Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5787 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5787 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 16042/22 proposto da:
-) NOME COGNOME domiciliata ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché
-) COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
– intimati – avverso la sentenza del Tribunale di Venezia 13 aprile 2022 n. 697; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’esposizione dei fatti sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.
Nel 1998 NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Venezia NOME COGNOME e NOME COGNOME. Dedusse che i convenuti, proprietari di un immobile adibito a falegnameria, lo avevano sopraelevato in spregio delle norme sulle distanze legali e ne chiese la condanna alla riduzione in pristino.
Oggetto: esecuzione degli obblighi di fare -ordine di riduzione in pristino d’un immobile – carente illustrazione della censura – inammissibilità del ricorso.
Con sentenza 22.2.2006 n. 492 il Tribunale condannò i convenuti ‘ alla rimessione in pristino del fabbricato, riportandolo allo stato nel quale si trovava anteriormente alla realizzazione delle sopraelevazioni e degli ampliamenti , con demolizione degli stessi’ .
Il gravame dei soccombenti fu rigettato nel 2012 e la sentenza passò in giudicato.
Nelle more del giudizio vennero a mancare alcune delle parti del giudizio originario. Nel 2012 NOME COGNOME, erede di NOME COGNOME, iniziò l’esecuzione forzata dell’obbligo di riduzione in pristino nei confronti di NOME COGNOME e degli eredi di NOME COGNOME (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre la medesima NOME COGNOME).
5. Il processo esecutivo ebbe il seguente svolgimento:
-) il giudice dell’esecuzione affidò ad un consulente l’incarico di predisporre un progetto per l’abbattimento delle opere realizzate in violazione delle distanze legali;
-) il consulente predispose due progetti alternativi, indicati con le lettere ‘A’ e ‘B’;
-) con ordinanza 2.12.2014 il giudice dell’esecuzione ordinò che si desse esecuzione al progetto ‘B’;
-) l’ordinanza fu impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ; all’esito del giudizio di opposizione il Tribunale di Venezia con sentenza 2092/16 la annullò;
-) il giudice dell’esecuzione ordinò allora che si desse esecuzione al progetto ‘A’;
-) prima che il consulente d’ufficio procedesse ai necessari adempimenti amministrativi, NOME COGNOME depositò un proprio progetto di demolizione della sopraelevazione; il giudice dell’esecuzione ritenne che quel progetto fosse rispettoso del titolo esecutivo e ne autorizzò l’attuazione (ordinanza 5.6.2019).
NOME COGNOME dispiegò opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l’ ordinanza da ultimo indicata, articolando i seguenti motivi di opposizione:
NOME COGNOME aveva depositato il proprio progetto di demolizione quando la causa era ‘ in riserva’ ; il giudice dell’ esecuzione, sciogliendo la riserva e prendendo in esame quel progetto senza convocare le parti, aveva perciò violato il contraddittorio;
tra le opere illegittimamente realizzate nell’immobile degli originari convenuti vi era anche la sopraelevazione del pavimento di 20 centimetri; anche questa sopraelevazione andava eliminata; il progetto di demolizione proposto da NOME COGNOME tuttavia non precedeva la riduzione in pristino della quota del pavimento ; il giudice dell’esecuzione, pertanto, erroneamente ritenne che quel progetto costituisse esatto adempimento del titolo esecutivo.
Con sentenza 13.4.2022 n. 697 il Tribunale di Venezia ha rigettato l’opposizione , ritenendo che:
violazione del contraddittorio non vi fu; NOME COGNOME infatti depositò ritualmente, prima che il giudice dell’esecuzione riservasse di provvedere, il proprio progetto di demolizione; dopo che il giudice dell’esecuzione trattenne la causa in riserva d epositò l’approvazione da parte dell’autorità comunale del proprio progetto: ma, essendo questa perfettamente conforme a quello, il deposito dell’autorizzazione amministrativa in nulla avrebbe potuto nuocere all’opponente;
la sopraelevazione del pavimento risultava solo da un elaborato grafico allegato ad una concessione edilizia rilasciata a NOME COGNOME nel 1998; tuttavia:
b’) il titolo esecutivo non richiamava questa concessione ed i grafici ad essa allegati; aveva invece stabilito che la riduzione in pristino avvenisse in base ai disegni allegati alla concessione edilizia rilasciata a NOME COGNOME nel 1980;
b”) nelle precedenti fasi del giudizio di esecuzione NOME COGNOME mai aveva chiesto che la demolizione avvenisse in base ai disegni allegati alla suddetta concessione del 1998;
in ogni caso l’eventuale sopraelevazione del pavimento era circostanza irrilevante ai fini dell’esecuzione della sentenza, in quanto:
c’) il livello del pavimento non incideva sull’individuazione delle parti da demolire;
c”) l’eventuale sopraelevazione del pavimento non nuoceva alla proprietà di NOME COGNOME.
La sentenza del Tribunale è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su quattro motivi.
Solo NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Ambo le parti suddette hanno depositato memoria.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo è denunciata la violazione degli articoli 2909, 2933 c.c.; 112 e 115 c.p.c..
Il motivo contiene tre censure.
1.1. La prima censura (pp. 11-13 del ricorso) , confusa nell’ordine logico e nella sintassi, ritiene questa Corte che debba interpretarsi, per evitare un giudizio di inammissibilità, soltanto nel modo che segue.
Il giudice dell’esecuzione aveva nominato un consulente tecnico, e questi aveva proposto un progetto di demolizione dell’opera illegittimamente eseguita. Questo progetto era stato in un primo momento scartato dal giudice dell’esecuzione, per poi essere recepito in seguito ad un primo giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposto dall’odierna ricorrente.
L’ordinanza impugnata , tuttavia, ha ritenuto esattamente adempiuta l’obbligazione di riduzione in pristino sulla base d’un progetto diverso, proposto dall’esecutato.
Così decidendo il Tribunale avrebbe ‘violato il giudicato’ in due modi:
sia stabilendo che l’esecuzione avvenisse in base ad un progetto diverso da quello proposto dal c.t.u. ed originariamente recepito;
sia trascurando di considerare che la sentenza con cui fu accolta la prima opposizione agli atti esecutivi proposta da NOME COGNOME aveva stabilito che fossero abbattuti tutti gli ampliamenti eseguiti dai convenuti, e non soltanto una parte di essi.
1.1.1. La censura appena riassunta è manifestamente infondata, tanto da qualificarsi inammissibile ai fini dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c..
Violazione del ‘ giudicato ‘ ovviamente non v’è, rispetto alla decisione con la quale il giudice dell’esecuzione ordinò, in un primo momento, al c.t.u. di svolgere le necessarie pratiche amministrative per dare esecuzione al progetto denominato ‘A’. Quella decisione fu infatti un provvedimento ordinatorio privo di definitività e decisorietà, insuscettibile di attingere la forza del giudicato sostanziale.
1.1.2. Violazione del giudicato nemmeno vi è rispetto alla sentenza 2092/16 del Tribunale di Venezia.
Questi i fatti: con l’atto introduttivo del giudizio concluso dal titolo esecutivo, NOME COGNOME si dolse del fatto che il suo vicino aveva eretto una parete finestrata a meno di 10 metri dal suo immobile, in violazione dell’art. 9, comma 1, n. (2), d.m. 2.4.1968, in Gazz. uff., 16.4.1968 n. 97 (a norma del quale ‘ è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti ‘).
La domanda fu accolta.
Nel processo di esecuzione il c.t.u. formulò due proposte alternative di riduzione in pristino; il giudice dell’esecuzione recepì quella denominata
‘Progetto B’, che prevedeva la demolizione delle sole opere eccedenti la distanza di dieci metri.
Il Tribunale di Venezia con la sentenza 2092/16, in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c. annullò la suddetta decisione, interpretando il titolo esecutivo nel senso che ivi fosse ordinata la demolizione di tutte le opere di ampiamento eseguite dai convenuti e non solo quelle eccedenti la distanza minima di dieci metri.
La sentenza 2092/16, dunque, stabilì che la demolizione dovesse essere integrale, ma nulla statuì – od almeno nel ricorso nulla si dice che statuì circa l’esatta individuazione dello status quo ante .
Pertanto, essendo mancato in quel giudizio qualsiasi accertamento sullo status quo , nessuna regiudicata si è potuta formare rispetto ad esso.
1.2. La seconda censura formulata da NOME COGNOME è così riassumibile: la sentenza impugnata ha ritenuto che il progetto di demolizione proposto dall’esecutato fosse rispettoso del titolo esecutivo, perché ripristinava lo status quo ante .
Tuttavia, la sentenza non ha accertato correttamente quale fosse lo status quo ante , perché : a) ha ritenuto valido il progetto proposto dall’esecutato, il quale ‘ conteneva’ (così il ricorso; forse, rectius , ‘ sviluppava ‘ ) un primo progetto proposto dal c.t.u. ma privo di misurazioni (il ‘ Progetto A ‘) ; b) le misure dell’immobile da ripristinare si sarebbero dovute ricavare da gli allegati ad una concessione edilizia in sanatoria rilasciata all’esecutato nel 1998, che invece fu trascurata dal Tribunale.
1.2.1. La censura è manifestamente inammissibile sia ai sensi dell’art. 366 n. 4, sia ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c..
Ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c. la censura è inammissibile per la sua oscurità. Si sostiene che il Tribunale avrebbe consentito una demolizione diversa da quella imposta dal titolo esecutivo, senza che si chiarisca in modo limpido : a) cosa prevedesse il titolo esecutivo (insufficiente, al riguardo, è la trascrizione del solo dispositivo, soprattutto in un tal contesto di contenzioso complesso);
b) cosa prevedesse il progetto proposto dall’esecutato e condiviso dal giudice dell’esecuzione.
Ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. la censura è inammissibile, perché né riproduce, né riassume in modo esaustivo, né adeguatamente compara, i tre atti sui quali si fonda: il titolo esecutivo, la consulenza d’ufficio, il progetto proposto dall’esecutato e l’ordinanza oggetto di opposizione esecutiva.
1.3. Con una terza censura (pp. 13-15) è prospettato il vizio di extrapetizione. Anche questa censura è esposta in modo confuso e farraginoso, sicché ritiene questa C orte che l’unica plausibile interpretazione sia la seguente:
a) il Tribunale ha ritenuto che NOME COGNOME né nel giudizio concluso dal titolo esecutivo; né nel giudizio di esecuzione; né nell’atto introduttivo dell’opposizione all’esecuzione, aveva mai prospettato che il pavimento dell’immobile dovesse essere abbassato di 20 centimetri:
questa statuizione del Tribunale fu erronea per due ragioni: sia perché la necessità di questa contestazione emerse solo in corso di causa, per effetto delle risposte date dal c.t.u. alle sollecitazioni del giudice; sia in ogni caso perché la domanda di riduzione in pristino di un immobile irrispettoso delle distanze legali comprende ogni e qualsiasi modifica illegittima, a prescindere dal fatto che sia espressamente richiesta o no.
1.3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Il Tribunale infatti ha sì affermato che la questione del livello del pavimento fu introdotta solo nel corso del (secondo) giudizio di opposizione, ma non ne ha tratto nessuna conseguenza, decidendo la causa nel merito.
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo NOME COGNOME lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c.. L’unica interpretazione che questa Corte ritiene faticosamente evincibile e plausibile della confusa illustrazione della censura è la seguente: la difesa della ricorrente intende sostenere che il Tribunale ha ritenuto che NOME COGNOME nulla obiettò, quando NOME COGNOME depositò il suo progetto di
demolizione, poi recepito dal Tribunale. Ciò – prosegue la ricorrente – fu un errore, in quanto quel progetto fu da lei tempestivamente contestato.
2.1. Così interpretato, il motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi .
Il Tribunale non ha mai affermato quel che la ricorrente pretende di fargli dire e, cioè, che essa non contestò tempestivamente il progetto di demolizione depositato da NOME COGNOME.
Ha affermato qualcosa di ben diverso: dovendo decidere sul primo motivo di opposizione (con cui si prospettava il vizio di violazione del contraddittorio), il Tribunale lo rigettò così argomentando:
-) NOME COGNOME aveva depositato un progetto di demolizione;
-) a quel progetto non furono mosse contestazioni;
-) successivamente, e dopo che il giudice dell’esecuzione aveva trattenuto la causa in riserva, NOME COGNOME depositò il provvedimento amministrativo di approvazione del suo progetto;
-) NOME COGNOME aveva denunciato l’ inammissibilità di questo secondo deposito per violazione del contraddittorio;
-) violazione del contraddittorio non vi fu, perché il provvedimento amministrativo depositato durante la ‘ riserva’ non conteneva nulla di diverso dal progetto già depositato.
In definitiva, il riferimento del Tribunale alla ‘mancanza di contestazione’ fu un argomento speso per rigettare l’eccezione processuale di violazione del contraddittorio, ma non un argomento speso per rigettare l’eccezione sostanziale di difformità tra le opere eseguite dall’esecutato e quelle ordinate dal titolo esecutivo.
