Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15996 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15996 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8215/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata dei quali sono domiciliati per legge;
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME VINCENZA, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica della quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA n. 1602/2021 depositata il 20/12/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME, davanti al Giudice di Pace di Reggio Calabria, proponevano opposizione al precetto loro intimato da NOME COGNOME, portante l’importo allo stesso dovuto da COGNOME NOME, loro dante causa, sulla base di un decreto giudiziale di liquidazione CTU risalente all’anno 2006.
Costituitosi il COGNOME, il Giudice di Pace di Reggio Calabria con sentenza n. 665/2015, in accoglimento parziale dell’opposizione, condannava gli attori al pagamento del complessivo importo di euro 2249,70 in ragione del 50% ciascuno, maggiorato degli interessi legali dalla scadenza del credito.
Avverso detta sentenza proponevano appello gli originari attori, chiedendo che – previa statuizione che il COGNOME non aveva diritto a procedere ad esecuzione forzata – il precetto opposto fosse revocato, senza alcuna statuizione a proprio carico. Gli appellanti contestavano la sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva compensato le spese tra le parti ed aveva escluso la ricorrenza, nel caso di specie, dei presupposti per una condanna dell’opposto ex art. 96 cod. proc. civ.
Il COGNOME resisteva all’impugnazione, variamente argomentandone l’infondatezza; e spiegava, a sua volta, appello incidentale per il riconoscimento degli ulteriori interessi legali sulle somme precettate, oltre alle spese di registrazione della sentenza precettata e di quella gravata, già versate interamente per il complessivo importo di euro 288,62 e, infine, per il risarcimento del danno da temerarietà dell’impugnativa principale, a suo parere diretta soltanto a procrastinare il pagamento di ciò che era a lui dovuto in forza di un decreto giudiziale di liquidazione CTU risalente ormai a diversi anni prima.
Il Tribunale di Reggio Calabria, quale giudice di appello, con sentenza n. 1602/2021, rigettava l’appello principale, mentre, in
accoglimento dell’appello incidentale, condannava NOME NOME NOME COGNOME al pagamento: a) degli interessi legali sul credito precettato, dalla scadenza al saldo; b) delle spese di registrazione della sentenza precettata e di quella gravata, in ragione del 50% per ciascuno sul complessivo importo di euro 288,62; c) delle spese di lite a favore del COGNOME, che liquidava in complessivi euro 2400 oltre al 15% rimb. forf., CA e IVA; d) della somma di euro 1000 per ciascuno a favore di NOME COGNOME, ex art. 96 co. 3 cod. proc. civ.
Avverso la sentenza del giudice di appello hanno proposto ricorso gli originari attori.
Ha resistito con controricorso il COGNOME, che ha chiesto la condanna della controparte per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché la distrazione delle spese processuali a favore del difensore antistatario.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte e non sono state depositate memorie da parte dei Difensori.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione entro il termine di sessanta giorni dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME e NOME COGNOME articolano in ricorso cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano: <>
Ribadiscono di essere rispettivamente nudo proprietario e usufruttuario di tutto l’asse patrimoniale lasciato dalla de cuius COGNOME; e si dolgono, pertanto, che il giudice di appello: a) ha affermato che loro non avevano eccepito la loro qualità di eredi e pertanto non trovava applicazione l’art. 754 c.c.; b) non ha applicato i principi di cui all’art. 1010 c.c., in base al quale l’usufruttuario di una
eredità è obbligato soltanto per l’annualità del debito o degli interessi; c) ha affermato che la diversa ripartizione delle somme avrebbe dovuto essere oggetto di esplicita eccezione.
1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui il giudice di appello, non considerando la loro condizione di eredi (e precisamente di nudo proprietario e di usufruttuario), ha omesso di valutare un fatto decisivo in relazione agli artt. 754 e 1010 c.c.
Sottolineano in ogni caso che il debito ereditario, in presenza di un usufrutto generale (cioè, su tutti i beni ereditari), deve essere adempiuto nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1010 c.c.
1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui il giudice di appello li ha condannati al pagamento, in favore della controparte, della somma di euro 1000 ciascuno <>
Osservano che: a) il carattere temerario della lite non può evincersi dalla mera opinabilità del diritto fatto valere in giudizio; b) la responsabilità aggravata non può derivare dalla circostanza che essi avrebbero per anni procrastinato il pagamento delle somme dovute (essendo stata scelta del COGNOME quella di non procedere ad esecuzione forzata); c) non era stata provato né il loro dolo e neppure la loro colpa grave; d) la fattispecie di cui all’art. 96 primo comma si distingue da quella di cui al successivo comma terzo, perché soltanto
quest’ultima prescinde dalla domanda e dalla prova del danno causato ed è collegata ad una iniziativa anche d’ufficio del giudice, alla cui discrezionalità è rimessa; e) la tesi, da essi sostenuta, non era palesemente infondata.
1.4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui, avendo loro eccepito la loro diversa qualità, il giudice di appello ha applicato illegittimamente le suddette due norme denunciate.
1.5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano: <> nella parte in cui il giudice di appello li ha immotivatamente condannati ad un importo per competenze di gran lunga superiore anche al credito opposto (tenuto conto degli accessori alle competenze) e comunque vicino al massimo dello scaglione di riferimento (cioè tra euro 1100 ed euro 5 mila) mentre il valore della lite è prossimo al limite minimo di detto scaglione.
Il ricorso è inammissibile.
In via generale, si rileva che il motivo con cui si denunzia il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di legge deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla
Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione.
Sotto questo profilo, tutti i motivi, nei quali si articola il ricorso in esame, non sono ammissibili, in quanto la deduzione degli ‘errori di diritto’, in essi individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle norme asseritamente violate, non è corredata da una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia.
Il controllo affidato a questa Corte non equivale, infatti, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 25332/2014 e n. 20012/2014).
Al profilo di inammissibilità che precede, comune a tutti i motivi, si aggiunge quanto segue in relazione a ciascuno di essi.
4.1. I motivi primo, secondo e quarto – che, in quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente – si caratterizzano per un difetto assoluto di autosufficienza sul contenuto degli atti da cui desumere: a) la qualità di coeredi degli odierni ricorrenti; b) la titolarità, in capo a COGNOME NOME, del diritto di nuda proprietà e, in capo a COGNOME NOME, del diritto di usufrutto; c) il testamento vergato dalla de cuius COGNOME NOME.
Inoltre, in violazione anche del n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., i ricorrenti non precisano in modo adeguato (né in sede di sommaria esposizione e neppure nella illustrazione dei motivi) in quale atto e neppure in quali termini hanno sollevato nel giudizio di primo grado l’eccezione di illegittimità della intimazione di pagamento in solido, nonché quella della diversa qualità di partecipazione all’asse ereditario
della de cuius , con indicazione delle quote di relativa spettanza in termine di valore.
Infine, per quanto riguarda il motivo secondo, l’inammissibilità consegue al disposto di cui all’art. 348 ter quinto comma cod. proc. civ. ed alla circostanza di fatto che la sentenza del giudice di appello ha confermato quella del giudice di primo grado.
4.2. Il terzo motivo è, poi, ulteriormente inammissibile in quanto i ricorrenti, pur deducendo formalmente una violazione di legge, sostanzialmente si dolgono della valutazione compiuta dalla corte di merito in ordine alla sussistenza dei presupposti soggettivi di applicabilità della norma denunciata: invero, la corte territoriale ha ritenuto sussistenti tali presupposti sulla base del rilievo che gli allora appellanti avevano procrastinato il pagamento del dovuto, in forza della sentenza appellata, nonostante che quest’ultima avesse riconosciuto la loro responsabilità parziaria per il debito ereditario in ragione delle quote da essi stessi indicati: trattasi di valutazione formulata in esito ad un giudizio in fatto, insindacabile nella presente sede.
D’altra parte, l’onere motivazionale è stato adeguatamente assolto dal giudice di appello, che ha significativamente, ma evidentemente soprattutto ad colorandum , osservato che agli allora appellanti sarebbe comunque bastato il pagamento pro quota – che era certamente dovuto – del debito ereditario per tacitare il creditore.
Infine, l’esposizione sommaria del fatto è gravemente insufficiente, anche stavolta in violazione del disposto del n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., in quanto i ricorrenti non indicano le ragioni poste dal Giudice di Pace a fondamento del rigetto dell’opposizione.
4.3. Inammissibile è infine il quinto motivo, concernente la statuizione sulle spese.
Invero, i ricorrenti non contestano che la corte di merito abbia superato i valori massimi dello scaglione di riferimento, previsti dal DM n. 55/2014, ma semplicemente che la cifra liquidata, pur essendo
inferiore, era comunque prossima ai valori massimi dello scaglione di riferimento. Tanto deducendo, inammissibilmente dimenticano che la relativa valutazione, proprio perché mantenuta all’interno di quello scaglione, è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile nella presente sede (tra le tante, si cfr. Cass. n. 17570/2021, n. 25788/2020 e n. 17570/2021).
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti – tra loro in solido per l’evidente pari interesse in causa – alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315); e ne va disposta la chiesta attribuzione, dinanzi alla richiesta in tal senso del difensore.
L’inammissibilità del ricorso nei suesposti termini, se non giustifica la condanna dei ricorrenti per responsabilità aggravata ex art. 96, 3° co. cod. proc. civ., giustifica la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ex adverso sostenute, nell’importo liquidato in dispositivo, che tiene conto della maggiorazione di cui all’art. 4 comma ottavo del D.M. n. 55/2014.
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento in favore di parte resistente, con attribuzione al difensore di questa per dichiaratone anticipo, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 1950 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di
merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024, nella camera di consiglio