Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29281 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
Oggetto
Agenzia Indennità per la cessazione del rapporto
R.G.N. 15619NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 03/07/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 15619-2021 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2762/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/12/2020 R.G.N. 2191/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2025 dal AVV_NOTAIO
COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME, già agente della RAGIONE_SOCIALE, contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 4071/2018, che pure aveva rigettato le domande da lui proposte nei confronti di detta società, volte ad accertare l’illegittimità del recesso da quest’ultima esercitato il 22.9.2015 per il rapporto di agenzia che aveva legato le parti e a sentir condannare la stessa società al pagamento delle competenze, anche meritocratiche, di fine rapporto, delle provvigioni maturate e di somme a titolo risarcitorio per lamentati danni alla sua immagine professionale.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dato conto in dettaglio sia dei sette motivi d’appello del COGNOME che della posizione assunta dalla società in secondo grado, riteneva che l’appello non meritava accoglimento sia quanto all’impugnativa del recesso sia quanto alla richiesta di ulteriori somme a titolo retributivo o indennitario connesse alla fine del rapporto, sia infine quanto alla domanda risarcitoria.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste l’intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie (il ricorrente una propria seconda memoria correttiva e sostitutiva di altra precedente).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: . Il ricorrente, dopo ampia premess a, deduce in sintesi: a) che ‘il Giudice di primo grado non ha effettuato il tentativo di conciliazione, che del resto non avrebbe potuto proficuamente effettuare dal momento che mancava l’Amministratore Delegato della società’; b) che ‘Il Giudice, per sua parte, non ha formulato una proposta di conciliazione come avrebbe dovuto, né ha sanzionato il fatto che non ci fosse l’amministratore della società, essendosi invece limitato a prendere atto di tale circostanza, e non ha espletato l’interrogatorio libero delle parti’; c) che ‘la sentenza d’appello, impugnata, non ha rilevato -d’ufficio, come avrebbe dovuto fare, le nullità della trattazione del primo grado del giudizio, e si è fondata sulla sentenza di primo grado e sui soli documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE senza minimamente considerare la ben più ampia documentazione contenuta nel ricorso introduttivo e richiamata nell’atto d’appello; d) che ‘Anche la motivazione della sentenza d’appello impugnata inizia con’ un affermazione a pag. 9 ‘contraria alla logica formale aristotelica e tomistica’; e) che tale motivazione ‘peraltro è solamente apparente’; f) che ‘la sentenza impugnata, come la sentenza di primo grado, non si è per nulla fondata sulla documentazione prodotta dal sig. COGNOME‘; g) che ‘La sentenza impugnata ha recepito totalmente quanto esposto dalla società resistente’; h) che
‘l’assoluta carenza di motivazione circa il preteso calo di fatturato rende assolutamente illegittimo il recesso unilaterale con tutte le conseguenze che da ciò derivano e che esamineremo in prosieguo’.
2. Con un secondo motivo denuncia: ‘violazione e mancata applicazione dell’art. 132 secondo comma n. 3 e n. 4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.’. Lamenta . Ricorda ‘che con il quinto motivo di gravame il sig. COGNOME ha censurato la sentenza di primo grado per la mancata ammissione della prova per testi, articolata fin dal ricorso introduttivo, senza fornire alcuna motivazione di tale decisione negativa …’, e lamenta
che: . Sostiene, inoltre, che ‘nel caso di specie costituiva preciso obbligo del giudice del merito -di primo grado e di appello – di fronte ad una esposizione dei fatti contenuta nel ricorso introduttivo contestata nella sua totalità dalla società convenuta sia nella memoria di costituzione in primo grado che nella memoria difensiva in grado d’appello, ammettere la prova per testi necessaria perché idonea a fornire la chiave per risolvere il conflitto tra due versioni dei fatti totalmente difformi atteso che da una parte si sostiene l’incremento del fatturato e dei clienti e dall’altra un decremento del fatturato e un decremento di clienti’, e che ‘La prova dell’incremento del fatturato e dei clienti fornita dall’attuale ricorrente è costituita dalla relazione COGNOME con documenti che costituisce parte del ricorso introduttivo’. Sempre per il ricorrente è, allora, ‘evidente alla luce dei rilievi che precedono -il vizi di motivazione apparente in cui è incorso il Giudice di merito in primo grado e in appello, tenuto conto dei principi stabiliti in materia di prova in materia di contratti di agenzia’.