3. Il terzo motivo di ricorso.
Il terzo motivo reitera, sotto la diversa angolazione della violazione degli artt. 2909 e 2933 c.c., la censura di cui si è detto supra , al § 1.2, ed è inammissibile per le medesime ragioni.
4. Il quarto motivo di ricorso.
Il quarto motivo di ricorso denuncia – formalmente – la violazione degli artt. 2909 e 2933 c.c. sotto un profilo diverso da quello esposto nel terzo motivo. La sua lunga illustrazione (pp. 16-23) è così concepita:
-) dapprima la ricorrente reitera la censura già esposta col primo motivo, seconda censura, ritrascrivendo a p. 16 alla lettera quanto già dedotto a p. 14 (dove, a sua volta, era stata ricopiata alla lettera la motivazione della sentenza di questa Corte n. 377/97);
-) poi (pp. 1819) l’illustrazione del motivo torna a sostenere quanto già detto alle p. 12-13 (rispettivamente, ultimo e primo capoverso), ovvero che il Tribunale di Venezia, decidendo sulla prima delle opposizioni agli atti esecutivi proposte da NOME COGNOME aveva interpretato il titolo esecutivo nel senso che esso imponesse la demolizione totale di tutte le sopraelevazioni edificate dai convenuti;
-) quindi, alle pp. 1922, l’illustrazione del motivo deduce che anche post operam i lavori eseguiti dal convenuto non avevano ripristinato lo status quo ante ; che anche dopo le demolizioni l’immobile dei convenuti ‘ nel punto più basso era più alto di 30 centimetri’ rispetto allo status quo ante ;
-) infine, a p. 23, il motivo si diffonde a spiegare in quali casi può essere sindacata in sede di legittimità l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice di merito.
4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c., per la sua insuperabile oscurità.
Questa Corte ha ripetutamente affermato (a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 – 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017) che il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:
(a) quale sia stata la decisione di merito;
(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;
(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.
Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria ambigua o polisemica (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 16593 del 13.6.2024; Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).
4.2. Ma nel caso di specie è impossibil cosa comprendere quale ‘ragionata censura in punto di diritto’ la ricorrente abbia inteso muovere, col quarto motivo di ricorso, alla sentenza impugnata.
La ricorrente infatti continua a discorrere di ‘ violazione del titolo esecutivo e del giudicato ‘, ma in nessun punto del ricorso spiega chiaramente perché mai un’altezza di 20 centimetri violerebbe le distanze legali orizzontali tra due edifici frontistanti.
Giova rammentare che – secondo quanto riferisce fugacemente la stessa ricorrente – la condanna alla demolizione fu pronunciata per violazione della distanza minima di dieci metri tra una parete finestrata e l’edificio frontistante (così si legge anche nel controricorso, p. 10, ove è trascritta la c.t.u.).
Il ricorso, ad onta della sua estensione, in nessun punto affronta ed illustra chiaramente il vero punctum pruriens della lite: in cosa esattamente i lavori eseguiti dall’esecutato differissero dall’ordine contenuto nel titolo esecutivo.
4.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile, perché non censura tutte le rationes decidendi sottese dalla sentenza impugnata.
Il Tribunale infatti come già detto ( supra , ‘Fatti di causa’), ha rigettato l’opposizione perché:
‘ il livello della pavimentazione non incide sulla esatta individuazione delle porzioni di fabbricato da demolire’ ;
il titolo esecutivo ‘ non ha ad oggetto la sopraelevazione interna della pavimentazione’ ;
‘ la sopraelevazione interna della pavimentazione non può in alcun modo incidere sul diritto di proprietà della signora COGNOME‘ . Ebbene, la statuizione sub (a) non è stata investita dal quarto motivo di ricorso (né, per la verità, da alcun altro punto del ricorso); la censura della statuizione sub (b) avrebbe imposto alla ricorrente di spiegare con chiarezza, ex artt. 366 nn. 4 e 6 c.p.c., quale fosse il contenuto del tiolo esecutivo; la statuizione sub (c), giusta o sbagliata che fosse, non è stata oggetto di alcuna censura.
All’inammissibilità di ciascuna censura consegue la declaratoria di quella del ricorso nel suo complesso. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente , ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di NOME COGNOME delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 8.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della