Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22550 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22550 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4475/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTI- contro
COGNOMENOME COGNOME rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 1667/2019, depositata il 26/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1667/2019, la Corte d’Appello di Ancona ha riformato la pronuncia con cui il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato NOME COGNOME per le prestazioni professionali finalizzate alla costituzione di una società,
e ha condannato NOME COGNOME, erede del COGNOME , deceduto in pendenza di causa, al pagamento delle spese.
Secondo il primo giudice, non vi era prova del conferimento dell’incarico da parte degli opponenti e l’attività del difensore era, inoltre, strumentale ad un suo ingresso nella costituenda società.
Respinta preliminarmente l’eccezione di incompetenza territoriale, la Corte d’Appello ha ritenuto provati il conferimento dell’incarico professionale e l ‘utile svolgimento delle prestazioni, affermando che il professionista aveva titolo al compenso non avendo mai acquisito la qualità di socio, dovendo gli opponenti rispondere del debito poiché l’incarico era stato conferito allorquando la società non era stata costituita.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME COGNOME e COGNOME Gianni Paolo con ricorso in tre motivi, cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 115, 116, 633, 634 c.p.c., 2230, 2233 e 2697 c.c., per aver la Corte disatteso il criterio dell’onere della prova ed erron eamente interpretato le risultanze processuali. Sostengono i ricorrenti che il difensore aveva prestato la propria opera in previsione dell’entrata nella società, avendo diritto solo a percepire eventuali utili.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 3 e 33 d.lgs. 206/2005, 1182 c.c., 20, 38 e 637 c.p.c., riproponendo l’eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito, sul rilievo che i ricorrenti avevano assunto, nei rapporti con il difensore, la qualità di consumatori, restando esclusa anche la possibilità di adire il tribunale del luogo in cui aveva sede il Consiglio dell’ordine che aveva rilasciato il parare di congruità della parcella.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 2463, comma secondo, n. 9 c.c. e l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, sostenendo che vi era prova documentale che l’attività professionale fosse stata svolta nell’es clusivo interesse della società RAGIONE_SOCIALE, alla quale erano state inoltrate le notule degli onorari maturati dall’avvocato; si deduce l’irrilevanza del fatto che, al momento dell’incarico, la società non fosse stata costituita, poiché , per previsione dell’atto costitutivo, le spese di costituzione erano state accollate alle suddetta società.
Il secondo motivo di ricorso, che pone una questione pregiudiziale, va esaminato con priorità.
La censura è infondata.
La sentenza ha correttamente stabilito che i ricorrenti avevano conferito l’incarico professionale per scopi di carattere commerciale o professionale, essendo il contratto finalizzato alla costituzione di una società destinata ad operare nel settore degli impianti di energia fotovoltaica.
Non poteva operare il foro del consumatore: non riveste la qualità di consumatore una persona fisica quando, attraverso il contratto, si procuri un bene o un servizio nel quadro dell’organizzazione di un’attività professionale da intraprendere, prendendo l’iniziativa di ricercare il bene o il servizio stesso, proprio al fine di realizzare tale organizzazione.
Il foro esclusivo del consumatore trova applicazione soltanto con riferimento ai contratti conclusi al di fuori ed indipendentemente da qualsiasi attività o finalità professionale, sia attuale, che futura (Cass. 24731/2016; Cass. 20175/2006).
La domanda monitoria poteva -invece – esser proposta dinanzi al giudice della sede del Consiglio dell’ordine di appartenenza che aveva rilasciato il parere di congruità della parcella, ai sensi dell’art. 637, ultimo comma c.p.c., norma che opera se il difensore agisca con ricorso monitorio per il pagamento delle spettanze professionali ( anche ove si applichi l’art. 14 d.lgs. 150/2011: Cass. SU 4485/2018).
3. Il primo motivo è infondato.
La censura solleva mere questioni in fatto cui la sentenza ha dato soluzione esente da vizi logici, avendo stabilito che l’incarico era stato conferito dai ricorrenti e non dalla società, che all’epoca non era stata neppure costituita, evidenziando che l’opera prestata non poteva considerarsi un conferimento sociale, poiché il resistente non aveva mai acquisito la qualità di socio.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel contratto di prestazione d’opera professionale, un soggetto può legittimamente conferire l’incarico in favore di un terzo senza che questi assuma necessariamente la qualità di cliente, qualità che, pertanto, non assume rilievo ai fini del pagamento del compenso, di cui rimane onerato il committente (Cass. 19970/2020; Cass. 22233/2004).
Non sussiste alcuna delle lamentate violazioni di legge.
Non è denunciabile l’omesso esame di fatti decisivi, avendo il giudice svolto individuato i soggetti del rapporto professionale, non occorrendo dar conto di tutte le risultanze processuali (Cass. SU 8053/2014).
La sentenza non si basa sul criterio formale dell’onere della prova, ma sulla valutazione degli elementi acquisiti e su argomenti di ordine logico; per contro la violazione dell’art. 2697 c.c., denunciata in ricorso, si configura nella diversa ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni.
Per dedurre la violazione dell’art. 115 è invece necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, o contraddicendo espressamente la regola ivi prescritta, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, ossia
giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza, qui lamentata, che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. 11892/2016; Cass. S.U. n. 16598/2016). Analogamente può lamentarsi la violazione dell’art. 116 c.p.c. solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore o il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, il vizio consiste nell’errata valutazione delle risultanze , la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
4. Il terzo motivo è infondato.
Non si profila, nella specie, un problema di legittimazione passiva, ma di titolarità del rapporto di debito (Cass. SU 2951/2016), che la pronuncia ha motivatamente ravvisato in capo ai ricorrenti.
Il fatto che al momento della richiesta di pagamento la società fosse già costituita non è risolutivo, posto che, come detto, obbligati al pagamento del compenso erano i resistenti, avendo essi conferito l’incarico.
Riguardo alla violazione dell’art. 2463 c.c. e alla configurabilità di un accollo esterno dei costi di costituzione da parte della società, la questione non è esaminata nella sentenza, sicché i ricorrenti, per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della questione, avrebbero dovuto offrire tutte le indicazioni utili a verificare se il tema fosse stato dibattuto tra le parti, trascrivendo anche il contenuto dell’atto costitutivo : il giudizio di legittimità si esaurisce, difatti, nello scrutinio sul contenuto della sentenza e sugli aspetti controversi in causa.
Peraltro, l’art. 2463 c.c. si limita a richiedere, per esigenze di corretta informazione dei soci, che nell’atto costituto siano indicate le spese di costituzione -tra tutte quelle sostenute – poste a carico della società, senza necessariamente presupporre il perfezionamento di un accollo esterno con effetti liberatori degli originari obbligati, sì da consentire al creditore di agire solo verso la società di nuova costituzione.
Il ricorso è, quindi, respinto con aggravio delle spese.
Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali, liquidate in € 3 . 800,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda