Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1380 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1380 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25055/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA LUNGOTEVERE INDIRIZZO COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro COMUNE DI AMELIA, in persona del Sindaco
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 907/2019 depositata il 08/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Gli odierni ricorrenti sono eredi di NOME COGNOME che aveva in comune con il fratello NOME COGNOME i beni pervenuti dalla eredità dei loro genitori.
2.- Tra le parti vi è stata una divisione ereditaria giudiziale (sentenza del 21.10.2003) in virtù della quale a NOME COGNOME sono stati assegnati due appartamenti in Roma e agli eredi di NOME COGNOME (COGNOME e altri) alcuni appartamenti e un terreno sito nella località INDIRIZZO del Comune di Amelia (f.85 part. 31) che era interessato da una espropriazione e per la quale il Comune aveva determinato in via provvisoria l’indennità di esproprio, opposta dagli eredi di NOME COGNOME. Per questa ragione il Tribunale di Roma nel predisporre le quote stabiliva che qualora la determinazione definitiva dovesse essere di importo maggiore i condividenti avrebbero dovuto provvedere alla divisione dell’eventuale differenza in misura pari tra le due quote.
3.- L’espropriazione riguardava soltanto una porzione di metri quadri 20.000 della particella 31 che quindi era stata frazionata in tre nuove particelle: la n.530 coincidente con la porzione oggetto di esproprio e le n. 529 e 531.
4.-Nel 2005 la Corte d’appello di Perugia ha determinato la indennità definitiva di esproprio: per la particella 530 ha determinato l’indennità in euro 256.109,00 in luogo dell’originaria stima di euro 55.539,00 e per le particelle 529 e 531 -proprietà residua non espropriata, ma ‘di fatto inglobata nella lottizzazione’ e quindi privata di valoreaveva determinato una ulteriore
indennità di euro 123.838,00 raggiungendo così l’importo complessivo di euro 380.766,00.
5.- COGNOME NOME, con citazione del 17 gennaio 2007, ha pertanto chiesto la divisione in due parti uguali della differenza o meglio eccedenza, pari a 325.228 (380.767- 55.539). Gli eredi di COGNOME NOME– odierni ricorrenti- hanno resistito sostenendo che al condividente toccasse solo la metà della eccedenza liquidata per la particella espropriata, la n. 530, e non anche la quota di quanto liquidato per le residue particelle n. 529 e 531 atteso che la indennità liquidata per queste due particelle costituisce non già una sopravvenienza attiva dell’asse ereditario, ma la mera compensazione economica del danno subito dai ricorrenti in qualità di proprietari esclusivi delle predette particelle già assegnate in sede di divisione
6.- Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda di COGNOME NOME disattendendo la diversa tesi difensiva degli odierni ricorrenti i quali hanno interposto gravame, che la Corte d’appello di Roma con la sentenza oggi impugnata ha respinto, accogliendo invece l’appello incidentale di COGNOME sulle spese di lite, già compensate in primo grado.
7.In particolare La Corte d’appello nel respingere l’impugnazione degli odierni ricorrenti ha fatto riferimento all’art. 40 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 ritenuto applicabile nella specie, ove si stabilisce che l’indennità di espropriazione nel caso in cui venga ablata solo una parte di un bene avente maggiore consistenza è pari alla differenza tra il giusto prezzo che avrebbe avuto l’immobile avanti l’occupazione e il giusto prezzo che potrà avere la residua parte di esse dopo l’occupazione. La Corte distrettuale ha quindi affermato che l’indennità dovuta dal Comune per l’espropriazione della particella n. 530 derivante dal frazionamento dell’originaria particella n. 31 è data dalla differenza
tra il giusto valore che avrebbe avuto l’intera particella 31 e il giusto prezzo delle due porzioni non espropriate, criterio applicato dalla Corte d’appello di Perugia nel liquidare l’indennità, concludendo che non si tratta di due indennità distinte ma di una indennità unica.