Con un terzo motivo denuncia: ‘violazione e mancata applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. sul principio di buona fede nell’esecuzione del contratto in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.’. Secondo il ricorrente, ‘Applicando il principio della buona fede alla fattispecie che ne occupa deve essere in primo luogo osservato -anche se tale peculiare aspetto della controversia non è stato dedotto in giudizio -che tanto il contratto sottoscritto il 4.2.2006 quanto il contratto sottoscritto il 1 .1.2010 sono ‘squilibrati’ in quanto in entrambi
si rinviene un abuso della posizione dominante da parte della RAGIONE_SOCIALE la quale -oltre il resto -non ha riconosciuto all’agente una esclusiva nel proprio territorio, e si è riservata il diritto di vendere direttamente i propri prodotti anche nel territorio assegnato all’agente ed il diritto di assegnare ad altri agenti la stipula dei contratti con soggetti di diritto esistenti nella zona assegnata all’agente’. Assume allora che nei rilievi svolti a riguardo ‘è la dimostrazione della malafede della società preponente, purtroppo non presa in considerazione dalla sentenza impugnata’.
Con il quarto motivo denuncia: ‘violazione e mancata applicazione degli artt. 1751, 1750, 1749, 1748 e 2598 n. 3 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.’. Con riferimento agli emolumenti di natura indennitaria, che si assumono ‘giustament e e correttamente chiesti dal Sig. COGNOME con il ricorso introduttivo e successivamente con il ricorso in appello’, il ricorrente censura una parte di motivazione a pag. 12 dell’impugna sentenza. Deduce, inoltre, che ‘la motivazione con la quale la sent enza impugnata ha rigettato la domanda risarcitoria del danno’ è ‘puramente apparente’.
5. Il primo motivo è inammissibile.
Occorre ricordare che, per le Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, com ma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le
censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (in tal senso Cass., sez. un., 8.11.2021, n. 32415).
Rileva allora il Collegio che il primo motivo è formulato in evidente contrasto con tali principi.
7.1. Invero, già nella rubrica di tale censura viene denunciata cumulativamente la ‘violazione e mancata applicazione’ di una disparata serie di numerose norme di diritto, soprattutto processuali, ma anche di diritto sostanziale (nel caso dell’art. 2697 c. c.), il tutto ricondotto al mezzo di cui l’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., quindi, come se si fosse solo in presenza della deduzione di errores in procedendo .
7.2. Al netto, poi, della premessa che precede l’esposizione delle molteplici ed eterogenee doglianze (pagg. 23-30 del ricorso), quest’ultima esposizione, come risulta dall’arduo riassunto sopra proposto del contenuto del motivo, consta di una trattazione continua, unitaria e non scandita (v. pagg. 3038 del ricorso), che preclude di individuare con certezza le censure prospettate e la loro effettiva natura.
7.3. Parte consistente dello sviluppo del primo motivo, per altro verso, s’incentra sul (v. pagg. 34-38 del ricorso).
Ebbene, la critica che il ricorrente formula a riguardo, in realtà di merito, pur se prospettata in chiave di motivazione apparente o di assenza di motivazione, neanche è aderente alla motivazione effettivamente resa dalla Corte distrettuale.
7.4. Quest’ultima, infatti, ha subito osservato: ‘In primo luogo va rilevato che il recesso era fondato non soltanto sulle
riscontrate inefficienze nella attività, su riscontro di risultati inferiori ai valori obiettivo, sulla perdita di clienti e sull’impoverimento del portafoglio (aspetti sui quali si intrattiene diffusamente la sentenza gravata e quindi l’appello), ma anche sul mancato riscontro sulla attività di contatto di clienti segnalati dalla preponente nella zona di competenza dell’appellante; nonché sulle gravi irregolarità nella gestione dei clienti COGNOME e COGNOME, a cui poi si sarebbero aggiunte quelle riguardan ti il cliente Tortorella’.
Quindi, notando che: ‘Su questi ultimi aspetti l’appello si mostra totalmente carente’, ha ritenuto che ‘tali profili del recesso’, ‘attenendo a gravi violazioni contrattuali, per come descritte in fatto, sono certamente idonei di per sé soli a recidere il rapporto di fiducia fra le parti ed a legittimare il recesso’. La Corte in particolare ha giudicato gli episodi relativi agli avvocati COGNOME e COGNOME ‘in sé molto gravi e passibili di arrecare alla preponente un rilevante danno all’immagine: ben poteva il recesso fondarsi su questi soltanto’ (cfr. in extenso § 3 alle pagg. 9-11 della sentenza).
Inoltre, la Corte ha confermato essere dimostrato anche ‘un altro grave inadempimento’ (quello relativo alla vicenda della intestazione degli abbonamenti ai collaboratori del COGNOME), in quanto ‘espressione di slealtà nei confronti della controparte con trattuale in quanto, così operando, l’agente, tramite il collaboratore, fa uscire dal portafoglio della preponente il cliente effettivo, destinatario finale del prodotto e lo cela alla preponente a danno dell’avviamento aziendale’ (v. § 4 a pag. 11).
Quindi, ha considerato che: ‘La vicenda del c.d. ‘calo del fatturato’ ha, pertanto, alla luce delle attuali difese, una rilevanza relativa e soprattutto legata all’i ndagine sulla sussistenza dei presupposti delle provvidenze c.d. meritocratiche che l’ex agente reclama’, pur essendosi comunque espressa anche su tale aspetto (v. § 5 dell’impugnata sentenza).
8. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
Per un consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, attraverso la mescolanza e la sovrapposizione di ragioni tra loro eterogenee, prospetti relativamente alla medesima questione motivi di censura tra di loro incompatibili come avviene per i motivi di ricorso di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., il primo dei quali presuppone la non contestazione della ricostruzione fattuale mentre il secondo contesta proprio tale ricostruzione sulla base della non completa istruzione probatoria (così, ex plurimis , Cass. n. 1859/2021; n. 14634/2020; n. 10212/2020). Difatti, in seno al medesimo motivo di ricorso non possono coesistere censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità, così che non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (Cass. n. 12625/2020).
Ebbene, in ordine alla medesima questione, ossia, la mancata ammissione delle prove cui allude il ricorrente, quest’ultimo formula un motivo che fa nel contempo riferimento ai differenti mezzi di cui ai nn. 3) e 4) dell’art. 360, comma
primo, c.p.c., con uno svolgimento indistinto delle doglianze in precedenza riassunte (v. pagg. 38-45 del ricorso).
Inoltre, non considera il ricorrente che la Corte territoriale, come già accennato in narrativa, aveva dato conto dei sette motivi d’appello dell’attuale ricorrente per cassazione e, per quanto ora d’interesse, aveva scritto che: (così all’inizio di pag. 5 della sua sentenza).
In parte qua , comunque, il secondo motivo difetta anche di autosufficienza, perché, a prescindere dal rilievo che non tiene conto di come la Corte aveva riassunto il quinto motivo d’appello in questione, non trascrive in ricorso la parte dell’atto d’impugnazione in cu i era contenuto detto motivo.
12.1. Piuttosto, il ricorrente attualmente assume che la prova per testi da lui richiesta non sarebbe stata ammessa dal primo giudice ‘senza fornire alcuna motivazione’ (v. pag. 40 del ricorso), laddove una motivazione a riguardo, secondo la Corte d’appell o, era stata resa dal Tribunale, come anche sull’ininfluenza probatoria della sua relazione tecnica di parte cui allude il ricorrente ed era stata censurata da quest’ultimo, in veste allora di appellante, con il quinto motivo suddetto.
13. In ogni caso, quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale in sé, il relativo vizio di motivazione poteva essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso avesse investito un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto fosse stata idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (così, tra le altre, Cass. n. 16271/2022). Inoltre, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev’essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Sez. un. n. 28336/2011). Infatti, la relativa censura è inammissibile se il ricorrente non trascrive i capitoli di prova e non indica i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare (Cass. n. 6275/2019).
13.1. Ergo , il secondo motivo risulta inammissibile anche rispetto a tali principi perché il ricorrente non trascrive in ricorso i capitoli della prova testimoniale cui si riferisce.
Dalle deduzioni attualmente svolte si trae, peraltro, che i capitoli di tale prova per testi attenevano al tema del ‘fatturato’, ma in disparte l’insufficienza di tale indicazione, il ricorrente neanche deduce la decisività di tale prova, non considerando
anche nel secondo motivo, come nel primo, che la ratio decidendi della Corte di merito circa la legittimità del recesso della preponente s’incentrava, secondo quanto già visto, su gravi violazioni contrattuali da parte dell’agente di per sé sufficienti a fondare il recesso della preponente, e diverse dalla ‘vicenda del c.d. calo del fatturato’.
14. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Occorre, infatti, ricordare che, secondo un consolidato indirizzo di legittimità, in materia di ricorso per cassazione i motivi, a pena di inammissibilità, devono investire questioni comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo ammissibili in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, fatta eccezione per le questioni rilevabili d’ufficio (così, ex plurimis , Cass. civ., sez. trib., 8.4.2022, n. 11468; id., sez. I, 2.9.2021, n. 23792). Inoltre, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (così, ad es., Cass. civ., sez. lav., 27.8.2003, n. 12571).
Ebbene, tutte le questioni che il ricorrente pone in tale censura sono senz’altro nuove.
16.1. Più nello specifico, lo stesso ricorrente neanche allega di aver posto alla Corte d’appello questioni relative al dato che i due contratti d’agenzia stipulati con la mandante fossero ‘squilibrati’ in favore di quest’ultima per un abuso di posizione dominante da parte della stessa nei sensi ora sostenuti dal
ricorrente, e inoltre al fatto che egli si sarebbe comportato secondo buona fede, mentre la preponente sarebbe stata in malafede, durante il rapporto contrattuale.
16.2. Come più volte evidenziato, la Corte di merito ha diffusamente riferito il contenuto dei sette motivi d’appello formulati dall’attuale ricorrente (cfr. pagg. 3 -5), ma sia da tale parte della sua decisione che dal restante testo della stessa non trapela assolutamente che tal genere di questione fosse stato trattato in secondo grado, se non in relazione al settimo motivo d’appello (di cui si dirà in seguito in relazione al quarto motivo di ricorso per cassazione).
Tale censura, inoltre, si fonda anche su un apprezzamento delle risultanze processuali diverso da quello operato dalla Corte territoriale (v. in particolare pagg. 47-50 del ricorso).
E’ infine inammissibile il quarto motivo.
Come già accennato in precedenza, il ricorrente vi censura dei passaggi motivazionali a pag. 12 dell’impugnata sentenza e assume che in essi ‘la sentenza impugnata cerca di dimostrare che tutte le indennità giustamente richieste dal sig. COGNOME non sarebbero dovute’.
19.1. Tale ultimo rilievo è inesatto e non aderente alla completa motivazione resa dalla Corte d’appello.
In particolare, i passi che il ricorrente trascrive fanno parte ancora del § 5 dell’impugnata sentenza (tra la pag. 11 e la pag. 12) in cui la Corte ha affrontato le questioni legate al ‘fatturato’
e più in generale a risultati ed obiettivi che l’agente avrebbe dovuto raggiungere.
19.2. Il ricorrente, invece, non considera assolutamente tutta una parte seguente di motivazione (v. in extenso il § 6. alle pagg. 12-13 della sentenza).
In essa, infatti, la Corte ha anzitutto spiegato che: ‘L’indennità ex art. 1751 c.c. non è dunque dovuta sia in quanto difettano gli elementi di cui al primo comma (nuovi clienti, sviluppo degli affari ecc.), sia in quanto il contratto si è risolto per ina dempienze imputabili all’agente e talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto (comma 2). Nulla l’appellante ha dedotto in merito alla percezione di emolumenti ai sensi dell’Accordo Economico Collettivo, ulteriori rispetto a quanto già ricevuto (il FIRR nella porzione non assoggettata a pignoramento).
Analogamente nulla è dovuto a titolo di mancato preavviso, attesa la giusta causa’.
La Corte, inoltre, ha diffusamente spiegato perché: ‘Nulla è dovuto a titolo di ‘provvigioni firma’, richieste sulla base dell’art. 10 del contratto fra le parti’; ‘Nè sono dovute le provvigioni sul rinnovo dei contratti pluriennali’.
20. Orbene, tutte tali considerazioni svolte dalla Corte sono ignorate dal ricorrente, il quale piuttosto, ma rispetto ai soli passaggi motivazionali censurati, contrappone una propria valutazione a quella operata dalla Corte (cfr. pagg. 52-53 del ricorso).
Analoghi rilievi valgono per l’ultima parte del quarto motivo.
21.1. Come si è accennato in precedenza il settimo motivo d’appello era l’unico mezzo in cui era toccato il tema del rispetto delle regole di correttezza e buona fede, ma rispetto a fatti successivi al recesso della preponente in data 22.9.2015.
Più in particolare, come riferito dalla Corte: <Con un settimo motivo si denuncia erronea applicazione dell'art. 2598 n. 3 c.c., laddove la sentenza ha ritenuto 'infondata perché priva di riscontro' la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno causato dalla condotta tenuta dalla società appellata, palesemente contraria a buona fede e correttezza, dato che dal mese di ottobre del 2015 gli ex collaboratori del Sig. COGNOME hanno costituito una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE, la quale, a fronte di un compenso provvisionale inferiore di 5 punti percentuali rispetto a quello percepito dall'appellante, ha acquistato il mandato da parte della RAGIONE_SOCIALE per la commercializzazione dei medesimi prodotti e alla quale veniva affidato l'intero portafoglio clienti dell'ex agente: un vero atto di concorrenza sleale, oggettivato nello sviamento di clientela, di collaboratori e di dipendenti. Il risarcimento è stato giustificato in € 750.000,00, importo calcolato sulla media annuale delle provvigioni riconosciute al Sig. COGNOME nel corso del rapporto di agenzia, moltiplicate per i tre anni ritenuti necessari affinché lo stesso possa nuovamente operare sul mercato' (così alla fine di pag. 5 della sua sentenza).
21.2. Nel pronunciarsi su tale motivo, la Corte ha osservato: 'La domanda risarcitoria per violazione dell'art. 2598 n. 3 c.c. è pure infondata. L'incarico di agente era senza
esclusiva e pertanto era libera la preponente di affidare ad altri la promozione dei medesimi prodotti ad altri, in costanza e quindi a maggior ragione dopo la conclusione del rapporto, né il COGNOME può vantare alcun diritto di 'prelazione' sul suo port afoglio clienti una volta cessato dal rapporto' (così nel § 7. a pag. 13).
A fronte di tale motivazione essenzialmente in diritto della Corte di merito, il ricorrente, nell'ambito di una censura esclusivamente formulata in base all'ipotesi di cui all'art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., assume che tale motivazione è 'evidentemente apparente'.
In realtà, deduce che tale motivazione 'non tiene conto di due fatti fondamentali', che passa poi ad illustrare (v. pag. 54 del ricorso).
22.1. E' perciò evidente che il ricorrente non denuncia un vizio di sussunzione deducibile ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., e neppure un'anomalia motivazionale (negli stretti limiti attualmente consentiti in questa sede di legittimità).
La critica mossa dal ricorrente si fonda, ancora una volta, sulla deduzione di aspetti fattuali diversi da quelli considerati dai giudici di merito.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev'essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell'adunanza camerale del 3 luglio 2025.
La Presidente NOME COGNOME