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Incarico professionale: chi paga? Società o socio?

Un professionista ha citato in giudizio gli eredi del presidente di una società per il pagamento delle sue parcelle. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che l’incarico professionale era stato conferito dal presidente per conto della società e non a titolo personale. L’elemento decisivo è stato il contenuto del mandato scritto, che legava l’attività del professionista ai doveri aziendali, esonerando così gli eredi dal pagamento personale.

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Incarico Professionale: Chi Paga? La Società o il Socio Amministratore?

Quando un amministratore affida un incarico professionale a un consulente, chi è tenuto a pagare il compenso: l’amministratore come privato cittadino o la società che rappresenta? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti fondamentali su questa distinzione, sottolineando l’importanza del tenore letterale del mandato conferito. Questo caso offre spunti cruciali per professionisti e amministratori su come definire correttamente i rapporti di consulenza per evitare future controversie.

I Fatti di Causa

Un commercialista otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento della sua parcella nei confronti di un presidente del consiglio di amministrazione di una S.r.l. e di sua moglie. Essi si opponevano, dando inizio a una causa. In primo grado, il Tribunale condannava gli opponenti al pagamento di una somma ridotta.

La vedova del presidente, nel frattempo deceduto, proponeva appello. La Corte d’Appello ribaltava la decisione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il commercialista alla restituzione di quanto già ricevuto. Secondo i giudici di secondo grado, l’incarico non era stato conferito dal presidente a titolo personale, ma nella sua qualità di rappresentante legale della società e nell’interesse di quest’ultima. Il professionista, non soddisfatto, ricorreva quindi in Cassazione.

La Questione Giuridica: Incarico Personale o Societario?

Il cuore della controversia ruotava attorno all’interpretazione della natura dell’incarico professionale. Il ricorrente sosteneva che le attività svolte andassero oltre i semplici doveri informativi del presidente verso il CdA e fossero finalizzate a un interesse personale di quest’ultimo, come la valutazione delle proprie quote per una futura cessione o la necessità di precostituirsi prove per evitare una responsabilità personale.

Di contro, la Corte d’Appello aveva valorizzato il contenuto di una lettera di incarico datata gennaio 2005, in cui si specificava che il mandato proveniva dal soggetto in qualità di Presidente del CdA e consisteva nella revisione dell’operato dell’amministratore delegato, con accesso alle scritture contabili. L’obiettivo era ottenere un quadro chiaro della situazione patrimoniale da presentare al CdA, un compito pienamente rientrante nei doveri imposti dalla legge (art. 2381 c.c.) al presidente.

L’importanza del Mandato Scritto nell’Incarico Professionale

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso del professionista, confermando la decisione d’appello. I giudici hanno stabilito che la Corte territoriale aveva correttamente interpretato i fatti, basando la sua decisione sull’unico atto scritto e bilaterale: la lettera di incarico. Questa prova documentale indicava in modo inequivocabile che il committente agiva in nome e per conto della società.

La tesi del ricorrente, secondo cui l’interesse fosse personale, è stata considerata una mera reinterpretazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. La Corte ha chiarito che le attività svolte dal professionista erano funzionali a soddisfare un dovere informativo del Presidente verso l’organo amministrativo, un interesse quindi direttamente riconducibile alla società.

Le Motivazioni della Cassazione

La Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo importanti principi di diritto.

Primo Motivo: L’imputazione del rapporto: La Corte ha ribadito che, per stabilire a chi imputare un contratto, è fondamentale analizzare il tenore letterale dell’accordo. Nel caso di specie, la lettera di incarico menzionava esplicitamente la qualifica di “Presidente del CDA”, rendendo chiaro che egli agiva in virtù della sua carica (rappresentanza organica) e non a titolo personale. Qualsiasi attività ulteriore, non prevista da quel mandato, non poteva essere automaticamente addebitata alla stessa persona a titolo privato, specialmente se basata su un documento unilaterale come la parcella del professionista.

Secondo e Terzo Motivo: La prova dell’incarico e l’omesso esame: Il professionista lamentava che la Corte d’Appello avesse ignorato altre attività da lui svolte e documentate, che avrebbero provato un incarico più ampio e di natura personale. La Cassazione ha respinto queste censure, qualificandole come un tentativo di ottenere un nuovo giudizio di merito. La Corte ha chiarito che l'”omesso esame di un fatto decisivo” non si configura quando il giudice ha comunque considerato il fatto storico rilevante (in questo caso, l’esistenza e l’oggetto dell’incarico), anche se non ha dato conto di ogni singola prova. Una volta stabilito che la fonte del rapporto era la lettera scritta, le attività extra-mandato, non supportate da una specifica richiesta dei committenti, non potevano fondare una pretesa di pagamento.

Quarto Motivo: La posizione della moglie: Infine, è stata respinta anche la censura relativa alla presunta esistenza di un incarico conferito dalla moglie del presidente. In assenza di un incarico scritto o di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, non era possibile desumere un suo coinvolgimento personale nel conferimento del mandato.

Conclusioni

La decisione della Suprema Corte riafferma un principio cardine: per determinare il soggetto obbligato al pagamento di un incarico professionale, è determinante il modo in cui il mandato è stato conferito. Un amministratore che agisce spendendo la propria qualifica e per finalità riconducibili alla gestione societaria, impegna la società e non sé stesso. Per i professionisti, ciò significa che è fondamentale formalizzare per iscritto ogni incarico, specificando chiaramente chi sia il committente (la persona fisica o l’ente) e quale sia l’oggetto della prestazione. Affidarsi a prove unilaterali o a interpretazioni estensive del mandato espone al rischio di vedersi negato il compenso.

Quando un incarico professionale conferito dall’amministratore di una società si intende dato per conto della società e non a titolo personale?
Si intende conferito per conto della società quando il mandato specifica che l’amministratore agisce nella sua qualità di rappresentante dell’ente (es. “Presidente del CdA”) e l’attività richiesta è funzionale a doveri o interessi legati alla gestione societaria, come adempiere a compiti informativi verso il consiglio di amministrazione.

La parcella emessa da un professionista è sufficiente a provare l’estensione di un incarico professionale?
No. La parcella è un atto unilaterale del professionista e non può, da sola, provare né l’esistenza né l’estensione di un incarico che vada oltre quanto concordato. Per provare un incarico più ampio rispetto a quello scritto, sono necessari altri elementi probatori che dimostrino una specifica richiesta da parte del committente.

Come si può dimostrare che un socio o un amministratore ha conferito un incarico professionale a titolo personale in assenza di un contratto scritto?
In assenza di un contratto scritto, la prova può essere fornita attraverso altri elementi, come testimonianze o presunzioni “gravi, precise e concordanti”, che dimostrino in modo inequivocabile la volontà del singolo di assumere l’obbligazione a titolo personale per un interesse proprio e non riconducibile a quello della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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