Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2040 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 35100/2019 r.g. proposto da:
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME (gli ultimi tre quali eredi di NOME COGNOME), tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME .
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (quale mandataria di La RAGIONE_SOCIALE già Banca Popolare di Bari RAGIONE_SOCIALE), con sede in Milano, alla INDIRIZZO
-intimata – avverso la sentenza, n. cron. 1526/2018, della CORTE DI APPELLO DI SALERNO, pubblicata in data 11/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 07/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto notificato il 4 novembre 2013, NOME COGNOME nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME proposero impugnazione sia avverso la sentenza parziale n. 15/2009 emessa dal Tribunale di Salerno – Sezione distaccata di Mercato San Severino il 5 dicembre 2009, con cui era stata rigettata l’eccezione di incompetenza per territorio da essi sollevata, sia avverso la sentenza definitiva n. 403/2013, emessa dallo stesso tribunale il 10 agosto 2013, con cui era st ata respinta l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 24/2006, avente ad oggetto l’ ingiunzione al pagamento, in favore della Banca Popolare di Bari, di € 387.342,67, oltre interessi e spese della procedura.
1.1. In primo grado, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano opposto l’appena menzionato decreto in quanto fideiussori della società COGNOME. Avevano eccepito l’incompetenza per territorio del tribunale adito, perché individuato erroneamente nella sezione distaccata di Mercato San Severino e non in quella centrale del Tribunale di Salerno, posto che la precedente procedura monitoria con il conseguente giudizio di opposizione erano stati attivati innanzi al Tribunale di Napoli, previamente adito, che con la sentenza del 10 marzo 2005, aveva accertato la propria incompetenza territoriale ed individuato la competenza alternativa nel Tribunale di Avellino; in quella di Bari; in quella di Torre Annunziata, sezione di Sorrento e nel Tribunale di Salerno, revocando il primo decreto ingiuntivo emesso. A loro dire, quindi, la causa non si sarebbe potuta riassumere, e comunque il nuovo decreto ingiuntivo non si sarebbe potuto richiedere dalla Banca dinanzi al Tribunale di Salerno – sezione distaccata di Mercato San COGNOME. Su tale eccezione, il tribunale adito aveva emesso l’impugnata sentenza parziale. Nel merito, poi, avevano dedotto che: i ) la garanzia fideiussoria prestata era decaduta per mancata azione nei confronti del debitore principale nei sei mesi dal recesso
da parte della Banca; ii ) il credito vantato da quest’ultima non era stato documentato e che l’avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore principale aveva cristallizzato il debito; iii ) di essere stati liberati dalla obbligazione fideiussoria, dal momento che la Banca aveva accordato credito alla RAGIONE_SOCIALE pur conoscendone le vicende societarie e l’aggravamento delle condizioni patrimoniali.
1.2. La Banca Popolare di Bari, costituendosi nel descritto giudizio di primo grado, aveva eccepito la tardività della proposta opposizione, questione anch’essa rigettata con la menzionata sentenza parziale, e concluso per l’infondatezza delle avverse doglian ze.
1.3 . Il giudice di prime cure aveva rigettato l’opposizione proposta, confermando il decreto ingiuntivo n. 24/06, atteso che l’ipotesi di ricalcolo elaborata dal c.t.u. alla lettera A, ritenuta maggiormente condivisibile, aveva sostanzialmente confermato il credito per il quale la Banca aveva agito.
