Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3713 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3713 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
Oggetto: agenzia
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24712/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO.
-RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO.
-CONTRORICORRENTE-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2705/2019, pubblicata in data 19.6.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 8629/2018 il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’RAGIONE_SOCIALE, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di complessivi €. 186.871,95, di cui € 1140,00 a titolo di differenze provvigionali ed
€. 185.731,95 a titolo di indennità di fine rapporto ex art. 1751, oltre al pagamento delle spese di lite.
Con contratto del 3.5.2004 la società aveva ricevuto l’incarico di promuovere, in regime di esclusiva, la vendita dei prodotti RAGIONE_SOCIALE (pellicce con marchio Gianfranco Ferré Fourures e Pikenz) sul mercato dei paesi della ex Unione Sovietica; successivamente, in data 1.4.2005, era stata concordata una riduzione delle provvigioni dal 13 al 10% e poi, con scrittura integrativa, erano state ulteriormente modificate le condizioni contrattuali, con previsione di percentuali differenziate sulle vendite a seconda che il mandante avesse concluso affari con nuovi clienti (3%), con soggetti già clienti di RAGIONE_SOCIALE rientranti in un apposito elenco (7%) o con clienti presentati da RAGIONE_SOCIALE (10%). Il rapporto, instaurato nel 2004, era cessato nel 2009 per disdetta unilaterale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva corrisposto all’agente l’importo di € 44.901.08 a definizione di ogni residua pendenza.
La pronuncia di primo grado, impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla condanna al pagamento dell’indennità di fine rapporto, è stata confermata dalla Corte distrettuale di Milano, evidenziando che: a) già nel 2000 la RAGIONE_SOCIALE si era rivolta a NOME COGNOME, legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, affinché sondasse le opportunità offerte dal mercato per la vendita di pellicce dei territorio dell’ex Unione Sovietica, nel quale la preponente non aveva alcun cliente; b) dopo aver messo in liquidazione la RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE aveva creato la RAGIONE_SOCIALE, stipulando due contratti con la ricorrente, uno di agenzia e uno di rappresentante di commercio a titolo personale, procurando alla RAGIONE_SOCIALE, dal 2004 alla fine del rapporto, un portafoglio di circa 40 clienti, con un fatturato medio che si aggirava ancora nel 2010 a circa € 2.500.000 euro annui; c) l’agente aveva creato dal nulla una ricca
clientela e l’incremento degli affari della preponente erano tutti ascrivibili a suo merito e non a fattori estranei.
Sussistevano, secondo il giudice distrettuale, il requisito della permanenza dei vantaggi per il preponente dopo la conclusione del rapporto e l’equità dell’indennità liquidata in primo grado, calcolata sulla base del fatturato prodotto e delle somme versate a titolo di provvigioni.
Per la cassazione della sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale è infondata: il mandato è redatto su foglio munito da timbro di congiunzione con il ricorso, nativo analogico, ed è stato conferito in data successiva alla sentenza impugnata, essendo soddisfatti i requisiti di specialità richiesti per il giudizio di cassazione, dovendo la procura sussistere, e risultare validamente conferita, sull’originale depositato in cancelleria (Cass. 35466/2020).
A seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c., disposta dalla legge n. 141 del 1997, detto requisito è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, che fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, occorrendo considerare che, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., nei casi dubbi la procura va comunque interpretata, attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti (Cass. s.u. 36057/2022; Cass. s.u 2075/2024).
E’ perciò irrilevante che la procura faccia riferimento anche a facoltà difensive tipiche del giudizio di merito, non risultando, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, né che sia stata notificata a mezzo PEC in formato ‘pdf’, anziché ‘p7m’ (data l’equivalenza dei due formati ai sensi degli artt. 83, comma 3, c.p.c., 18, comma 5, del D.M. n. 44 del 2011 e 19 bis, commi 2 e 4, del decreto dirigenziale n. 44 del 2011 – Ministero della Giustizia: Cass. s.u. 10266/2018); non rileva, quindi, la mancanza di firma digitale, firma che è presente sul documento analogico, occorrendo ribadire che la procura rilasciata su supporto analogico ai sensi dell’art. 16 undecies del D.L. n. 179 del 2012, deve essere da questi sottoscritta con firma autografa e, successivamente, trasformata in copia informatica di documento analogico, salva la conformità all’originale che deve essere attestata dal difensore nella relata di notifica (Cass. 6318/2023).
