Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21145 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21145 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9882/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in COMISO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
nonchè contro
COGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 326/2023 depositata il 22/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 Agenzia delle Entrate –RAGIONE_SOCIALE, (già RAGIONE_SOCIALE dopo aver iscritto ipoteca su un immobile del sig. NOME COGNOME in data 19 ottobre 2018, successivamente a un sequestro preventivo disposto il 5 giugno 2018 da altro creditore, notificava in data 20 dicembre 2018 un primo atto di citazione, non seguito dall’iscrizione a ruolo, e introduceva nuovamente il giudizio con atto dell’11 gennaio 2019, dinanzi al Tribunale di Ragusa.
Con tale atto, l’Agenzia proponeva azione revocatoria ex art. 2901 c.c., impugnando la compravendita del 24 gennaio 2014, con cui COGNOME aveva trasferito alla madre, sig.ra NOME COGNOME la propria quota indivisa di un immobile sito in Comiso (RG).
A fondamento della domanda, deduceva: a) la sussistenza di un proprio credito nei confronti del Bombace, pari a € 119.115,38, derivante da cartelle esattoriali; b) il depauperamento della garanzia patrimoniale conseguente alla vendita, a fronte di altri beni già sequestrati; c) la scientia damni di entrambi i convenuti, desumibile dal rapporto di parentela.
Con sentenza n. 1476/2021, il Tribunale di Ragusa accoglieva la domanda, dichiarando l’inefficacia dell’atto di compravendita. Rilevava: la ritualità dell’atto introduttivo ex art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c.; la sussistenza del credito; l’ eventus damni , desunto dal prezzo di vendita (€ 25.000,00), solo in parte regolato mediante assegno di cui non risultava prova di negoziazione; la scientia damni del debitore, per il carattere oggettivamente pregiudizievole dell’atto; il consilium fraudis della terza acquirente, desunto dal vincolo familiare.
Con sentenza n. 326/2023, la Corte d’appello di Catania rigettava il gravame, rilevando: l’inammissibilità per carenza di specificità dei motivi relativi alle eccezioni preliminari e alla dedotta causa solutoria del rogito; l’infondatezza degli altri motivi, inclusa la questione della prescrizione dell’azione, non ritualmente proposta.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
3.1. L’ Ader – Agenzia Delle Entrate -Riscossione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Parte ricorrente denuncia la violazione dei principi che regolano il giudizio di appello, censurando la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile, per difetto di specificità, la doglianza relativa al mancato riconoscimento, in primo grado, della natura solutoria dell’atto di compravendita del 2014, oggetto di azione revocatoria da parte dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione.
Assume che tale valutazione sia erronea, in quanto il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare le prove documentali offerte a sostegno della riferita causa solutoria, limitandosi ad escludere l’ammissibilità della censura senza procedere ad un’effettiva valutazione del merito, in contrasto con la funzione di revisio prioris instantiae del giudizio di appello (cfr. p. 8 del ricorso).
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, la signora COGNOME, ancora in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per essersi la Corte territoriale pronunciata sull’eccezione di prescrizione dell’azione revocatoria, senza che la stessa fosse stata riproposta in appello, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, comma 1, n. 2, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Deduce che non ricorrerebbero i presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria, in quanto la Corte d’appello: a) avrebbe erroneamente omesso di distinguere tra crediti anteriori e posteriori all’atto di disposizione del 2014, ritenendo applicabile l’art. 2901, comma 1, n. 2, c.c., anche in presenza di credito sorto successivamente e di atto a titolo oneroso, in assenza di prova del consilium fraudis del terzo; b) quanto alla scientia damni , avrebbe fondato la propria decisione su presunzioni non adeguatamente motivate, valorizzando il sequestro su altro immobile e l’esistenza di debiti precedenti, senza considerare che l’unico debito certo era il mutuo del 2009; c) avrebbe infine ritenuto la conoscenza del pregiudizio da parte della terza acquirente sulla base del solo legame familiare con il debitore, trascurando che dagli atti risulterebbe, invece, l’accollo da parte della madre del mutuo del figlio, menzionato nel rogito, a dimostrazione della buona fede.
4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare: (i) la reale incidenza dell’atto dispositivo sulla garanzia patrimoniale, avendo ritenuto sussistente l’ eventus damni sulla base della sola perdita di priorità ipotecaria da parte dell’Agenzia, senza accertare la concreta diminuzione della garanzia generica; (ii) l’assenza della scientia damni in capo alla terza acquirente, non considerando che la stessa aveva assunto, nel medesimo atto, l’accollo del mutuo contratto dal figlio nel 2009, elemento idoneo ad escludere la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Va anzitutto osservato che il ricorso risulta formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1 comma n. 3, c.p.c.
Difetta, infatti, nel ricorso una chiara esposizione dei fatti di causa rilevanti ai fini dell’illustrazione dei motivi, richiesta a pena di inammissibilità dal citato disposto normativo.
Tale norma assolve alla specifica funzione di dettare i requisiti di ‘forma -contenuto’ del ricorso, configurando un vero e proprio modello legale, la cui inosservanza ne determina, per l’appunto, l’inammissibilità.
Sul punto, è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite -e, invero, ancor prima del recente intervento normativo avvenuto con il citato decreto -che, in base al suddetto articolo, il ricorrente deve redigere l’impugnazione nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità espositiva, selezionando i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle sue doglianze, così da ‘offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda
giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.’ (cfr. principio affermato da Cass. civ., SS.UU., 30 novembre 2021, n. 37552; nelle pronunce successive, da ultimo, Cass. civ., Sez. V, 24 gennaio 2025, n. 1770; Cass. civ., Sez. II, Ord., 16 gennaio 2025, n. 1106; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 8 dicembre 2024, n. 31509; Cass. civ., Sez. V, Ord., 18 ottobre 2024, n. 27086).
Nel caso in esame, il ricorso non si conforma a tali dettami, in evidente contrasto con l’obiettivo del processo, che è quello di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111, comma 2, Cost., e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. civ., Sez. V, 30 aprile 2020, n. 8425; nelle successive, da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 5 febbraio 2025, n. 2827; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 dicembre 2024, n. 33694; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 novembre 2024, n. 30006).
5.1. Con particolare riferimento al primo motivo va ulteriormente osservato che per contrastare la declaratoria di inammissibilità delle censure articolate con l’appello la ricorrente rinvia a quanto dedotto nel motivo di gravame, limitandosi ad affermare che ‘la Corte territoriale non si è pronunciata trincerandosi dietro un apodittico rilievo di inammissibilità in contrasto con la natura di revisio prioris instantiae connaturata al giudizio di appello’ (v. pp. 8-9 ricorso).
Orbene, anche tale censura, al pari di quelle del gravame, sono del tutto fuori quadro, non centrando la ratio della sentenza impugnata rispetto alle ragioni della suddetta declaratoria, perché apodittiche e prive di reale contenuto critico, in alcun modo valide a superare il rilievo di genericità operato dalla Corte di merito, tanto da poter
rimettere in discussione, in questa sede, il decisum (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 5 maggio 2025, n. 11792; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 24 aprile 2025, n. 10865; Cass. civ., Sez. II, Ord., 28 marzo 2025, n. 8247; Cass. civ., Sez. I, Ord., 14 marzo 2025, n. 6842). D’altro canto non risulta nemmeno debitamente riportata nel ricorso la censura al riguardo mossa con l’atto di appello in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’a rt. 366, 1 comma n. 6, c.p.c.
5.2. Con particolare riferimento al secondo e al terzo motivo va osservato che i medesimi risultano formulati in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritti all’a rt. 366, 1° comma nn. 3 e 4, c.p.c., in quanto privi di specificità e completezza (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 16 gennaio 2025, n. 1033, Cass. civ., Sez. V, Ord., 7 gennaio 2025, n. 161; Cass. civ., Sez. I, Ord., 30 dicembre 2024, n. 35012), sostanziandosi nell’indicazione delle norme denunciate nella rubrica del ricorso, senza però che la ricorrente ne abbia esaminato, in modo adeguato, il relativo contenuto e l’aspetto precettivo, mancando di raffrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata. E giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità non può demandarsi a questa Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (v. da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 marzo 2025, n. 5785; Cass. civ., Sez. II, Ord., 1° marzo 2025, n. 5474; Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 febbraio 2025, n. 3874; Cass. civ., Sez. II, Ord., 10 febbraio 2025, n. 3376; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 17 settembre 2024, n. 24880Cass. civ., SS.UU., 28 ottobre 2020, n. 23745).
5.4. Con particolare riferimento al quarto motivo va osservato che le censure ivi articolate si infrangono contro il consolidato principio di diritto per cui, nelle ipotesi di doppia conforme, ai sensi dell’art.
348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., non può validamente spiegarsi tale tipo di censura (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 30 gennaio 2024, n. 2825; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 gennaio 2024, n. 1355; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 gennaio 2024, n. 1332), se non nel caso in cui parte ricorrente abbia dimostrato l’esistenza di diverse ragioni poste a base della decisione di primo e secondo grado, unica ipotesi questa che consente, infatti, secondo orientamento consolidato, la denunzia di omesso esame di un fatto decisivo dinanzi ad una c.d. doppia conforme (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 2 febbraio 2024, n. 3123; Cass. civ., Sez. III, Ord., 1° febbraio 2024, n. 3026; Cass. civ., Sez. V, Ord., 31 gennaio 2024, n. 2906). Nella specie è evidente che le sentenze dei due gradi di merito sono tra loro sovrapponibili, avendo la corte di merito, nel respingere il gravame della Di COGNOME, fatto proprie le argomentazioni del primo giudice ampliandole e spiegando le ragioni del mancato accoglimento della richiesta di riforma della sentenza di primo grado (v. pp. 6-9, sentenza impugnata n. 326/2023).
6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00, oltre a spese eventualmente prenotate a debito, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza