Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10123 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 16335/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nonché SASTRI CARMELO in proprio
– intimati –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Napoli, n. 4975/2019, depositata il
14.10.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.2.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE concluse in data 14.11.2007 con la RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE un contratto di affitto d’azienda per la gestione di un bar/discoteca sito in Napoli, per la durata di un anno, per il canone di € 48.000,00 oltre IVA. Prima della scadenza del termine, il Sastri provvide però a sostituire la serratura del locale, imposess andosene contro la volontà dell’affittuaria. A seguito di denunce in sede penale, venne così avviato a carico del Sastri un procedimento per truffa, che si concluse con la sua assoluzione per intervenuta prescrizione. Frattanto, la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME (sia quale suo l.r., che in proprio), NOME COGNOME (socio di maggioranza della predetta società) e la di lui madre NOME COGNOME convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio, la società chiedendo di accertare e dichiarare la risoluzione del contratto d’affitto d’azienda per inadempimento; la società stessa, NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo di aver concluso oralmente con il RAGIONE_SOCIALE, nel maggio 2007 (dunque, prima della conclusione del contratto d’affitto d’azienda), un accordo preliminare per la cessione delle quote sociali possedute dallo stesso RAGIONE_SOCIALE nella RAGIONE_SOCIALE, corrispondendo a tal fine, in varie soluzioni -tra il giugno 2007 e la seconda metà del 2008 la complessiva somma di € 343.450,00, di cui € 250.450,00 con assegni (alcuni dei quali emessi dalla Canonico, per € 79.000,00, per adiuvare finanziariamente il figlio) e il resto in contanti; chiesero pertanto accertarsi il mancato rispetto della promessa di cessione da parte del
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Sastri e la sua condanna alla restituzione delle maggiori somme corrisposte, in subordine proponendo domanda di ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c.
Nel contraddittorio con i convenuti, il Tribunale di Napoli, con sentenza dell’11.4.2013, accolse la domanda della società attrice ex art. 1453 c.c., dichiarando la risoluzione del contratto di affitto d’azienda per inadempimento della concedente e condannando i convenuti in solido al pagamento di € 40.000,00, pari al valore delle attrezzature relitte dall’affittuaria nei locali e non restituitele; rigettò le domande inerenti alla cessione delle quote e alla conseguente restituzione delle somme; dichiarò inammissibile la domanda riconvenzionale tardivamente proposta dai convenuti, volta ad ottenere il pagamento della somma di € 77.970,00, relativa ad assegni non andati a buon fine, corrisposti dagli attori.
La sentenza venne appellata in via principale dagli attori, per l’accoglimento delle domande non accolte, e dai convenuti, sia in relazione alla statuizione sulla risoluzione del contratto, sia per contestare la ritenuta inammissibilità della riconvenzionale.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 14.10.2019, rigettò entrambi gli appelli. Rilevò in particolare, per quanto qui interessa, l’infondatezza del gravame principale, osservando: in primo luogo, che correttamente il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la prova per testi articolata dagli attori sulla prova del preliminare di cessione, in forza del disposto dell’art. 2721 c.c., stante l’eccedenza di valore rispetto al limite di legge, tempestivament e eccepita dai convenuti; che, quanto alla ripet izione d’indebito, la domanda era contraddittoria e comunque non provati risultavano i dedotti pagamenti, pure contestati dai
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convenuti, neppure avendo fornito gli attori la prova positiva della non sussistenza di alcuna altra causa solvendi ; che la sussistenza di diversi eventi ‘atipici’ (subentro della RAGIONE_SOCIALE ad altra società affittuaria, la RAGIONE_SOCIALE, prima della scadenza; la durata di un solo anno del contratto; l’esistenza di una controscrittura di modifica; la genericità delle somme versate in contanti; la presenza di soggetti estranei alle vicende contrattuali, nondimeno vantanti pretese restitutorie) denotava l’ indeterminatezza de ll’insieme dei rapporti tra le parti, non adeguatamente provati; che, del pari, la domanda sulla restituzione della caparra di € 60.000,00 non era stata adeguatamente provata.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di nove motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c .p.c., in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., ritenendo sussistere un vizio di ultrapetizione, per aver la Corte d ‘a ppello sostanzialmente rilevato d’ufficio l’inammissibilità della prova testimoniale per il fatto che il contratto superava il limite di valore di cui all’art. 2721 c.c., posto che l’eccezione dei convenuti concerneva la diversa questione del difetto di forma scritta ex art. 2725 c.c.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 112 c .p.c., in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte omesso di pronunciarsi sulla richiesta di prova sui capitoli ritenuti ininfluenti dal Tribunale (oltre che inammissibili, ut supra ).
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1.3 Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 111 , comma 6, Cost., e dell’art. 36 , comma 2, n. 4, c.p.c. ( rectius, dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.) in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., nella parte in cui -riguardo all ‘azione di ripetizione dell’indebito – la sentenza presenta una motivazione apparente, essendosi del tutto trascurate le produzioni documentali.
1.4 Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 2719 c .c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello trascurato i prodotti documenti comprovanti i pagamenti delle somme in favore del Sastri.
1.5 Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 167 , comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello attribuito valore ad una controscrittura di cui non vi era traccia nel giudizio di primo grado.
1.6 Con il sesto motivo si lamenta la violazione degli artt. 2033 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo la Corte d ‘a ppello correttamente applicato i principi che governano il riparto de ll’ onere probatorio. 1.7 Con il settimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c .p.c. in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., avendo la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sull’azione di ripetizione d’indebito proposta da NOME COGNOME.
1.8 Con l’ottavo motivo si lamenta la violazione de gli artt. 2033 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c.; nell’ipotesi in cui si ritenesse che la domanda di ripetizione della Canonico sia stata implicitamente rigettata, si censura la decisione per violazione della regola del riparto dell’onere probatorio .
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1.9 Con il nono motivo si lamenta, infine, la violazione dell’art. 112 c .p.c., in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c., essendo la Corte territoriale incorsa nel vizio di ultrapetizione, là dove è stata respinta la domanda di restituzione della caparra di € 60.000,00, non rinvenendo la natura di garanzia della dazione, benché gli appellati nulla avessero obiettato in tal senso.
2.1 -In via preliminare, occorre osservare che il ricorso sconta una generale lacunosità nella esposizione dei fatti , in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ).
Anzitutto, non è ben chiaro, dalla narrazione, chi abbia agito in primo grado e quali domande siano state proposte: a parte la chiara posizione processuale riferibile alla RAGIONE_SOCIALE quanto al la risoluzione del contratto d’affitto d’azienda (su cui , peraltro, s’è formato il giudicato interno), nella stessa intestazione della sentenza d’appello è indicato , quale parte in proprio, tale NOME COGNOME che però non ha proposto ricorso (e non risulta evocato in questa sede di legittimità); nella stessa sentenza impugnata si evidenzia che questi ha agito in primo grado (parrebbe, in proprio) insieme alla società, ad NOME COGNOME e a NOME COGNOME. Dal ricorso si evince poi che egli avrebbe concluso l’accordo prima come legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (p. 5); poi emerge che la promessa avrebbe riguardato COGNOME e COGNOME, il primo anche in proprio (p. 6); e così via. Si fa poi riferimento a pagamenti effettuati mediante assegni tratti da c/c cointestato a COGNOME e COGNOME (p. 22).
In sostanza, già sul piano del contorno fattuale, la descrizione delle vicende processuali è estremamente nebulosa. Ciò che risulta chiaramente dalla prospettazione dei ricorrenti -a parte la domanda di risoluzione del contratto di
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affitto d’azien da -è che essi hanno chiesto l’accertamento della ‘promessa di cessione’ (in sostanza , si tratterebbe di un preliminare di cessione di quote sociali) e dell’inadempimento di tale accordo da parte del Sastri, con condanna alla restituzione delle maggiori somme pagate o, in subordine, alla restituzione dell’indebito tout court ex art. 2033 c.c.
Anche per tale ultima domanda, a parte l’assenza di dubbi sulla posizione di NOME COGNOME, dalla stessa prospettazione del ricorso non si evince chiaramente chi abbia effettivamente pagato e quale somma sia stata sborsata. Con qualche sforzo, il dilemma può risolversi positivamente solo per la Sfag (p. 21), ma non anche per COGNOME (p. 22), posto che gli assegni che si pretendono consegnati al COGNOME possono considerarsi riferibili anche a NOME COGNOME, già parte attrice e cointestatario del c/c su cui essi sarebbero stati tratti (e, secondo la stessa sentenza impugnata, unico soggetto ad aver agito ex art. 2033 c.c., con la Canonico).
In definitiva, risulta evidente che il ricorso è stato redatto in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ). La funzione cui assolve il requisito in parola è ben riassunta da Cass. n. 593/2013, laddove si afferma (in motivazione) che esso ‘ serve alla Corte di cassazione per percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, quindi, acquisire l ‘ indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo, in modo da poter procedere alla lettura dei motivi di ricorso in maniera da comprenderne il senso ‘ .
In ogni caso, ad abundantiam , si procederà di seguito allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso, che si palesano ciascuno inammissibile e/o infondato.
Infine, per concludere sulle questioni preliminari, occorre osservare che -con riguardo alla descritta posizione di NOME COGNOME non evocato in giudizio -non è comunque necessario disporre l’integrazione del contraddittorio (se non altro, in virtù dell’inequivoca sua posizione di litisconsorte necessario processuale), in ossequio al principio della ragionevole durata del processo e considerata la sostanziale ininfluenza dell’adempimento sulla definizione del giudizio (Cass., Sez. Un., n. 6826/2010), per il tenore della pronuncia a rendersi sul ricorso, stante la sua inammissibilità.
3.1 -Ciò posto, il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Infatti, la Corte d’appello ha accertato che parte convenuta aveva sollevato tempestivamente l’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale circa l’esistenza del contratto preliminare, con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c., depositata il 27.5.2010: secondo la Corte partenopea, l’eccezione deve intendersi riferita al limite di cui all’art. 2721 c.c.
In ricorso, il contenuto dell’eccezione viene invece genericamente riferito alla pretesa necessità di forma scritta (in realtà non necessaria -v. Cass. 16218/2020) ; quindi, parrebbe, all’art. 2725 c.c. Tuttavia, i ricorrenti omettono di trascriverne il contenuto, sicché non consentono a questa Corte di apprezzare la decisività della doglianza già dalla mera lettura del ricorso, donde l’inammissibilità del mezzo ; ciò tanto più che si è omesso di localizzare in questo giudizio di legittimità i vari atti processuali ai quali si fa riferimento, per evidenziare quale era stato il tenore dell’eccezione avversaria ed anche della sentenza di primo grado. L’omessa localizzazione sussiste anche alla stregua di
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quanto affermato da Cass., Sez. Un., n. 22726/2011, atteso che non si è dichiarato di voler fare riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice di appello, nel quale, in ipotesi, fosse stato acquisito il fascicolo di primo grado o tramite di esso fascicoli parte contenenti detti atti.
4.1 -Il secondo motivo è inammissibile per difetto d’interesse, ex art. 100 c.p.c. Posto che, a tal punto (per effetto di quanto statuito sul motivo che precede), è da considerare definitiva la statuizione circa l’inammissibilità dei capitoli di prova in parola ai sensi dell’art. 2721 c.c., è evidente che la questione posta col mezzo in esame diventa irrilevante.
5.1 -Il terzo motivo è del pari inammissibile: il vizio dedotto per pretesa violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4., c.p.c., si fonda su elementi aliunde rispetto alla motivazione, così esorbitando dai presupposti indicati per la deduzione del vizio stesso da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014. Il motivo, in realtà, si risolve in una sollecitazione a rivalutare la ricostruzione
della quaestio facti , com’è noto riservata al giudice del merito .
6.1 -Anche il quarto motivo è inammissibile.
Anzitutto, espressamente si afferma in ricorso (p. 28) che il motivo dipende da quello precedente. Il riferimento al terzo motivo, in realtà, non implica concatenazione logica tra i motivi, ma serve solo per richiamare l’ argomento fattuale sul riconoscimento dei pagamenti effettuati, ossia su questioni che, per come prospettate, sono da considerare inammissibili nel giudizio di legittimità, come già visto.
7.1 -Il quinto motivo è inammissibile in quanto di assoluta genericità, oltre ad essere fondato sulla deduzione del tutto implicita ed ignota dell’originaria
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prospettazione quanto al punto che si adombra della ‘eccezione di merito non rilevabile d’ufficio’ .
In ogni caso, la controscrittura ben può essere prodotta entro il termine perentorio di cui all’art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c., anche a prova contraria, sicché -non avendo i ricorrenti precisato, con la necessaria specificità, quando detto documento avrebbe avuto ingresso nel giudizio – nessun vizio può prospettarsi, sul punto.
8.1 -Anche il sesto motivo è inammissibile.
Con esso si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. attraverso una sollecitazione a rivalutare una serie di emergenze processuali, delle quali non vengono però fornite, per tutte, l’indicazione specifica. Ciò vale, in particolare, con riferimento a quanto esplicitato a p. 32 del ricorso, là dove, ponendo la premessa, si afferma che ‘ gli attori hanno fornito la prova presuntiva dell’assenza di cause di giustificative dei pagamenti ‘ , affermazione che in realtà si rivela del tutto assertoria. I successivi argomenti, che peraltro si risolvono in una sollecitazione a rivalutare quaestiones facti inerenti all’interpretazione di deduzioni, risultano inficiati dalla carenza originaria. In ogni caso , la violazione dell’art. 2697 c.c. non risulta dedotta secondo i criteri indicati, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598/2016, ribaditi, ex multis , da Cass. n. 26769/2018.
9.1 -Il settimo motivo è infondato, evidente essendo che, in forza degli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello, la pronuncia sulla domanda di ripetizione d’indebito proposta da NOME COGNOME è esistente , seppure per implicito, e si configura come inequivoco rigetto.
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10.1 -L’ottavo motivo è inammissibile per le stesse ragioni già esplicitate in relazione al sesto motivo, cui si rinvia per brevità.
11.1 -Il nono motivo, infine, è in primo luogo inammissibile per genericità e comunque gradatamente infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, al fine di rilevare la mancata dimostrazione della funzione di garanzia della dazione dei due assegni di € 30.000 ,00, non occorre affatto alcuna eccezione del convenuto, ben potendo il giudice del merito desumere la funzione stessa dal corredo processuale, come avvenuto nella specie. Nessuna ultrapetizione può dunque configurarsi al riguardo.
12.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Nulla va disposto sulle spese, gli intimati non avendo svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 13.2.2024.
Il Presidente NOME COGNOME