Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27570 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27570 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20179-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1332/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/05/2020;
Lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Venezia in favore del geom. NOME COGNOME per la somma asseritamente dovuta titolo di compenso per le prestazioni professionali rese in favore dell’opponente, ed in relazione alla progettazione, di massima ed esecutiva, direzione dei lavori, assistenza al collaudo per vari cantieri siti in Pocenia, San Giorgio di Nogaro e Porpetto.
Assumeva l’opponente che non vi era stato alcun conferimento di incarico all’opposto e che quindi nulla era dovuto.
Nella resistenza del COGNOME, che insisteva per il rigetto dell’opposizione, il Tribunale adito con la sentenza n. 588/2014 ha rigettato l’opposizione e la pronuncia era oggetto di appello da parte della società cui resisteva il professionista.
La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1332 del 25 maggio 2020 ha rigettato l’appello.
Quanto alla dimostrazione dell’esistenza dell’incarico per il quale il creditore aveva agito in giudizio, la Corte d’Appello osservava che anche le attività che avevano preceduto la vendita dei terreni in favore dell’appellante, e consistite nel compimento di tutte le attività necessarie per assicurare che i terreni fossero anche muniti di provvedimento abilitativo della costruzione, dovevano reputarsi essere state commissionate al Coz dalla società.
Occorreva tenere conto del ridotto valore delle prestazioni relative alle pratiche prodromiche rispetto all’ammontare complessivo delle prestazioni svolte dall’appellato per conto della società, il che induceva a reputare ragionevole che anche tale incarico fosse
stato sollecitato dalla committente. Inoltre, ricorreva un brevissimo lasso di tempo tra il rilascio della concessione edilizia, al quale aveva concorso l’attività del Coz, e la successiva vendita dei terreni, dovendosi presumere che la prestazione fosse stata richiesta proprio in vista dell’imminente acquisto.
Quanto al rilascio di un assegno, la diversa giustificazione causale addotta dalla società contrastava con la natura di mezzo di pagamento del titolo in questione, il che escludeva che potesse reputarsi verosimile la diversa funzione di garanzia di altre obbligazioni che allo stesso voleva annettere la difesa della società.
Inoltre, il geometra nel corso del rapporto aveva emesso alcune fatture, di cui la n. 14 del 2003 recava una causale riferita proprio alle prestazioni per le quali aveva agito in INDIRIZZO monitoria. Tale fattura era stata regolarmente ricevuta dalla società, che l’aveva anche inserita nella propria contabilità, elemento questo che appariva idoneo a concretizzare il quadro di gravità, precisione e concordanza per affermare la sussistenza in via presuntiva dell’incarico contestato.
Peraltro, emergeva che il COGNOME avesse anche svolto l’attività di direttore dei lavori sui vari cantieri aperti dalla controparte. Né in alcuni casi rilevava la mancanza di una progettazione esecutiva, posto che il COGNOME, già autore del progetto di massima, era stato designato anche come direttore dei lavori ed in tale ultima veste avrebbe potuto supplire ad eventuali carenze progettuali manifestatesi nel corso dei lavori.
La documentazione prodotta confermava l’esecuzione dell’attività di progettazione.
Quanto alle critiche che investivano il quantum delle somme richieste, la Corte d’Appello le riteneva generiche ed inidonee a confutare quanto era stato accertato anche tramite l’ausilio della CTU, atteso che la prova delle prestazioni eseguite era stata fornita in via documentale.
Anche il parere del RAGIONE_SOCIALE asseverava la bontà della pretesa del RAGIONE_SOCIALE, non senza rilevare che per le prestazioni a vacazione non è necessaria una prova dettagliata, essendo funzionalmente connesse con quelle per le quali risultava offerta prova documentale.
