Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32795 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32795 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2103/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 2743/2018, depositata il 4 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi gli avv.ti NOME COGNOME per delega orale dell’avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
–RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE per chiedere l’emissione di una sentenza ex art. 2932 cod. civ. a seguito di inadempimento di un preliminare di compravendita, sottoscritto con la stessa, e il conseguente risarcimento dei danni.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE affermando che la mancata stipulazione del contratto definitivo derivava dall’inadempimento di parte attrice e svolgeva domanda riconvenzionale chiedendo che fosse dichiarata legittimata a recedere dal preliminare e che fosse accertato l’inadempimento di parte attrice con conseguente risarcimento del danno.
In sede di precisazione delle conclusioni, l’attrice, esercitando lo ius variandi di cui all’art. 1453, secondo comma, cod. civ., formulava domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento imputabile a parte convenuta, rinunciando all’iniziale richiesta di sentenza ex art. 2932 cod. civ.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 9651/2015 pubblicata il 26 agosto 2015, rigettava le domande di parte attrice e di parte convenuta, compensando tra le stesse le spese del giudizio.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello RAGIONE_SOCIALE per chiedere che fosse dichiarato l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, la risoluzione del preliminare con condanna di quest’ultima al pagamento di euro 1.061.600,00 (pari alla differenza tra il corrispettivo pattuito e l’attuale valore dell’immobile), il pagamento di euro 118.000,00, nonché le provvigioni di intermediazione, oltre gli interessi sulla residua somma dovuta e la rifusione di tutte le
spese sostenute per l’adeguamento dei locali per complessivi euro 35.000,00, con riconoscimento del diritto a trattenere la caparra di euro 100.000,00 e il pagamento delle spese di lite.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE per chiedere il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Milano ha rigettato l’ impugnazione, compensando tra le parti le spese legali.
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
La RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, siccome resa con motivazione perplessa, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ., tale da impedire di comprendere le ragioni e l’iter logico che hanno condotto la Corte d’appello a rigettare il motivo di gravame mosso in ordine alla qualificazione della condotta di RAGIONE_SOCIALE come inadempiente. Nello specifico, con il secondo motivo d’appello, Memeuro RAGIONE_SOCIALE.rRAGIONE_SOCIALE ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che la mancata consegna del certificato di collaudo statico configurasse un inadempimento agli obblighi contrattuali da parte di RAGIONE_SOCIALE evidenziando di non essersi mai avveduta, né di essere stata avvisata della necessità di tale certificato nel corso della due diligence e di non avere mai ricevuto richieste in tal senso da parte di RAGIONE_SOCIALE, se non quale eccezione d’inadempimento nel presente contenzioso. Rispetto a tale critica mossa da RAGIONE_SOCIALE alla pronuncia di primo grado, la Corte d’appello si limiterebbe e
a offrire una motivazione totalmente inconsistente incomprensibile, senza affrontare la censura sollevata.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).
Nel caso di specie non sussiste alcuna violazione del minimo costituzionale, essendo stata fornita dalla Corte d’appello una motivazione in merito all’imputabilità e consapevolezza dell’inadempimento.
2. -Con il secondo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE censura la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., siccome resa con motivazione inesistente ovvero apparente, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ. , tale da impedire di comprendere le ragioni e l’iter logico che hanno condotto il giudice a rigettare il terzo motivo di gravame. RAGIONE_SOCIALE ha proposto impugnazione chiedendo il riesame della valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti delle parti svolta dal primo giudice, sotto diversi profili di gravame articolati al paragrafo III dell’atto di appello. La Corte milanese, limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado ha evitato di entrare nel
merito delle specifiche critiche mosse alla sentenza di prime cure, eludendo il proprio dovere motivazionale.
Con il terzo motivo di ricorso, da intendersi subordinato al mancato accoglimento del secondo, RAGIONE_SOCIALE censura la sentenza in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sui singoli motivi di gravame in punto di valutazione comparativa svolta dal primo giudice. La RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il riesame della valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti svolta dal primo giudice, sotto diversi profili di gravame, e in particolare nella parte in cui aveva raffrontato la mancata consegna del certificato con la violazione degli obblighi di solidarietà e buona fede, piuttosto che comparare l’assenza del certificato al rifiuto a stipulare il contratto definitivo. Sul punto la Corte ometterebbe di pronunciarsi, in palese violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
2.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Non si ravvisa, infatti, alcuna motivazione apparente o inesistente tanto da incidere sul ‘ minimo costituzionale ‘ (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940) sulla base di quanto contestato nei motivi in questione, avendo la Corte d’appello esaminato il tema dedotto del reciproco inadempimento e la valutazione comparativa della condotta delle parti.
Non sussiste neanche la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendosi la Corte d’appello pronunciata sui motivi in questione, dichiarandone l’assorbimento, stante il rilievo della mancata consegna della certificazione di idoneità statica e l’inadempimento all’obbligo di contrarre che le parti avrebbero dovuto rilevare e comunicare per tempo.
-Con il quarto motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denunzia la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c, siccome resa
con motivazione contraddittoria e perplessa in violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4, tanto da impedire di comprendere l’iter logico seguito dal giudice territoriale nell’attribuire alla condotta di RAGIONE_SOCIALE i connotati contrari alla buona fede negoziale. Segnatamente, a pagina 6 e 7 della sentenza impugnata, la Corte si limiterebbe a riportare e confermare la correttezza dell’operato del primo giudice. La Corte territoriale rigetterebbe, incomprensibilmente, il gravame mosso in difesa della buona fede negoziale che ha caratterizzato la condotta di RAGIONE_SOCIALE nella gestione dell’affare, contrapposta alla reticenza e male fede mostrata da RAGIONE_SOCIALE
3.1. -Il motivo è infondato.
Non sussiste, infatti, alcuna nullità della pronuncia in relazione all’impossibilità di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte d’appello in merito all’esclusione della buona fede, essendosi chiaramente pronunciata sul reciproco inadempimento e sulla mancanza di correttezza da parte di entrambe le parti contraenti (mancata comunicazione dell’inesistenza del certificato di collaudo, mancata attivazione per il suo rilascio, mero differimento del termine per la stipula e rifiuto ad adempiere).
4. -Con il quinto motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE lamenta e denunzia la violazione ed errata applicazione degli artt. 1175, 1375, 1460, comma 2 e 1455 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Il giudice d’appello censura e valorizza (confermando la pronuncia del primo giudice), la condotta di RAGIONE_SOCIALE in termini di violazione ai doveri di buona fede, correttezza e collaborazione, che impongono ad ogni parte negoziale l’obbligo di preservare gli interessi dell’altra. Dal momento in cui la Corte territoriale ha confermato la violazione da parte di RAGIONE_SOCIALE degli obblighi di buona fede contrattuale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. – per non aver mai richiesto a RAGIONE_SOCIALE la consegna del certificato – la stessa avrebbe dovuto – a mente dell’art.
1460, comma 2 cod. civ. – dichiarare non giustificato e quindi illegittimo il rifiuto ad adempiere l’obbligo a comprare assunto col preliminare, siccome contrario a buona fede, mentre l’interesse di RAGIONE_SOCIALE alla conclusione dell’affare è stato espressamente riconosciuto dalla stessa Corte.
4.1. -Il motivo è infondato.
Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass., Sez. II, 12 luglio 2024, n. 19246; Cass., Sez. II, 22 maggio 2019, n. 13827; Cass., Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13627)
Nella specie, la Corte d’appello ha compiuto una motivata valutazione di merito riguardo al reciproco inadempimento delle parti, sottraendosi a qualsiasi censura in questa sede.
5. -Con il sesto motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione ed errata applicazione degli artt. 1334 e 1335 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., laddove la Corte territoriale ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE abbia validamente esercitato il recesso dal preliminare contenuto nella comparsa di risposta depositata nel fascicolo del processo, senza tuttavia pronunciarsi sulla legittimità o meno dello stesso. A differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, si evidenzia che RAGIONE_SOCIALE non ha mai invocato il recesso, ma ha semplicemente chiesto al giudice di dichiarare RAGIONE_SOCIALE legittimata a recedere dal contratto preliminare di compravendita, ossia ha semplicemente chiesto al Giudice che le sia riconosciuto il diritto di poter recedere,
e non di confermare la legittimità di un recesso precedentemente invocato, che non vi è mai stato. Essendo il recesso un atto recettizio che deve essere comunicato alla parte personalmente con comunicazione a questa indirizzato presso il suo domicilio (artt. 1334 e 1335 cod. civ.), non può ritenersi equipollente al recesso – come ritenuto dalla Corte – una dichiarazione contenuta nel petitum , e quindi rivolta al giudice, di una comparsa neppure notificata al domicilio del difensore, ma semplicemente depositata presso la cancelleria.
5.1. -Il motivo è infondato.
Riguardo alla caparra confirmatoria, regolata dall’art. 1385 cod. civ., una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza (Cass., Sez. II, 27 settembre 2017, n. 22657; Cass., Sez. II, 1 marzo 1994, n. 2032).
La RAGIONE_SOCIALE ha esercitato il diritto di recesso dal contratto preliminare con la comparsa di costituzione e risposta e nelle domande riconvenzionali, ove si è chiesto di condannare la RAGIONE_SOCIALE a pagare l’importo pari al doppio della caparra confirmatoria versata alla stipula del preliminare.
6. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 12.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione