Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16036 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16036 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9157/2019 R.G. proposto da
REGIONE MARCHE, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura regionale, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del Dott. NOME COGNOME;
-controricorrente –
e
PROVINCIA DI PESARO E URBINO;
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 2771/18, depositata il
1° dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proprietaria di un fondo della superficie di mq. 6477 sito in Colbordolo (PU), località INDIRIZZO, lungo la Strada provinciale 423 Urbinate, sul quale insistevano tre depositi commerciali, convenne in giudizio la Provincia di Pesaro e Urbino, proponendo opposizione alla stima delle indennità dovute per l’occupazione d’urgenza e l’espropriazione dell’immobile.
1.1. Con sentenza del 1° aprile 2011, la Corte d’appello di Ancona dichiarò inammissibile la domanda, rilevando che non era stato prodotto il decreto di espropriazione, e ritenendo irrilevante la mancata contestazione dell’avvenuta emissione dello stesso in data 2 novembre 2005.
Il ricorso per cassazione proposto dalla COGNOME fu accolto con ordinanza del 26 giugno 2013, n. 16159, con cui questa Corte affermò che ove, come nella specie, la sopravvenienza del decreto sia stata allegata dall’opponente e non contestata dalla controparte, deve ritenersi acquisita la certezza che si sia verificata la fondamentale condizione dell’azione di determinazione dell’indennità di esproprio, con la conseguenza che, anche se la parte interessata non abbia depositato il provvedimento, il giudice non può dichiarare improcedibile la domanda, ma deve esaminarla nel merito.
Il giudizio è stato pertanto riassunto dinanzi alla Corte d’appello, che con sentenza del 1° dicembre 2018 ha accolto la domanda, determinando l’indennità di espropriazione in Euro 98.000,00, quella di occupazione in Euro 10.569,23 e quella per i soprassuoli in Euro 6.300,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla data del decreto di esproprio, disponendone il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, detratto l’importo già versato.
Premesso che l’area espropriata non era legalmente edificabile, in quanto inclusa in zona E, avente destinazione agricola, la Corte ha ritenuto che, per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e dell’art. 5bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, con-
vertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, le indennità dovessero essere determinate in base al criterio del valore venale pieno, tenendo conto anche delle possibilità di sfruttamento intermedie tra quella agricola e quella edificatoria, nonché del deprezzamento subìto dall’area residua, la quale costituiva un compendio funzionalmente ed economicamente organico con quella espropriata. Rilevato infatti che si trattava di una particella urbana sulla quale insistevano tre depositi commerciali e di un appezzamento di terreno pianeggiante, situati lungo un’importante arteria stradale, in una zona d’intenso traffico ubicata in prossimità di centri abitati, ha ritenuto legittima, in base al Piano regolatore generale, l’allegata prospettiva della realizzazione di una stazione di servizio per la distribuzione di carburanti, essendo la zona molto povera di distributori e caratterizzata da un intenso traffico e dalla presenza di arterie stradali di primario interesse. Ha aggiunto che l’esproprio aveva avuto un impatto molto incisivo sulla proprietà del fondo, avendo sottratto circa un sesto della superficie totale ed avendo determinato una situazione critica con riguardo alle possibilità di accesso all’area residua, reputando invece irrilevante l’inclusione dell’immobile nella fascia di rispetto stradale, in ragione delle particolari potenzialità di sfruttamento del suolo, che lo differenziavano da quelli contigui. Ha ritenuto pertanto condivisibile la stima effettuata dal c.t.u. con metodo comparativo, sulla base di riferimenti puntualmente indicati nella relazione, determinando in Euro 30,00 al mq. il valore unitario del fondo, in Euro 15,00 quello dell’area residua e nel 10% l’incidenza dell’esproprio sui manufatti ivi esistenti; ha considerato irrilevante il carattere abusivo di tali manufatti, osservando che, sebbene due degli stessi avessero ottenuto la concessione in sanatoria soltanto nell’anno 2013, le relative domande erano state presentate il 31 maggio 1986 e il 1° marzo 1995. Ai predetti importi ha infine aggiunto l’indennità dovuta per i soprassuoli risultanti dal verbale d’immissione in possesso, consistenti in una recinzione in rete metallica, piante da frutto e cipressi di alto fusto, nonché l’indennità di occupazione, calcolata fino alla data dell’esproprio.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, la Regione Marche, divenuta proprietaria della Strada provinciale, ai sensi dell’art. 7, comma primo, della
legge regionale 30 dicembre 2016, n. 35, della deliberazione della Giunta regionale n. 346 del 10 aprile 2017 e della convenzione stipulata l’11 ottobre 2017, e succeduta alla Provincia nelle relative funzioni, ai sensi della legge regionale 3 aprile 2015, n. 13, nonché nel contenzioso inerente ai relativi rapporti giuridici, ai sensi dell’art. 1, comma 96, lett. c) , della legge 7 aprile 2017, n. 56. La COGNOME ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. La Provincia non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione all’asserito difetto di legittimazione della Regione, che non risulterebbe destinataria della sentenza impugnata, né rivestirebbe la qualità di litisconsorte necessario pretermesso nel giudizio di merito.
Correttamente, in proposito, la ricorrente ha richiamato a) l’art. 7, comma primo, della legge regionale n. 35 del 2016, che ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2017, il trasferimento in favore della Regione delle strade «ex Anas» già di proprietà delle Province in virtù del d.P.C.m. 21 febbraio 2000, attuativo del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, b) la legge regionale n. 13 del 2015, che, nel provvedere al riordino delle funzioni amministrative esercitate dalle Province, ha disposto all’art. 2, comma secondo, il trasferimento in favore della Regione delle funzioni non fondamentali di cui all’all. A, ivi comprese quelle previste dall’art. 58, comma primo, lett. a) , della legge regionale 17 maggio 1999, n. 10, concernenti la gestione delle strade e autostrade, già appartenenti al demanio statale, trasferite alla Regione, e c) l’art. 1, comma 96, della legge n. 56 del 2014, che, nel dettare «Disposizioni in materia di città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni», ha disposto, all’art. 1, comma 96, che il subingresso nella funzione comporta la successione dell’ente subentrante anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso.
Per effetto di tali disposizioni, la Regione è succeduta alla Provincia di Pesaro e Urbino non solo nella proprietà della Strada provinciale 423 Urbinate, comprendente la rotatoria per la cui realizzazione sono state disposte
l’occupazione e l’espropriazione del fondo di proprietà dell’attrice, ma anche nelle relative funzioni, ivi comprese, evidentemente, quelle inerenti alle relative espropriazioni, nei rapporti giuridici alle stesse connessi, tra i quali dev’essere incluso anche il rapporto obbligatorio avente ad oggetto il pagamento delle indennità dovute all’attrice, e nella relativa controversia: in qualità di avente causa a titolo particolare, essa deve ritenersi pertanto legittimata non solo ad intervenire nel presente giudizio, ma anche ad impugnare la sentenza emessa nei confronti della sua dante causa, che le è opponibile ai sensi dell’art. 111, quarto comma, cod. proc. civ., senza che risultino necessarie ulteriori disposizioni. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza che, ai sensi dell’art. 3, comma primo, della legge regionale n. 13 del 2015 e dell’art. 7 della legge regionale n. 35 del 2016, il trasferimento della proprietà e delle funzioni dovesse essere disciplinato da una o più deliberazioni della Giunta regionale e regolato da un’apposita convenzione tra gli enti interessati, non riportati nel ricorso, trattandosi di atti volti essenzialmente ad individuare le modalità del subingresso, con particolare riguardo alle risorse umane e materiali ed a quelle finanziarie necessarie per l’esercizio delle funzioni trasferite, e non incidenti quindi sulla produzione dell’effetto previsto dalla legge.
2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 41septies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, dell’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, dell’art. 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729, degli artt. 32, 37 e 40 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, dell’art. 5bis , comma terzo, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 e dell’art. 10, comma primo, lett. c) , della legge della Regione Marche 24 luglio 2002, n. 15, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che sul fondo espropriato potesse essere realizzata una stazione di servizio per la distribuzione di carburanti, senza tenere conto né del vincolo d’inedificabilità gravante sulle aree incluse nelle fasce di rispetto stradali, avente carattere conformativo e prevalente sulle previsioni degli strumenti urbanistici, né della destinazione del fondo alla realizzazione dell’opera viaria, prevista da una variante al Piano regolatore generale del Comune entrata in vigore in epoca anteriore all’appo-
sizione del vincolo preordinato all’esproprio, ed avente anch’essa carattere conformativo, né infine dell’ubicazione del fondo all’esterno del centro abitato ed in prossimità dell’incrocio con un’altra Strada provinciale, per effetto della quale l’impianto avrebbe creato intralcio al traffico.
2.1. Il motivo è infondato.
Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la prospettata possibilità di destinare l’area espropriata alla costruzione di una stazione di servizio per la distribuzione di carburanti, confermata dal c.t.u. sulla base del richiamo alle previsioni del Piano regolatore generale vigente ed alle relative norme tecniche di attuazione, nonché del riferimento alle caratteristiche del fondo, all’intensità del traffico ed alla scarsità di distributori rilevabili nella medesima zona, non trovasse ostacolo né nella destinazione dell’area alla realizzazione della rotatoria, prevista da una variante allo strumento urbanistico entrata in vigore in epoca anteriore alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, né nel vincolo d’inedificabilità derivante dall’inclusione della stessa nella fascia di rispetto della strada.