Ancora, non vi era alcuna sovrapposizione tra le attività oggetto della richiesta monitoria e quella del tecnico successivamente incaricato dalla società, una volta cessato il rapporto con l’appellato, mancando altresì la prova di un abbandono improvviso del cantiere da parte del professionista. Infine, non si ravvisava alcun errore nell’elaborato del CTU in merito all’individuazione delle leggi applicabili, essendosi fatto correttamente riferimento alle previsioni di cui alla legge n. 144/1949, che non distingue per i geometri tra progetto definitivo e progetto esecutivo, a differenza della legge che disciplina l’attività degli ingegneri e degli architetti.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la EDL P.R.
RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
Coz NOME ha resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il AVV_NOTAIO Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge le ricorrenti hanno presentato istanza di decisione.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il AVV_NOTAIO, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. nonché l’inadeguata ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 co. 1, n. 5, c.p.c., in quanto la sentenza avrebbe affermato l’esistenza dell’incarico professionale in favore del COGNOME, in assenza di prova orale e documentale, sulla base di una serie di elementi presuntivi che non sono in alcun modo idonei a supportare tale conclusione, confortando la stessa con un ragionamento erroneo e fuorviante. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2230 e ss. c.c. nonché l’inadeguata motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione alla individuazione
delle attività per le quali è stato riconosciuto il compenso in favore del professionista.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
In primo luogo, è inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., la deduzione per entrambi i motivi del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., atteso che la sentenza di appello ha integralmente confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni di fatto che sostengono quest’ultima, avendo anzi reiteratamente dichiarato di condividere l’assunto del Tribunale, limitandosi solo a fornire una più chiara illustrazione delle ragioni secondo cui il ragionamento presuntivo del giudice di primo grado meritava di essere condiviso, ma senza che sia stata addotta alcuna diversa ragione di fatto a sostegno della decisione. Passando poi alle violazioni di legge, ritiene il RAGIONE_SOCIALE che, pur a fronte dell’individuazione in rubrica di norme asseritamente violate, la critica della ricorrente si risolve nella sollecitazione alla Corte a procedere ad una rivalutazione delle emergenze probatorie, al fine di pervenire ad una più appagante ricostruzione della vicenda in punto di fatto, in contrasto con quella del giudice di merito, che però si palesa logica e coerente, e supportata da ampia ed adeguata motivazione.
La sentenza impugnata, lungi dall’affermare che non fosse stata offerta la prova degli incarichi professionali, e ciò specialmente per quanto concerne il punto più dibattuto nel ricorso, per le attività finalizzate a far conseguire ad alcuni immobili, al momento ancora di proprietà aliena, i titoli abilitativi, di cui avrebbe poi potuto fruire la società, in vista del successivo acquisto, pur riconoscendo che non emergeva una univoca prova
di carattere documentale, e pur dando atto che il conforto delle prove orali non appariva risolutivo né per l’una che per l’altra posizione, ha però reputato che la prova favorevole alla tesi del COGNOME fosse stata offerta in via presuntiva, sulla base di una serie di elementi che, valutati nel loro insieme, permettevano di affermare che vi fossero presunzioni caratterizzate dalla gravità, precisione e concordanza.
Come già richiamato nella parte riassuntiva del contenuto della sentenza di appello, la sentenza impugnata dalla pagina 5 a pag. 7 ha analiticamente indicato quali erano gli elementi presuntivi che deponevano per la prova del conferimento dell’incarico in favore del Coz, attribuendo particolare rilevanza alla circostanza che la stessa società aveva inserito nella propria contabilità, senza sollevare alcuna contestazione al momento della ricezione, una fattura la cui causale era chiaramente riferibile anche alle prestazioni che la società invece contesta esser state effettuate su propria richiesta, reputando che tale elemento, in una lettura unitaria degli altri elementi, permettesse di dare agli stessi una complessiva lettura favorevole all’opposto.
Deve, quindi, escludersi che ricorra la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto non ricorre alcuna indebita inversione dell’onere della prova, atteso che la Corte d’Appello, concordemente con il Tribunale, ha ritenuto che invece fosse stata data la prova, sebbene in via presuntiva, dell’esistenza degli incarichi ai quali si correlava la richiesta di pagamento del Coz.
La critica della ricorrente si sostanzia nella censura all’utilizzo da parte dei giudici di merito delle c.d. presunzioni semplici e, quindi, a quelle cui allude l’art. 2729 cod. civ., ancorché tale norma non venga formalmente evocata. Ora, come precisato da Cass. S.U. n.
1785/2018, la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare (come altrove venne sostenuto: Cass. n. 17457 del 2007; successivamente. Cass. n. 17535 del 2008; di recente: Cass. n. 19485 del 2017) sotto i seguenti aspetti:
aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius:fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma;
bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.
Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro – almeno secondo l’opinione preferibile – che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile,
invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l’inferenza presuntiva sia “certa”). La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti. La concordanza esprime – almeno secondo l’opinione preferibile un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione “non falsa” dell’art. 2729 cod. civ.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.
Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. Essa può, pertanto, essere investita ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto
un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza.
In base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito -assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi.
Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza
spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali).
In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. (falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria.
Ebbene, avuto riguardo alle critiche della società, la lunga illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma nei termini su indicati, ma si risolve talora solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti ripercorse in sentenza così che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un
vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ. e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (come detto però inammissibile).
La ricorrente, come ad esempio in relazione alla vicenda del rilascio dell’assegno, contrappone la propria versione dei fatti a quella invece offerta dal giudice di merito, in adesione alle tesi del controricorrente, trascurando la circostanza che l’apprezzamento del ricorrere dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., è frutto di una valutazione combinata e complessiva degli elementi indiziari, e sostenendo invece, in contrasto con il corretto metodo di valutazione della prova indiziaria, che debba procedersi ad una valutazione atomistica dei singoli elementi, laddove è proprio la visione unitaria e complessiva che consente di apprezzare la concordanza e far sì che ognuno degli elementi funga da indice di rafforzamento di quel quadro probatorio che valutato in maniera frazionata di per sé non avrebbe l’adeguata valenza inferenziale.
Quanto alle critiche che invece investono la quantificazione del documento, anche in questo caso si risolvono in una inammissibile contestazione delle valutazioni di fatto operate dal giudice di merito, mediante la sistematica riproposizione delle tesi difensive svolte in sede di merito, e reputate inconferenti dalla sentenza impugnata con ampia ed adeguata motivazione.
Talvolta si fa richiamo alle osservazioni del proprio consulente di parte, in altri punti si riprendono alcune affermazioni del CTU, che si sostiene non sarebbero state adeguatamente valorizzate in sentenza, in altri casi si reputa che non vi sarebbe stata una prova delle singole prestazioni eseguite (si pensi al profilo relativo al riconoscimento delle vacazioni).
Trattasi però di profili che sono stati tutti esaminati dalla sentenza di appello e che al più potrebbero essere sussunti nel vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., la cui deducibilità è però preclusa.
Soprattutto la censura non si avvede del fatto che la motivazione della sentenza impugnata, pur mostrando di condividere le conclusioni cui era pervenuto l’ausiliario di ufficio, non si risolve in una acritica adesione alla stessa, avendo riferito di ritenere che la prova dell’attività svolta fosse stata offerta documentalmente e che anche per alcune delle prestazioni per le quali il CTU mostrava delle incertezze, doveva reputarsi documentato il diritto al compenso, come per il caso delle vacazioni (essendo prestazioni di regola richieste in funzione di quelle per le quali era stata offerta prova documentale), essendo la valutazione di fondatezza della domanda dell’opposto supportata anche dal parere espresso dal RAGIONE_SOCIALE, che andava quindi a completare il quadro probatorio già adeguatamente supportato dagli esiti della CTU e dal materiale documentale in atti.
Le censure di cui al secondo motivo appaiono inammissibili in quanto rivolte a contestare, in maniera non consentita, la valutazione in fatto del giudice di merito, al di fuori delle ipotesi in cui è ammesso il sindacato del giudice di legittimità.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il
terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all ‘applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 7.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a € 2.500,00, nonché al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda