Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21882 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21882 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8758/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cooperativa edilizia in liquidazione, in persona del legale rappres. p.t. rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME rappres. e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 8345/2023, depositata in data 22.12.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.02.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, in qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE nonché di erede della signora NOME COGNOME, conveniva dinnanzi al Tribunale di Roma la suddetta RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo di accertare l’inesistenza, dell’inefficacia, o la nullità della delibera del consiglio di amministrazione della convenuta del 14 ottobre 2006.
Con sentenza n. 397/2011, il Tribunale dichiarava improponibile la domanda dell’attore, quale socio della convenuta, in virtù della clausola compromissoria contemplata dall’art. 38 dello statuto della stessa RAGIONE_SOCIALE e rigettava la domanda dell’attore, in qualità di erede legittimario di NOME COGNOME
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME proponeva appello; il relativo giudizio veniva definito con la sentenza n. 3104/2017 con la quale la Corte di Appello di Roma rigettava l’impugnazione principale del COGNOME e accoglieva quella incidentale della Olimpica Romana, ordinando la cancellazione della trascrizione dell’atto di citazione di primo grado.
A seguito della sentenza di appello, che aveva ribadito l’improcedibilità delle domande attoree per la predetta clausola compromissoria, NOME COGNOME agiva in sede arbitrale, premettendo di essere socio della RAGIONE_SOCIALE, al pari del fratello, NOME COGNOME convenuto, e della madre NOME COGNOME, deceduta il 9 marzo 2007, la quale era stata assegnataria di un immobile della cooperativa, sito in INDIRIZZO, interno INDIRIZZO, con posto auto e pertinenze, al quale aveva rinunciato con atto del 4 settembre 2006, esprimendo contestualmente il desiderio che tale immobile venisse assegnato a NOME COGNOME per spirito di riconoscenza verso la stessa, per l’assistenza prestatale nel corso degli anni.
A seguito di tale rinuncia, con l’impugnata delibera del 14 ottobre 2006, la RAGIONE_SOCIALE aveva assegnato detto immobile alla RAGIONE_SOCIALE.
Con lodo del 14 settembre 2018, il collegio arbitrale dichiarava la nullità per illiceità dell’oggetto e contrarietà alle norme imperative della delibera adottata il 14 ottobre 2006 dal consiglio di amministrazione della C ooperativa ‘ nella misura in cui dispone l’assegnazione dell’immobile sito in Roma, alla INDIRIZZO piano INDIRIZZO, interno INDIRIZZO, alla Sig.ra NOME COGNOME prenotataria con posizione n. 22, invece di disporre l’assegnazione del predetto appartamento al signor NOME COGNOME prenotatario con posizione n. 8 e primo nell’ordine di assegnazione ‘, e ordinava alla Cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c., di assegnare l’immobile oggetto del giudizio a NOME COGNOME respingendo ogni altra domanda e condannando le parti in solido al pagamento delle spese della procedura arbitrale.
Al riguardo, il collegio arbitrale osservava che: premessa l’irrilevanza dell’invito ad assegnare l’immobile alla COGNOME rivolto dalla Modugno al consiglio di amministrazione, quest’ultimo, preso atto della rinuncia formalizzata dalla COGNOME, avrebbe dovuto riacquisire al patrimonio della RAGIONE_SOCIALE l’appartamento e procedere all’assegnazione dello stesso al COGNOME, che aveva prioritaria prenotazione, senza favorire illegittimamente un socio.
Con sentenza n. 8343/2023, depositata il 22 dicembre 2023, la Corte d’Appello, decidendo sull’impugnazione proposta avverso il lodo dalla RAGIONE_SOCIALE, dichiarava la nullità parziale del lodo impugnato limitatamente all’ordine di trasferimento ex art. 2392 c.c. dell’immobile oggetto della delibera impugnata: pur rilevando che il lodo aveva correttamente affermato l’illegittimità dell’assegnazione dell’immobile, in quanto avvenuta in pregiudizio del COGNOME, il quale vantava una priorità al riguardo, l’ordine di trasferimento del bene, ex art. 2932 c.c. era da
ritenere illegittimo per la mancata menzione del titolo edilizio e della dichiarazione di conformità catastale.
Avverso il lodo arbitrale la RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione al disposto dell’art. 50 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che, ai fini della riassunzione del giudizio innanzi al collegio arbitrale, il termine di tre mesi non decorresse dalla data del deposito della sentenza ma dal passaggio in giudicato della sentenza stessa, soggiungendo che non era stata censurata la ratio decidendi del lodo in ordine all’osservanza del termine, tenuto conto della sospensione feriale.
Al riguardo, la ricorrente assume invece la tardività della riassunzione della causa innanzi al collegio arbitrale, avvenuta ben oltre il termine di tre mesi prescritto dall’art. 50 del c.p.c. decorrente dalla comunicazione di avvenuto deposito della sentenza della Corte di appello, effettuata in data 11 maggio 2017, posto che il giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto che alla fattispecie in esame dovesse applicarsi la previsione normativa di cui all’art. 59 della l. 69/2009, in luogo di quella dell’art. 50 c.p.c. alla quale aveva fatto riferimento la Cooperativa appellante.
In particolare, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’assimilabilità della translatio judicii concretata con la trasposizione in sede arbitrale delle domande proposte da NOME COGNOME dinanzi al Tribunale prima, e successivamente alla Corte d’Appello, ad un’ipotesi di difetto di giurisdizione in quanto, premesso che lo stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice
ordinario o a quella degli arbitri rituali si configura come una questione di competenza, la translatio dinanzi al collegio arbitrale era stata effettuata, in ragione della clausola compromissoria contemplata dallo statuto della Cooperativa, a norma dell’art. 50 del c.p.c., che prevede, quale momento di decorrenza del termine, quello del deposito della sentenza, nel caso di specie intervenuto il giorno 11 maggio 2017.
Il secondo motivo deduce nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 n. 4 per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., per aver NOME COGNOME introdotto la domanda di arbitrato dinanzi al Centro per la Prevenzione e Risoluzione dei Conflitti, Organo della Fondazione RAGIONE_SOCIALE, soggetto diverso rispetto a quello individuato nella clausola compromissoria, cioè il Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti nel cui ambito ha sede la RAGIONE_SOCIALE come previsto dallo statuto societario all’art. 38.
Al riguardo, la ricorrente lamenta altresì che: la successiva presentazione della domanda di arbitrato dinanzi al Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti, nel cui ambito aveva sede la RAGIONE_SOCIALE ovvero dinanzi all’organo designato dalla norma statutaria relativa alla clausola compromissoria, era intervenuta solo in data 30 ottobre 2017, secondo quanto dedotto nel lodo, dunque assolutamente al di fuori del termine di legge di cui all’art. 50 c.p.c.; la domanda presentata dinanzi al presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti non era mai stata notificata alla ricorrente fino a quando il collegio arbitrale, nella seduta del 2 febbraio 2018, a seguito dell’eccezione in tal senso sollevata, ne aveva disposto la notificazione.
Il terzo motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., per aver la Corte territoriale confermato la statuizione sul punto del riconoscimento del diritto di NOME COGNOME di vedersi assegnare
l’immobile per cui è causa, sull’erroneo presupposto della mancata indicazione, da parte dell’appellante, di specifiche ragioni di nullità, deducibili ai sensi della sopra richiamata norma codicistica.
La ricorrente assume sul punto: di aver ampiamente dedotto come il lodo avesse fatto erronea applicazione della disposizione dell’art. 2516 cod. civ., conseguentemente perpetrando un errore di diritto, causa della nullità del lodo arbitrale, argomentando che il generale principio della parità di trattamento fra i soci di cooperativa non è di per sé tutelato da norme inderogabili previste a pena di nullità, così come invece preteso dall’attore; di aver dedotto in tutti gli scritti del precedente grado di giudizio che NOME COGNOME non era mai stato prenotatario, né tantomeno assegnatario, dell’immobile per cui è causa e, invero, sul punto era emerso che le pretese da quest’ultimo avanzate in qualità di erede della di lui madre, NOME COGNOME erano state rigettate dal Tribunale di Roma con pronuncia (sentenza n. 397/2011) confermata dalla sentenza della Corte di Appello di Roma n. 3104/ 2017, oggi passata in giudicato.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale 19/07/2013, n. 223, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 819 ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui escludeva l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c., la riassunzione del giudizio è disciplinata da tale disposizione, ai sensi della quale il termine decorre dalla comunicazione della sentenza che dichiara l’incompetenza. Tuttavia, la mancata riassunzione del giudizio dinanzi al giudice dichiarato competente, nel termine di cui all’art. 50 cod. proc. civ., non comporta l’invalidità della domanda, ma l’estinzione del giu-
dizio, rilevabile anche d’ufficio, ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, ivi compresa l’interruzione della prescrizione.
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello ha omesso di pronunciare in ordine alla relativa eccezione, da essa sollevata nel giudizio arbitrale e riproposta in sede d’impugnazione del lodo.
La questione, riguardante l’idoneità dell’atto di riassunzione a garantire la conservazione degli effetti della domanda, e quindi la prescrizione del diritto azionato, era stata peraltro sollevata ai sensi non già dell’art. 829 n. 12 c.p.c., riguardante l’omessa pronuncia da parte degli arbitri in ordine ad alcune delle domande o delle eccezioni proposte dalle parti, bensì dell’art. 829 n. 2 cod. proc. civ., riguardante la costituzione del collegio arbitrale, in relazione all’avvenuta proposizione della domanda di arbitrato dinanzi ad un soggetto diverso da quello previsto dalla clausola compromissoria.
Non risulta inoltre dimostrato che la questione proposta in sede d’impugnazione del lodo fosse stata precedentemente sollevata dinanzi agli arbitri, poiché né nell’atto di citazione dinanzi alla Corte d’appello né nel ricorso per cassazione viene riportata testualmente la parte saliente della comparsa di costituzione dinanzi agli arbitri.
Il motivo d’impugnazione del lodo era quindi inammissibile, e la Corte d’appello non era tenuta a pronunciarsi al riguardo.
Infine, il terzo motivo è parimenti inammissibile per difetto di specificità.
Invero, la ricorrente riporta la tesi sostenuta nell’atto d’impugnazione, ma omette di trascrivere il motivo con cui sostiene di aver dedotto la violazione dell’art. 2916 cod. civ., con la conseguenza che risulta impossibile, in questa sede, riscontrare il contenuto della censura da essa proposta avverso il lodo, prima ancora di verificarne la fondatezza.
L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al Giudice di legittimità ove sia denunciato un ” error in procedendo “, presuppone infatti l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass. 24048/2021).
Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 4.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025.