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Inammissibilità ricorso: i requisiti del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso in un caso complesso riguardante un affitto d’azienda e una presunta cessione di quote. La decisione si fonda sulla genericità e sulla violazione dei requisiti procedurali dell’atto di ricorso, che impediscono alla Corte di esaminare il merito delle questioni sollevate, come la ripetizione dell’indebito e la prova di accordi verbali.

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Inammissibilità del ricorso: quando la forma diventa sostanza

Un ricorso per cassazione redatto in modo confuso e senza rispettare i requisiti procedurali rischia di essere dichiarato inammissibile, precludendo ogni possibilità di esame nel merito. Questo principio fondamentale è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza, che ha respinto le pretese di una società e dei suoi soci a causa della nebulosità e delle carenze dell’atto di impugnazione. Questo caso evidenzia l’importanza cruciale di una redazione chiara e precisa del ricorso, dimostrando come l’inammissibilità del ricorso possa derivare direttamente da vizi formali.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da due distinti rapporti giuridici. Il primo è un contratto di affitto d’azienda, stipulato tra una società (la conduttrice) e un’altra società (la concedente) per la gestione di un locale bar/discoteca. Prima della scadenza, il legale rappresentante della società concedente si riappropriava del locale, cambiando le serrature. Questo portava la conduttrice a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento.

Il secondo rapporto, più complesso, riguardava un presunto accordo verbale, anteriore al contratto di affitto, per la cessione delle quote sociali della società concedente. Gli attori (la società conduttrice e alcuni suoi soci) sostenevano di aver versato una somma ingente, tramite assegni e contanti, per acquistare tali quote, ma la cessione non si era mai perfezionata. Chiedevano quindi la restituzione delle somme versate, in subordine a titolo di ripetizione dell’indebito.

Il Tribunale accoglieva solo la domanda di risoluzione del contratto d’affitto, condannando i convenuti a un risarcimento, ma rigettava le domande relative alla cessione delle quote per mancanza di prove. La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, rigettando entrambi gli appelli.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte territoriale aveva ritenuto infondato l’appello principale, confermando la decisione del Tribunale di non ammettere la prova per testimoni sull’accordo di cessione quote, a causa del superamento dei limiti di valore previsti dal codice civile (art. 2721 c.c.). Inoltre, la domanda di restituzione delle somme era stata considerata contraddittoria e non provata. I giudici di secondo grado avevano sottolineato come i pagamenti non fossero stati dimostrati in modo adeguato e come la presenza di diversi eventi ‘atipici’ (come il subentro di una società a un’altra) rendesse l’intero quadro dei rapporti tra le parti indeterminato e non provato.

I motivi del ricorso e l’inammissibilità del ricorso in Cassazione

Avverso la sentenza d’appello, la società e i soci proponevano ricorso per cassazione basato su nove motivi, lamentando violazioni di norme processuali e sostanziali. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile. La ragione principale risiede nella violazione dell’art. 366 c.p.c., che impone una chiara e sommaria esposizione dei fatti di causa. I giudici hanno rilevato una ‘generale lacunosità’ e ‘nebulosità’ nella narrazione dei fatti processuali, rendendo difficile comprendere chi avesse agito in primo grado, quali domande specifiche fossero state proposte da ciascun soggetto e chi avesse effettivamente effettuato i pagamenti di cui si chiedeva la restituzione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha analizzato e respinto, dichiarandoli inammissibili o infondati, tutti i nove motivi di ricorso. In sintesi, le motivazioni della Corte si sono concentrate sui seguenti punti:

1. Genericità e Mancanza di Autosufficienza: Il ricorso era redatto in violazione del principio di autosufficienza. Ad esempio, nel criticare la decisione sull’inammissibilità della prova testimoniale, i ricorrenti non hanno trascritto il contenuto dell’eccezione della controparte né localizzato gli atti processuali rilevanti, impedendo alla Corte di valutare la fondatezza della doglianza.
2. Mancanza di Interesse: Alcuni motivi sono stati giudicati inammissibili per difetto di interesse ad agire. Una volta stabilita la correttezza della decisione sull’inammissibilità della prova testimoniale, diventava irrilevante discutere se i capitoli di prova fossero influenti o meno.
3. Divieto di Riesame del Merito: Molti motivi, pur lamentando formalmente violazioni di legge (come la violazione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.), si risolvevano in una richiesta di rivalutazione dei fatti (quaestio facti). La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito, ma solo un controllo di legittimità sulla corretta applicazione delle norme.
4. Asserzioni non Provate: Le argomentazioni dei ricorrenti erano spesso assertive e non supportate da specifiche indicazioni processuali. Affermare di ‘aver fornito la prova presuntiva’ non è sufficiente se non si indicano con precisione gli elementi da cui tale prova dovrebbe desumersi.
5. Rigetto Implicito: Riguardo alla domanda di restituzione proposta da uno dei soci, la Corte ha ritenuto che, sebbene non esplicitamente menzionata nel dispositivo della sentenza d’appello, essa fosse stata implicitamente ma inequivocabilmente rigettata attraverso gli argomenti usati dalla Corte stessa.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre una lezione fondamentale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione: la chiarezza espositiva e il rigoroso rispetto delle norme procedurali non sono meri formalismi, ma requisiti essenziali per consentire al giudice di legittimità di svolgere la propria funzione. Un ricorso confuso, generico e che tenta di ottenere un nuovo esame dei fatti è destinato all’inammissibilità, con la conseguenza di rendere definitiva la sentenza impugnata e di precludere la tutela del diritto che si intendeva far valere.

Perché un ricorso per Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile principalmente per violazione delle norme procedurali, come l’art. 366 c.p.c. Le cause includono una esposizione dei fatti confusa o lacunosa, la mancata specificità dei motivi, la mancata trascrizione di documenti o atti processuali decisivi (violazione del principio di autosufficienza), o la proposizione di censure che richiedono un riesame del merito dei fatti.

Può la Corte di Cassazione riesaminare le prove e i fatti di una causa?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione delle sentenze impugnate. Non può procedere a una nuova valutazione dei fatti o delle prove (la cosiddetta quaestio facti), che è di esclusiva competenza dei giudici di primo e secondo grado.

Cosa succede se i motivi di ricorso sono formulati in modo generico?
Se i motivi di ricorso sono generici, ossia non indicano in modo specifico e dettagliato le violazioni di legge lamentate e gli argomenti a loro sostegno, il ricorso viene dichiarato inammissibile. La genericità impedisce alla Corte di comprendere appieno la censura e di valutarne la fondatezza, rendendo di fatto impossibile l’esercizio della sua funzione giurisdizionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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