Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14278 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14278 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 08097/2020
vertente tra
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi da ll’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione (stante la nullità, come da motivazione, della procura rilasciata all’avv. NOME COGNOME apposta su foglio separato depositato unitamente alla comparsa di costituzione di nuovo difensore il 19/12/2024);
ricorrenti
e
Impresa NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il sig. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente nonché
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria n. 36/2019, pubblicata il 21/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Cons. NOME COGNOME letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato nel 2001 all ‘ Impresa RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE ) e all’ RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE), i coniugi COGNOME e COGNOME introducevano il giudizio davanti al Tribunale di Palmi, volto ad ottenere: la declaratoria della nullità, ex artt. 1418 e 1325, n. 1 c.c., dei verbali di amichevole accordo del 24/07/1993 e del 24/08/1993, intervenuto in pendenza del procedimento espropriativo di alcuni loro terreni, nonché delle due dichiarazioni liberatorie del 20/05/1994; in via gradata, l ‘ annullamento dei predetti negozi giuridici per violazione degli artt. 1439 e 1440 c.c., in quanto frutto del dolo di uno dei contraenti; in via ulteriormente gradata la declaratoria di nullità degli accordi menzionati per illegittima determinazione delle somme dovute ai privati. Il tutto con condanna delle convenute al risarcimento dei danni per la perdita della proprietà da quantificarsi in base alla differenza tra quanto percepito e quanto avrebbero dovuto percepire per effetto della corretta determinazione delle indennità spettanti.
Gli attori premettevano di essere proprietari di un appezzamento di terreno in Rosarno, alla località INDIRIZZO, riportato in catasto al foglio 37, particelle 363, 370, 58 e 39, interessato dalla procedura espropriativa, intrapresa dall ‘Impresa Persia in rappresentanza dell’ ANAS, spiegando che, in data 08/01/1990, era intervenuta l’occupazione del terreno per l’ esecuzione dei lavori di
completamento della Superstrada lonio-Tirreno. Deducevano di avere espresso la volontà di cedere volontariamente i beni oggetto d’esproprio sulla base del valore del bene espresso dal l’ UTE di Reggio Calabria, con la triplicazione dell ‘ indennità, essendo NOME COGNOME coltivatore diretto, ma che un dipendente dell’Impresa Persia “con intento fraudolento” aveva carpito il consenso del NOME alla cessione, mostrandogli due mandati di pagamento riportanti somme per circa £ 270.000.000, quale prezzo per la cessione bonaria, invitandolo a recarsi presso il suo ufficio per la firma ed il ritiro degli assegni. Esponevano, pertanto, che il Barone si era recato in data 20/05/1994 presso lo studio del Geom. COGNOME ove gli erano stati consegnati due assegni, di importo rispettivamente di £ 76.553.000 e di £ 12.882.060, inducendo in errore sulla loro natura, che il Barone aveva compreso corrispondere ad un acconto su quanto dovuto e, pertanto, apponeva due firme in calce come quietanza. Notificato, in data 08/07/1994, il decreto prefettizio di esproprio, con il quale, visti i verbali di amichevole accordo e le dichiarazioni del 20/05/1994, veniva pronunciato l ‘ esproprio in favore dell ‘ ANAS, i coniugi apprendevano che le somme da loro ricevute erano state considerate come saldo e che a tale titolo risultavano sottoscritte le dichiarazioni del 20/05/1994. Affermavano, pertanto, di essere stati raggirati e che, se non fosse stato per tale condotta, posta in essere dolosamente, non avrebbero mai acconsentito alla cessione volontaria del loro terreno per il prezzo effettivamente pagato.
Ritenendo gli accordi amichevoli sopra descritti frutto del dolo di una delle parti, chiedevano che fossero dichiarati nulli ex artt. 1418 e 1325, n. 1, c.c. e, in subordine, chiedevano che il contratto fosse annullato ex art. 1439 c.c.
Gli attori rilevavano, inoltre, che le cifre loro corrisposte erano assolutamente illegittime e che l’accordo di cessione volontaria era annullabile per illegittima determinazione del corrispettivo.
Assumevano, in merito, che il prezzo della cessione dovesse essere legittimamente concordato sulla base dei valori espressi dall’UTE di Reggio Calabria, pari a £ 6.000 al mq per la sola indennità d’esproprio, oltre agli altri indennizzi, con diritto alla triplicazione di tale indennità ai sensi dell’art. 17, comma 1, l. n. 865 del 1971, in quanto il cedente era coltivatore diretto del fondo espropriato, mentre per mq 958 il terreno era stato conteggiato in £ 3.550 mq, con l’indennità aggiuntiva, e per 7848 mq il terreno era stato conteggiato in £ 6.000 mq, ma senza indennità aggiuntiva.
L’impresa Persia si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto di tutte le domande. Anche l’ ANAS si costituiva, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché l’inammissibilità e l’infondatezza dell’azione proposta.
Il Tribunale, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’ ANAS, respingeva tutte le domande e la Corte d’appello , nel contraddittorio delle parti, confermava la decisione di primo grado.
Per quanto in questa sede ancora di rilievo, la Corte d’appello riteneva anch’essa che l’ ANAS non fosse legittimata passiva, tenuto conto del tenore delle domande formulate, poiché erano state prospettate condotte di natura contrattuale o extracontrattuale poste in essere da soggetti diversi dall ‘ ANAS, senza che fosse stata imputata a quest’ultima alcun comportamento pregiudizievole. La presunta condotta lesiva, inoltre, esulava dalla fase di esecuzione dell’espropriazione e non vi era prova che l ‘ impresa avesse agito per competenza non propria, spendendo il nome d ell’ ANAS o eseguendo direttive specifiche dell’amministrazione committente.
Per la Corte territoriale, non risultavano, quindi, in atti, elementi idonei a evidenziare un concorso di colpa dell’Ente, anche solo per omesso controllo.
Con riferimento alla corretta determinazione delle indennità corrisposte, la Corte di merito confermava la decisione di primo grado, evidenziando che non risultava dagli atti di causa che il
delegato dell’Impresa COGNOME avesse tenuto una condotta finalizzata a non corrispondere la somma dovuta nel rispetto della normativa di settore, né che lo stesso avesse ingenerato nei privati una rappresentazione distorta della realtà, poiché il prezzo corrisposto rispecchiava quello dovuto in base alla disciplina in materia di espropriazione.
La medesima Corte, poi, escludeva che fosse dimostrato alcun raggiro, rilevando quanto segue: «Emerge, infatti, dalla documentazione allegata ai fascicoli di primo grado dell’ ANAS s.p.a. e degli appellanti che già antecedentemente all’incasso delle somme, e più nello specifico in data 24.07.1993 e 24.08.1993, i coniugi COGNOME avevano sottoscritto i verbali di accordo amichevole nei quali erano indicati gli importi corrispondenti a quelli successivamente corrisposti. L ‘ indennità, in particolare, corrispondeva a quella già oggetto di determinazione nel1993 e già sottoscritta ed accettata dal sig. COGNOME Dagli atti di causa si evince, quindi, che relativamente all’esproprio della superficie di mq. 958, la determinazione del prezzo è avvenuta in via amichevole, mediante accordo del 24.07.1993 con cui veniva applicato il prezzo dei valori agricoli medi calcolato alla luce del tipo di coltura eseguita sul terreno oggetto di esproprio, pari a £ 3.550, per un importo complessivo di £. 3.400.900, con riconoscimento – ai sensi dell ‘ art. 17, L. n. 865/71 -la triplicazione della indennità oltre ulteriori somme a titolo di danni e occupazione temporanea, per un importo complessivo di £ 12.929.300. Ne consegue che l’importo complessivo corrisposto agii odierni appellanti dall ‘ Impresa Persia e quietanzato in data 20.05.1994, era già stato riconosciuto in atto del 1993, ripetesi verbale amichevole di accordo, ed il valore di £ 3.550 a mq era già stato espressamente indicato e corrispondeva al valore agricolo medio del terreno. Non vi è in atti alcun elemento dal quale dedurre che tra le parti fosse stato convenuto un valore diverso o che fosse dovuta la somma di £ 6.000 a mq, né era richiesta prova in tal senso. La corrispondenza
all ‘accordo rende la corresponsione del 1994 non errata nel l’ ammontare. Con riferimento ad altra parte dei fondi espropriati (particelle 446 e 449 di mq 7848), la indennità corrisposta ai Sigg.ri COGNOME e COGNOME corrispondeva alla misura determinata dalla Commissione Provinciale Espropri atteso che gli espropriati non avevano accettato la prima offerta. In particolare, per la particella n. 446 veniva versata la somma pari ad £ 8.190.000; per la particella n. 449, la somma pari ad £ 38.898.000, corrispondenti al valore di £ 6.000 a mq. In più, le parti accettavano ulteriori somme a titolo di indennità di occupazione temporanea, come da verbale di accordo amichevole del 24.08.1993, in cui si dava atto che l’importo omnicomprensivo ammontava a £ 76.553.000. In detto caso la triplicazione dell’indennità voluta dagli appellanti non poteva essere applicata a cagione della non accettazione delia prima offerta loro effettuata. Ai sensi dell ‘ art. 17 L. 865/1971 se l’area da espropriare è coltivata dal proprietario diretto coltivatore, solo nell’ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell’art. 12 primo comma il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo. Il citato art. 12 prevede, infatti , che ‘ il proprietario espropriando entro trenta giorni dalla notificazione dell ‘ avviso di cui al quarto comma dell’art. 11 ha diritto di convenire con l’espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento de ll’indennità provvisoria determinata ai sensi dei successivi articoli 16 e 17 ‘ , mentre nel caso di specie, la cessione volontaria che avrebbe comportato la triplicazione dell’indennità è avvenuta ben oltre il termine di trenta giorni indicato dalla legge, con la conseguente inapplicabilità della triplicazione richiesta. Da ciò la correttezza nella corresponsione della somma in quietanza del 20.05.1994 e la corrispondenza al concordato e dovuto.»
Avverso tale statuizione hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME e COGNOME COGNOME affidato a quattro motivi di impugnazione.
Con atto depositato il 19/12/2024 si è costituito un nuovo difensore dei ricorrenti, in sostituzione di quello originario.
Entrambi gli intimati si sono difesi con controricorso.
L ‘Impresa RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., circa la legittimazione passiva dell’ ANAS, nonché violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpr etazione degli accordi sottoscritti.
I ricorrenti hanno dedotto che l’Impresa Persia era mera esecutrice dei lavori , indipendentemente dalla delega conferita all’ANAS dal Ministero dei Lavori Pubblici m. 992 del 02/05/1989 e n. 1213 del 22/07/1989 (doc. 7 fascicolo di cortesia), emergendo tale delega nelle dichiarazioni liberatorie del 20/05/1994, ove l’Impresa dava atto di svolgere l’attività esecutiva , non in nome proprio, ma in rappresentanza dell’ANAS . Allo stesso modo, analizzando il contenuto dei due verbali di accordo amichevole siglati il 24/07/1993 e il 24/08/1993, emergeva in modo incontestabile come l’ANAS non avesse delegato in toto all’impresa l’esecuzione delle procedure tecniche, amministrative e finanziarie per il perfezionamento della fase espropriativa dei beni, avendo partecipato attivamente, per lo meno nella fase amministrativa, alla procedura, tant’è che nei verbali, redatti su c arta intestata dell’ANAS era indicata come parte anche la Direzione dei lavori dell’ANAS , il cui rappresentante aveva apposto la sua firma anche per attestarne la conformità alla pratica espropriativa.
In tale ottica, i ricorrenti hanno affermato che la Corte d’appello, omettendo di esaminare compiutamente tale documentazione,
aveva attribuito ad essa un carattere di decisività in senso contrario a quello proprio, giungendo a una errata conclusione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., nonché la violazione dell’art. 26 e ss. l. n. 2359 del 1965 e dell’art. 12 l. n. 865 del 1971 oltre che del d.P.R. n. 327 del 2001, con riferimento alla clausola di determinazione del prezzo nei verbali di accordo amichevole, poiché, trattandosi di accordi riconducibili ai negozi di diritto pubblico, che producono effetti nel procedimento espropriativo e per il caso che si arrivi all’adozione del decreto di esproprio, l’ammontare delle indennità è determinato dalla lege, e non è consentito alle parti di discostarsene, sicché, nella specie, l’importo spettante ai ricorrenti doveva essere quello determinato dall’UTE , pari ad £ 6.000,00 mq per tutto il terreno (e non solo per una parte di esso), con triplicazione ai sensi dell’art. 17 , comma 1, l. n. 865 del 1971 , per essere il Barone coltivatore diretto di tutto il terreno (e non solo di una parte di esso).
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 l. n. 2359 del 1865 , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto corretta la determinazione dell’importo dovuto per una parte del terreno in 3.550 mq, invece che in £ 6.000 mq, ritenendolo conforme ai dettami di legge rapportati alla situazione concreta, così avallando il criterio costruito in base al Valore Agricolo Medio, previsto dalla l. n. 865 del 1971, che era stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 181 del 2011, intervenuta in corso di causa, dovendo invece applicarsi il criterio del valore venale pieno secondo il disposto de ll’art. 39 l. n. 2359 del 1865.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 l. n. 865 del 1971, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per il mancato riconoscimento delle indennità aggiuntive al Barone quale coltivatore diretto per una parte dei fondi
espropriati (particelle 446 e 449 di 7848 mq), in ragione della mancata accettazione della prima indennità offerta, evenienza non contemplata dalla norma, senza neppure considerare che l’indennità offerta la prima volta non corrispondeva alle caratteristiche del fondo.
Nella memoria difensiva ex art. 380 bis.1 c.p.c., depositata dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE è eccepita la nullità della procura rilasciata al nuovo difensore dei ricorrenti, nominato in sostituzione del l’originario indicato nel ricorso per cassazione, apposta su foglio separato, congiunto materialmente all’atto di costituzione nel giudizio di legittimità.
In ragione di tale vizio, così come prospettato, la controricorrente ha dedotto l’improcedibilità o inammissibilità del ricorso per cassazione.
L’eccezione di nullità della procura speciale rilasciata all’ultimo difensore dei ricorrenti è fondata, ma non incide sull’ ammissibilità o la procedibilità del ricorso per cassazione.
2.1. Deve, infatti, ritenersi inammissibile l ‘ atto di costituzione depositato dal nuovo difensore dei ricorrenti in data 19/12/2024, avv. NOME COGNOME nominato in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME in conseguenza della nullità della procura speciale avente data 18/12/2024 conferita dai ricorrenti al nuovo difensore e da quest’ultimo autenticata.
Data l’elencazione tassativa contenuta nell’art. 83, comma 3 c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 45 l. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis , la procura speciale, nel giudizio di legittimità, non può essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso o dal controricorso sicché, se non è rilasciata in occasione della redazione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del menzionato art. 83 c.p.c. e, dunque, con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali
l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12434 del 19/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 09/08/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010).
Il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica, infatti, esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 l. n. 69 del 2009 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2, c.p.c.
Ovviamente l’ autenticazione della scrittura privata non può essere effettuata dal difensore, il cui potere di autentica è limitato alle ipotesi previste dall’art. 83, comma 2, c.p.c. (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8902 del 28/10/1994; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3426 del 03/04/1998).
2.2. Nella specie la procura depositata in atti, in relazione ad un giudizio instaurato ben prima dell’entrata in vigore della l. n. 69 del 2009, non risulta essere stata conferita secondo le modalità innanzi indicate, essendo stata rilasciata su un foglio separato, allegato alla comparsa di costituzione di un nuovo difensore.
2.3. Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto dall’impresa controricorrente, la nullità della procura e la conseguente inammissibilità dell’atto di costituzione non comporta l’ inammissibilità o una improcedibilità del ricorso per cassazione, poiché ai sensi dell’art. 85 c.p.c. l’originario difensore dei ricorrenti, ancorché revocato, continua a rappresentare dette parti, non avendo effetto la revoca del mandato in ragione della mancanza di una valida sostituzione (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 28365 del 29/09/2022).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Com’è noto, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022).
In altre parole, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome ‘ suo ‘ è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che ‘ la legge disponga altrimenti ‘ (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021).
Il ricorrente per cassazione, dunque, non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023).
3.2. Nel caso di specie , i ricorrenti hanno dedotto l’intervenuta violazione dell’art. 116 c.p.c., ma poi, nell’illustrare il motivo, hanno affermato che il giudice di merito non ha correttamente valutato le risultanze istruttorie e, in aggiunta, hanno prospettato una generica violazione delle regole di interpretazione degli accordi, semplicemente illustrando la valutazione in fatto delle risultanze di causa da loro stessi proposta come più adeguata alla portata delle stesse.
Si tratta, pertanto, di una critica al giudizio in fatto del giudice di merito, non condiviso dai ricorrenti, in sé inammissibile in sede di legittimità.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e si rivelano fondati, sia pure nei termini di seguito evidenziato.
4.1. Com’ è noto, la l. n. 2359 del 1865, recante norme sull’espropriazione per utilità pubblica, prevede tre modalità di determinazione del l’indennità di esproprio in favore del proprietario, potendo quest’ultimo: 1) accettare l’indennità così come offerta; 2) concordare bonariamente l’importo spettante; 3) ricevere l’indennità determinata dai periti, la cui stima è suscettibile di impugnazione.
In particolare, l’art. 24 l. cit. stabilisce quanto segue: « Colui che promosse la dichiarazione di pubblica utilità unitamente al piano particolareggiato d’esecuzione, deve far compilare un elenco in cui di rincontro al nome ed al cognome dei proprietari ed alla designazione sommaria dei beni da espropriarsi, sia indicato il prezzo che egli offre per la loro espropriazione. Quest’elenco sarà depositato e reso pubblico nel tempo e nel modo stabiliti dall’art. 17 della presente Legge. Nel caso dell’art. 21 l’elenco sarà pubblicato dopo la dichiarazione di pubblica utilità.»
Il successivo art. 25 della medesima legge stabilisce che «Affinché la somma offerta dagli esproprianti si possa considerare accettata dai proprietari, è necessario che essi ne abbiano fatta espressa dichiarazione in iscritto. Deve questa consegnarsi al Sindaco del luogo in cui trovansi i beni soggetti ad espropriazione nel termine indicato dall’art. 18. L’accettazione del prezzo può essere subordinata agli effetti delle osservazioni che fossero nell’atto stesso presentate.»
L’art . 26 l. cit. disciplina, invece, la diversa ipotesi dell’accordo bonario, disponendo quanto segue: «Prima della scadenza del termine indicato nell ‘ art. 18 i proprietari interessati ed il promovente l’espropriazione, o le persone da essi delegate, possono presentarsi avanti il sindaco, il quale coll’assistenza della giunta, ove occorra, procurerà che venga amichevolmente stabilito fra le parti l’ammontare dell’indennità».
L’art. 28 l. cit. precisa che l’ accettazione della indennità offerta dall’espropriante e gli accordi amichevoli che si siano conclusi fra questo ed i proprietari od enfiteuti dei beni da espropriarsi, prima che sia approvato il piano di esecuzione, si considereranno dipendenti dalla condizione che il piano venendo approvato, i beni ceduti siano compresi nella espropriazione.
Dopo aver disciplinato la determinazione dell’indennità ad opera dei periti, inoltre, l’art. 51 l. cit. consente l’impugnazione della stima operata da questi ultimi entro un termine, trascorso il quale, in assenza di impugnazioni, «l’indennità si avrà definitivamente stabilita nella somma risultante dalla perizia, salvi gli effetti dell’art. 54».
La successiva l. n. 865 del 1971, recante norme sull’espropriazione per pubblica utilità (la cui applicabilità alla procedura in questione non è in discussione, trattandosi di espropriazione finalizzata al completamento di una strada statale), nel testo applicabile ratione temporis , attribuisce al proprietario la il
diritto di convenire la cessione volontaria delle aree, stabilendone l’importo massimo, e prevede l’ ipotesi in cui venga accettata l’indennità provvisoria, mentre, per il caso in cui l’indennità sia rifiutata, stabilisce la determinazione della stessa per il tramite di una stima operata da una commissione tecnica, suscettibile di impugnazione.
In particolare, l’art. 12 , commi 1, 2 e 3, l. n. 865 del 1971 dispone quanto segue: «1. Il proprietario espropriando, entro trenta giorni dalla notificazione dell’avviso di cui al quarto comma dell’art. 11, ha diritto di convenire con l’espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento dell’indennità provvisoria, determinata ai sensi dei successivi articoli 16 e 17. 2. Nello stesso termine di cui al precedente comma, i proprietari comunicano al presidente della giunta regionale e all’espropriante se intendono accettare l’indennità provvisoria. In caso di silenzio l’indennità si intende rifiutata. 3. Decorso il termine di cui al precedente comma, il presidente della giunta regionale ordina all’espropriante, in favore degli espropriandi, il pagamento delle indennità che siano state accettate, ed il deposito delle altre indennità presso la Cassa depositi e prestiti.»
Come precisato dalla disposizione richiamata, l’indennità provvisoria è determinata in base a criteri predeterminati dalla legge, mediante rinvio agli artt. 16 e 17 della legge stessa.
L ‘art. 16 l. n. 865 del 1971, dal comma 4 in poi, nel testo vigente ratione temporis , stabilisce quanto segue: «4. La commissione determina ogni anno, entro il 31 gennaio, nell’ambito delle singole regioni agrarie delimitate secondo l’ultima pubblicazione ufficiale dell’Istituto centrale di statistica, il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. 5. L’indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati di cui all’articolo 18, è commisurata al valore agricolo medio di cui al
comma precedente corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare. Nelle aree comprese nei centri edificati l’indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa. Tale valore è moltiplicato per un coefficiente: …. L’indennità determinata a norma dei commi precedenti è aumentata della somma eventualmente corrisposta dai soggetti espropriati, fino alla data dell’espropriazione, a titolo di imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili ai sensi della legge 5 marzo 1963, n. 246, nonché delle somme pagate dagli stessi per qualsiasi imposta relativa all’ultimo trasferimento dell’immobile precedente l’espropriazione.»
Il successivo art. 17 l. n. 865 del 1971, sempre nel testo applicabile ratione temporis , introduce una indennità aggiuntiva, in presenza di determinati presupposti, stabilendo che: «1. Nel caso che l’area da espropriare sia coltivata dal proprietario diretto coltivatore, nell’ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell’articolo, 12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo. 2. Nel caso invece che l’espropriazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l’indennità di espropriazione determinata ai sensi dell’articolo 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando almeno da un anno prima della data del deposito della relazione di cui all’articolo 10. 3. L’indennità aggiuntiva prevista dai precedenti commi è determinata in ogni caso in misura uguale al valore agricolo medio di cui al primo comma dell’articolo 16, corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato, ancorché si tratti di aree comprese
nei centri edificati o delimitate come centri storici. 4. Le maggiorazioni di cui al primo e secondo comma del presente articolo vengono direttamente corrisposte ai suindicati soggetti nei termini previsti per il pagamento delle indennità di espropriazione.»
4.2. Com’è noto, la Corte costituzionale (Corte cost., Sentenza n. 5 del 30/01/1980) – sul presupposto che l’ indennizzo assicurato all’espropriato dall ‘ art. 42, comma 3, Cost. debba costituire, se non l’integrale riparazione per la perdita subita, un serio ristoro, che non può essere fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, e che, a tal fine, occorre far riferimento al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali fatte palesi dalla sua potenziale utilizzazione economica – ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli art. 42 comma 3, e 3, comma 1, Cost. – l’art. 16 comma 5, 6 e 7 l. n. 865 del 1971 n. 865, come modificato dall’art. 14 l. n. 10 del 1977, nella parte in cui, per la determinazione dell’indennità di esproprio, adotta il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, non facendo così riferimento né al bene da espropriare né al valore di esso secondo la sua destinazione economica.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata, poi, estesa all ‘ art. 19, comma 1, l. n. 10 del 1977 (che aveva esteso le nuove norme in materia di indennità di esproprio e di occupazione ai procedimenti in corso), all’art. 20 comma 3, l. n. 865 del 1971, modificato dall’art. 14 l. n. 10 del 1977 (che prevede l’applicazione delle stesse norme per la determinazione dell’indennità di occupazione d’urgenza), e all’art. unico della l. n. 115 del 1974 (nella parte in cui, convertendo con modificazioni il l d.l. n. 115 del 1974, ne ha modificato l ‘ art. 4, estendendo l’applicazione dell’art. 16, comma 5, 6 e 7 l. n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali).
Successivamente, la stessa Corte costituzionale (Corte cost., Sentenza n. 181 del 10/06/2011), mentre era pendente il presente giudizio, ha dichiarato l ‘ illegittimità costituzionale dell’articolo 5 bis , comma 4, d.l. n. 333 del 1992, conv. con modif. in l. n. 359 del 1992, in combinato disposto con gli articoli 15, comma 1, secondo periodo, e 16, commi 5 e 6, l. n. 865 del 1971, come sostituiti dall ‘ art. 14 l. n. 10 del 1977, dichiarando, inoltre, l ‘ illegittimità costituzionale, in via consequenziale, del l’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. n. 327 del 2001, così ripristinando la possibilità di far coincidere l’indennità di espropriazione con il valore di mercato per i terreni che, pur non potendo essere considerati edificabili, alla stregua del terzo comma dell’articolo 5 bis e del terzo comma dell’articolo 37 d.P.R. n. 327 del 2001.
In particolare, la menzionata Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimi – per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42, comma 3, Cost. -gli articoli sopra menzionati, nella parte in cui prevedevano che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria fosse commisurata ad un valore (quello agricolo medio della coltura in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali), che prescindeva dall e effettive caratteristiche dell’ area oggetto del procedimento espropriativo ed ignorava ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene.
4.3. Le disposizioni normative sopra richiamate sono state tutte abrogate dal d.P.R. n. 327 del 2001, il quale ha previsto anch’esso l’ipotesi dell’accettazione dell’indennità provvisoria, la cui determinazione è regolata dagli artt. 31 e 40 d.P.R. cit., con la precisazione che la dichiarazione di accettazione dell’indennità , una
volta effettuata, è irrevocabile. Tale accettazione è funzionale alla cessione volontaria delle aree. Se, però, la cessione non viene stipulata per gli ostacoli espressamente previsti dall’art. 20 d.P.R. cit., può comunque essere adottato il decreto di esproprio, fermo restando che, in entrambi i casi, al proprietario che ha concordato l’indennità spetta l ‘ importo di cui all’articolo 45, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001.
4.4. Non è contestato che la fattispecie sia disciplinata ratione temporis dalla normativa previgente al d.P.R. n. 327 del 2001.
Non è neppure discusso tra le parti che il verbale di accordo bonario impugnato abbia riguardato la sola determinazione delle indennità spettanti ai proprietari dei terreni poi espropriati.
La questione che i ricorrenti hanno posto attiene alla possibilità di far valere , una volta concluso l’accordo sull’ammontare dell’indennità ed emesso il decreto di esproprio, la nullità dello stesso, nella parte in cui non ha applicato i parametri fissati dalla legge per la determinazione dell’indennità stessa, sulla base del presupposto che detti parametri costituiscono norme imperative non derogabili.
4.5. L’accordo sull’ammontare dell’indennità – il cui fondamento normativo, nella specie applicabile si coglie nell’art. 26 l. n. 2359 del 1865 e nell’ art. 12, comma 2, l. n. 865 del 1971, ancora vigenti ratione temporis – condivide con la cessione volontaria la natura negoziale pubblica (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2023).
Siffatta natura scaturisce dall’inserimento dell’accettazione nel procedimento ablativo, nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso e sono condizionate alla sua conclusione, ossia alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante.
In questa prospettiva, si spiega, ad esempio, per quale ragione la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che l’emanazione di un tempestivo decreto di espropriazione, in luogo della stipulazione dell’atto di cessione del bene, non comporta la caducazione dell’accettazione dell’indennità provvisoria, pur espressamente condizionata alla stipulazione della cessione, atteso che il decreto di espropriazione è equivalente, quanto all ‘ efficacia dell’accordo sull’indennità, all’atto di cessione del bene, non essendo ipotizzabile un interesse giuridicamente apprezzabile dell’espropriato in merito alle forme attraverso le quali si realizza, in maniera del tutto indifferente quanto agli effetti, il trasferimento della proprietà del bene (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27131 del 15/11/2017).
Con riferimento alla cessione volontaria delle aree questa Corte ha più volte affermato che si tratta di un negozio di diritto pubblico e che non può essere assimilata a una compravendita civilistica, nella quale la determinazione del prezzo è rimessa all ‘ autonomia contrattuale, ove per effetto del contratto si produce il trasferimento della proprietà, ma non l’estinzione dei diritti dei terzi (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11955 del 22/05/2009; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17709 del 21/11/2003).
Gli elementi costitutivi della cessione volontaria, indispensabili a differenziarla dal contratto di compravendita di diritto comune, sono: a) l’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità; b) la preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell’indennità e delle relative offerta ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall’art. 12 l. n. 865 del 1971; c) il prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge
stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell’indennità di espropriazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11955 del 22/05/2009; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17709 del 21/11/2003).
Proprio con riferimento a quest’ultimo elemento, si è costantemente ritenuto che il prezzo della cessione volontaria è correlato in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la quantificazione dell’indennità spettante per l’espropriazione, cosicché non è consentito alle parti discostarsene (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24652 del 02/12/2016).
In particolare, questa Corte ha affermato che il carattere imperativo della disposizione contenuta nell’art. 12 l. n. 865 del 1971, che fissa inderogabilmente, quale parametro per la determinazione del prezzo della cessione volontaria, la misura dell’indennità di esproprio secondo la normativa vigente al momento della procedura, comporta, in coerenza con la natura di contratto di diritto pubblico della cessione, l’invalidità della clausola convenzionale di previsione di un prezzo diverso, commisurato ad una normativa abrogata, non solo qualora i parametri legali, cui le parti si siano riferite, siano stati in seguito dichiarati incostituzionali, ma a maggior ragione allorché al momento della cessione detti parametri non fossero più vigenti, con la conseguenza che la pattuizione invalida sul prezzo viene automaticamente sostituita con il precetto detraibile dal criterio legale, non essendo sufficiente, ai fini della qualificazione dell’operazione in termini di mero negozio di diritto privato per un corrispettivo definitivamente determinato e in suscettibile di integrazioni successive, il mero profilo della eventuale mancata previsione del diritto al conguaglio del prezzo di cessione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22105 del 23/11/2004; Cass., Sez. 1, Sez. 1, Sentenza n. 2755 del 08/02/2007; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15331 del 25/06/2010)
Ma tale principio vale anche per l’accordo bonario sull’indennità, poiché anch’ esso si inserisce all’interno di una procedura espropriativa e segue all’offerta di una indennità provvisoria, determinata alla stregua dei criteri inderogabili di liquidazione previsti dal legislatore (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15159 dell’11/06/2011 ; v. anche in motivazione Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2024).
4.6. In sintesi, l’accordo sull’indennità di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, non ha alcun effetto traslativo della proprietà del bene, ma si inserisce nel procedimento ablatorio, nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso, ma sono condizionate alla sua conclusione, cioè alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante.
In tale ottica, questa Corte ha evidenziato che l’accordo sull’ammontare dell’indennità di espropriazione, ha, come la cessione volontaria, natura negoziale pubblica. La natura negoziale deriva dall’inserimento dell’accettazione nel procedimento ablatorio essendo le relative pattuizioni integrative del procedimento stesso e condizionate alla sua conclusione ovvero alla stipulazione della cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio. La natura pubblica assume, invece, rilievo perché l’accordo è inserito nella procedura espropriativa ed è successivo all’offerta di un’indennità provvisoria, determinata alla stregua dei criteri inderogabili di liquidazione previsti dal legislatore, cosicché l’ammontare del corrispettivo deve essere correlato in modo vincolante ai tali parametri, non essendo consentito alle parti discostarsene (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15159 del 11/06/2018).
4.7. Nel caso di specie il ricorrente ha dedotto che l’accordo conteneva, per una parte del terreno, la determinazione di un valore
inferiore a quello stimato dall’Ufficio UTE, applicato invece ad altra parte dello stesso terreno, che però non aveva la liquidazione dell’indennità aggiuntiva prevista in favore del proprietario coltivatore diretto, riconosciuta per la porzione di terreno per prima menzionata.
La Corte d’appello, come sopra evidenziato , ha ritenuto di condividere la decisione di primo grado, affermando che la stima effettuata per la porzione di terreno di mq 958 aveva tenuto conto del valore agricolo medio calcolato alla luce del tipo di coltura eseguita sul terreno oggetto di esproprio, pari a £ 3.550 mq e la somma ricavata era stata determinata triplicando l’importo dovuto per la liquidazione dell’indennità aggiuntiva di cui all’art. 17, comma 1, l. n. 865 del 1971. Per quanto riguardava il restante terreno di mq 7848, l’indennità era stata determinata in £ 6.000 mq , perché gli espropriati non avevano accettato l’importo (inferiore) inizialmente offerto, sicché non poteva liquidarsi anche l’indennità aggiuntiva prevista in favore del proprietario coltivatore diretto, non avendo la parte accettato l’offerta iniziale , men tre l’art. 17 , comma 1, l. 865 del 1971 riferendosi alla cessione volontaria, prevede un prezzo da convenire non superiore al 50% dell’ indennità provvisoria determinata ai sensi dell’art. 16 l. cit.
4.8. Come sopra evidenziato, la determinazione dell’indennità spettante in favore dei proprietari di fondi agricoli, così come disciplinata dalla l. n. 865 del 1971 è stata nel tempo modificata, oltre che da interventi normativi, anche dalle pronunce della Corte costituzionale sopra riportate.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30, comma 3, l. n. 87 del 1953, i criteri di valutazione previsti nelle norma dichiarate incostituzionali non possono più trovare applicazione, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.
La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale si traduce in un ordine di non applicare più la norma illegittima. Ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato ma che non sono ancora esauriti.
Proprio in materia di espropriazione, questa Corte ha più volte esaminato detta questione, con riferimento all’incidenza sui procedimenti in corso della sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 24/10/2007, che ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis , commi 1 e 2, d.l. n. 333 del 1992, conv. con modif. in l. n. 359 del 1992, e, in via consequenziale, dell ‘ art. 37, commi 1 e 2, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del primo Protocollo della CEDU, nella interpretazione ad esso data dalla Corte di Strasburgo) – nella parte relativa al criterio ivi individuato per la liquidazione dell’indennizzo espropriativo spettante ai proprietari di suoli edificabili.
In tali occasioni, la Corte ha evidenziato che le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione di illegittimità che inficia fin dall’origine la disposizione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate, che vanno individuate in quelle situazioni in cui il rapporto si è esaurito attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano non solo le sentenze passate in giudicato, ma anche gli altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, che comportano il consolidamento del rapporto medesimo, anche per effetto di preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia di incostituzionalità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4778 del 24/02/2020; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 26291 del 06/11/2017; Cass., Sez. 1,
Sentenza n. 13515 del 13/06/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10379 del 21/06/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22409 del 05/09/2008).
In tale ottica, questa stessa Corte ha ritenuto non ancora esaurito il rapporto nel caso in cui la pronuncia di incostituzionalità è intervenuta in pendenza di giudizio di opposizione alla stima, anche se la materia del contendere non riguardava le norme divenute incostituzionali, poiché sull’individuazione del criterio legale di stima non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo, né l’acquiescenza allo stesso (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4778 del 24/02/2020; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 26291 del 06/11/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13515 del 13/06/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10379 del 21/06/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22409 del 05/09/2008).
Inoltre, proprio con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 10/06/2011, e in relazione al giudizio di rinvio a seguito di una pronuncia di cassazione del giudice di legittimità, questa Corte ha ritenuto che l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris, enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens , ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26193 del 19/12/2016).
Anche di recente questa Corte ha ribadito che, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, e in base ai principi generali, la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, da ultimo richiamata, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del
criterio del VAM (valore agricolo medio), trova applicazione ai rapporti non ancora definitivamente esauriti, con riguardo ai quali l’indennità va stimata utilizzando il criterio generale del valore venale pieno (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 25154 del 19/09/2024).
Questa stessa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi esaurito il rapporto nel caso in cui, stipulata la cessione volontaria delle aree, sia stata proposta azione per l’accertamento della nullità parziale delle clausole determinative del prezzo e, in pendenza della controversia, intervenga la pronuncia della Corte costituzionale, influisce sui criteri legali di stima (così Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2023).
4.9. Nel caso di specie si verifica la stessa evenienza, avendo i proprietari dei fondi espropriati agito in giudizio, dopo l’adozione del decreto di espro prio, per far valere la nullità parziale dell’accordo bonario con il quale avevano concordato le indennità spettanti, deducendo la violazione delle disposizioni che disciplinano la determinazione dell’indennità.
Il giudizio potevano proporlo e, dunque, il giudice, al momento della decisione non poteva valutare l’accordo bonario alla luce di una norma dichiarata incostituzionale, dovendo invece rilevare che il criterio di stima non poteva essere fondato sul valore agricolo medio ma sul valore pieno dell’area.
Anche il quarto motivo è fondato, ma entro i limiti come sopra determinati.
5.1. Senza dubbio deve ritenersi applicabile anche al solo accordo bonario il disposto dell’art. 17 della l. n. 865 del 1971 , in presenza dei presupposti in fatto, tenuto conto che, in applicazione dell’art. 12 l. cit., l’indennità provvisoria deve essere determinata ai sensi degli artt. 16 e 17 della stessa legge.
D’altronde, la giurisprudenza di legittimità ha esteso l’aumento del prezzo anche alle ipotesi di perdita del terreno in virtù di decreto di esproprio o di occupazione espropriativa, non limitandolo più
esclusivamente all’ipotesi della cessione volontaria del cespite (di recente Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25972 del 3/10/2024).
I ricorrenti non hanno lamentato la mancata attribuzione dell’indennità aggiuntiva spettante al Barone in misura superiore a quella come sopra prevista per l’offerta dell’indennità provvisoria, ma la mancata attribuzione di tale indennità aggiuntiva secondo quanto previsto dalla norma.
5.2. In ordine alla quantificazione di tale indennità, tuttavia, si deve tenere conto che, questa Corte ha già affermato che, a seguito della nota sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, il sistema premiale di triplicazione dell’indennità di esproprio, di cui al primo comma dell’art. 17 l. n. 865 del 1971 deve ritenersi abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9269 del 24/04/2014; v. anche Cass., Sez. 1, n. 18578 del 07/09/2020).
Per effetto della pronuncia della Consulta è, infatti, venuto meno il criterio legale di commisurazione dell’indennizzo espropriativo per i suoli agricoli previsto dall’art. 16 l. n. 865 del 1971, costituito dal valore agricolo tabellare (VAM) di tali immobili, e, dunque, è stato espunto il criterio specificamente assunto anche dal precedente art. 12, primo comma, per la determinazione del prezzo della cessione volontaria del terreno agricolo.
Pertanto anche l’art. 17, comma 1, l. cit. è stato privato del parametro legale di riferimento per la triplicazione dell’indennità aggiuntiva in favore del proprietario diretto coltivatore, parametro legale che non è surrogabile con quello del valore venale del fondo succeduto al primo, cui la norma specificamente faceva rinvio fisso, data la relativa ratio coerente ed equilibrata solo rispetto al complessivo pregresso, diverso e superato assetto economico delle riparazioni economiche indotte dalla procedura espropriativa, quand’anche definita da cessione volontaria ai sensi del precedente art. 12, comma 1, d.P.R. Quest’incompatibilità ovviamente ed a
maggior ragione si estende ai sistemi di calcolo dell’indennizzo espropriativo relativo alle espropriazioni parziali che, essendo dirette a risarcire l’intero danno sofferto dall’espropriato, avevano in qualche modo costituito anticipata manifestazione del nuovo regime conseguente alla pronuncia caducatoria della Consulta, per effetto della quale anche l’indennizzo per l’ablazione del terreno agricolo va, come noto, rapportato al valore venale pieno del fondo, tratto dall’art. 39 l. n. 2359 del 1865.
Tuttavia non tutte le disposizioni normative involgenti i VAM possono ritenersi coinvolte e travolte dalla pronuncia della Consulta, dovendosi in particolare ritenere sopravvissute quelle concernenti l’indennità aggiuntiva ad essi parametrata, disposizioni queste dotate di funzione riparatrice autonoma rispetto all’indennità di esproprio, in quanto, come detto, poste a tutela di diritti, quale quello al lavoro, pure contemplati dall’ordinamento giuridico e dotati di rilevanza costituzionale ma diversi da quello di proprietà involto dalla pronuncia caducatoria della Consulta. Dunque, con riguardo alle espropriazioni non soggette ratione temporis al d.P.R. n. 327 del 2001 ed all’indennità aggiuntiva, devono ritenersi ancora vigenti i commi secondo, terzo e quarto dell’art. 17 l. n. 865 del 1971, nonché il primo comma del medesimo art. 17 con limitazione dell’indennizzo aggiuntivo all’importo rinveniente dal criterio unitario di commisurazione del beneficio contemplato dal terzo comma della stessa disposizione normativa e costituito dal VAM, senza applicazione della già attribuita triplicazione.
5.3. Ritiene questo Collegio di dover aderire alla soluzione appena riportata e pertanto, in presenza dei presupposti per riconoscere la qualità di coltivatore diretto in capo all’espr opriato, l’indennità aggiuntiva va determinata in base al VAM.
In conclusione, devono essere accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e, dichiarato inammissibile il primo, deve essere cassata la sentenza
impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione