti, di alloggi per la custodia e servizio, prevedendo, altresì, che gli interventi in tale area potessero essere attuati anche dal privato, regolamentandone l’uso attraverso convenzione.
In sostanza, lo stesso strumento urbanistico non ha stabilito un vincolo conformativo della proprietà ai fini pubblicistici, essendo stata prevista sia la destinazione degli edifici ad uso privato, sia l’edificabilità ad iniziativa privata, ed è proprio ciò che smentisce la generica affermazione della Corte d’appello in ordine all’inedificabilità assoluta dell’area.
Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 7328/2023) ha, infine, recentemente enunciato il principio di diritto secondo cui ‘Ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, l’adozione del criterio previsto per le aree edificabili richiede, quale condizione necessaria e sufficiente, che l’immobile sia individuato come zona edificabile anche ad iniziativa privata nello strumento urbanistico generale, pur se a fini diversi dall’edilizia residenziale privata, e sebbene l’edificabilità risulti subordinata alla stipula di una convenzione con l’amministrazione comunale e sia comunque limitata ad una tipologia vincolata, non configurandosi, in tal caso, un vincolo conformativo della proprietà a fini pubblicistici’.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 37 DPR n. 327/2001 nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio circa la mancata valutazione dell’art. 25 NTA del PRG per le aree di rispetto.
Espongono i ricorrenti che la fascia di rispetto di cui agli artt. 26 e 28 DPR n. 495/1992 non impone l’inedificabilità dei terreni, ma solo un vincolo di distanza, con la conseguenza che, erroneamente, la Corte d’Appello ha ritenuto indennizzabile la porzione di fondo ricadente in tale zona come ‘agricola’, e ciò in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico della città Metropolitana di Bari.
4. Il motivo è infondato.
Va osservato che, anche recentemente, questa Corte (cfr. Cass. n. 2127/2022; conf. Cass, n. 5875/2012; Cass. n. 14632/2018), ha enunciato il principio di diritto secondo cui ‘Il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto stradale o autostradale non deriva dalla pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che rendono il suolo ad esso soggetto legalmente inedificabile, trattandosi di vincolo dettato per favorire la circolazione e offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze, o in queste abitano ed operano, sicché tale vincolo non ha né un contenuto propriamente espropriativo, né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione; dunque di esso deve tenersi conto nella determinazione dell’indennità di esproprio, non essendo l’area in questione suscettibile di edificazione in nessun caso, dato che vige il divieto assoluto di costruire su di essa’.
Questa Corte (vedi Cass. n. 13203/2020) ha, altresì, affermato che <>.
Ne consegue che proprio perché il vincolo di inedificabilità nelle fasce di rispetto stradale e autostradale discende dalla legge, a nulla rileva che, nel caso di specie, lo strumento urbanistico locale avesse previsto diversamente, prevalendo, in ogni caso, la legge, che ha natura di ordine pubblico, sullo stesso strumento, impedendogli di incidere sulla disciplina legale delle zone di rispetto.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del DM del 5.11.2001, riguardo alla porzione di area espropriata ricadente in viabilità di P.R.G.
Espongono i ricorrenti che solo la viabilità primaria implica sempre l’inedificabilità legale delle aree ad essa destinate, mentre la viabilità secondaria segue la qualificazione di zona. Nel caso in esame, l’area in questione non era destinata a viabilità primaria, ma secondaria, trattandosi di strade urbane di quartiere.
6. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che la Corte d’Appello ha ritenuto che non potesse essere riconosciuta all’area destinata a viabilità dal PRG nessuna vocazione edificatoria, in quanto inserita nel sistema stradale principale del territorio. Trattasi di valutazione di fatto che è riservata al giudice di merito e, come tale, non può essere sindacata in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione nei
circoscritti limiti di cui all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/20214 (vizio neppure dedotto nel caso di specie).
I ricorrenti, pertanto, nel sostenere che l’area in questione fosse destinata a viabilità secondaria, svolgono, inammissibilmente una censura di merito, in quanto finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice d’appello.
In ogni caso, tale affermazione risulta del tutto carente di autosufficienza e specificità, non avendo i ricorrenti avuto cura di indicare ‘dove’ e ‘come’ nei precedenti atti difensivi avessero sollevato tale questione di cui nell’ordinanza impugnata non vi è alcuna traccia.
E’ principio consolidato di questa Corte quello secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430; Cass. n. 28060/2018;.Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione.
7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 42 Cost, 37 comma 3° e 32 TUE, in relazione all’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU, in riferimento ai criteri di determinazione dell’indennità dell’area ablata secondo il valore venale del bene, nonché l’omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione alla Delibera di Giunta del Comune di Bari n. 290/2014.
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello, ai fini della stima dell’indennità di esproprio, non ha tenuto conto dei valori espressi dalla predetta delibera della Giunta Comunale di Bari, ritenendo, erroneamente, che il parametro di stima applicato di € 4,00 al mq fosse ‘coerente ai prezzi di mercato e certamente di gran lunga superiore al VAM dei suoli con pari destinazione colturale riferito alla Regione Agraria n. 8 pubblicato dall’Osservatorio del mercato
immobiliare’.
Tale valutazione non poteva ritenersi congrua rispetto al valore di mercato del bene visti i valori espressi per le zone interessate dall’esproprio dalla Delibera della Giunta del Comune di Bari n. 290/2014.
8. Il motivo è in parte assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo, per quanto concerne la porzione del fondo destinata ad area per strutture scolastiche, mentre, per quanto concerne le porzioni di esso destinate a fascia di rispetto e viabilità di PRG, presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, come evidenziato dagli stessi ricorrenti, la predetta delibera della Giunta municipale barese aveva approvato i ‘valori della aree fabbricabili del Comune di Bari’. Orbene, per area fabbricabile va intesa l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici, ma, per quanto già sopra diffusamente illustrato, il fondo di cui è causa non rientrava affatto in area
edificabile con riferimento alle sue porzioni destinate, rispettivamente, a fascia di rispetto stradale e viabilità di PRG.
In ogni caso, i ricorrenti, nell’affermare la non congruità del valore di stima, hanno inammissibilmente svolto una censura di merito ad una valutazione di fatto operata dalla Corte d’Appello.
Con il quinto motivo è stata dedotta l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al mancato esame della risultanze della risultanze della CTU circa l’edificabilità delle aree per attrezzature universitarie.
Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, infondati il secondo ed il terzo, infondato il quarto nei termini di cui in motivazione, assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 31.1.2025