Il gravame promosso da NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME avverso tali decisioni (sentenze parziale e definitiva) fu respinto dall’adita Corte di appello di Salerno con sentenza pubblicata l’11 ottobre 2018, n. 1526, pronunciata nel contraddittorio con La Popolare RAGIONE_SOCIALE
2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte: i ) disattese il gravame contro la sentenza parziale, rimarcando che « l’instaurazione di un giudizio innanzi alla sezione distaccata in luogo della sede centrale di un Tribunale non costituisce violazione di regole di competenza per territorio, attenendo alla distribuzione interna di affari giudiziari tra sede centrale e sedi distaccate nell’ambito di uno stesso ufficio, risolvibile ai sensi degli artt. 83 -ter disp. att. c.p.c. », altresì precisando che « la violazione della regola di distribuzione territoriale delle controversie tra sede centrale e sedi distaccate del tribunale in composizione monocratica non integra una nullità deducibile in appello ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c. se sia stata rilevata tempestivamente dalla parte e non sanzionata con il procedimento di cui all’art. 83 -ter c.p.c. »; ii ) richiamando quanto sancito da Cass. n. 28943 del 2017, ritenne che la
decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, sancita dall’art. 1957 cod. civ., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, potesse essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urtava contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore; iii ) avvalendosi di quanto sancito da Cass. n. 3761 del 2006, opinò che « L’obbligo informativo della situazione di difficoltà economica del debitore principale viene meno quando tale situazione è comune o comunque deve ritenersi conosciuta dal fideiussore che riveste una carica sociale nella società debitrice, in virtù della quale non può non essere al corrente della situazione finanziaria della società. . Nel caso di specie , i fideiussori odierni appellanti – COGNOME NOME, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, e sua moglie NOME COGNOME, in ragione della carica rivestita nella compagine societaria e dei loro rapporti, devono ritenersi inevitabilmente a conoscenza della situazione economica della società. I noltre, la stessa sottoscrizione della clausola n. 5, che prevedeva l’obbligo a carico degli stessi di tenersi informati sull’andamento del rapporto garantito, esclude la violazione dell’art. 1956 c.c. »; iv ) negò che la sospensione degli interessi convenzi onali o legali operata, agli effetti del concorso, dall’art. 55 l.fall. si estendesse al fideiussore del fallito. Spiegò, in proposito, che « il fideiussore che ha pagato il debito dopo il fallimento del debitore principale non può concorrere, nel fallimento, per gli interessi (e la rivalutazione monetaria) maturati dopo la dichiarazione del fallimento stesso, ancorché li abbia corrisposti al creditore, atteso che, ai sensi della generale disposizione di cui all’art. 55 legge fallim., la dichiarazione del fallimento sospende il corso degli interessi (salvo si tratti di credito garantito da privilegio, pegno o ipoteca), onde egli può esercitare soltanto l’azione di surroga nei diritti del creditore principale, non anche quella di regresso, che ha contenuto più ampio della prima, comprendendo, ai sensi dell’art. 1950 c.c., anche gli interessi e
le spese (Cass. civ. n. 16078/2004) »; v ) osservò, infine, che « La Banca ha allegato agli atti tutta la documentazione comprovante il proprio credito, ivi compresi gli estratti conto e i conti scalare, il conteggio degli interessi maturati sui conti, i contratti di fideiussione stipulati con le parti. Gli odierni appellanti hanno formulato in merito ai documenti prodotti contestazioni generiche, limitandosi a dedurre la non conformità degli estratti conto e della documentazione versata agli atti dalla Banca (‘perché in fotocopia non riconosciuta nella conformità’), senza specificare aspetti, profili, per i quali potrebbe essere rilevabile la paventata difformità. Quanto all’ulteriore deduzione di non conformità dei documenti (perché ‘adulterati da manipolazioni e dalla contabilizzazione di interessi usurari; di spese non dovute e non documentate; di capitalizzazione illegittime; di commissioni come quella di massimo scoperto non dovute’), opina la Corte che l’accertamento svolto dal Ctu ha acclarato l’insussistenza degli addebiti illegittimi prospettati e ha comunque rielaborato il quantum debeatur espungendo le voci non dovute (e alcuno computo è stato effettuato dell’iva), nell’ipotesi A, cui ha aderito condivisibilmente il Giudice di prime cure, senza capitalizzazione alcuna fino al 30.09.2000, dopo aver rilevato l’applicazione di interessi anatoc istici in un solo trimestre prima dell’adeguamento alla delibera CICR del 2000 ».