E’ pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, l’indicazione delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale comporta l’assoggettamento delle parti del territorio interessate ad un vincolo di inedificabilità non configurabile come un vincolo preordinato all’esproprio, a meno che non si tratti di una destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone, qualificabile invece come vincolo imposto a titolo particolare, a carattere espropriativo (cfr. Cass., Sez. I, 25/09/2007, n. 19924; 5/06/2006, n. 13199; 24/11/2005, n. 24837). Nella specie, peraltro, la sentenza impugnata, pur avendo accennato all’inclusione del fondo espropriato in zona agricola, prevista dallo strumento urbanistico anteriormente all’approvazione della variante finalizzata alla realizzazione della rotatoria stradale, non ha affatto attribuito carattere espropriativo alla destinazione da quest’ultima introdotta, ma si è limitata a ribadire l’inedificabilità dell’area, valorizzandone tuttavia le possibilità di sfruttamento alternative a quella meramente agricola, ma pur sempre compatibili con le previsioni urbanistiche vigenti.
Tale apprezzamento si pone perfettamente in linea con il consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, secondo cui, ai fini della stima del valore di mercato del fondo, l’interessato può dimostrare che lo stesso è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificabilità, e che quindi il cespite possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (cfr. Cass., Sez. Un., 19/03/2020, n. 7454; Cass., Sez. I, 4/10/2023, n. 27960; 6/03/2019, n. 6527). Quest’ultima indicazione ha costituito, in particolare, oggetto di specifica attenzione da parte della Corte territoriale, la quale, nell’ambito della propria valutazione ha puntualmente richiamato l’accertamento compiuto dal c.t.u., secondo cui la prospettata destinazione del suolo espropriato alla realizzazione di un’area di servizio, oltre ad essere conforme allo stato dei luoghi ed alle caratteristiche del fondo, risultava espressamente consentita dalla disciplina urbanistica, ed in particolare dall’art. 6.1 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore.
Altrettanto condivisibilmente, poi, la sentenza impugnata ha ritenuto inconferente, ai fini dell’esclusione della predetta destinazione, il riferimento della difesa della Provincia al vincolo d’inedificabilità derivante dall’adiacenza del fondo alla sede stradale, con la conseguente inclusione nella relativa fascia di rispetto: quest’ultima non rappresenta infatti un ostacolo all’insediamento d’impianti di distribuzione dei carburanti, i quali costituiscono un’infrastruttura compatibile con qualunque destinazione urbanistica, salvo espressi divieti, essendo strettamente collegati all’esistenza della strada, della quale integrano un ordinario complemento, giacché non è ipotizzabile la circolazione dei veicoli in mancanza della possibilità di approvvigionarsi di carburante con accesso diretto dalla strada (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22/09/2023, n. 8466; 8/01/2007, n. 11; Tar Sardegna, Cagliari, Sez. II, 10/01/2020, n. 20).
Quanto, infine, alla compatibilità di tale destinazione con l’ubicazione del fondo, trattasi di un apprezzamento di fatto, spettante in via esclusiva al giu-
dice di merito e censurabile in questa sede soltanto per omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., o per inesistenza materiale, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., nella specie neppure dedotte dalla ricorrente, la quale, nel lamentare la mancata valutazione della collocazione del fondo espropriato all’esterno del centro abitato ed in prossimità di un incrocio, si è limitata a far valere il vizio di violazione di legge.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e dell’art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione della disciplina dell’espropriazione parziale, in virtù dell’unitarietà funzionale ed economica delle due particelle che costituivano il fondo, senza tenere conto dell’infondatezza della prospettata possibilità di realizzazione di una stazione di servizio.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Ai fini dell’accertamento in ordine al deprezzamento subìto dall’area residua del fondo, rimasta nella disponibilità della proprietaria, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’istituto dell’espropriazione parziale ricorre quando la vicenda espropriativa, oltre ad investire parte di un bene appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da una destinazione economica unitaria, implica per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante un indennizzo calcolato unicamente con riferimento alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione (cfr. Cass., Sez. I, 6/12/2024, n. 31365; 15/07/2020, n. 15040; 23/09/2016, n. 18697).
L’accertamento dell’esistenza di un vincolo strumentale ed obiettivo (per destinazione ed ubicazione) tra l’area espropriata e la superficie residua del fondo, tale da conferire all’intero immobile un’unità economica e funzionale, suscettibile di restare oggettivamente pregiudicata dal distacco di una sua parte, costituisce anch’esso un apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice di merito, e censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio
di motivazione, neanche in tal caso dedotto dalla ricorrente (cfr. Cass., Sez. I, 6/06/2003, n. 9096; 30/05/1978, n. 2733; 12/12/1972, n. 3566).
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8/01/2025