Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25972 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 25972 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 21082/2019 r.g. proposto da:
NOME NOME, rappresentato e difeso per procura speciale in calce al ricorso dall’AVV_NOTAIO, il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato presso l’AVV_NOTAIO, con studio sito in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura
speciale allegata al controricorso, con questi elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
– controricorrente –
E
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO dell’Avvocatura Regionale, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’ufficio di rappresentanza della Regione Campania, i quali dichiarano che le comunicazioni potranno essere inviate all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata in data 28 maggio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/9/2024 dal AVV_NOTAIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha chiesto accogliersi il ricorso;
udita, per la controricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, dopo avere presentato – anni prima opposizione alla stima con precedente ricorso, in relazione all’RAGIONE_SOCIALEazione dei propri terreni, successivamente, quale proprietario coltivatore diretto, presentava nel 2018 ricorso ex art. 702bis c.p.c. dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, sia nei confronti del beneficiario dell’RAGIONE_SOCIALEo, RAGIONE_SOCIALE, sia nei confronti della Regione Campania, quale autorità RAGIONE_SOCIALEante, al fine di conseguire l’indennità aggiuntiva prevista dall’art. 40, comma
4, del d.P .R. n. 327 del 2001, stante la sua qualità di coltivatore diretto, per la somma di euro 5.376,00.
A tale scopo, deduceva di essere proprietario di un fondo sito in S. NOME la Molara (INDIRIZZO), identificato al foglio n. 28, particelle n. 20 e 239, precisando che tali fondi nel 2010 erano stati interessati da procedura di RAGIONE_SOCIALEo e di asservimento per la allocazione di un aereogeneratore ed opere complementari, nell’ambito del più ampio parco eolico che doveva essere realizzato a cura della RAGIONE_SOCIALE, a seguito di decreto di RAGIONE_SOCIALEo ed asservimento n. 288 del 4/5/2010, e successivo n. 293 dell’11/5/2010, emessi dalla Regione Campania, poi integrati dal decreto n. 366 delle 5/8/2011.
Rammentava il ricorrente che la precedente opposizione alla stima da lui proposta dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, era stata respinta con sentenza n. 2470 del 2013, perché intempestiva, in quanto attivata avverso l’indennità provvisoria.
Successivamente, il ricorrente, a seguito dell’inerzia dell’ente RAGIONE_SOCIALEante e del beneficiario a procedere nella determinazione definitiva delle indennità ex art. 41 del d.P .R. n. 327 del 2001, li aveva diffidati ad adempiere; con ricorso ex art. 21 c.p.a., a seguito del silenzio maturato, aveva adito il Tar Napoli al fine di conseguire la condanna della Regione ad adottare ogni provvedimento per la determinazione dell’indennità definitiva e lo svincolo di quella provvisoria.
Il Tar Campania con sentenza n. 1426 del 2014 aveva accolto il ricorso, obbligando la Regione Campania a provvedere, anche tramite la nomina quale commissario ad acta del AVV_NOTAIO Napoli per l’esecuzione.
La Commissione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva quantificato il valore delle aree in complessivi euro 8.246,00, quale
indennità da corrispondere per l’RAGIONE_SOCIALEo e per l’asservimento delle particelle nn. 20 e 239.
Ne è seguito il ricorso ex art. 702bis c.p.c. per l’opposizione alla stima definitiva.
La Corte d’appello con ordinanza del 28/5/2018 aveva quantificato l’indennità in euro 35.490,00.
Avverso tale ordinanza la RAGIONE_SOCIALE aveva proposto ricorso per cassazione, diverso da quello scrutinato in questa sede.
Il presente giudizio si incardinava, quindi, a valle di quello precedente ed aveva per oggetto esclusivamente il pagamento dell’indennità aggiuntiva.
Successivamente in questo giudizio (inerente esclusivamente alla indennità aggiuntiva quale coltivatore diretto), il ricorrente deduceva che non era stata mai erogata l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001.
4.1. Pertanto, il COGNOME proponeva autonomo ricorso al fine della liquidazione dell’indennità aggiuntiva.
Deduceva di svolgere abitualmente e manualmente la propria attività in agricoltura, con la forza lavoro propria e della propria famiglia, superando effettivamente più di un terzo della forza lavoro complessiva.
Era, dunque, un coltivatore diretto e non un imprenditore agricolo, che si avvale di manodopera salariata.
La qualità di coltivatore diretto emergeva da: a) regolare iscrizione alla RAGIONE_SOCIALE, come impresa individuale a far data dall’inizio dell’attività al 3/1/1994; dalla visura camerale allegata alla perizia risultava la coltivazione diretta del fondo, mediante la propria forza o quella dei familiari, in particolare con l’ausilio della moglie NOME COGNOME; b) disponibilità di fascicoli aziendali AGEA; c) attestazione di avvenuto pagamento dei
contributi SCAU, dovuti dai coltivatori diretti; d) dichiarazioni dei redditi relativi agli anni 2009/2010, attestanti l’assenza di corresponsione di salari a terzi; e) perizia sulla scheda di raccolta 2010 del tabacco, a riprova della coltivazione prevalente.
4.2. Il ricorrente aggiungeva che la RAGIONE_SOCIALECommissione RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva determinato «nell’anno 2009» (cfr. ricorso per cassazione pagina 7) per la regione agraria di riferimento e per la coltura del seminativo irriguo un indennizzo base di euro 21.000 per ha, ovvero euro 2,10 a mq, proprio in relazione alla determinazione dell’indennità aggiuntiva. L’area ablata doveva essere pagata per intero, quindi per mq 280 (superficie RAGIONE_SOCIALEata) oltre mq 2280,00 (superficie destinata a passaggio). La superficie complessiva RAGIONE_SOCIALEata era, allora, di mq 2560, con diritto alla indennità aggiuntiva di euro 5376,00, ossia euro 2,10 X mq 2560.
Si costituiva la Regione Campania chiedendo il rigetto del ricorso.
5.1. Si costituiva la beneficiaria RAGIONE_SOCIALE eccependo la decadenza dall’opposizione, in quanto presentata oltre i 30 giorni dalla notificazione della stima ovvero della relativa conoscenza, «atteso che l’attore aveva già impugnato la stima tempo prima».
A giudizio della beneficiaria convenuta, dunque, «l’istante avrebbe dovuto attivarsi in quella sede non oggi», ostandovi peraltro il divieto di parcellizzazione del credito.
Tra l’altro non erano sufficienti i documenti prodotti a dimostrare la qualità di coltivatore diretto.
L’area effettivamente RAGIONE_SOCIALEata era limitata, poi, a soli 280 m², sicché l’indennizzo doveva essere limitata a tale superficie e non a quella maggiore di mq. 2.560, comprensiva del passaggio.
La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 28/5/2019, dichiarava inammissibile la domanda presentata dal NOME, per due ordini di ragioni.
6.1. Anzitutto, la domanda era inammissibile in quanto il ricorrente, in relazione alla procedura ablativa in oggetto, aveva già proposto opposizione alla stima, pendendo il relativo giudizio in cassazione, non potendosi instaurare un secondo giudizio avente di fatto lo stesso oggetto.
Per la Corte territoriale, dall’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 risultava che l’indennità aggiuntiva costituiva «nient’altro che una componente della indennità dovuta per l’RAGIONE_SOCIALEo di un’area non edificabile». In presenza di determinate circostanze, l’indennità veniva incrementata qualora il proprietario fosse coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale.
Non si trattava, dunque, di un autonomo titolo indennitario e l’indennità aggiuntiva non poteva essere richiesta separatamente dalla indennità RAGIONE_SOCIALEativa.
Del resto, in tal senso si era pronunciata la Corte di cassazione con riferimento alla precedente normativa di cui alla legge n. 865 del 1971 (si cita Cass. n. 19931 del 10/8/2017).
6.2. Inoltre, il ricorso era comunque tardivo, in quanto ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, l’opposizione doveva essere proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del decreto di RAGIONE_SOCIALEo o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima era successiva al decreto di RAGIONE_SOCIALEo.
Nella specie il ricorso era stato presentato in data 28/11/2018 a fronte di un decreto di RAGIONE_SOCIALEo risalente all’anno 2010 e di una stima dell’indennità definitiva da parte della Commissione RAGIONE_SOCIALE, che lo stesso ricorrente affermava essergli stata trasmessa via PEC
in data 5/9/2017, nei cui confronti aveva proposto opposizione (in sede amministrativa) in data 20/9/2017.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il NOME.
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE e la Regione Campania.
Con ordinanza interlocutoria, all’esito dell’udienza del 28/11/2023, questa Corte ha disposto la trattazione del ricorso in pubblica udienza, con specifico riferimento all’ipotesi di mancata determinazione dell’indennità aggiuntiva, in assenza di pronunce di legittimità circa l’interpretazione della normativa successiva alla legge n. 865 del 1971.
Entrambe le parti hanno depositato memoria scritta. La Procura Generale, all’esito della discussione orale, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 54 del d.lgs. n. 327 del 2001 e art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, il ricorrente contesta l’ordinanza della Corte d’appello nella parte in cui ha affermato l’inammissibilità del ricorso, essendo pendente in cassazione altro giudizio presentato dalla ricorrente in relazione alla determinazione dell’indennità di RAGIONE_SOCIALEo. L’indennità aggiuntiva, per la Corte d’appello, non sarebbe altro che una componente dell’indennità dovuta per l’RAGIONE_SOCIALEo di un’area non edificabile, sicché non potrebbe essere chiesta separatamente dalla indennità di RAGIONE_SOCIALEo.
Per il ricorrente, invece, l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, rappresenta una indennità
autonoma che va tenuta «distinta e separata dall’indennizzo per la proprietà ablata».
Le indennità aggiuntive sono dovute per risarcire un interesse che si differenzia da quello del proprietario, pur potendosi affiancare all’indennizzo dovuto a titolo di indennità di RAGIONE_SOCIALEazione.
Tale indennità aggiuntiva è dovuta al proprietario che sia «anche» coltivatore diretto.
La particolare natura dei beni RAGIONE_SOCIALEati (aree non edificabili e coltivate) nonché le peculiari condizioni soggettive dei potenziali beneficiari dell’indennità sono i presupposti alla cui sussistenza è condizionato il diritto all’indennità aggiuntiva.
Si mira a risarcire una «posizione autonoma» rispetto a quella del proprietario (si cita Cass., 10/9/2004, n. 18237).
Tra l’altro, l’indennità aggiuntiva non si detrae dall’indennizzo dovuto al proprietario e non ne rappresenta una quota, ma «una aggiunta premiale in considerazione del valore costituzionale del lavoro» (si cita Cass., n. 21434/2007).
Si tratterebbe, allora, di un «credito autonomo e separato da quello principale».
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli artt. 40, e 54 del d.lgs. n. 327 del 2001 e art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Il ricorrente contesta anche l’ulteriore ratio decidendi manifestata la Corte d’appello, laddove ha reputato che, anche qualora si volesse ritenere che l’indennità aggiuntiva costituisse un’indennità autonoma derivante dall’RAGIONE_SOCIALEazione, il ricorso sarebbe stato tardivamente proposto.
Per il ricorrente questo motivo di impugnazione risulta inscindibilmente legato al primo, sicché la trattazione di quello non può prescindere dall’esame di questo motivo.
Ad avviso del ricorrente, proprio perché l’indennità aggiuntiva costituisce un autonomo titolo, essa è scindibile da quella relativa alla proprietà ablata.
Tant’è vero che in caso di ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d’appello sul capo che investe la natura del fondo agli effetti dell’indennità di RAGIONE_SOCIALEazione, non va disposta l’integrazione del contraddittorio, nei confronti dei soggetti coltivatori del fondo, non proprietari.
Del resto, non v’era stata determinazione dell’indennità aggiuntiva.
Peraltro, tra i terzi legittimati all’opposizione alla stima, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, non poteva ricomprendersi anche il proprietario coltivatore diretto.
Inoltre, doveva essere data la prova dell’avvenuta pubblicazione dell’estratto del decreto ex art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001, sul BURC, ai fini dell’opponibilità del terzo.
In realtà, a giudizio del ricorrente, il diritto alla indennità aggiuntiva nasce con il provvedimento ablatorio e da tale momento inizia a decorrere il termine di prescrizione decennale per farlo valere.
I due motivi, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
In particolare, deve muoversi dalla ricostruzione normativa della originaria disposizione dedicata alle indennità aggiuntiva spettante ai coltivatori diretti, in caso di RAGIONE_SOCIALEazione dei beni.
4.1. L’art. 17 della legge 22/10/1971, n. 865, stabilisce, al primo comma, che «nel caso che l’area da RAGIONE_SOCIALEare sia coltivata dal
proprietario diretto coltivatore, nell’ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell’art. 12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo».
Pertanto, al proprietario coltivatore diretto non spettava una indennità aggiuntiva, ma la disposizione si limitava, nell’ipotesi di cessione volontaria, ad aumentare il prezzo di cessione in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria.
Successivamente, la giurisprudenza di legittimità aveva esteso l’aumento del prezzo anche alle ipotesi di perdita del terreno in virtù di decreto di RAGIONE_SOCIALEo o di occupazione RAGIONE_SOCIALEativa, non limitandolo più esclusivamente all’ipotesi della cessione volontaria del cespite.
4.2. Il secondo comma dell’art. 17 della legge n. 865 del 1971 si soffermava, invece, sulla posizione dei coltivatori diretti diversi dal proprietario, prevedendo che «el caso invece che l’RAGIONE_SOCIALEazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l’indennità di RAGIONE_SOCIALEazione determinata ai sensi dell’art. 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro al colono o al compartecipante che coltivi il terreno RAGIONE_SOCIALEando almeno da un anno prima della data di deposito della relazione di cui all’art. 10».
Questa Corte ha chiarito, con varie pronunce, la natura di coltivatore diretto, che consentiva la liquidazione dell’indennità aggiuntiva in favore dei soggetti non proprietari, operando una distinzione rispetto alla qualifica di imprenditore agricolo, cui non spettava tale indennità.
5.1. Era, infatti, escluso dal novero dei soggetti aventi diritto all’indennizzo aggiuntivo di cui all’art. 17 della legge n. 865 del 1971, l’imprenditore agricolo, il quale esercitava la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale sul lavoro e con impegno prevalente di manodopera subordinata, senza che tale esclusione potesse ritenersi in contrasto con il principio di uguaglianza, avuto riguardo alla differenza esistente tra il predetto ed i soggetti menzionati dall’art. 17 della legge n. 865 del 1971 (Cass., sez. 1, 31/7/2019, n. 20658: che richiama Cass. n. 3706 del 24/2/2015; Cass., n. 12306 del 15/5/2008; Cass. n. 2477 del 19/2/2003).
Nella giurisprudenza più datata, la nozione di imprenditore agricolo viene rinvenuta nel combinato disposto degli articoli 2083, 2135 e 2751bis c.c., trascurando altre definizioni ad efficacia settoriale.
L’elemento qualificante della coltivazione diretta sussiste, invece, in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare avviene con la prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia, in presenza di uno dei rapporti agrari tipici previsti dalla norma, con onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a capo del soggetto che intende trarre conseguenze favorevoli (Cass., n. 11013 del 2013; anche Cass., sez. 1, 12/12/2002, n. 17714).
Resta escluso dal novero degli aventi diritto l’imprenditore agricolo, ossia colui che eserciti la coltivazione e la produzione agricola professionalmente mediante coordinamento dei fattori della produzione ex art. 2082 c.c., e non svolga dunque attività di diretta utilizzazione agraria del terreno (Cass., sez. 1, 19/2/2003, n. 2477).
Si è inoltre chiarito che tale ragionamento, se vale per l’imprenditore individuale, a maggior ragione deve valere quando il soggetto sia costituito in forma di società commerciale.
Nessun dubbio con riferimento alle società di capitali, munite di personalità giuridica e costituenti, perciò, enti del tutto distinti dalle persone dei soci, ma ad analoghe conclusioni deve giungersi per le società commerciali costituite in forma di società di persone, perché anche tali organismi, ancorché privi di personalità giuridica, sono soggetti di diritto distinte le persone dei soci, (Cass., sez. 1, 19/2/2003, n. 2477).
La qualità di imprenditore agricolo deve, invece, essere provata dal convenuto che la invochi in via di eccezione (Cass., sez. 1, 15/5/2008, n. 12306).