Per la cassazione di questa sentenza, hanno promosso ricorso NOME COGNOME nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, prospettando sei motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. La Popolare Bari RAGIONE_SOCIALE (già Banca Popolare di Bari) e, per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE, destinataria della notificazione di detto ricorso, non ha svolto difese in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del menzionato ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione e falsa applicazione di norme sulla competenza. Art. 360, comma 1, n. 2, c.p.c., in relazione all’art. 645 c.p.c., all’art. 25 Costituzione, agli artt. 18, 19, 20, 44, 50 e 324 c.p.c., all’art. 83 -ter disp. att. c.p.c. Incompetenza territoriale del giudice », contestandosi alla corte di appello il rigetto, asseritamente erroneo, dell’eccezione proposta dagli odierni ricorrenti in ordine alla incompetenza territoriale della ( ex ) sezione distaccata del Tribunale di Mercato Sanseverino. Si assume che « La Corte territoriale ha ritenuto che l’instaurazione del giudizio dinanzi alla sede distaccata, anziché alla sede centrale, non concretizzerebbe ipotesi di violazione delle regole di competenza, in quanto tale vicenda sarebbe risolvibile ai sensi dell’art. 83ter disp. att. cpc. Sta di fatto, però, che il Tribunale adito in prime cure non ha applicato la suddetta norma né l’iter procedurale in essa previsto, cosicché la successiva sentenza n. 1526/18 della Corte di Appello di Salerno, che non ha rilevato la sua inosservanza deve essere revocata e riformata sul punto …»;
II) « Vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Incongruità della motivazione in relazione ad argomento già oggetto di discussione nel processo », ulteriormente censurandosi il mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale di cui al precedente motivo;
III) « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 1957 e 1469 -bis c.c. Art. 33 del d.lgs. 06/09/2005, n. 206 ». Si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato l’essere la banca creditrice decaduta dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, come previsto dall’art. 1957 cod. civ., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale. Si assume che la clausola di deroga a quella previsione si sarebbe dovuta considerare vessatoria;
IV) « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 1956, 1175 e 1375 c.c. », per avere la corte d’appello ritenuto che l’obbligo informativo della situazione di difficoltà economica del debitore principale viene meno quando tale situazione è comune o comunque deve ritenersi conosciuta dal fideiussore che riveste una
carica sociale nella società debitrice, in virtù della quale non può non essere al corrente della situazione finanziaria della società;
« Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 55 e 78 L.F. e 1941 c.c. », per avere la corte territoriale negato che la sospensione degli interessi convenzionali o legali operata, agli effetti del concorso, dall’art. 55 l.fall., si estendesse al fideiussore del fallito;
VI) « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 1283, 2712 e 2719 c.c. », contestandosi la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto provato dalla banca il credito azionato.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360bis .1 cod. proc. civ.
2.1. Si legge nella sentenza impugnata che Banca Popolare di Bari aveva intrapreso un primo procedimento monitorio innanzi al Tribunale di Napoli e che il medesimo tribunale, definendo il relativo giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. innanzi ad esso instaurato da NOME COGNOME e NOME COGNOME con sentenza del 10 marzo 2005, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale ed individuato la competenza alternativa dei Tribunali di Avellino o di Bari, o di Torre Annunziata – sezione distaccata di Sorrento, o di Salerno, contestualmente revocando l’ingiunzione opposta. La causa, poi, era stata riassunta dinanzi al Tribunale di Salerno – sezione distaccata di Mercato San Severino, piuttosto che presso la sede centrale di tale ufficio, rag ione quest’ultima, che gli opponenti avevano invocato a fondamento della ivi formulata eccezione di ‘ incompetenza territoriale ‘.
2.2. Fermo quanto precede, va rilevato che costituisce orientamento assolutamente incontroverso, nella giurisprudenza di legittimità, quello per cui la ripartizione degli affari tra la sede centrale del tribunale e le sue sezioni distaccate ha carattere interno ed in nessun caso può dare luogo a questioni di competenza territoriale, sicché ove ne siano violati i criteri va disposta la trasmissione degli atti al presidente del tribunale perché provveda con
decreto non impugnabile ai sensi dell’art. 83ter disp. att. cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 21557 del 2014; Cass. n. 13200 del 2011; Cass. n. 13909 del 2006; Cass. n. 19299 del 2005; Cass. n. 15752 del 2002; Cass. n. 8025 del 2001).
2.3. Peraltro, la citata Cass. n. 13200 del 2011 ha opportunamente puntualizzato che « deve escludersi che l’inosservanza, ove rilevata dalla parte e non sanzionata con il procedimento di cui all’art. 83 -ter , o perché il giudice adito (della sede centrale o della sezione distaccata) si sia rifiutato di rimetterla al presidente reputandola infondata, o perché, pur avendola rimessa, il presidente l’abbia disattesa mantenendo l’incardinamento della causa presso l’articolazione adita, si concreti in una nullità deducibile con il mezzo di impugnazione avverso la sentenza secondo la regola dell’art. 161 c.p.c., comma 1 (conversione della nullità in motivo di impugnazione) ». Più in particolare, si è spiegato, in quella sede, che « il regime della questione non può essere diverso allorquando il giudice della sezione o sede adita abbia escluso la fondatezza dell’eccezione di inosservanza del riparto territoriale e non abbia rimesso la decisione al presidente del tribunale. Poiché la rimessione di fronte alla proposizione dell’eccezione non è obbligatoria ma il potere di rimessione è condizionato alla valutazione di fondatezza o di non manifesta infondatezza, alla valutazione di infondatezza non può che essere assegnato lo stesso regime del decreto del presidente, cioè l’inimpugnabilità e, quindi, l’attitudine a definire la questione senza alcuna possibilità di discussione. L’inesistenza di un dovere di rimettere in ogni caso la decisione sulla questione al presidente e l’esistenza del potere di decidere la stessa nel senso della infondatezza, escludono che la mancata rimessione possa determinare una nullità per inosservanza di forme. In sostanza la volontà espressa dal legislatore, alla luce di questi rilievi, è di una definizione della questione in modo definitivo o immediatamente con la decisione di infondatezza del giudice adito o con quella adottata nel senso della fondatezza o infondatezza dal presidente ».
2.4. Le esposte argomentazioni, che il Collegio condivide pienamente ed intende ribadire, non offrendo quelle della odierna doglianza significativi
elementi per rimeditarle, sono ampiamente sufficienti, dunque, a giustificare la declaratoria di inammissibilità di questo motivo.
Inammissibile è pure il secondo motivo di ricorso.
3.1. Invero, pur volendosene sottacere una formulazione (‘ Incongruità della motivazione in relazione ad argomento già oggetto di discussione nel processo ‘) totalmente sfornita di riscontro nel vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod., proc. civ. (nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa l’11 ottobre 2018, a tenore del quale oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi e sclusivamente l’omesso esame circa un « fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti »), è doveroso ricordare, comunque, che, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dall’odierna ricorrente con citazione notificata il 4 novembre 2013, come emerge dalla pagina 2 della sentenza impugnata. Cfr . Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di pr imo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il
ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. nn. 27328, 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere, invece, qui rimasto inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua.
Il terzo motivo di ricorso è anch’esso complessivamente inammissibile.
4.1. In proposito, infatti, occorre rimarcare, da un lato, che costituisce consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui la decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, sancita dall’art. 1957 cod. civ. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore ( cfr., e multis , Cass. n. 28943 del 2017; Cass. n. 21867 del 2013; Cass. n. 9245 del 2007); dall’altro, che i ricorrenti, pur avendo dedotto di aver eccepito, in entrambi i gradi di merito, la nullità ed inefficacia, per violazione dell’art. 1469bis cod. civ., dell’eventuale rinuncia preventiva alla suddetta decadenza, non hanno minimamente riprodotto in ricorso il corrispondente contenuto degli atti del giudizio di merito in cui tanto sarebbe stato prospettato, né hanno fornito una qualsivoglia localizzazione di tali atti.
4.2. Posto, allora, che nulla si rinviene, circa quest’ultimo specifico profilo, nella sentenza impugnata, deve trovare applicazione il principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità, per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio
di autosufficienza del ricorso ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021; Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. n. 5426 del 2024). In altri termini, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. nn. 32804 e 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 16632 del 2010).
4.3. A tanto deve soltanto aggiungersi, in via assolutamente dirimente, che l’accertamento della qualità di consumatore in capo ai soggetti che originariamente prestarono la fideiussione in esame (NOME COGNOME e NOME COGNOME) postula accertamenti fattuali incompatibili con il giudizio di legittimità. In quest’ottica, dunque, essi avevano l’onere, rimasto, però inadempiuto, di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr . Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025/2000), atteso che nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito ( cfr . Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018).
Inammissibile è pure il quarto motivo.
5.1. Esso, invero, in primo luogo, non si confronta in alcun modo, sul corrispondente punto, con la puntuale ratio decidendi come concretamente motivata dalla corte territoriale, sicché difetta di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione) e da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di
indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
5.2. In altri termini, il motivo suddetto si rivela privo di una specifica censura giuridica e logica alla motivazione della sentenza impugnata, nella parte qui di interesse, perché, piuttosto che esplicitare, in maniera puntuale, le ragioni per cui essa sarebbe errata (confrontandosi concretamente,
dunque, con le sue argomentazioni in diritto e confutandole), introduce un profilo di indagine (l’obbligo della banca di rendicontare la gestione del conto anche ai fideiussori) di cui non vi è alcun riscontro nella sentenza predetta, né i ricorrenti indicano quando e come lo stesso sarebbe stato discusso nei precedenti gradi di merito. Sono applicabili, quindi, anche in tal caso, quegli stessi principi già esposti al precedente § 4.2. di questa motivazione che hanno contribuito a giustificare la declaratoria di inammissibilità del terzo motivo.
Il quinto motivo è inammissibile per la stessa ragione del quarto.
6.1. Anch’esso, infatti, lungi dal censurare specificamente l’effettiva motivazione della sentenza impugnata nella parte di interesse, introduce un tema -quello dell’asserita non spettanza di interessi convenzionali in assenza di loro puntuale pattuizione nel contratto di fideiussione -di cui non vi è alcun riscontro nella sentenza predetta, né i ricorrenti indicano quando e come lo stesso sarebbe stato discusso nei precedenti gradi di merito. Sono applicabili, quindi, pure in tal caso, quegli stessi principi già esposti al precedente § 4.2. di questa motivazione che hanno contribuito a giustificare la declaratoria di inammissibilità del terzo motivo.
Inammissibile, infine, è anche il sesto motivo.
7.1. Esso, invero, per come concretamente argomentato, mostra di non tenere in alcun conto le contrarie affermazioni rinvenibili, sui medesimi profili, nella decisione impugnata.
7.2. Basta considerare, infatti, che: i ) a fronte del rilievo della corte distrettuale per cui « La Banca ha allegato agli atti tutta la documentazione comprovante il proprio credito, ivi compresi gli estratti conto e i conti scalare, il conteggio degli interessi maturati sui conti, i contratti di fideiussione stipulati con le parti. Gli odierni appellanti hanno formulato in merito ai documenti prodotti contestazioni generiche, limitandosi a dedurre la non conformità degli estratti conto e della documentazione versata agli atti dalla Banca (‘perché in fotocopia non riconosciuta nella conformità’), senza specificare aspetti, profili, per i quali potrebbe essere rilevabile la paventata
difformità » ( cfr . pag. 7 della sentenza impugnata), i ricorrenti deducono oggi che, «, con l’opposizione è stata contestata ex artt. 2712 e 2719 c.c. la corrispondenza e la conformità dei documenti prodotti alle cose ed ai fatti. Controparte, quindi, avrebbe dovuto fornire la prova della conformità documentale, sia degli atti rappresentativi di mera corrispondenza, sia degli estratti conto e dei contratti bancari; documenti illegittimamente utilizzati per la c.t.u., contestata ed avversata ». È evidente, quindi, che si insiste su contestazioni affatto generiche e si dimentica pure che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità ( cfr . Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021; Cass. n. 31999 del 2022; Cass. n. 5141 del 2023); ii ) all’assunto della sentenza impugnata secondo cui, « Quanto all’ulteriore deduzione di non conformità dei documen ti (perché ‘adulterati da manipolazioni e dalla contabilizzazione di interessi usurari; di spese non dovute e non documentate; di capitalizzazione illegittime; di commissioni come quella di massimo scoperto non dovute’), opina la Corte che l’accertamento svolto dal Ctu ha acclarato l’insussistenza degli addebiti illegittimi prospettati e ha comunque rielaborato il quantum debeatur espungendo le voci non dovute (e alcuno computo è stato effettuato dell’iva), nell’ipotesi A, cui ha aderito condivisibilmente i l Giudice di prime cure, senza capitalizzazione alcuna fino al 30.09.2000, dopo aver rilevato l’applicazione di interessi anatocistici in un solo trimestre prima dell’adeguamento alla delibera CICR del 2000 » ( cfr . pag. 7-8), i medesimi ricorrenti oppongono, tra l’altro, che « L’elaborato peritale utilizzato dal
Tribunale per la quantificazione dell’importo dovuto è stato contestato dagli opponenti con l’atto di appello. Nella sentenza impugnata si legge che la c.t.u. ha consentito di accertare le esposizioni debitorie. Così, però, non è. . L’estratto di saldaconto esibito ex adverso è processualmente inutilizzabile nel giudizio di opposizione, visto che non riporta l’evoluzione periodica delle singole operazioni attive e passive Gli estratti conto sono stati impugnati sia perché in fotocopia non riconosciuta nella conformità, sia per essere adulterati da manipolazioni e dalla contabilizzazione di interessi usurari; di spese non dovute e non documentate; di capitalizzazione illegittime; di commissioni (come quello di massimo scoperto) non dovute. Gli interessi contabilizzati non sono quelli concordati con la RAGIONE_SOCIALE ed in ogni caso, non vi è prova opponibile ai fideiussori opponenti. Né sono dovuti importi per massimo scoperto né sono legittime le capitalizzazioni ». Si tratta, nuovamente, di censura priva di autosufficienza, non riportando il contenuto dei documenti in essa richiamati, e che si risolve, sostanzialmente, in una mera contrapposizione di valutazioni e conclusioni proprie dei ricorrenti a quelle, di chiaro tenore opposto, della corte distrettuale.
7.3. Resta solo da aggiungere, allora, che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 19423, 25495 e 26871 del 2024).
8. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso proposto da NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo
rimasta solo intimata la parte destinataria della sua notificazione, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile