Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21874 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21874 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9176-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Inammissibilità dei motivi di ricorso principale e incidentale
RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/03/2024
Adunanza camerale
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente al ricorso incidentale –
Avverso la sentenza n. 2955/2020 d ella Corte d’appello di Milano, depositata in data 17/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 07/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2955/20, del 17 novembre 2020, della Corte d’appello di Milano, che in accoglimento solo parziale del gravame da essa esperito, in via di principalità, avverso la sentenza n. 670/18, del 13 settembre 2018, del Tribunale di Varese, nonché, sempre solo in parte, pure del gravame incidentale della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ) -ha provveduto nei termini seguenti.
Essa ha confermato la condanna di COGNOME alla restituzione, a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, del terreno ubicato nel Comune di Oleggio, in località Sant’Eustachio -Cascina Malfatta, stabilendo, però, che la stessa debba avvenire in stato compatibile con quello indicato nella determinazione del 27 giugno 2007 del predetto Comune, confermando, altresì, la condanna dell’odierna ricorrente a risarcire il danno da tardiva riconsegna dell’immobile, che ha però ridotto nell’importo di €
9.223,83 mensili, decorrenti dal 1° gennaio 2015 fino all’effettivo rilascio.
2. Riferisce , in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver incorporato la società RAGIONE_SOCIALE, così subentrando nei rapporti negoziali ad essa facenti capo, tra i quali quello intercorrente con COGNOME. In particolare, in forza di tre distinti atti negoziali del 22 marzo 1999 (il primo dei quali sostanziatosi nella costituzione di un’associazione temporanea d’imprese, gli altri due nella previsione di accordi integrativi, anche quanto alla disciplina di dettaglio, del primo negozio), COGNOME COGNOME era stata immessa nella detenzione dell’immobile suddetto -avente, all’epoca, destinazione urbanistica a cava la cui proprietà era stata acquisita da COGNOME. Scopo dell’operazione negoziale era lo sfruttamento minerario dell’immobile, essendo COGNOME dotata dei mezzi, delle conoscenze necessarie e dei requisiti occorrenti per ottenere il rilascio della concessione estrattiva.
Tale assetto negoziale, peraltro, veniva successivamente rimodulato dalle parti, e ciò in forza di accordi modificativi conclusi dapprima il 20 giugno 2007 e poi l’11 aprile 2008, nonché, di seguito, il 13 marzo 2012. In particolare, in esecuzione di questi ultimi, COGNOME -che nel frattempo aveva incorporato RAGIONE_SOCIALE -presentava, il 13 aprile 2012, istanza di rinnovo dell’autorizzazione estrattiva per altri due anni, essendo stata prorogata, sempre in forza del suddetto accordo integrativo del 3 marzo 2012, la durata dell’ATI sino al 31 dicembre 2014. Tale procedimento amministrativo, però, veniva sospeso, per effetto dell’art. 7 -bis del Piano delle Attività Estrattive della Provincia di Novara, che stabiliva come tutta l’area afferente il Polo estrattivo di Oleggio dovesse divenire ‘oggetto di un idoneo piano esecutivo di iniziativa pubblica o privata’, che ne prevedesse ‘la fruizion e
pubblica come destinazione finale’. L’autorizzazione di nuove attività estrattive, pertanto, risultava, ‘subordinata alla predisposizione in sede comunale del sopraindicato piano’. Esso, peraltro, adottato il 30 settembre 2013, prevedeva la destinazione de ll’area suddetta a Parco Urbano, tanto da aver comportato, a carico di COGNOME, l’onere di presentare un’istanza di rinnovo e modifica degli interventi di ripristino ambientale previsti dall’autorizzazione estrattiva.
A tali procedure amministrative, tuttavia, si sovrapponeva quella c.d. di ‘caratterizzazione’ della cava, ex art. 242 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, essendosi nel frattempo accertato -come risultante da nota della Provincia di Novara del 20 ottobre 2014 -il superamento dei valori limite delle concentrazioni soglia di contaminazione, in particolare previsti dalla colonna A, tabella 1, dell’Allegato 5, Parte IV del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006.
