Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26379 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26379 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 5794/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, al INDIRIZZO, in persona del Dir igente Responsabile dell’Area Legale e Societaria Funzione Legale e procuratore speciale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘AVV_NOTAIO.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5888/2019 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, pubblicata il giorno 05/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 19/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propose tempestivo gravame volto ad ottenere la riforma della sentenza del Tribunale di Nola del 24 aprile 2018, n. 787, reiettiva delle sue domande aventi ad oggetto: i ) la richiesta di accertamento negativo del credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; ii ) la dichiarazione di inoperatività della fideiussione rilasciata dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.c.p.a. in favore della RAGIONE_SOCIALE; iii ) la restituzione dei depositi bancari vincolati con un contratto di pegno, su titoli e valori, perfezionato dall’attrice con la medesima banca, datato 5 luglio 2013, che presentava, alla prima pagina, una correzione a penna finalizzata a cancellare il nome della stessa attrice, quale garantita, con indicazione, in sua vece, della soc. RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di un punto vendita di carburante, fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, gestito dalla RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, che contestò l’avversa impugnazione, l’adita Corte di appello di Napoli, con sentenza del 5 dicembre 2019, n. 5888, rigettò quel gravame.
2.1. In particolare, quella corte rimarcò che: i ) « secondo la stessa prospettazione dei fatti di cui alla citazione in primo grado, la RAGIONE_SOCIALE rilasciava una fideiussione per € 70.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, così da garantire la fornitura in favore della RAGIONE_SOCIALE, e l’attrice garan tiva con il pegno le obbligazioni della stessa RAGIONE_SOCIALE nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE . Coerentemente con quanto esposto, l’attrice precisava, a pag. 2 dell’atto introduttivo, che l’aggravarsi della situazione economica della RAGIONE_SOCIALE, soggetta a revoca dei fidi, la spingeva a chiedere la restituzione dei titoli dati in pegno alla banca, una volta constatato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva debiti con l’RAGIONE_SOCIALE »; ii ) « I fatti narratati dall’attrice, appena sintetizzati, male si conciliano con l’assunto
secondo il quale lo stesso pegno sarebbe stato rilasciato a garanzia della stessa attrice e non della RAGIONE_SOCIALE L’evidente contraddizione emerge a voler considerare la causa concreta del negozio, costituita dalla necessità, per garantire la fornitura di carburante dalla RAGIONE_SOCIALE alla gestrice, di garantire la banca che a sua volta prestava fideiussione in favore della RAGIONE_SOCIALE »; iii ) « L’argomento esposto dall’appellante con il gravame, secondo il quale se la donna avesse voluto garantire la RAGIONE_SOCIALE, avrebbe esteso la garanzia a tutti i debiti contratti dalla società, non solo a quelli che facevano riferimento ai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, non è condiviso dalla Corte che, invece, ritiene ben più logico e fondato sostenere che la necessità del pegno sorgeva a seguito dell’esistenza della fideiussione prestata dalla banca per la RAGIONE_SOCIALE, in favore della RAGIONE_SOCIALE. La garanzia prestata dall’attrice era evidentemente finalizzata a ‘proteggere’ l’esposizione della banca in favore del fornitore di carburante »; iv) « A tanto aggiungesi l’assoluta logica delle argomentazioni di cui alla prima sentenza, condivise anche dalla Corte. Il Collegio ritiene che la sottoscrizione della pagina, oggetto di attenzione, non possa avere rilevanza alcuna in un documento, pacificamente unico e composto di quattro pagine, regolarmente sottoscritto in calce. Afferma che l’indicazione errata, e quindi corretta, era frutto di un errore materiale tanto evidente da potersi evincere anche in mancanza dell’intervenuta correzione, non potendo porsi in dubbio che la beneficiaria della garanzia fosse la RAGIONE_SOCIALE »; v ) « Quanto al secondo motivo di gravame, la Corte pone in rilievo che l’inciso ‘solo per amor d’arte’, utilizzato dalla difesa di COGNOME NOME, evidentemente escluda la volontà dell’appellante di proporre una specifica contestazione della sentenza. Il Colle gio intende quanto esposto dall’appellante come mera precisazione su un punto della decisione del Tribunale che il giudice del gravame ritiene, in ogni caso, del tutto corretto e condiviso, non potendo il giudice statuire su rapporti che vedevano necessari contraddittori RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, non chiamati a partecipare al contenzioso ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME, affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.c.p.a. in amministrazione straordinaria.
3.1. È stata formulata, da parte del AVV_NOTAIO delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione nonché falsa applicazione e interpretazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; nonché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte, in rel azione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ». Vengono contestate le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha disatteso il gravame della COGNOME;
II) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 216 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché omessa o falsa rappresentazione e motivazione di un punto deciso della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio ». Si deduce che, « diversamente da quanto allegato in sentenza – e cioè che parte convenuta/appellata, abbia proposto prudenziale istanza di verificazione , ex art. 216 del codice di rito – la verità è che la RAGIONE_SOCIALE giammai ha proposto tale istanza, se è vero, com’è, che non si rileva traccia alcuna, negli atti di causa, di tale richiesta. Per mero tuziorismo, laddove e di ciò faremmo ammenda – fosse stata realmente proposta e sfuggita all’attenzione di questa difesa, allora sia il Tribunale sia, a valle, la Corte partenopea avrebbero errato nel non introdurla. Tutto ciò alla luce del fatto che, stante la produzione di un documento ed il suo successivo disconoscimento, ad opera del soggetto contro il quale è stato prodotto, risulterebbe inspiegabile perché entrambi i Giudici di merito si sarebbero rifiutati di dare accesso al giudizio di verificazione – che falsamente si allega
essere stato richiesto – che avrebbe restituito, o meno, al documento stesso, la sua credibilità giurisdizionale »;
III) « Violazione nonché falsa applicazione e interpretazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’appellante, nel secondo motivo di gravame, avendo utilizzato l’espressione ‘ solo per amor d’arte ‘, avrebbe, per ciò solo mostrato la sua volontà di non muovere alcuna censura alla sentenza di prime cure.
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore: « Il ricorso è palesemente inammissibile. Nessuna delle tre censure ha a che vedere con il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma pone in discussione il concreto accertamento di merito operato dalla corte territoriale nell ‘aver ritenuto che la COGNOME avesse sottoscritto un contratto di pegno su titoli e valori per un totale di 70.000,00 € a garanzia di obbligaz ioni contratte da RAGIONE_SOCIALE ed a beneficio della RAGIONE_SOCIALE. Le censure, in altri termini, pongono in discussione inammissibilmente la motivazione adottata dal giudice di merito, peraltro ben al di fuori dei limiti consentiti dal testo vigente dell’ar ticolo 360 c.p.c., come è del resto reso manifesto dall’impiego dell’espressione ‘punto decisivo della controversia’ ».
2.1. Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che resistono ai rilievi formulati da parte ricorrente, ed osserva, inoltre, quanto segue.
Il primo dei descritti motivi si rivela complessivamente inammissibile per plurime ragioni.
3.1. Innanzitutto, perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n.
33348 del 2018). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018).
3.1.1. È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
3.2. Laddove, poi, prospetta un vizio di violazione di legge, la censura è parimenti inammissibile perché, da un lato, difetta di autosufficienza, non riportando il contenuto delle clausole contrattuali invocate; dall’altro, mostra di non considerare che, come ancora recentemente ribadito dalla
giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023; Cass. nn. 35787, 35041, 29860, 19146 e 15240 del 2022), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024).
3.2.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi
esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
3.2.2. La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr. Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
3.2.3. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo si risolve nel sostenere una diversa lettura delle clausole contrattuali invocate, senza indicare specificamente i canoni ermeneutici violati, né riportandone, come si è già detto, alla stregua del principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, il loro contenuto.
3.3. Infine, sotto il profilo del lamentato vizio di « contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte », la censura è radicalmente inammissibile, perché fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (nella formulazione disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pronunciata il 5 dicembre 2019), dovendo qui solo ribadirsi che la menzionata disposizione riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma
normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 19417, 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022).
Parimenti inammissibile si rivela il secondo motivo di ricorso, anch’esso caratterizzato, come il primo, dalla stessa prospettazione generica e cumulativa di vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), oltre che dalla denuncia di un vizio motivazionale (« omessa, falsa rappresentazione e motivazione di un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevabile di ufficio »), esulante dal già descritto perimetro di cui al vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
4.1. Resta solo da aggiungere, quanto all’istanza di verificazione di cui in esso si discute ed alla lamentata violazione dell’art. 216 cod. proc. civ., che la corte territoriale ha espressamente affermato ( cfr . pag. 7 della sentenza impugnata) che « la sottoscrizione della pagina, oggetto di attenzione, non possa avere rilevanza alcuna in un documento, pacificamente unico e composto di quattro pagine, regolarmente sottoscritto in calce » e che « l’indicazione errata, e quindi corretta, era frutto di un errore materiale tanto evidente da potersi evincere anche in mancanza dell’intervenuta correzione, non potendo porsi in dubbio che la beneficiaria della garanzia fosse la RAGIONE_SOCIALE». Così opinando, dunque, la stessa ha chiaramente ritenuto assolutamente irrilevante la questione ancora oggi agitata dalla ricorrente.
Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo di ricorso perché non spiega minimamente in cosa sarebbe consistita la violazione del richiamato art. 112 cod. proc. civ., posto che la corte distrettuale si è comunque pronunciata sul secondo motivo di gra vame ivi formulato dall’appellante ritenendo, « in ogni caso, del tutto corretto e condiviso » quanto sancito, sul corrispondente punto, dal tribunale, « non potendo il giudice statuire su rapporti che vedevano necessari contraddittori RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, non chiamati a partecipare al contenzioso ». Affermazione, questa, rimasta qui priva di adeguata censura.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
6.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis, comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ..
6.1.1. Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis, comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. n. 16191 del 2024).
6.1.2. Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘ tenuta ‘, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr. , in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 5.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
6.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la medesima ricorrente al pagamento della somma di € 5.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile