Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18537 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18537 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Oggetto
Locazione uso diverso -Risoluzione per inadempimento obblighi accessori di facere ─ Scadenza del termine per adempiere successiva alla domanda -Conseguenze
NOME COGNOME
Presidente –
Oggetto
NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 567/2024
NOME COGNOME
Consigliere Rel. –
NOME COGNOME
Consigliere –
COGNOME
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 567/2024 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2187/2023, depositata il 16 novembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con atto notificato il 5 agosto 2020 NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME sfratto per morosità in relazione ad immobile a lui concesso in locazione per uso commerciale, contestualmente citandolo per la convalida davanti al Tribunale di Venezia;
dedusse che il conduttore si era reso inadempiente rispetto all’obbligo assunto di eseguire i lavori edili necessari per ottenere il certificato di agibilità entro il termine convenzionalmente stabilito (termine inizialmente fissato al 31 dicembre 2018 e poi, con successiva scrittura, prorogato al 30 aprile 2020), a fronte del quale era stata pattuita una iniziale riduzione del canone, con la previsione di clausola risolutiva espressa per il caso di inadempimento;
l’intimato si oppose contestando l’insussistenza dell’inadempimento dovendo intendersi il detto termine prorogato, ai sensi dell’art. 103, comma 2 -ter , del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia ), come convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, fino a novanta giorni dopo il termine della emergenza sanitaria da Covid19 (termine quest’ultimo più volte prorogato, come precisato nel successivo corso del giudizio, fino al 31 marzo 2022);
transitato il giudizio nella fase a cognizione piena ed espletata c.t.u., il Tribunale adito, con sentenza n. 768 del 2 maggio 2023, in accoglimento della domanda dichiarò risolto il contratto per la ritenuta operatività della clausola risolutiva espressa, condannando il resistente al rilascio del bene ed al pagamento delle spese di lite;
ritenne, infatti, sulla scorta di quanto attestato dal c.t.u., che al momento del deposito della relazione peritale (23 novembre 2022), cioè a distanza di oltre due anni dal termine indicato dalle parti per l’esecuzione dei lavori utili al rilascio del certificato di agibilità e dopo che era spirato anche il termine di novanta giorni dalla fine della emergenza sanitaria, gli obblighi contrattualmente assunti dal Mille non potessero considerarsi adempiuti; mancavano infatti: la
‘ controsoffittatura di alcuni locali al piano terra e il completamento di alcuni impianti tecnologici ‘ ; le dichiarazioni di conformità degli impianti, il collaudo statico dell’immobile, il deposito dell’aggiornamento catastale; sussist evano inoltre alcune difformità che richiedevano di essere « eliminate o regolarizzate, qualora possibile, prima della richiesta di agibilità »: tutti adempimenti necessari e propedeutici all’inoltro della pratica diretta all’ottenimento del certificato di agibilità;
rilevò altresì, ad abundantiam, che la rasatura del bene non risultava essere stata fatta, la recinzione era incompleta sul lato sudest, il magazzino al secondo piano risultava ‘ inagibile ‘ ;
con sentenza n. 2187/2023, resa pubblica il 16 novembre 2023, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame interposto dal Mille, confermando la decisione di primo grado;
ha rilevato che i lavori « non sono stati esattamente eseguiti nel termine pur prorogato, né risulta che sia stata concessa l’agibilità che costituiva l’unico parametro assunto dalle parti nel determinare l’importo del canone mensile »;
avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione con un unico mezzo, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con l ‘unico motivo di ricorso NOME COGNOME denuncia « violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 1185 c.c., 103, comma 2ter , D.L. n. 18/2020, nonché degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c. ; vizio di
ultrapetizione o, in alternativa, di omessa pronuncia, con conseguente nullità della sentenza, con riguardo all’accertamento di un inadempimento contrattuale verificatosi in un tempo successivo alla proposizione della domanda giudiziale »;
premesso che, c on il primo motivo d’appello , egli aveva dedotto vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, per avere il Tribunale accertato un presunto inadempimento contrattuale verificatosi in un tempo successivo alla domanda giudiziale (e ciò anche facendo riferimento alla data di deposito della memoria ex art. 414 c.p.c.), lamenta che l a sentenza d’appello non abbia preso espressamente posizione sul vizio denunciato, salvo lasciar implicitamente trasparire, ai paragrafi 11 e 13, la correttezza dell’accertamento giudiziale dell’inadempimento verificatosi in un tempo successivo alla domanda giudiziale, in tal modo incorrendo:
nel vizio di omessa pronuncia su motivo d’appello;
nel medesimo vizio di ultrapetizione, per avere implicitamente ritenuto corretto l’operato del Giudice di prim o grado;
nella violazione della norma sostanziale civile che regola il tempo dell’adempimento, con particolare riguardo all’art. 1185 c.c. che stabilisce l’inesigibilità della prestazione prima della scadenza del termine, in relazione all’art. 103, comma 2 -ter , d.l. n. 18 del 2020, c.d. Cura Italia ;
nella lesione del diritto di difesa e nella violazione del principio del contraddittorio (artt. 24 e 111) per aver deciso sulla base di fatti intervenuti successivamente alla domanda giudiziale;
il motivo è in parte inammissibile, in altra parte infondato;
è inammissibile, sotto un duplice profilo, là dove denuncia vizio di omessa pronuncia;
lo è, anzitutto, perché, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. n. 5087 del 03/03/2010, Rv. 611679): onere nella specie non assolto, né desumibile dal fatto che la sentenza fa menzione della censura nella premessa espositiva dei motivi d’appello , ben potendosi ritenere che il silenzio su di essa poi serbato nella successiva trattazione discenda dal convincimento che essa sia stata abbandonata stante il suo mancato mantenimento in sede di precisazione delle conclusioni;
ne discende anche l’inammissibilità del vizio di ultrapetizione in quanto in ipotesi ascrivibile alla sentenza di primo grado e pertanto non più rilevabile, ex art. 161 c.p.c., in mancanza di specifico motivo di gravame;
in secondo luogo, il motivo andrebbe comunque detto inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c., mancando -il denunciato errore- di decisività , ossia di capacità di incidere sul contenuto della decisione e, dunque, di arrecare un effettivo pregiudizio alla parte che lo denuncia (v. Cass. n. 22341 del 26/09/2017, cui adde conff. ex multis , tra le più recenti, in motivazione, proprio con riferimento all’errore rappresentato dall’omesso esame di motivo d’appello, Cass. n. 11318 del 29/04/2025; n. 10781 del 24/04/2025);
ciò in quanto la denuncia di vizio di ultrapetizione avrebbe comunque dovuto dirsi infondata, e tale va detta ovviamente anche la censura in questa sede diretta nei confronti della sentenza d’appello in quanto in tesi ripetitiva del medesimo errore;
nell’attribuire rilevanza al comportamento delle parti successivo alla proposizione della domanda il giudice di primo grado, e
ovviamente anche quello d’appello , non hanno affatto dato ingresso ad un fatto costituivo ontologicamente diverso da quello dedotto a fondamento della stessa, né quindi hanno pronunciato su domanda che ─ nei suoi elementi costitutivi ( petitum e causa petendi ) ─ possa dirsi diversa da quella proposta con l’atto introduttivo, ma piuttosto, rimanendo nell’ambito della res in iudicio deducta e della concreta fattispecie prospettata dalle parti, hanno solo somministrato la qualificazione giuridica ad essi richiesta alla fattispecie concreta quale risultante al momento della decisione;
in tale direzione vanno ricordati i seguenti principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte:
«l’indagine sull’importanza dell’inadempimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 cod. civ. (alla cui stregua va apprezzato l’inadempimento del conduttore nelle locazioni non abitative), deve essere unitaria, in relazione al complessivo comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e dall’eventuale suo protrarsi in corso di causa … , con la conseguenza che anche un inadempimento iniziale di scarso rilievo può successivamente evidenziarsi come grave, per la sua durata e persistenza, malgrado il ricorso del creditore alle vie giudiziarie» (Cass. 11/01/2011, n. 446);
«ai fini della determinazione della gravità dell’inadempimento, quale presupposto essenziale per la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1455 cod. civ., deve effettuarsi un’indagine unitaria coinvolgente tutto il comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e dal suo eventuale protrarsi, nonché una valutazione oggettiva della ritardata o mancata prestazione con riferimento all’interesse dell’altra parte all’esatto adempimento» (Cass. 15/06/1989, n. 2879);
«la rilevanza del comportamento successivo dell’inadempiente assume a fortiori rilievo se non siano adempiute le obbligazioni ulteriori che vengano a scadenza dopo la proposizione della domanda,
in pendenza del processo» (Cass. 04/06/2002, n. 8076; 11/10/2002, n. 14527);
è inapplicabile nei contratti di durata, compresa la locazione (cfr. Cass. 14/11/2006, n. 24207), la regola secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva (nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla, con la conseguenza che il giudice non può tenere conto, nella valutazione della gravità dell’inadempimento, del ritardo ulteriore dovuto alla durata del processo, ma deve decidere valutando la situazione cristallizzata al momento e per effetto della domanda di risoluzione): nei contratti di durata, infatti, «quantomeno in tutti i casi nei quali il contraente che abbia domandato la risoluzione non è posto in condizione di sospendere a sua volta l’adempimento della propria obbligazione», non è neppure ipotizzabile il venir meno del suo interesse all’adempimento da parte del contraente inadempiente;
tanto accade appunto nella locazione, dove il conduttore continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore (che non può impedirlo), pur continuando a non adempiere le proprie obbligazioni, in contrasto col preciso disposto dell’art. 1591 cod. civ., che gli impone il pagamento del corrispettivo convenuto (e l’adempimento delle ulteriori obbligazioni che gli fanno carico) fino alla riconsegna (v., in motivazione, Cass. n. 36494 del 29/12/2023; v. anche Cass. n. 14527 del 2002);
alla luce delle esposte considerazioni appare altresì evidente l’inammissibilità o l’infondatezza delle altre censure;
non è indicata, né è possibile riscontrare nella motivazione della sentenza, l’affermazione che realizzerebbe la dedotta violazione delle norme in punto di termine per l’adempimento delle obbligazioni: il Tribunale e poi la Corte d’appello lo hanno correttamente calcolato
considerando le proroghe disposte dalla menzionata normativa emergenziale e ciò esattamente nel modo proposto anche dal ricorrente;
nessuna violazione del contraddittorio né lesione del diritto di difesa è poi possibile ravvisare, essendosi i giudici di merito limitati a scrutinare una questione posta proprio dal resistente/appellante, odierno ricorrente, solo risolvendola nel senso opposto a quello da lui auspicato;
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., reitera le tesi censorie già esposte in ricorso e non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi ;
il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza