Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
Oggetto: Risoluzione contratto – Requisiti – Imputabilità.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17589/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal AVV_NOTAIO ed domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in INDIRIZZO, INDIRIZZO, sono elettivamente domiciliati.
-controricorrenti –
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti quali eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME, quest’ultima anche quale erede di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 530/2019 resa dalla Corte d’Appello di Catania, depositata il 7/3/2019 e notificata il 22/3/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2
ottobre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con sentenza n. 1209 del 02/02/2015, il Tribunale di Catania dichiarò risolto, con i conseguenti obblighi restitutori, il contratto del 18/12/2008, avente ad oggetto la permuta-vendita ed appalto di un immobile sito tra le vie INDIRIZZO di Catania, per grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE in ordine alla realizzazione e alla consegna ai venditori, entro il pattuito termine triennale decorrente dal rilascio della concessione edilizia, di alcune unità immobiliari costituenti corrispettivo di vendita e di appalto, avendo quest’ultima realizzato alla scadenza di detto termine soltanto un parziale sbancamento, e, rigettata la domanda riconvenzionale, condannò la medesima al pagamento delle spese processuali.
Il giudizio di gravame, instaurato su iniziativa della RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza degli appellati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 530/2019, pubblicata il 07/03/2019, con la quale la Corte d’Appello di Catania rigettò l’appello.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME,
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti quali eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME, quest’ultima anche quale erede di COGNOME NOME, resistono con separati controricorsi, mentre è rimasta intimata COGNOME NOME.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto accertato il collegamento funzionale tra il contratto di vendita e quello d’appalto avuto riguardo alla volontà dei contraenti e all’interpretazione letterale dell’intesa. Ad avviso della ricorrente, non esisteva, infatti, alcun collegamento funzionale tra i due contratti, né alcun legame causale, posto che la permuta si riferiva alle sole porzioni di area dei AVV_NOTAIO, da un lato, e COGNOME, dall’altro, e non al rapporto contrattuale tra i COGNOME e COGNOME, da un lato, e la RAGIONE_SOCIALE, dall’altro, il quale si era sostanziato, invece, non nella stipulazione di una permuta tra bene presente (area edificabile) e bene futuro (immobili da costruire), ma nella stipulazione di due contratti, uno di vendita-permuta e l’altro di appalto, il primo dei quali, ad effetti reali, era stato interamente eseguito col trasferimento del bene e il pagamento del prezzo, e il secondo, ad effetti obbligatori, aveva avuto una parziale esecuzione, essendo stato corrisposto interamente il prezzo, ma non anche l’esecuzione delle opere per le quali era stato stabilito un termine. Pertanto, nessun inadempimento della vendita poteva dirsi imputabile alla RAGIONE_SOCIALE, atteso che il pagamento del relativo prezzo era avvenuto contestualmente al trasferimento del terreno con la compensazione immediata del corrispettivo per l’appalto, mentre i giudici di merito avevano
violato le norme sull’interpretazione del contratto, non avendo considerato la sussistenza di tre diversi tipi contrattuali.
1.2 Il motivo è inammissibile.
Occorre, innanzitutto, premettere come, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consti di due fasi, la prima delle quali – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., e la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – si risolve nell’applicazione di norme giuridiche, sì da poter formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass., Sez. 1, 5/12/2017, n. 29111; Cass., Sez. 3, 12/1/2006, n. 420).
In particolare, mentre l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., Sez. 3, 10/5/2018, n. 11254), la qualificazione del contratto, in quanto finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie, è
suscettibile di verifica in sede di legittimità, affidandosi al metodo della sussunzione, non solo per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti (Cass., Sez. 3, 4/6/2021, n. 15603).
Nel primo caso, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (Cass., Sez. 2, 3/9/2010, n. 19044; Cass., Sez. 1, 22/2/2007, n. 4178).
Ed è proprio con riferimento a quest’ultimo principio che, si ritiene, essere stato violato l’obbligo della specificità della censura, non soltanto perché la ricorrente non ha in alcun modo precisato le ragioni per le quali sarebbero stati violati i canoni ermeneutici dettati dall’art. 1362 cod. civ., benché se ne sia doluta, ma anche perché ha del tutto omesso di riportare i contenuti del contratto, se non per piccoli stralci inidonei a farne comprendere la portata, così violando il dettato dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., il quale impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento
cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).
Consegue da quanto detto l’inammissibilità del motivo.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE in relazione al contratto di appalto, senza considerare che il ritardo nella prosecuzione dei lavori, già avviati, subito dopo il rilascio della concessione, attraverso l’esecuzione delle demolizioni dei fabbricati esistenti e degli scavi, non era imputabile alla RAGIONE_SOCIALE, ma agli ostacoli frapposti dall’RAGIONE_SOCIALE alla rimozione di una cabina esistente sul terreno, di cui si dava conto nel contratti, che aveva indotto la prima a esperire, nel 2009, un’azione giudiziaria conclusasi con una transazione.
2.2 Il secondo motivo è fondato.
Occorre, innanzitutto, rammentare come, ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., non sia sufficiente la sussistenza di un inadempimento caratterizzato da gravità, ma occorre altresì, che questo, quand’anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, sia imputabile a dolo o quantomeno a colpa del debitore, non essendo sufficiente, perché sia ravvisabile la responsabilità di quest’ultimo, la sua diffida ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 cod. civ. mediante richiesta fatta per iscritto dal creditore (Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 6551, non massimata; Cass., Sez. 3, 6/2/2007, n. 2553; Cass., Sez. 3, 15/7/2005, n. 15026; Cass., Sez. 2, 14/7/2000, n. 9356; Cass., Sez. 2002, n. 11717; Cass.,
26/11/1994, n. 10102; Cass. 29/1/1993, n. 1119; Cass., Sez.2, 8/7/1983; n. 4591).
Quanto al primo requisito, l’importanza delle inadempienze di una delle parti va valutata non isolatamente, ma nel suo complesso, dovendo intendersi non in senso generico, cioè in relazione alla stima di un danno avulso dagli specifici interessi violati, ma in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare, reagendo sulla causa del contratto, l’equilibrio contrattuale, quale risulta dalle clausole cui i contraenti hanno attribuito valore maggiore ed essenziale, sotto un profilo oggettivo, in relazione alla funzione economico-sociale del contratto, o soggettivo, in relazione a particolari interessi dei contraenti medesimi (tra le varie, cfr. Cass. 28/10/1981, n. 5672).
Quanto al secondo punto, occorre che, nel quadro delle reciproche obbligazioni facenti carico alle parti e dell’impegno di cooperazione previsto per contratto, l’inadempimento o il ritardato adempimento sia considerato colposo o doloso, configurandosi soltanto così, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., la responsabilità del debitore (Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 6551, cit.), la quale deve, dunque, escludersi quando costui provi che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione sia determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 6551, cit.), ossia dimostri la sussistenza di circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a far escludere l’elemento psicologico (Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 6551, cit.; Cass., Sez. 2, 19/11/2002, n. 16291).
Infatti, in materia di responsabilità contrattuale, l’art. 1218 cod. civ. è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che,
qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore. Peraltro, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento (Cass., Sez. 3, 5/8/2002, n. 11717).
Deriva, perciò, da tali principi, che la risoluzione del contratto a carico del debitore possa pronunciarsi soltanto quando sussista la responsabilità del debitore nei termini sopra precisati, ma non anche quando quest’ultimo superi la presunzione di colpevolezza, deducendo e provando che, nonostante l’uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili, e, per il tramite di risultanze positivamente apprezzabili, sia chiara l’incolpevolezza dell’inadempimento (Cass., Sez. 2, 29/3/2019, n. 8924; Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 6551, cit.; Cass., Sez. 3, 11/2/2005, n. 2853; Cass., Sez. 2, 19/11/2002, n. 16291; Cass., Sez. 3, 5/8/2002, n. 11717).
Nel caso di specie, i giudici di merito si sono limitati ad affermare che la consapevolezza, in capo alla RAGIONE_SOCIALE, della presenza della cabina elettrica sul fondo interessato dalle lavorazioni dell’appalto e l’assunzione, da parte della stessa, di procedere agli opportuni accordi con la RAGIONE_SOCIALE elettrica per la sua eliminazione o il suo spostamento, in uno con l’assunzione dell’obbligo, nonostante ciò, della consegna del bene nel termine di tre anni, fosse in sé sufficiente per ‘elidere’ l’inadempimento, così valutando incondizionatamente il contenuto di quell’obbligo, senza invece affrontare la diversa questione dell’imputabilità alla debitrice della
violazione del termine pattuito, ricadendo anche esso nel disposto di cui all’art. 1218 cod. civ..
Ciò comporta, dunque, la fondatezza della censura.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 936, 1150 e 1453 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato la domanda riconvenzionale, con la quale la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione, le venisse corrisposto il valore delle migliorie apportate al terreno col rilascio della concessione edilizia e con l’esecuzione dei propedeutici lavori di progettazione, demolizione e scavo, nella misura di euro 800.000,00 o altra da accertarsi, sostenendo che, trattandosi di attività collegate agli obblighi assunti con il contratto di appalto, sussisteva la perfetta buona fede della RAGIONE_SOCIALE, senza però considerare che la risoluzione del contratto produce effetti restitutori ex nunc delle prestazioni già eseguite, ivi compreso il prezzo di quanto già realizzato, costituente miglioria del fondo. La risoluzione, ad avviso del ricorrente, non avrebbe potuto far venir meno i diritti del possessore di buona fede ad essere rimborsato dei lavori e migliorie realizzate.
3.2 La terza censura, siccome riguardante le conseguenze della risoluzione del contratto, resta assorbita dall’accoglimento della seconda.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo e l’assorbimento del terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2/10/2024.