8.- Gli eredi di NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidandosi a cinque motivi. Ha resistito con controricorso COGNOME NOME. Il Comune di Amelia rimasto è intimato. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
9.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 40 della legge n. 2359/1865 in tema di indennità di espropriazione qualificata come unica ed inscindibile in virtù criterio calcolo differenziale rilevando che l’indennità è composta da indennizzo per la proprietà espropriata e indennizzo per il decremento proprietà residua quali componenti autonome. Secondo la parte ricorrente l’indennità di esproprio cui conduce l’applicazione del cosiddetto metodo differenziale ai sensi dell’art. 40 cit. pur essendo unitaria nella liquidazione finale assolve contemporaneamente a due distinte funzioni: da un lato costituisce l’indennizzo spettante al soggetto espropriato con la perdita della proprietà, dall’altro è volta a compensare le conseguenze negative cioè il danno che l’espropriazione comporta per i beni che pur rimasti estranei alla procedura ablativa ne subiscono comunque un deprezzamento economico e quindi indennizzano non già la proprietà espropriata ma la perdita di valore di quella non espropriata. Osservano che il Tribunale di Roma con la sentenza di divisione ha stabilito che l’eventuale maggiore importo liquidato dalla Corte d’appello di Perugia dovesse suddividersi in pari quota tra le due stirpi sul presupposto che la maggiore somma integri la sopravvenienza di un cespite attivo della comunione ereditaria
successiva al suo scioglimento in quanto idoneo a dare luogo ad un supplemento divisorio. Invece, la natura della sopravvenienza può riconoscersi solo alla maggiore indennità liquidata dalla Corte d’appello di Perugia per l’esproprio della particella 530 e non già all’indennità liquidata per la perdita di valore delle particelle non espropriate 529 -531. Secondo parte ricorrente l’indennità relativa alla particella espropriata spetta a coloro che ne erano comproprietari al momento dell’esproprio e cioè tutti gli eredi e cade in comunione l’indennità relativa alla suddetta particella; l’indennità per le non espropriate spetta invece ai proprietari di queste ultime cioè solo essi eredi di NOME COGNOME nel cui patrimonio esclusivamente si produce quel decremento economico che la predetta indennità è diretta a compensare.
10.- Il motivo è infondato.
La indennità di esproprio è unica e comprende l’intero danno subito dal proprietario della originaria particella 31 (poi divisa in tre particelle 530,529 e 531) ed è diretta a coprire sia il pregiudizio derivante dalla effettiva ablazione, in questo caso parziale, del bene, sia il pregiudizio derivante dalla diminuzione di valore delle restanti particelle.
10.1.- In tal senso la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che in tema di espropriazione parziale, il criterio di stima differenziale, previsto dall’art. 40 della legge n. 2359 del 1865 (recepito dal D.lgs. n. 327 del 2001), è rivolto a garantire che l’indennità di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo e, quindi, anche il deprezzamento subìto dalle parti residue del bene espropriato. Tale risultato può essere conseguito detraendo dal valore venale che l’intero cespite aveva prima dell’esproprio il valore successivamente attribuibile alla parte residua (non espropriata), oppure accertando e calcolando detta
diminuzione di valore, anziché attraverso tale comparazione diretta, mediante il computo delle singole perdite, ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri che, incidendo sulla parte residua, ne riducono il valore (Cass. n. 24304 del 18/11/2011). Si è anche precisato che la indennità rappresenta il compenso per una diminuzione patrimoniale che va considerata nella sua interezza, e che in presenza di un’unica vicenda espropriativa, non sono concepibili due distinti crediti, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e l’altro a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che questa seconda voce è da considerare ricompresa nella prima che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo (Cass. n. 6926 del 08/04/2016). In termini, anche Cass. n. 15696 del 14/06/2018, nella quale si rimarca che il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato rientra nell’unica indennità di espropriazione, che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione rimanente derivata dalla parziale ablazione del fondo, sia essa agricola o edificabile, non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subìto dai residui terreni.
11.Ciò premesso, deve osservarsi che oggetto di valutazione in sede di divisione ereditaria e formazione delle quote è stata l’intera particella 31 e che in quella sede si è considerato che detto terreno era interessato da una procedura espropriativa la cui indennità era stata determinata in via provvisoria, in una
cifra sensibilmente inferiore a quella che poi complessivamente otterranno i proprietari. Poiché la opposizione alla stima era già in atto al momento della divisione ed era quindi prevedibile che la indennità potesse essere liquidata in misura maggiore, è stato stabilito che la differenza sarebbe stata divisa in due parti uguali.
Da ciò consegue, poiché l’indennità di espropriazione è unitaria, che la differenza da dividere in due parti uguali è la differenza tra l’intera indennità di esproprio riconosciuta in esito alla opposizione giudiziale e la indennità di esproprio provvisoria che era stata offerta dal Comune. Sono pertanto corretti i criteri di calcio indicati da COGNOME NOME, il quale nel suo controricorso trascrive -e sono illuminanti- le pagine 7/8 della sentenza del 2003 che ha deciso sulla divisione ereditaria ove si legge: « va aggiunto in ultimo l’indennità di esproprio relativa a taluni terreni in località INDIRIZZO determinata in lire 107.795 essa seppure come da provvedimento della giunta regionale dell’Umbria in data 19 novembre 2001 è stata determinata a titolo provvisorio è attribuita a tutti gli odierni condividenti costituisce un cespite facente parte dell’asse da dividere e va collocata in una delle due quote salvo qualora la determinazione definitiva dovesse essere di importo maggiore provvedere alla divisione dell’eventuale differenza e misura pari tra le due quote». Questo passaggio rende evidente che nello stabilire le quote della divisione ereditaria il Tribunale non ha tenuto conto del valore di terreno secondo una stima astratta, bensì della indennità di esproprio che se ne sarebbe ricavata essendo già in atto la procedura espropriativa; al momento della divisione l’indennità era certa l’indennità offerta dall’ente espropriante nella misura di lire 107.055.000 e come tale è stata inserita nel calcolo delle quote, ma si è anche previsto che qualora l’indennità fosse stata maggiore la differenza sarebbe stata divisa in due parti uguali.
12.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame fatto decisivo per il giudizio. I ricorrenti deducono che la Corte d’appello è caduta in errore affermando che vi è un’unica indennità di espropriazione. Di contro il fatto storico il cui esame è stato omesso e che se esaminato avrebbe dato un esito diverso dalla controversia è data dal fatto che l’indennità di espropriazione complessivamente liquidata dalla Corte d’appello di Perugia è risultante di due distinte componenti indennitarie, circostanza questa pretermessa dalla Corte d’appello di Roma, quella cioè tesa a ristorare i danni relativi all’esproprio della particella 530 e quella tesa a ristorare i danni del deprezzamento delle particelle 529 e 531.
13.- Il motivo è inammissibile.
La censura presenta più profili di inammissibilità.
In primo luogo si osserva che la sentenza impugnata è una cd. doppia conforme dal momento che il giudice d’appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado sul capo relativo alla suddivisione della indennità d’esproprio.
Come da consolidata giurisprudenza di questa Corte nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. n. 26934 del 20/09/2023; Cass. n. 5947 del 28/02/2023), nella specie non assolto.
Inoltre, con questa censura, i ricorrenti non prospettano un fatto storico ma una valutazione giuridica sulla natura unitaria o meno della indennità. Con la censura di cui all’art 360 n.5 non si può lamentare la difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte. L’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda
un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 27505 del 2023; Cass. n. 4528 del 2023; Cass. n. 4477 del 2021).
14.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2909 c.c., denunciando la modifica delle quote divisorie fissate dal Tribunale con sentenza passata in giudicato in sede di scioglimento di comunione ereditaria. I ricorrenti deducono che nel 2003 il Tribunale di Roma ha assegnato ad essi la intera particella 31 ovvero più precisamente la parte di essa residuata dopo l’espropriazione avvenuta nel precedente biennio (2001 /2022) e cioè le particelle 529 e 531; nel momento in cui la Corte d’appello ha ritenuto che anche l’indennità corrisposta per la perdita di valore delle particelle 529- 531 dovesse essere oggetto di una nuova ripartizione tra le due stirpi ha inciso sulle quote già formate dal Tribunale e sulle quali si era formato il giudicato.
15.- Il motivo è infondato.
Premesse e richiamate le considerazioni riportate sotto il motivo primo, deve osservarsi che la stessa parte ricorrente enuncia che gli è stata assegnata l’intera particella n. 31, senza però trarne corrette conseguenze in punto di diritto; e cioè che nel dividere i beni il Tribunale -come si evince anche dal passaggio della sentenza riportato dal controricorrente e sopra trascritto- ha valutato l’intera particella 31 tenendo conto del fatto che essa era oggetto di una procedura espropriativa e che rispetto alla indennità
già determinata in via provvisoria avrebbe potuto essere liquidata una indennità ulteriore. In sostanza, l’assegnazione dell’intera particella 31 consente di dire che il suo controvalore deve essere valutato unitariamente, anche se poi vi è stata la divisione in tre particelle, peraltro tutte interessate sebbene con modalità diverse dalla medesima vicenda espropriativa; ed è la differenza tra la stima provvisoria e la definitiva che avrebbe potuto determinare una sperequazione delle quote. Di ciò il Tribunale ha tenuto conto, imponendo che l’eventuale eccedenza delle indennità di espropriazione -che come sopra si è detto è indennità unicaavrebbe dovuto essere divisa in due. Il giudicato è stato quindi pienamente rispettato.
16.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n.3 c.p.c. la violazione dell’art. 324 c.p.c. denunciando che erroneamente la Corte abbia condannato e si ricorrenti a pagare in favore di NOME NOME l’importo di euro 162.614,05 oltre interessi legali senza tenere conto che le somme effettivamente erogate agli esponenti sono state decurtate del 20% a titolo di ritenuta d’imposta, questione che essi avevano proposto con un motivo di appello erroneamente ritenuto dalla Corte aspecifico, per asserita omessa indicazione documenti probanti; di contro l’applicazione della ritenuta d’imposta del 20% sulla indennità è dovuta per legge, fatto non contestato. I ricorrenti deducono che l’imposizione fiscale è un obbligo di legge e che essi hanno dovuto sostenere anche la quota parte della ritenuta fiscale sull’indennità ritenuta spettante al condividente, sopportando in sua vece il carico fiscale; sul punto ha errato la Corte ritenendo che essi non avessero documentato l’obbligo di pagare l’imposta. 17. Il motivo è inammissibile.
La parte ricorrente non si confronta adeguatamente con la ragione decisoria esposta dalla Corte d’appello, la quale non ha
fatto riferimento all’obbligo di provare il pagamento dell’imposta, ma ha dichiarato il motivo inammissibile per mancata specificità in quanto la parte non ha indicato quali sarebbero i documenti dai quali il giudice di primo grado avrebbe potuto e dovuto ricavare che la somma dai medesimi percepiti era inferiore; e ciò a fronte come ricorda il controricorrente- di un rilievo di novità della censura che egli ha sollevato nella comparsa di costituzione in appello. La parte aveva quindi l’onere di chiarire come aveva sottoposto la questione al giudice di primo grado e di indicare il relativo errore contenuto nella sentenza e ciò non è stato fatto; non avendo i ricorrenti riportato la motivazione di primo grado, non è possibile valutare se il motivo di appello fosse rispettoso dell’art. 342 c.c. oppure, come ritenuto dalla Corte d’appello, fosse inammissibile. Si tratta peraltro di una questione che le parti possono anche regolare in separata sede.
18.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art360 n.3. c.p.c. la violazione dell’art. 92 c.p.c. (360 c. 1 n. 3). I ricorrenti lamentano la riforma della compensazione delle spese deducendo che non si è tenuto conto degli sforzi processuali profusi dagli esponenti nella proposizione del giudizio avanti la Corte d’appello di Perugia.
19.- Il motivo è inammissibile.
Il presente giudizio è stato introdotto con atto notificato il 17 gennaio 2007; si applica quindi l’art . 92 c.p.c. ratione temporis vigente, a mente del quale ‘Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti ‘ . La scelta di non compensare le spese è discrezionale e per principio consolidato, nel giudizio di legittimità il sindacato sulle pronunzie dei giudici del merito riguardo alle spese di lite è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono
essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando del tutto discrezionale – e insindacabile – la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (Cass. n. 18128 del 31/08/2020; Cass. n. 26912 del 26/11/2020; Cass. n. 26544 del 11/10/2024)
Nella specie COGNOME NOME è parte pienamente vittoriosa né appare illogica la ragione della riforma esposta dal giudice di secondo grado che ha ritenuto da un lato irrilevanti le vicende di altro e separato giudizio, dall’altro ha stigmatizzato il comportamento di rigida resistenza degli odierni ricorrenti.
Ne consegue il rigetto del ricorso; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/01/2025.