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1751 c.c. e 2697 c.c. 115 c.p.c. e vizio di motivazione, sostenendo che la Corte di merito non abbia accertato con il dovuto rigore la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennità meritocratica e, in particolare, il reale incremento del numero di clienti per effetto esclusivo dell’opera dell’agente e il permanere dei vantaggi economici anche dopo la cessazione del rapporto, ed abbia omesso il necessario confronto tra il fatturato in corso di rapporto e quello risultante al momento del recesso, avendo il c.t.u. indicato un solo dato, relativo al 2010, ed individuato gli importi spettanti in astratto all’agente, non quelli effettivamente dovuti .
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 61, 64, 101, 115 e 191 c.p.c., per avere la Corte di merito accolto la domanda sulla base di fatti accertati dal consulente e che, invece, la società
non abbia dato prova dell’incremento degli affari procurato alla ricorrente e del permanere dei vantaggi economici anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia.
Deduce la ricorrente che non era affatto pacifico che fosse stata la RAGIONE_SOCIALE ad aver procurato l’intera clientela nella zona in esclusiva e che le dichiarazioni rese in proposito dal COGNOME, amministratore della società, erano inutilizzabili, essendo egli rimasto estraneo al presente giudizio, occorrendo, inoltre, tener conto dell’alterità soggettiva tra la persona fisica dell’agente, che aveva procurato un notevole incremento degli affari, e la società resistente di cui questi era amministratore (RAGIONE_SOCIALE) e che non aveva procurato alcun vantaggio alla preponente.
La Corte di merito avrebbe, infine, valorizzato estratti conto acquisiti irritualmente dal c.t.u. e un semplice elenco clienti, senza verificare l’ammontare del fatturato per gli anni successivi allo scioglimento del contratto.
2.1. I due motivi sono infondati.
L’ indennità in caso di cessazione del rapporto (c.d. meritocratica) prevista dall’art. 1751 c.c., introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 303/1991, spetta all’agente quando questi abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora, dopo la cessazione del rapporto, sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
Il fatto costitutivo del diritto è, quindi, la cessazione del rapporto (che non deve dipendere ai fatti elencati al comma secondo dell’art. 1751 c.c. ), unitamente alle descritte condizioni di legge, originariamente previste in via alternativa e, poi, cumulativamente per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 5 del d.lgs. 65/1999.
Non è, perciò, sufficiente che il recesso non sia imputabile all’agente dovendo sussistere in positivo tutte le altre condizioni di legge per il riconoscimento dell’indennità (Cass. 21602/2019; Cass. 20047/2016; Cass. 24776/2013).
La prova della spettanza del diritto compete all’agente (Cass. 4056/2008), salvi i temperamenti che discendono dal principio di vicinanza alle fonti di prova riguardo ai fatti la cui dimostrazione possa esser data solo dal preponente.
Il giudice deve -inoltre -stabilire se l’indennità sia equa ( Cass. n. 15203/2010; Cass. n. 23996/2008) in base ad una verifica in concreto, valutando le sole ” circostanze del caso”, intendendosi per tali tutti gli elementi, ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, che siano idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del “quantum” spettante all’agente (Cass. 21337/218; Cass. 15203/2010; Cass. 23996/2008).
L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.
L’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, non prevede, tuttavia, un calcolo da compiere in maniera analitica, ma consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima (cfr. Cass. 23966/2008; Cass. 15203/2010; Cass. 15375/2017).
Nel caso in esame la Corte di merito ha posto in rilievo come fosse incontestato -e quindi sottratto al thema probandum – che la RAGIONE_SOCIALE avesse creato dal nulla un ricca clientela, tanto risultando, peraltro, anche dalle premesse del contratto di incarico ove era detto che la RAGIONE_SOCIALE operava nella zona in esclusiva essenzialmente tramite l’opera della RAGIONE_SOCIALE
Era inoltre pacifico che il contratto di agenzia, perfezionato nel 2004, fosse stato preceduto da un rapporto di consulenza commerciale e che NOME COGNOME, amministratore dell’RAGIONE_SOCIALE dal 2004, fosse stato incaricato di sondare le opportunità di mercato per la vendita di pellicce nei territori dell’est europeo in cui la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai avuto clienti.
L ‘intera clientela acquisita dal 2004 (circa 40 nuovi clienti) non poteva, quindi, che considerarsi il frutto dell’attività svolta dall’RAGIONE_SOCIALE , non essendo riconducibile a fattori estranei o ad un particolare sforzo promozionale posto in essere dalla preponente .
Il rapporto di agenzia si era sviluppato proficuamente per oltre 6 anni fino al dicembre 2009; anche successivamente, nel 2010, la RAGIONE_SOCIALE aveva realizzato un fatturato medio di € 2.500.000, sempre grazie all’opera dell’agente.
L’indennità liquidata è, infine, risultata equa, considerata anche l’assenza di contestazioni sul punto.
2.1. In definitiva, il riconoscimento dell’indennità meritocratica si fonda, in primis, sulla condotta processuale di non contestazione, da parte della resistente, di circostanze decisive per il giudizio, oltre che sulle risultanze della c.t.u., espletata sui documenti prodotti dalla attrice.
Nessuna censura può muoversi alla sentenza quanto all’osservanza del criterio dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. (norma
che può invocarsi se il giudice abbia definito la causa facendo gravare l’onere della prova dei fatti dedotti a carico della parte che non era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, non per censurare il modo in cui siano state valutate le prove; cfr., Cass. 15107/2013; Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018; Cass. 31224/2023), ed anzi, un problema di violazione della norma neppure si pone per le circostanze allegate dall’attrice, risultate pacifiche in causa.
In tal caso il giudice può considerarle provate senza necessità di ulteriore dimostrazione, potendo astenersi da qualsivoglia controllo probatorio in merito (Cass. 5429/2020; Cass. s.u. 761/2002; Cass. 1540/2007; Cass. 12517/2016; Cass. 5429/2020).
Le deduzioni formulate a pag. 22 del ricorso, ove solo genericamente si riferisce di contestazioni relativamente al fatto che l’intera clientela fosse stata opera dell’agente, appaiono generiche, prive della necessaria illustrazione delle difese proposte nei gradi di merito a confutazione delle tesi e delle circostanze allegate ex adverso, e che, inoltre, appaiono proposte tardivamente nella memoria conclusionale di replica in appello. La valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all’esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modifica domande eccezioni e conclusioni, restando esclusa la possibilità di sollevare contestazioni in appello, specie riguardo a fatti già ritenuti pacifici in primo grado (cfr. Cass. 4747/2023; Cass. 31402/2019; Cass. 26859/2013).
2.2. Non occorreva, pertanto, una specifica dimostrazione della pluralità di elementi convergenti (precedente assenza di clienti RAGIONE_SOCIALE sulla zona in esclusiva, acquisizione di una cospicua clientela dal 2004 in poi, dopo la stipula del contratto di agenzia, notevole entità del fatturato sia in costanza di rapporto che, successivamente, nel 2010), che già il Tribunale aveva ritenuto pacifici (cfr. sentenza pag. 6-7), del tutto idonei a dar conto della spettanza dell’indennità e, per giunta, avvalorati dalle cospicue provvigioni (di cui si si fa menzione nel controricorso) versate alla RAGIONE_SOCIALE, a conferma degli effetti vantaggiosi conseguiti.
Nessun ruolo di supplenza nell’adempimento dell’onere della prova ha, quindi, svolto il c.t.u., essendosi limitato a verificare la spettanza dell’indennità sulla base del prospetto dei clienti e delle vendite depositato in atti (cfr. sentenza, pag. 6), nel rispetto dei compiti che l’ausiliario può legittimamente svolgere, potendo questi accertare, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, tutti i fatti il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti rilevabili d’ufficio (Cass. s.u. 3086/2021).
Il fatturato della società, inesistente nel 2000 (cfr. sentenza pag. 6) ma notevolmente incrementatosi a partire dalla stipula del contratto nel 2004, fino a raggiungere un importo medio annuo che ancora nel 2010 era pari ad € 2.500.000,00, ha funto da indispensabile indicatore dei vantaggi ottenuti dalla preponente nel corso dell’intero rapporto e oltre la sua scadenza ( salva la flessione degli utili registrata nel 2009, che però aveva provvisoriamente inciso per un periodo circoscritto e per cause congiunturali
sfavorevoli), sulla già evidenziata premessa che l’intero volume di affari nella zona di esclusiva era stato opera dell’intermediazione dell’RAGIONE_SOCIALE
Non si configura, infine, alcuna violazione del contraddittorio e dei diritti di difesa per aver la sentenza considerato il ruolo svolto dal COGNOME – non evocato in giudizio- prima della costituzione del rapporto di agenzia, avendo la RAGIONE_SOCIALE potuto esercitare con pienezza i diritti di difesa rispetto a suddetti elementi fattuali, sottoposti al contraddittorio delle parti in quanto oggetto di allegazione, e, comunque, mero antefatto delle vicende rilevanti per la decisione, utile a chiarire che la COGNOME non aveva contatti commerciali nei mercati dell’est, non potendo infine ravvisarsi alcuna confusione o sovrapposizione tra il ruolo svolto dal RAGIONE_SOCIALE in proprio e quello assunto nella veste di amministratore della RAGIONE_SOCIALE nello sviluppo degli affari nella zona di esclusiva, avendo la Corte di merito chiaramente attribuito all’opera dell’agente la creazione dell’intero fatturato nell’arco di tempo considerato.
3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1751 c.c. e delle clausole dell’AEC settore commercio del 2010, nonché il difetto di motivazione, sostenendo che l’indennità meritocratica doveva essere calcolata confrontando il fatturato sussistente all’inizio e quello risultante al termine del rapporto di agenzia in applicazione dei criteri del suddetto Accordo economico collettivo, allo scopo di accertare il livello percentuale di incremento del fatturato e la misura percentuale dell’indennità massima, detratto l’importo già dovuto a titolo di indennità di risoluzione del rapporto e dell’indennità suppletiva di clientela.
Il motivo è inammissibile.
L’applicabilità dell’Accordo economico collettivo del 2010 nel settore commercio, ai fini della quantificazione dell’indennità meritocratica, è tema non trattato nella sentenza impugnata e di cui il ricorso non chiarisce se e in che modo sia stato dedotto nei gradi di merito.
Giova considerare che, qualora con il ricorso siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla RAGIONE_SOCIALE di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 23675/2013; Cass. 15430/2018; Cass. 20694/2018).
La censura postula, poi, l’ incondizionata prevalenza sulle norme collettive sui criteri di calcolo prescritti dall’art. 1751 c.c. , trascurando che detta previsione, che ha dato attuazione all’art. 17 della comunitaria 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 «relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, è inderogabile in peius ma non in melius (art. 1751, ultimo comma c.c.), rendendo semmai necessaria una verifica caso per caso, da compiere nel giudizio di merito, per stabilire se le norme collettive risultino di maggior favore rispetto alla disciplina legale, in conformità con le indicazioni della pronuncia della Corte di Giustizia del 23 marzo 2006 C-465/04 che, sebbene riguardante gli AEC adottati nel 1992, ha stabilito un principio di carattere generale che vale anche per la contrattazione successiva.
Il comma 3 dell’art. 1751 c.c. fissa soltanto il limite massimo consentito dalla legge per la determinazione dell’indennità in via equitativa, senza stabilirne l’inderogabilità , prevista esclusivamente per il limite minimo regolato dal successivo comma 6 (Cass. 15203/ 2010; Cass. 15375/2017).
Si è perciò affermato da questa Corte che, ove sussistano i presupposti per riconoscere l’indennità meritocratica ai sensi dell’art. 1751 c.c.., l’applicazione degli accordi collettivi riguardo al metodo di quantificazione, esige una verifica – non secondo una valutazione complessiva “ex ante” dell’operato dell’agente, ma secondo un esame dei dati concreti “ex post” -per stabilire se, fermi i limiti posti dall’art. 1751, comma 3, c.c., l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità (Cass. 486/2016; Cass.6783/2020).
Il ricorso è -in conclusione -respinto, con aggravio delle spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in €. 6000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda