Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21881 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21881 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2917-2021 proposto da:
TRAINITO ROSARIO, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, in qualità di erede di NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 839/2020 d ella Corte d’appello di Catania, depositata in data 05/06/2020;
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Inidoneità della ‘ res locata pattuito –
‘ all’uso Inammissibilità dei motivi di ricorso
R.G.N. 2917NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/03/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 07/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 839/20, del 5 giugno 2020, della Corte d’appello di Catania, che respingendone il gravame avverso la sentenza n. 382/18, del 4 luglio 2018, del Tribunale di Caltagirone -ha confermato l’accoglimento della domanda di risoluzione, per grave inadempimento dell’odierno r icorrente nel pagamento di tre trimestralità di canone locatizio, relative a contratto di locazione, ad uso diverso da quello abitativo, concluso dal COGNOME con NOME COGNOME il 28 aprile 2008, contratto avente ad oggetto quattro vani di un immobile sito in Niscemi, destinato ad uso laboratorio di analisi, con condanna della parte conduttrice al pagamento della somma di € 6.300,00 , a titolo, appunto, di canoni insoluti.
Riferisce , in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver concluso il suddetto contratto di locazione, il quale prevedeva, per l’anno 2008, il pagamento di un canone mensile di € 670,00 e, per il periodo successivo, di €. 7 00,00. Essendosi, tuttavia, rivelata proprio la porzione del fabbricato costituente la ‘ res locata ‘ priva di agibilità, il COGNOME si rivolgeva alla COGNOME affinché avviasse le pratiche amministrative necessarie ai fini del frazionamento dell’immobile, adempimento prodromico al rila scio del certificato di agibilità dei vani oggetto della locazione. La locatrice, tuttavia, a fronte di un’iniziale disponibilità, non si adoperava in tal senso (secondo quanto si legge in ricorso), tanto che il conduttore, dopo diciannove mesi di regolare pagamento
del canone, ne sospendeva la corresponsione, quanto alle mensilità dal novembre 2009 al luglio 2010.
La RAGIONE_SOCIALE, di conseguenza, in data 16 luglio 2010 intimava al COGNOME sfratto per morosità, per l’importo di € 6.300,00.
Costituitosi in giudizio, l’intimato si opponeva alla convalida, deducendo, a propria volta, l’inadempimento della locatrice, non essendosi la stessa adoperata per assicurargli il godimento dell’immobile.
Non convalidato lo sfratto e disposta la conversione del rito, nelle memorie integrative, il cui deposito veniva autorizzato a norma dell’art. 426 cod. proc. civ., la COGNOME, oltre alla risoluzione per grave inadempimento del conduttore, richiedeva il pagamento dei canoni maturati e insoluti fino al momento della proposta opposizione. Il COGNOME, per parte propria, in via riconvenzionale, chiedeva riconoscersi l’inadempimento della locatrice e senza domandare lo scioglimento del vincolo contrattuale, dato il proprio interesse a mantenerlo in vita -la condanna della stessa a restituirgli le diciannove mensilità di canone corrisposte, per un importo complessivo di € 12.360,00, nonché a risarcirgli i danni cagionati.
Istruita la causa anche attraverso lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio (volta ad accertare l’agibilità del locale e le spese sostenute dal conduttore per l’esecuzione di lavori all’interno dell’immobile), il giudice di prime cure, mentre accoglieva la domanda della COGNOME, rigettava, invece, la riconvenzionale del COGNOME, con decisione confermata integralmente in appello.
A tale esito, tuttavia, il giudice di seconde cure perveniva sulla base di un diverso percorso motivazionale.
Esso, infatti, riconosceva come la RAGIONE_SOCIALE fosse venuta meno ‘all’obbligo di esecuzione del contratto « de quo » secondo buona fede’ (facendo mancare la propria collaborazione al rilascio della
certificazione di agibilità), ciò che però ‘non ha impedito al COGNOME di fruire dell’immobile in questione’, avendo il CTU constatato come esso risultasse ‘fornito di tutti gli arredi e le attrezzature confacenti ad un laboratorio di analisi chimicoclin iche in esercizio’. Su tali basi, dunque, è stata esclusa la legittimità, oltre che la conformità a lealtà e buona fede, della sospensione del pagamento del canone, essendo stata motivata dal conduttore -sebbene continuasse a godere dell’immobile su di una pretesa ‘inutilizzabilità del bene all’uso convenuto’.
Avverso la sentenza della Corte etnea ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 cod. proc. civ. per travisamento della prova, per avere la sentenza impugnata ritenuto ‘il laboratorio di analisi chimicocliniche in esercizio’ e dunque ‘utilizzato ai fini della decisione una informazione probatoria che risulta contraddetta da uno specifico atto processuale ‘.
Si censura la decisione della Corte territoriale di ‘dedurre, dall’elaborato (meglio: da alcune immagini) della CTU una circostanza che, non solo appariva incontestatamente non sussistente, ma finanche «non possibile», in quanto illecita’, ovvero che il laboratorio fosse in esercizio, benché privo di agibilità. Infatti, da talune ‘fotografie ritraenti i vani oggetto della locazione’, attestanti la presenza negli stessi di ‘alcuni strumenti ed apparecchiature che si utilizzano per la esecuzione delle analisi dei liquidi biologici’, è stata tratta la fallace conclusione che il laboratorio fosse in esercizio. Così ragionando, tuttavia, ‘la deduzione del fatto ignoto’ (l’essere il laboratorio in esercizio) risulta ‘collidere con la massima di esperienza’ necessa ria perché
potesse ritenersi ‘stabilizzato il costrutto’, e ciò perché risulta ‘impossibile, oltre che contra legem ed implicitamente sconfessato dalla stessa pendenza del giudizio, che il COGNOME avesse avviato l’esercizio di Laboratorio di Analisi Cliniche ( … ) in assenza di rilasciata certificazione di agibilità dell’immobile’, oltre che di autorizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1571 e 1460 cod. civ. e all’art. 116 cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la COGNOME adempiente all’obbligo di far ‘godere al COGNOME la cosa immobile’ oggetto della locazione, nonché, ‘specularmente’, che costui abbia sollevato l’eccezione di inadempimento in maniera ‘contraria alla buona fede’.
Invero, sul presupposto che il godimento della ‘ res locata ‘ consiste ‘tanto nell’ uti , cioè nella facoltà di compiere atti di utilizzazione del bene, quanto nel frui , cioè nella possibilità di porre in essere atti di sfruttamento’ dello stesso, il ricorrente evidenzia com e anche un ridotto godimento dell’immobile oggetto della locazione possa legittimare il conduttore, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., a sospendere il pagamento, sempre che sussista una oggettiva proporzione tra i reciproci inadempimenti. In particolare, viene richiamato quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’inutilizzabilità della detenzione dell’immobile locato integra un inadempimento del locatore. Di conseguenza, il contegno da esso COGNOME assunto, e consistito nel pagare oltre dodicimila euro e nel sospendere l’obbligazione di versare il canone di locazione solo dopo aver riscontrato una condotta ‘ostativa’ al pieno godimento dell’immobile (come la Corte
territoriale ha definito quella tenuta dalla COGNOME), non potrebbe essere ritenuto contrario a buona fede.
Inoltre, la Corte catanese avrebbe tralasciato di valutare il contegno di esso COGNOME ‘alla luce del provvedimento del Tribunale di Caltagirone che, in accoglimento della exceptio inadimpleti contractus e non convalidando l’intimato sfratto per morosità, legittimava la sospensione dei pagamenti del canone ( … ) per il futuro’.
Sarebbe stato, poi, disatteso anche il principio secondo cui l’eccezione di inadempimento ‘deve essere valutata avendo riguardo al momento in cui è sollevata l’eccezione, essendo irrilevanti gli avvenimenti successivi’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1460 cod. civ. e all’art. 112 cod. proc. civ.
In questo caso si censura la sentenza impugnata per avere la Corte etnea ‘pronunciato in mancanza di specifica richiesta della locatrice di valutare, ai fini della sussistenza della buona fede contrattuale, il protrarsi nella detenzione dell’immobile duran te il giudizio di primo grado’.
Difatti, ‘la domanda di risoluzione formulata dalla RAGIONE_SOCIALE si fondava sulla «denunciata» condotta del conduttore COGNOME‘, e cioè di aver operato un’illegittima sospensione dei pagamenti per i tre trimestri (novembre 2009luglio2010), mentre ‘nessuna esplicita richiesta di valutare la condotta successiva, eventualmente tenuta in corso del giudizio, è stata formulata dalla locatrice’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in ciascuno dei tre motivi in cui si articola.
8.1. L’inammissibilità del primo motivo va affermata sotto più profili.
8.1. Il motivo denuncia, come detto, il vizio di travisamento della prova, prospettando violazione de ll’art. 116 cod. proc. civ.
Al riguardo, tuttavia, va evidenziato che questa Corte, nella sua massima sede nomofilattica, ha affermato, con recentissimo arresto, che il vizio di ‘ travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell ‘ impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall ‘ art. 395, n. 4), cod. proc. civ., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell ‘ art. 360, n. 4), o n. 5), cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto
processuale o sostanziale ‘ ( Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, Rv. 670391-01).
Nella specie, come rilevato, il motivo di ricorso prospetta, invece, violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., denunciando il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.
A tale rilievo, che già depone nel senso dell’inammissibilità della censura, va, poi, aggiunta la constatazione che, se la sentenza impugnata dà atto del godimento della ‘ res locata ‘ -pur a fronte dell’assenza del certificato di agibilità da parte del conduttore (assumendo che costui ne ha sempre fatto uso in conformità con la destinazione pattuita, di laboratorio chimicoclinico), tale ‘lettura del fatto probatorio’ non è affatto contraddetta, come invece denunciato dal ricorrente, dall’espletata CTU . E , difatti, il ricorrente, lungi dall’individuare un passaggio della relazione tecnica dell’ausiliario che escluda tale circostanza (come richiederebbe la prospettazione del vizio di travisamento della prova), censura, piuttosto, la decisione in esame per aver effettuato un non corretto ragionamento presuntivo -o meglio, inferenziale -muovendo da fotografie, tra l’altro tratte dalla stessa CTU, che riproducevano la presenza presso l’immobile locato ‘di tutti gli arredi e le attrezzature confacenti ad un laboratorio di analisi chimico-cliniche in esercizio’. Ma una censura siffatta, evidentemente, andava formulata non solo evocando gli artt. 2727 e 2729 cod. civ., ma soprattutto specificando in quale misura la Corte etnea avesse dato rilievo ad indizi privi di quei caratteri di gravità, precisione e concordanza, ai quali la seconda di tali norme subordina la correttezza ‘ in iure ‘ del ragionamento presuntivo, e ciò mediante una critica -nella specie, invece, mancante -da compiersi secondo i criteri individuati da Cass. Sez. Un., sent. 24 gennaio 2018, n. 1785, non massimata su punto, ai §§ 4. e ss.
Ne consegue, pertanto, per un verso, che la mancata individuazione dei passaggi della relazione dell’ausiliario del giudice, sui quali è basato il presente motivo, inficia lo stesso di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., così come, per altro verso, che la prospettazione dell’erroneità del ragionamento presuntivo operato dal giudice d’appello senza che la doglianza possa ritenersi conforme al modello sopra delineato (e, dunque, ‘specifica’, come richiesto dal n. 4 del comma 1 del medesimo art. 366 cod. proc. civ.), osta alla possibilità di riqualificazione del presente motivo quale violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., pur in astratto consentita, a determinate condizioni, dalle Sezioni Unite di questa Corte (il riferimento è a Cass. Sez. Un., sent. 24 luglio 2013, n. 17931, Rv. 627268-01).
8.2. Anche i motivi secondo e terzo sono inammissibili.
8.2.1. Nello scrutinarli va premesso che essi risultano suscettibili di disamina unitario, dal momento che censurano -da differenti e complementari angoli visuali -la (supposta) decisione della Corte di dare rilievo anche al protrarsi della morosità del conduttore in corso di causa, in particolare per ‘essersi mantenuto nella detenzione dell’immobile nel tempo in cui si è svolto il giudizio di primo grado’ (pag. 47 del ricorso, righe seconda e terza). Affermazione in contrasto, si assume, tanto con la necessità di valutare l’eccezione ex art. 1460 cod. civ. con riguardo alla sola situazione esistente nel momento in cui essa fu sollevata (secondo motivo), quanto con il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in difetto di una domanda in tal senso da parte della locatrice (terzo motivo).
Anche in questo caso la declaratoria d’inammissibilità costituisce l’esito di convergenti ragioni.
In primo luogo, della constatazione che entrambe tali censure non individuano la motivazione della sentenza che intendono sottoporre a critica, donde la loro inammissibilità in applicazione del principio secondo cui il motivo di ricorso ‘è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo’, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione ‘tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzi onata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.’ (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
Per altro verso, poi, deve ribadirsi che ‘nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi
interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l’inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell’altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l’esame dell’eventuale richiesta di risarcimento del dann o della parte non inadempiente’ (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 22 maggio 2019, n. 13827, Rv. 654177-01), fermo, però, restando che tale accertamento, ‘fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato’ (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 2, sent. 30 maggio 2017, n. 13627, Rv. 644328-01; Cass. Sez. 3, sent. 1° giugno 2004, n. 10477, Rv. 573294-01).
Orbene, a tale dovere di valutare le reciproche inadempienze non si è sottratta la sentenza impugnata, la quale in nessun punto, come detto, ha dato rilievo al protrarsi della morosità del conduttore, ciò che comporta l’inammissibilità di entrambi i motivi che si basano, invece, su tale assunto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3 .000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della