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Inadempimento preliminare: chi ha torto?

Un promissario acquirente ha citato in giudizio i promittenti venditori per la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita, lamentando la mancanza del certificato di abitabilità. La Corte d’Appello ha ritenuto più grave l’inadempimento dell’acquirente, che non si era presentato al rogito, legittimando il recesso dei venditori e la ritenzione della caparra. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, chiarendo che in caso di reciproco inadempimento preliminare, il giudice deve effettuare una valutazione comparativa delle condotte per determinare quale sia stata la causa principale della mancata conclusione del contratto.

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Inadempimento preliminare: la Cassazione valuta quale colpa è più grave

Quando si firma un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile, entrambe le parti assumono obblighi precisi. Ma cosa succede se sia il venditore che l’acquirente si accusano a vicenda di inadempimento preliminare? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come i giudici debbano valutare queste complesse situazioni, in particolare quando la disputa riguarda la mancanza del certificato di abitabilità e la mancata presentazione dell’acquirente al rogito notarile.

I fatti del caso: un preliminare di vendita conteso

La vicenda nasce dalla stipula di un contratto preliminare di compravendita immobiliare. Il promissario acquirente, dopo aver versato una caparra di 40.000 euro, si rifiutava di procedere alla stipula del contratto definitivo. Le sue ragioni erano legate a presunte irregolarità dell’immobile, in particolare la mancanza del certificato di abitabilità e la necessità di opere di demolizione. Di conseguenza, chiedeva al tribunale la risoluzione del contratto per colpa dei venditori, con la restituzione del doppio della caparra e il risarcimento dei danni.

Dal canto loro, i promittenti venditori sostenevano che l’inadempimento fosse esclusivamente dell’acquirente, il quale, nonostante una formale diffida ad adempiere, non si era presentato davanti al notaio per la stipula del rogito. Chiedevano quindi di essere autorizzati a trattenere la caparra a titolo di risarcimento.

La decisione dei giudici di merito

Il Tribunale di primo grado dava ragione al promissario acquirente, disponendo lo scioglimento del contratto e condannando i venditori alla restituzione della caparra. La situazione, tuttavia, veniva completamente ribaltata in secondo grado. La Corte d’Appello, riformando la prima sentenza, accoglieva le tesi dei venditori. I giudici ritenevano che l’inadempimento più grave e determinante fosse quello dell’acquirente, la cui assenza al rogito era immotivata. Dichiaravano quindi legittimo il recesso dei venditori e il loro diritto a trattenere la caparra.

L’analisi della Cassazione sull’inadempimento preliminare e la comparazione delle colpe

Il promissario acquirente, non soddisfatto della decisione, proponeva ricorso per cassazione, basandolo su diversi motivi, tra cui la presunta violazione di legge riguardo alla commerciabilità dell’immobile privo di abitabilità e l’errata valutazione della sua assenza al rogito.

La gravità dell’inadempimento del promissario acquirente

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha ribadito un principio fondamentale: in caso di inadempienze reciproche, il giudice deve effettuare una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti. L’obiettivo è stabilire quale delle due condotte sia stata prevalente e abbia alterato l’equilibrio del contratto, causando il giustificato inadempimento della controparte. Questo tipo di valutazione, basato sui fatti e sulle prove, è di competenza del giudice di merito e non può essere messo in discussione in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente operato questa comparazione, concludendo che la mancata presentazione dell’acquirente al rogito, a fronte di un invito formale, era un inadempimento più grave rispetto alle problematiche sollevate dai venditori.

La questione del certificato di abitabilità

La Cassazione ha chiarito che, sebbene la mancanza del certificato di abitabilità possa configurare un inadempimento, non sempre costituisce un impedimento assoluto alla stipula del contratto. La giurisprudenza distingue diverse ipotesi: si va dalla vendita di ‘aliud pro alio’ (una cosa per un’altra), se le difformità sono insanabili, alla mancanza di qualità essenziali, se le difformità sono sanabili, fino all’inadempimento non grave, se si tratta solo di un ritardo nel rilascio del certificato. Nel caso in esame, era emerso che era stata ottenuta una sanatoria per gli abusi edilizi e che era possibile ottenere il certificato. Pertanto, non sussisteva un impedimento legale assoluto che giustificasse il rifiuto dell’acquirente.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i principali motivi di ricorso, poiché miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di cassazione. La Corte ha sottolineato che la valutazione comparativa degli inadempimenti reciproci è un potere del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva motivato in modo congruo la sua decisione, ritenendo l’assenza ingiustificata dell’acquirente al rogito come la violazione contrattuale prevalente e decisiva.
Anche le censure relative alla liquidazione delle spese legali sono state respinte. La Corte ha chiarito che, nelle cause di risoluzione contrattuale, il valore della controversia si determina in base al valore del contratto stesso (nel caso di specie, 435.000 euro) e non sulla base della sola caparra. Pertanto, l’applicazione delle tariffe professionali era corretta.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione conferma che, in un contratto preliminare con inadempimenti da entrambe le parti, non è sufficiente dimostrare la colpa della controparte, ma è necessario che il proprio comportamento sia esente da censure rilevanti. La valutazione del giudice si concentrerà su quale inadempimento abbia avuto un’efficacia causale preponderante nel fallimento dell’operazione contrattuale. La mancata presentazione al rogito, se non supportata da un impedimento legale oggettivo e insuperabile, viene considerata una violazione di notevole gravità.

In caso di inadempimenti reciproci in un contratto preliminare, come stabilisce il giudice chi ha ragione?
Il giudice deve comparare il comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con la propria condotta, si sia resa responsabile della trasgressione maggiormente rilevante e abbia causato l’inadempimento della controparte, alterando il nesso di interdipendenza tra le obbligazioni.

La mancanza del certificato di abitabilità giustifica sempre il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo?
No, non sempre. Secondo la sentenza, se le difformità sono sanabili e vi è la concreta possibilità di ottenere il certificato (come nel caso di specie, dove era stata conseguita la sanatoria), la sua mancanza non costituisce un impedimento legale assoluto alla stipula. Il rifiuto dell’acquirente può essere considerato ingiustificato e, quindi, un inadempimento più grave.

Come si determina il valore della causa in una controversia per la risoluzione di un contratto preliminare ai fini della liquidazione delle spese legali?
Il valore della causa non si basa sull’importo della caparra, ma sul valore del contratto oggetto della risoluzione. Nel caso specifico, la liquidazione delle spese è stata calcolata sul prezzo della compravendita pattuito nel preliminare (435.000 euro).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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