5.2. L’indennità aggiuntiva è stata riconosciuta, dunque, ai coltivatori diretti, ossia ai soggetti che traggono i propri mezzi di sostentamento dalla coltivazione del suolo. In tal caso è necessario, non solo la titolarità di uno dei rapporti agrari tipici (Cass., sez. 1, 11/9/2015, n. 17972), ma anche la coltivazione del fondo da parte dell’istante con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia. Il requisito della prevalenza deve essere a sua volta valutato sulla base del rapporto tra la forza lavorativa totale, occorrente per la lavorazione del fondo, e la forza lavoro riferibile al titolare ed ai membri della sua famiglia, indipendentemente dall’apporto di mezzi meccanici, in tal modo distinguendo il coltivatore diretto dalla figura dell’imprenditore agricolo, il quale esercita l’attività di coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale sul fattore lavoro, e con impegno prevalente di manodopera subordinata (Cass., sez. 1, 24/2/2015, n. 3/7/06; anche Cass., sez. 1, 9/11/2018, n. 28788).
La qualità di coltivatore diretto può essere dimostrata anche mediante certificazioni o, comunque, con accertamenti di fatto del giudice di merito (Cass., sez. 1 15/5/2008, n. 12306, ove la qualità di coltivatore diretto è stata dedotta dalle dimensioni non eccessive
del fondo affittato – circa 5 ha – tale da rendere plausibile la coltivazione personale delle aree affittate con mezzi meccanici e con l’aiuto occasionale di familiari di terzi; anche Cass., sez. 1, n. 13518 del 2015 , in motivazione; Cass., sez. 1, 6/6/2019, n. 15414, che ha reputato sussistente la qualifica di coltivatori diretti, dimostrata mediante produzione di certificazione Inps attestante la loro iscrizione a fini previdenziali).
Per la dottrina la prova della qualità di coltivatore diretto può essere fornita con ogni mezzo, anche mediante certificazione del servizio dei contributi agricoli unificati o tramite atto notorio, fatta sempre salva la facoltà dell’RAGIONE_SOCIALEante di compiere attraverso i propri organi, o gli organi di polizia, le opportune indagini.
Con circolare n. 650/A 1, 9/2/1978, il RAGIONE_SOCIALE Lavori RAGIONE_SOCIALE ha precisato che, affinché sussista la qualifica di coltivatore diretto, devono ricorrere i seguenti requisiti: professionalità, intesa come abitualità e prevalenza dell’attività del coltivatore e della propria famiglia (in senso lato) rispetto a quella svolta da soggetti estranei nell’ambito dell’impresa agricola; svolgimento diretto dell’attività di coltivazione del fondo, o di attività agricole connesse, anche se con l’ausilio di collaboratori estranei alla famiglia (sempre in senso lato).
Si è precisato anche che il pagamento dell’indennità a seguito di dichiarazione resa dall’avente diritto, con le formalità di cui all’art. 4, della legge n. 15 del 4/1/1968, non introduce un sistema di prova legale, vincolante per l’RAGIONE_SOCIALEante, sicché detta dichiarazione, in caso di contestazione giudiziale da parte dell’RAGIONE_SOCIALEante, ha valore di puro elemento indiziario, liberamente valutabile dal giudice del merito (Cass., sez. 1, 14/5/92, n. 5746).
5.3. L’indennità aggiuntiva di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 865 del 1971, che spetta – non al proprietario ma – all’affittuario
coltivatore diretto del fondo RAGIONE_SOCIALEato è autonoma rispetto all’indennità di RAGIONE_SOCIALEazione, che trova fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno RAGIONE_SOCIALEato e nella situazione privilegiata che gli articoli 35 e seguenti della Costituzione assicurano alla posizione del lavoratore (Cass., sez. 1, 14/6/2018, n. 15579).
Per tale ragione, tale indennità aggiuntiva (che spetta anche in caso di decreto di acquisizione sanante; Cass., sez. 1, 22/3/2021, n. 7975) non va detratta da quella di RAGIONE_SOCIALEazione, non potendo escludersi, anche in base alla giurisprudenza della CEDU, che, in presenza della necessità di tener conto della particolare posizione del coltivatore RAGIONE_SOCIALEato, l’RAGIONE_SOCIALEante possa andare incontro ad esborsi – preventivamente valutabili – complessivamente superiori al valore di mercato del bene ablato, senza che ciò costituisca violazione del limite previsto dall’art. 42 della Costituzione (Cass., n. 11464 del 3/6/2016; Cass., sez. 1, n. 6088 del 2018; Cass., n. 21340 del 13/8/2019; anche Cass., sez. 5, n. 29735 del 2023; Cass., 22/3/2021, n. 7688; Cass., 13/1/2021, n. 394; Cass., 24/4/2014, n. 9269).
Peraltro, si è ritenuto che il diritto dell’indennità aggiuntiva di cui all’art. 17, secondo comma, della legge n. 865 del 1971, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., il cui termine inizia a decorrere dalla data del provvedimento ablatorio, trovando il diritto suddetto pur sempre titolo nel provvedimento medesimo e nascendo, quindi, in tale momento (Cass., sez. 1, n. 2238 del 2007; Cass., sez. 1, 10/9/2004, n. 18237).
Tale indennità, dunque, di cui al secondo comma dell’art. 17 della legge n. 865 del 1971, è autonoma rispetto all’indennità di RAGIONE_SOCIALEazione, pur trovando titolo nel provvedimento ablatorio, tanto che si è ritenuto necessario notificare gli atti ablatori anche agli
«altri interessati», diversi dal proprietario del bene (Cass., sez. 1, n. 2238 del 2007).
Successivamente, questa Corte (Cass., n. 19931 del 2017) ha distinto l’indennità, spettante al proprietario del fondo, anche coltivatore diretto, da quella relativa all’indennità aggiuntiva spettante al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante.
In particolare, si è affermato che, in tema di indennità di RAGIONE_SOCIALEazione, la domanda avente ad oggetto l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 17 della l. n. 865 del 1971 da parte del proprietario coltivatore del fondo, diversamente da quanto accade o può accadere per tutti gli altri soggetti che hanno titolo a richiedere quell’emolumento (e che sono presi in considerazione dal comma 2 della richiamata disposizione), non può essere richiesta separatamente da quella relativa alla perdita del bene, risolvendosi essa – in tali casi – in una modalità di calcolo della somma complessivamente dovuta dall’RAGIONE_SOCIALEante a colui che venga privato del suo diritto reale in uno con l’attività di coltivatore del fondo, somma che perciò deve essere calcolata accrescendo l’ammontare della perdita del cespite di base con l’indennità aggiuntiva del coltivatore, a ristoro della perdita complessiva, in un unico e non frazionabile giudizio di stima (Cass., sez. 1, 10/8/2017, n. 19931).
Si è chiarito che tale indennità aggiuntiva: a) «non spetta a qualsiasi coltivatore (anche di fatto) del fondo RAGIONE_SOCIALEato, ma a chi, sulla base di uno dei rapporti giuridici espressamente elencati dalla detta norma, lo coltivava all’epoca del procedimento RAGIONE_SOCIALEativo» (Cass., n. 19931 del 2017, che richiama Cass. n. 17972 del 2015); b) «ha una funzione riparatrice autonoma rispetto all’indennità di RAGIONE_SOCIALEo, posta a tutela di diritti costituzionali, quale quello al lavoro, diversi da quello di proprietà» (Cass. n. 19931 del 10/8/2017, che richiama Cass., n. 9269 del 2014): c) «pur tuttavia,
incontra un limite temporale per la sua richiesta nel termine di decadenza di cui all’art. 19 della menzionata legge n. 865 del 1971» (Cass. n. 19931 del 2017, che richiama Cass., n. 18450 del 2011).
Si è precisato (Cass. n. 19931 del 2017) che, con riguardo alla possibilità di una richiesta autonoma e separata di tale credito, si era data risposta positiva da parte della giurisprudenza (Cass. n. 19635 del 2005), reputandosi che anche nell’ipotesi in cui non venisse raggiunto alcun accordo con l’RAGIONE_SOCIALEante, al proprietario coltivatore diretto, così come agli altri soggetti indicati all’art. 17, secondo comma, della legge n. 865 del 1971, spettava comunque, in base alla norma richiamata, l’indennità aggiuntiva per la perdita del terreno su cui egli esercitava la propria attività lavorativa agricola; ciò in conformità con la funzione di tale indennità, compensativa del sacrificio sopportato dall’avente diritto, e con la sua natura autonoma, che prescindeva dalle modalità con cui il proprietario aveva perduto la titolarità del fondo (decreto di RAGIONE_SOCIALEo, cessione volontaria o occupazione RAGIONE_SOCIALEativa).
Pertanto, si è ritenuto, con specifico riferimento al fittavolo coltivatore diretto del suolo RAGIONE_SOCIALEato, che questi ha diritto, ai sensi dell’art. 17, secondo comma, legge n. 865 del 1971, ad un’indennità aggiuntiva, diversa da quella prevista dall’art. 5bis del decretolegge 11/7/1992, n. 333, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, in quanto la sua pretesa è rivolta nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALEante, indipendentemente da quanto dovuto al proprietario. Dall’autonomia delle due posizioni deriva che le cause aventi ad oggetto, rispettivamente, tale indennità aggiuntiva e l’indennità di occupazione dovuta al proprietario, sono scindibili (Cass., sez. 1, 12/10/2007, n. 21434).
Questa Corte, nella medesima pronuncia citata (Cass. n. 19931 del 2017) ha apportato una importante precisazione,
dovendosi distinguere l’ambito dell’art. 17, secondo comma, della legge n. 865 del 1971, dedicato ai soggetti terzi che coltivano il terreno del proprietario, rispetto al caso del «proprietario coltivatore diretto».
Di qui il caveat , per cui «coloro che compongono la prima (quella del proprietario-coltivatore), quando richiedono (o si oppongano alla determinazione dell’indennità di RAGIONE_SOCIALEo) non possono che unitariamente domandarla in rapporto a tutte le voci che la compongono e che spettano all’avente diritto, diversamente che per i vari soggetti che appartengono alla seconda categoria i quali, non coincidendo con il titolare del terreno che – per definizione – è persona diversa da colui che lo coltiva, non possono che avanzare le loro richieste separatamente da quelle del titolare del cespite, benché nel rispetto dei termini di decadenza o di prescrizione stabiliti dalla legge».
Con la conseguenza che la richiesta dell’indennità aggiuntiva, di cui all’art. 17, primo comma, della legge n. 865 del 1971, da parte del proprietario coltivatore, «diversamente da quanto accade o può accadere per tutti gli altri soggetti che hanno titolo a richiedere quell’emolumento, può essere proposto in giudizio solo congiuntamente con quella relativa alla perdita del bene, risolvendosi essa – in tali casi – in una modalità di calcolo della somma complessivamente dovuta dall’RAGIONE_SOCIALEante a colui che venga privato del suo diritto reale in uno con l’attività di coltivatore del fondo, somma che perciò deve essere calcolata accrescendo l’ammontare di base della perdita del cespite con l’indennità aggiuntiva del coltivatore, a ristoro della perdita complessiva, in un unico e non frazionabile giudizio di stima».
Pertanto, ad avviso di questa Corte non era possibile richiedere tale indennità al proprietario che avesse già conseguito il ristoro per la perdita del fondo (Cass. n. 19931 del 2017).
Tali considerazioni devono essere necessariamente rivalutate a seguito dell’introduzione del d.P.R. n. 327 del 2001, anche se, come si vedrà, le conclusioni restano sovrapponibili, poiché il Collegio non ritiene condivisibili le argomentazioni svolte in ricorso e neppure quelle svolte dalla Procura Generale in sede di discussione orale.
In realtà, proprio le disposizioni del d.P.R. n. 327 del 2001 (artt. 37,comma 9, 40 e 42) in ordine al computo dell’indennità aggiuntiva, dimostrano che è stata mantenuta ferma la distinzione tra proprietario coltivatore diretto e terzo coltivatore diretto in virtù di apposito contratto.
Anche dal punto di vista strettamente topografico, l’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto, o anche imprenditore agricolo a titolo principale, è stata tenuta separata dalle altre indennità aggiuntive e risulta inserita nella stessa disposizione (art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001) che si occupa della determinazione dell’indennizzo RAGIONE_SOCIALEativo relativo alle aree non edificabili.
9.1. È sufficiente osservare che un primo richiamo all’indennità aggiuntiva del coltivatore diretto si rinviene nell’art. 37, comma 9, del d.P.R. n. 327 del 2001, dedicato alla «determinazione dell’indennità nel caso di RAGIONE_SOCIALEo di un’area edificabile».
Si prevede, infatti, al comma 9 dell’art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, che «qualora l’area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario coltivatore diretto anche una indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad
abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col lavoro proprio e di quello dei familiari».
In questo caso, come nel passato, la stessa indennità aggiuntiva viene liquidata sia al proprietario coltivatore diretto (ma non al proprietario imprenditore agricolo a titolo principale) sia al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante; in queste ultime ipotesi esclusivamente nel caso in cui vi sia stato l’abbandono del fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, con il lavoro proprio e di quello dei familiari.
Si esclude, dunque, l’indennità aggiuntiva in caso di coltivazione effettuata dall’imprenditore agricolo a titolo principale.
Del resto, si è nell’ambito di aree edificabili, seppure utilizzate a scopi agricoli.
Si è chiarito recentemente, infatti, che l’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001 assegna al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale il diritto all’indennità aggiuntiva, ma tale disciplina, che attribuisce rilievo anche alla figura dell’imprenditore agricolo, si riferisce esclusivamente ai terreni non edificabili (Cass., sez. 1, 31/7/2019, n. 20658).
10. L’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 («disposizioni generali») – relativo alle aree non edificabili – si occupa esclusivamente della posizione del proprietario coltivatore diretto, con una disciplina autonoma e distinta rispetto a quella riservata alle indennità aggiuntive spettanti al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante, con peculiare riferimento all’art. 42 del d.P.R. n. 327 del 2001 («indennità aggiuntive»).
Si prevede, quindi, al comma 1 dell’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001, che «nel caso di RAGIONE_SOCIALEo di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul
fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola».
10.1. Al comma 2 si stabilisce che «se l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati». Tale comma è stato dichiarato incostituzionale per il riferimento al VAM in ordine alla determinazione dell’indennizzo RAGIONE_SOCIALEativo con sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011.
10.2. Si prevede, poi, al comma 4 dell’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 che «l proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di colture effettivamente praticate».
10.3. La prima annotazione attiene alla circostanza per cui non tutte le disposizioni normative involgenti i VAM possono ritenersi coinvolte e travolte dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dovendo, in particolare, considerarsi sopravvissute quelle concernenti l’indennità aggiuntiva ad essi parametrata, in quanto dotate di una funzione riparatrice autonoma rispetto all’indennità di RAGIONE_SOCIALEo, poiché poste a tutela di diritti, quale quello al lavoro – pure contemplati dall’ordinamento giuridico ed aventi rilevanza costituzionale – diversi da quello di proprietà oggetto della pronuncia della Consulta (Cass., sez. 1, 18/6/2018, n. 16084, in motivazione).
Sono, dunque, sopravvissute alla pronuncia della Corte costituzionale n. 181 del 2011 le indennità supplementari e aggiuntive, di cui all’art. 37, comma 9, all’art. 40, comma 4, e all’art. 42, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, atteso che il Giudice delle
leggi non ha censurato il criterio del valore agricolo medio cui le stesse sono parametrate.
Si nota, dunque, oltre al fatto che l’indennità aggiuntiva è prevista non solo per il proprietario coltivatore diretto, ma anche per il proprietario imprenditore agricolo a titolo principale, soprattutto che – ai fini che riguardano la soluzione della presente controversia – la previsione dell’indennità aggiuntiva per il proprietario coltivatore diretto si rinviene nella stessa norma (art. 40) che attiene alla determinazione dell’indennizzo RAGIONE_SOCIALEativo di un’area non edificabile; a dimostrazione della unitarietà della misura dell’indennizzo che deve tenere conto sia del valore agricolo del terreno, sia dell’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto.
Di qui, la conclusione che l’indennità aggiuntiva spettante al coltivatore diretto proprietario, oppure imprenditore agricolo a titolo principale, deve essere richiesta unitamente all’indennizzo per l’RAGIONE_SOCIALEo dell’area non edificabile, non potendo essere oggetto di autonoma e separata richiesta.
Del resto, l’indennizzo per l’area non edificabile è determinato, come appena riportato sopra, in base al criterio del valore agricolo, ma tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola; ciò a dimostrazione della complessità del computo dell’indennizzo dell’RAGIONE_SOCIALEo dell’area non edificabile. Con la necessità di ricomprendere nell’unitario indennizzo, anche l’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto o al proprietario imprenditore agricolo a titolo principale.
Del resto, l’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto è commisurata al valore agricolo medio «corrispondente al tipo di colture effettivamente praticate».
Va anche rimarcato che, a differenza dell’art. 42 del d.P.R. n. 327 del 2001, l’art. 40, comma 4, non prevede alcun requisito di carattere temporale, nell’esercizio dell’attività di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale.
Pare preferibile la tesi per cui, in adesione al dato letterale delle due norme, al proprietario va assicurato il ristoro a prescindere dall’esercizio dell’attività di coltivazione per almeno un anno a far data dal momento della dichiarazione la pubblica utilità.
Ciò proprio tenendo conto che, in questa fattispecie, l’attività di coltivazione è esercitata dallo stesso proprietario del bene, tanto che questi deve agire in giudizio per la liquidazione dell’intero indennizzo, comprensivo dell’indennità aggiuntiva.
11. Diversamente, la piena autonomia delle indennità aggiuntive spettanti a soggetti non proprietari dei terreni, ma coltivatori dello stesso, emerge plasticamente dall’art. 42 del d.P.R. n. 327 del 2001, il quale stabilisce che «spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura RAGIONE_SOCIALEativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità».
La ratio dell’indennità aggiuntiva prevista per il coltivatore diretto dall’art. 42 del d.P.R. n. 327 del 2001 risiede nella diversa natura del bene oggetto di tutela e, precisamente, «nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno RAGIONE_SOCIALEato nella situazione privilegiata che l’art. 35 della Costituzione assicura alla posizione del lavoratore, garantendo fra l’altro che la sua retribuzione sia in ogni
caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (Cass., sez. 1, 1/7/2022, n. 21058; Cass. n. 11464 del 2016).
L’attività agricola, ad avviso della dottrina, deve essere svolta almeno un anno prima della data di deposito della relazione che promuove il procedimento di RAGIONE_SOCIALEazione.
È stata ribadita anche dalla nuova normativa la particolare tutela dei soggetti che traggono i mezzi di sussistenza della coltivazione del fondo, per cui la dizione legislativa deve essere interpretata escludendosi all’affittuario del terreno che eserciti su di esso un’attività diversa da quella della coltivazione e della produzione agricola, sia chi possieda la qualifica di imprenditore agricolo.
Al comma 2 dell’art. 42 del d.P.R. n. 327 del 2001, si chiarisce, quanto all’accertamento della somma effettivamente dovuta ed all’onere della prova correlato, che «l’indennità aggiuntiva è determinata ai sensi dell’art. 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito di una dichiarazione dell’interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti».
Ciò comporta due considerazioni importanti: 1) da un lato appare evidente che il legislatore ha voluto dettare una disciplina dedicata esclusivamente al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale, ben distinta da quella relativa all’indennità aggiuntiva spettante al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante; la differenza tra le due regolamentazioni è indice dell’unitarietà dell’indennizzo spettante al proprietario coltivatore diretto, che ha, pertanto, l’onere di chiedere l’indennità aggiuntiva in modo non frazionato; 2) dall’altro, mentre l’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto, o al proprietario imprenditore agricolo a titolo principale, viene determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di colture
effettivamente praticate, con onere della prova a carico dell’ente RAGIONE_SOCIALEante che intenda discostarsene, le altre indennità aggiuntive necessitano della dichiarazione dell’interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti, con onere della prova a carico del soggetto richiedente, tenuto a predisporre la relativa dichiarazione.
Per la dottrina, infatti, il fittavolo, il mezzadro e il compartecipante devono dimostrare l’esistenza del proprio titolo, mentre negli altri casi il sacrificio sofferto dal soggetto che utilizza il fondo a scopi agricoli è presunto, in quanto il d.P.R. n. 327 del 2001 non richiede alcuna prova in proposito.
12. Va poi sottolineato che l’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 si riferisce, al comma 4, all’indennità aggiuntiva spettante anche all’imprenditore agricolo «a titolo principale», non tenendo conto della innovazione legislativa con la quale si è provveduto nel 2004 a disegnare la figura dell’imprenditore agricolo a titolo professionale, che ha sostituito la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale.
L’art. 12 della legge 9/5/1975, n. 153 (Attuazione delle direttive del consiglio delle comunità europee per la riforma dell’agricoltura) stabiliva, fino al 6/5/2004, che «si considera a titolo principale l’imprenditore che dedichi all’attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall’attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale».
A decorrere dal 30/6/2001 e sino al 6/5/2004 si è poi aggiunto che «le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, ed inoltre: a) nel caso di società di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della
qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale. Per le società in accomandita la percentuale si riferisce soci accomandatari; b) nel caso di società cooperative qualora utilizzino prevalentemente prodotti conferiti dai soci ed almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale; c) nel caso di società di capitali qualora oltre il 50% del capitale sociale sia sottoscritto da imprenditori agricoli a titolo principale».
L’art. 1 del d.lgs. 23/3/2004, n. 99, in vigore dal 7/5/2004, introduce la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale.
Si prevede che «ai fini dell’applicazione della normativa statale, è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro».
Al comma 3 si ribadisce la possibilità che anche le società di persone e di capitali possono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo professionale («le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: a) in caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari; c) nel caso di società di capitali (o cooperative), quando almeno un amministratore che sia anche socio della società cooperativa, sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale)».
Si chiarisce all’art. 1, comma 5quater , del d.lgs. n. 99 del 2004 che «qualunque riferimento nella legislazione vigente all’imprenditore agricolo a titolo principale si intende riferito all’imprenditore agricolo professionale, come definito nel presente articolo».
In dottrina, peraltro, si è evidenziato che non sarebbe conforme al principio di uguaglianza attribuire l’indennità aggiuntiva al proprietario imprenditore agricolo a titolo principale, che perde la sua attività a causa dell’RAGIONE_SOCIALEazione, ai sensi dell’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, e non riconoscerla all’affittuario che parimenti svolga un’attività agricola imprenditoriale, in quanto anche questi, per effetto dell’RAGIONE_SOCIALEo, subisce la perdita della sua attività. La disposizione di cui al comma 4 dell’art. 40 potrebbe indurre, dunque, ritenere che, anche l’affittuario – imprenditore a titolo professionale -ha diritto all’indennità aggiuntiva, benché il combinato disposto degli articoli 42 e 37, comma 9, depongano in senso contrario.
In realtà, però, il legislatore ha voluto – non irragionevolmente distinguere nettamente le figure del proprietario e dell’affittuario, in base al diverso rapporto con le aree non edificabili.
Pertanto, poiché il ricorrente ha allegato e dedotto di essere proprietario coltivatore diretto dei fondi, avrebbe dovuto chiedere l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, già in precedenza, quando ha presentato opposizione alla stima dei terreni agricoli RAGIONE_SOCIALEati, non essendo possibile richiedere l’indennità aggiuntiva in modo frazionato e separato rispetto all’indennità RAGIONE_SOCIALEativa complessiva di cui all’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001.
In base a quanto esposto non sussiste, allora, la violazione dell’art. 6 CEDU, che ha prospettato, in sede di discussione orale, la
Procura Generale sul rilievo secondo cui l’imposizione al proprietario coltivatore diretto di richiesta congiunta sia dell’indennizzo da RAGIONE_SOCIALEazione del terreno agricolo, sia della indennità aggiuntiva potrebbe rendere più difficile l’accesso alla tutela giurisdizionale in virtù di eccessivi formalismi nell’interpretazione della norma processuale, specie in tema di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi.
In realtà, però, non può non considerarsi che la parcellizzazione delle richieste di indennizzo, pure se di natura diversa (indennità per la perdita di valore dell’area e indennità aggiuntiva del proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo professionale), relative allo stesso terreno e alla stessa fattispecie ablatoria potrebbe integrare un’ipotesi di abuso del diritto.
Ed infatti, per questa Corte non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione «aggravativa» della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale; conseguentemente, le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili (Cass., sez. 6-2, 27/7/2018, n. 19898; Cass., n. 15746
del 2008; Cass., Sez. U., n. 4090 del 16/2/2017; Cass., Sez. U., n. 23726 del 15/11/2007; anche Cass., n. 6-2, 6/6/2019, n. 15398).
Insomma, i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo spingono per la conferma dell’orientamento tradizionale di questa Corte volto a impedire la proposizione dell’azione per il conseguimento dell’indennità da coltivazione del fondo in modo separato rispetto alla richiesta di indennizzo per la perdita del valore del terreno.
Del resto, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass., sez. 3, 7/3/2019, n. 6591).
La difesa della controricorrente, sul punto, ha correttamente evidenziato, nella discussione orale, che, nella specie, si è in presenza di un medesimo fatto costitutivo di entrambi i crediti. Dalla medesima RAGIONE_SOCIALEazione, infatti, sono originati sia il credito da perdita del valore del terreno, sia quello da perdita del lavoro impiegato nello sfruttamento agricolo dello stesso, coperto dalla indennità aggiuntiva.
Senza considerare, poi, che l’indennità aggiuntiva di cui all’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001 spetta anche
all’imprenditore agricolo a titolo professionale, ivi comprese le società di capitali, dotate, dunque, di una notevole capacità organizzativa, tale da consentire la richiesta congiunta della indennità di RAGIONE_SOCIALEazione legata al valore del terreno e di quella relativa alla coltivazione dello stesso.
Va, pure, rimarcato che il computo della indennità aggiuntiva risulta agevole, essendo determinato in base al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.
Tanto è vero che lo stesso ricorrente ha ammesso nel ricorso che «nell’anno 2009, la CPE di RAGIONE_SOCIALE ha determinato per la regione agraria di riferimento (S. NOME la Molara) e per la coltura del seminativo irriguo un indennizzo base di E 21.000,00 per ha, ovvero E 2,10 mq », con determinazione dell’indennità aggiuntiva pari ad euro 5.376,00 (euro 2,10 X mq 2560).
17. La diversità della posizione giuridica del proprietario coltivatore diretto rispetto a quelle del fittavolo, del mezzadro o del compartecipe emerge, poi, nitidamente dall’espressa previsione legale secondo cui solo il proprietario, che sia anche imprenditore agricolo a titolo professionale, ha diritto all’indennità aggiuntiva, mentre analoga estensione non è stata prevista dal legislatore per le altre categorie di soggetti suindicati.
18. In questa cornice, non riveste alcuna rilevanza nel senso invocato dal ricorrente e pure dalla Procura Generale il fatto che, nella specie, l’indennità aggiuntiva non fosse stata liquidata dall’amministrazione, poiché, anzi, proprio dalla mancata liquidazione e, dunque, dal mancato riconoscimento della suddetta indennità è conseguito l’onere a carico del ricorrente, in quanto proprietario coltivatore diretto, di attivarsi tempestivamente, nel
termine di legge, per opporsi e per rivendicare ogni suo diritto leso dall’ablazione.
Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della novità della questione giuridica trattata.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 settembre