Tale procedura, peraltro, si risolveva favorevolmente, con determinazione dell’area tecnica del Comune di Oleggio, n. 29 del 1° marzo 2016, provvedimento di seguito annullato -su iniziativa di COGNOME -dal TAR Piemonte, con sentenza n. 727 del 19 gennaio 2019, la cui decisione veniva appellata innanzi al Consiglio di Stato, ma da esso confermata con sentenza n. 888 del 17 novembre 2020 (secondo quanto si legge dal controricorso e ricorso incidentale di COGNOME).
Nel frattempo, COGNOME -nel settembre 2016 -promuoveva giudizio innanzi al Tribunale di Varese, affinché NOME fosse condannata a restituire l’immobile nelle condizioni ambientali e fisiche prescritte dall’autorizzazione di cui alla determinazione comunale n. 531 del 27 giugno 2007, e a risarcire il danno conseguente alla mancata disponibilità dello stesso a far data dal 1° gennaio 2015.
Costituitasi in giudizio, la convenuta, oltre a resistere all’avversaria domanda, adducendo in particolare che il recupero
ambientale del bene non era stato ultimato per fatti esulanti dalla propria sfera di controllo, agiva pure in via di riconvenzione per il risarcimento del danno. In particolare, tale pretesa veniva azionata sul presupposto della violazione, da parte di COGNOME, degli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti conclusi e per abuso del diritto, chiedendo la convenuta, in via subordinata, accogliersi la c.d. ‘ exceptio doli generalis ‘.
L’adito Tribunale riteneva COGNOME inadempiente alle obbligazioni assunte, per non aver eseguito il ripristino ambientale dell’area oggetto del contratto, per non aver completato il riempimento della cava con materiali non pericolosi, per non aver provveduto al recupero ambientale, secondo quanto previsto, come onere a suo carico, dalle Pubbliche Amministrazioni competenti e, infine, per non aver provveduto alla restituzione a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’area in oggetto. In particolare, il danno da protratta occupazione della stessa veniva quantificato in € 1.500,00 mensili dalla data della mancata restituzione, fino all’effettivo rilascio.
Proposto gravame da ambo le parti, COGNOME insisteva per l’accoglimento delle domande e conclusioni proposte in primo grado, contestando pure la quantificazione dell’asserito danno derivante da tardiva consegna dell’immobile. Per parte propria, COGNOME chiedeva la riforma della sentenza impugnata per non aver condannato COGNOME all’ultimazione del recupero ambientale.
Il giudice d’appello accogli eva parzialmente ambo i mezzi, decidendo nei termini sopra meglio indicati, provvedendo anche a rideterminare le spese del primo grado di giudizio, in particolare attraverso una riduzione degli onorari già liquidati, in prime cure, a COGNOME.
Avverso la sentenza della Corte ambrosiana ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione della legge regionale della Regione Piemonte 17 novembre 2017, n. 23.
Esso censura la sentenza impugnata perché, facendo violazione e falsa applicazione della suddetta legge regionale, che disciplina la coltivazione delle cave, ha ritenuto -con decisione che si assume, invece, erronea -possibile giuridicamente, e dunque legittimo, il riempimento ulteriore dell’invaso dell’ex cava con materiali di risulta, parametrando su tale asserita potenzialità economica il risarcimento del danno spettante a COGNOME.
Per contro, la disciplina regionale e l’esercizio del potere conformativo della pubblica amministrazione, cui compete autorizzare le modalità di recupero ambientale dell’ex cava, non consentivano l’ulteriore riempimento dell’invaso residuato nella cava stessa.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ.
Si censura, in questo caso, la decisione della Corte territoriale perché ha determinato il ‘ quantum ‘ del risarcimento del danno interpretando ‘ contra legem ‘ un accordo ‘ inter partes ‘, ovvero quello sottoscritto il giorno 11 aprile 2008, il cui oggetto e la cui funzione impedivano, invece, l’applicazione fattane , erroneamente, dalla Corte milanese. Tale accordo, infatti era volto a regolare il lasso temporale in cui fu eccezionalmente consentito di riempire la ex cava con materiali inerti per
ripristinare il piano di campagna, come oggetto della determinazione del Comune di Oleggio numero 531 del 27 giugno 2007, che, in allora, reggeva il ripristino ambientale.
In particolare, l’impugnata sentenza, facendo applicazione di tale accordo -solo eccezionale e contingente -per determinare, al di fuori dell’oggetto e della portata di esso, il risarcimento richiesto da COGNOME, avrebbe violato le regole codicistiche di ermeneutica contrattuale ed in particolare l’art. 1364 cod. civ., che impedisce di estendere l’oggetto del contratto a casi sui quali le parti non si sono proposte di contrattare.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 1223 cod. civ.
La sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 1223 cod. civ., perché, nel riconoscere il preteso danno, accampato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e consistente nel ritardo nell’ultimazione del recupero ambientale dell’ex cava, non ha tenuto conto che esso non è affatto riferibile causalmente a RAGIONE_SOCIALE, ma è conseguito ad un ‘ factum principis ‘. La sua origine, infatti, andrebbe individuata sia nella sopravvenuta disciplina del ‘PAEP’ e del successivo Piano Particolareggiato, che hanno modificato la destinazione dell’ area estrattiva in area destinata a parco urbano a fruizione pubblica, sia nell’esperimento del procedimento di screening e di caratterizzazione ambientale dell’area stessa, quest’ultimo conclusosi nel 2016, quando il termine contrattualmente pattuito per la restituzione dei terreni era ormai scaduto, senza che gli enti pubblici competenti avessero, nel frattempo, rilasciato il rinnovo dell’autorizzazione estrattiva, necessaria per procedere al recupero ambientale della cava.
Inoltre, si censura la sentenza per violazione dell’art. 1227 cod. civ., perché COGNOME avrebbe potuto evitare (o
mitigare) il preteso danno da essa allegato se avesse usato l’ordinaria diligenza ; ovvero, in particolare, se non avesse fatto richiedere, tramite RAGIONE_SOCIALE, ‘ in limine ‘ alla scadenza dell’autorizzazione amministrativa di coltivazione della cava, alcuna modifica del recupero ambientale originariamente previsto, oppure se avesse almeno prorogato il termine contrattuale di efficacia della joint venture , per consentire il compimento dell’iter amministrativo già intrapreso dalla medesima RAGIONE_SOCIALE, su sollecitazione di essa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1256 e 1463 cod. civ.
Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., in quanto ha condannato COGNOME alla restituzione del terreno facendo riferimento ad un ‘recupero ambientale’ da compiersi conformemente all’autorizzazion e ambientale vigente, identificata nella determinazione n. 531 del 27 giugno 2007, e dunque condannando COGNOME ad un ‘ facere ‘ impossibile.
Difatti, proprio il Comune di Oleggio, nella nota del 27 maggio 2015, ha riconosciuto che COGNOME, per stessa ammissione di COGNOME, non ha, allo stato, l’attuale disponibilità dei terreni per cui è causa, essendo stata privata della loro detenzione da RAGIONE_SOCIALE. Così pronunciandosi, pertanto, la sentenza impugnata avrebbe violato, da un lato, gli artt. 1256, comma 1, e 1463 cod. civ., alla stregua dei quali tale obbligo di ‘ facere ‘ si è estinto, non essendo più predicabile la sua esistenza in capo all’odierna ricorrente; dall’altro, nel condannare COGNOME a un risarcimento periodico, da protrarsi indefinitamente, la Corte territoriale ha pure violato l’articolo 1256, comma 2, cod. civ., e
ciò perché, al più, un asserito inadempimento dell’obbligo restitutorio di COGNOME avrebbe potuto dichiararsi solo al momento in cui COGNOME le avesse garantito, di nuovo, la disponibilità dell’area, sicché, sino a tale eventuale futuro momento COGNOME si troverebbe in una situazione quantomeno d’impossibilità temporanea ad adempiere che impedirebbe di ritenerla ‘responsabile del ritardo’, come considerato dalla norma da ultimo richiamata.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, nonché svolgendo ricorso incidentale sulla base di due motivi.
4.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., deducendo l’esistenza di un vizio di ultrapetizione.
Si assume, infatti, che COGNOME, con il suo quarto motivo di appello, si sarebbe limitata a richiedere, alternativamente, l’accertamento dell’infondatezza della pretesa risarcitoria di COGNOME, il riconoscimento della mancanza di prova del danno, la declaratoria di insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1226 cod. civ.
Per contro, essa non avrebbe formulato alcuna domanda subordinata, che prevedesse l’ipotesi (anche denegata) di una conferma dell’accertato inadempimento e la eventuale necessità solo di rideterminare il ‘ quantum ‘ dell’indennità di occupazione liquidata, come, invece, ha poi ritenuto il giudice di appello.
Di qui, pertanto, l ‘ipotizzata violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
4.2. Il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e all’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., nonché omessa/contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato.
In particolare, pur riconoscendosi che il giudice di appello -in occasione della riforma della sentenza impugnata -ben poteva modificare la disciplina delle spese di lite, si evidenzia come non sia dato di comprendere secondo quale criterio esso abbia operato una drastica riduzione degli onorari in primo grado, liquidati dal Tribunale in favore di COGNOME nella somma di € 32.600,00 oltre accessori di legge.
Non si comprenderebbe, dunque, anche alla luce della tariffa applicata, il criterio in base al quale sono stati determinati i compensi spettanti per il primo grado di giudizio.
La società RAGIONE_SOCIALE ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale va dichiarato inammissibile.
9.1. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
9.1.1. Esso censura la decisione della Corte milanese, di liquidare il danno da protratta occupazione dell’area con riferimento all’ipotetico utile che si sarebbe potuto trarre dalla possibilità di riempimento ulteriore, con materiali di risulta, dell ‘invaso dell’ex cava, ciò che sarebbe, però, precluso dalla suddetta legge regionale della Regione Piemonte 17 novembre 2017, n. 23.
Tale assunto, tuttavia, viene svolto attraverso una serie di considerazioni che evocano atti -il PAEP, richiamato per ben tre volte, due autorizzazioni provinciali e una relazione tecnica -riguardo ai quali la ricorrente principale omette, però, di precisare se, dove e come, nel giudizio di merito, si fosse argomentato in ordine alla loro rilevanza. Solo come conseguenza della valutazione e dell’apprezzamento di tali atti si sostiene la censura ‘ in iure ‘, peraltro omettendo di chiarire, quanto a quella di violazione di legge, come e perché nella motivazione oggetto di critica sarebbe dato cogliere l’erronea ricognizione delle norme indicate. Quanto, invece, al vizio di falsa applicazione, l’assenza di spiegazioni sul modo in cui rileverebbero -a tali fini -gli atti già sopra richiamati è sufficiente a determinare l’inammissibilità della censura, per difetto di specificità, assorbendo anche il rilievo secondo cui, per poter ritualmente dedurre tale censura, i medesimi atti avrebbero dovuto essere conside rati ‘ expressis verbis ‘ dalla sentenza impugnata ed apprezzati ‘ in iure ‘ in un certo modo, perché solo così sarebbe stato -‘ in thesi ‘ -configurabile il denunciato vizio di sussunzione.
Complessivamente considerato, il motivo, in realtà, mira solo a sollecitare una diversa valutazione di circostanze di fatto, quelle ipoteticamente emergenti dagli atti evocati, così ponendosi al di fuori del paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ., e segnatamente di quello di cui n. 5) del comma 1, peraltro nemmeno richiamato, la cui evocazione avrebbe, oltretutto, richiesto la precisa
indicazione del dove e del come su detti atti si era argomentato (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 62983101; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359).
9.2. Anche il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile, a norma dell’art. 366, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.
9.2.1. Esso, infatti, neppure chiarisce come e perché le norme sull’ermeneutica contrattuale, peraltro genericamente evocate, sarebbero state violate dalla sentenza impugnata.
Deve, pertanto, ribadirsi -in via generale -che ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura’, non solo ‘di indicare l e norme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
A questo principio d’ordine generale corrisponde, quanto alle norme sull’interpretazione del contratto, l’affermazione di questa Corte a mente della quale ‘l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di
ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto’ (così, tra le molte, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 7 novembre 2019, n. 28625, non massimata sul punto; in senso analogo, sempre in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15763). Affinché, tuttavia, una censura siffatta possa dirsi ritualmente proposta, risulta necessario che ‘la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale’, non si limiti ‘a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01; in senso analogo, più di recente, Cass. Sez. 1, ord. 9 aprile 2021, n. 9461, Rv. 661265 -01), ‘non assumendo rilievo la circostanza che nella sentenza impugnata risulti omesso l’espresso riferimento ad uno specifico criterio interpretativo legale’ (Cass. Sez. 3, ord. 21 luglio 2017, n. 15350, Rv. 644814 -02).
Di qui, pertanto, l’inammissibilità del presente motivo del ricorso principale.
9.3. Il terzo motivo del ricorso principale è, per le stesse ragioni già illustrate nello scrutinare il primo motivo , anch’esso inammissibile.
9.3.1. Nell’assumere, infatti, la ricorrenza della ipotesi del ‘ factum principis ‘, che si reputa idonea ad escludere la responsabilità per inadempimento di essa RAGIONE_SOCIALE, il presente motivo fa riferimento, nuovamente, al ‘PAEP’ e al Piano Particolareggiato adottato dal Comune di Oleggio, presentando, così, i medesimi difetti di formulazione già sopra evidenziati. Pure in questo caso, dunque, si è in presenza di una mera sollecitazione alla valutazione di circostanze fattuali, anche qui evocate senza precisare il come ed il dove sarebbero state oggetto di disamina del giudizio di merito.
9.4. Infine, l’inammissibilità inficia pure il quarto motivo del ricorso principale.
9.4.1. La sua illustrazione, infatti, si basa su di un documento -la nota del 27 maggio 2015 del Comune RAGIONE_SOCIALE Oleggio -che attesterebbe l’impossibilità del ‘ facere ‘ imposto a COGNOME dalla sentenza impugnata, senza, però, indicare se e dove il fatto da esso rappresentato era stato allegato nel giudizio di merito.
Sicché pure in questo caso valgono considerazioni analoghe a quelle svolte con riferimento al primo motivo.
Quanto al ricorso incidentale, anch’ esso risulta inammissibile in ciascuno dei due motivi in cui si articola.
10.1. Il primo motivo è inammissibile, giacché proposto senza rispettare l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
10.1.1. Si assume, infatti, che COGNOME non avrebbe proposto -con il quarto motivo del suo atto di gravame -alcuna censura in merito di al ‘ quantum ‘ dell’indennità di occupazione
liquidata, sicché il giudice, nel ridurre l’entità della stessa, sarebbe incorso in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Tale doglianza, tuttavia, avrebbe richiesto la riproduzione del contenuto del suddetto motivo di gravame, nella misura necessaria, appunto, a consentire il rispetto dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., donde la sua inammissibilità.
Né osta a tale conclusione la constatazione che il motivo si sostanzia nella deduzione di un ‘ error in procedendo ‘ (rispetto ai quali questa Corte è anche giudice del ‘fatto processuale’, con possibilità di accesso diretto agli atti del giudizio; cfr., tra le altre, Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2023, n. 16028, Rv. 667816-02; Cass. Sez. Lav., sent. 5 agosto 2019, n. 20924, Rv. 654799-01; Cass. Sez. 6-5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso già Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01). Difatti, resta inteso che -pure in questi casi -l’ammissibilità del sindacato demandato a questa Corte è , comunque, subordinata alla condizione che ‘la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.’ (Cass. Sez. Un., sent. n. 8077 del 2012, cit .).
Pertanto, la ‘deduzione con il ricorso per cassazione errores in procedendo , in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all ‘ esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l ‘ ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l ‘ ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell ‘ ambito di quest ‘ ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere
direttamente all ‘ esame ed all ‘ interpretazione degli atti processuali’ (così, tra le altre, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).
Si tratta, peraltro, di un’esigenza -come è stato icasticamente osservato -che ‘non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d’esame degli atti processuali, oltre quella devolut agli dalla legge’, ma che ‘risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).
10.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, ex art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.
10.2.1. Esso, infatti, omette di argomentare specificamente sul modo in cui, secondo la tariffa invocata, avrebbero dovuto liquidarsi le spese, donde la sua inammissibilità ai sensi della norma sopra richiamata (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 23 maggio 2000, n. 6733, Rv. 536841-01).
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della loro reciproca soccombenza.
A carico della ricorrente principale e di quella incidentale, stante la declaratoria di inammissibilità dei rispettivi ricorsi,
sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente tra parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e di quella incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della