Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31271 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31271 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25412/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE) e NOME (CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 1664/2022 depositata il 2 maggio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 25412/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 11/7/2024
C.C. 14/4/2022
RISOLUZIONE DI CONTRATTO AGRARIO.
FATTI DI CAUSA
La Società agricola RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima a mezzo della RAGIONE_SOCIALE, sua procuratrice speciale, convennero in giudizio NOME COGNOME con ricorso alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto di affitto agrario esistente tra le parti.
A sostegno della domanda le ricorrenti esposero, tra l’altro, di essere proprietarie di alcune particelle facenti parti di un fondo sito in agro di Cellole, condotto in fitto dal Perretta, e che il convenuto si era reso inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali, avendo realizzato sul fondo in questione alcune opere abusive.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda principale e proponendo domanda riconvenzionale per ottenere che le parti attrici fossero condannate al pagamento dei miglioramenti da lui apportati al fondo nel corso degli anni.
Il Tribunale accolse la domanda principale, dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento del COGNOME, che condannò al rilascio del fondo e al pagamento delle spese, e rigettò la domanda riconvenzionale.
La decisione è stata impugnata dal convenuto soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 2 maggio 2022, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
La Corte territoriale ha premesso che non vi era alcuna relazione tra il presente giudizio e l’altro, pendente tra le stesse parti, avente ad oggetto la risoluzione del contratto di affitto agrario per finita locazione, posto che il giudicato formatosi sulla cessazione non preclude alla parte interessata di ottenere una diversa pronuncia che attesti l’esistenza di una pregressa causa di risoluzione dello stesso contratto, per inadempimento grave del conduttore.
Ciò premesso, la Corte napoletana ha affermato che il COGNOME aveva realizzato costruzioni abusive sul fondo, come risultante da una sentenza del Consiglio di Stato divenuta definitiva, e che da tale accertamento derivava l’esistenza di un grave inadempimento del conduttore, rilevante ai fini dell’art. 5 della legge 3 maggio 1982, n. 203.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato ad un solo motivo.
Resistono la RAGIONE_SOCIALE in qualità di procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE, con un unico controricorso.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 28 febbraio 2024.
Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo che il ricorso venga collegialmente deciso; la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nonché carenza di motivazione della sentenza, contraddittorietà, superficialità e inattendibilità della c.t.u. svolta in primo grado.
Osserva il ricorrente che la c.t.u. svolta in primo grado dimostrerebbe la superficialità e l’incompetenza del consulente, che il contratto di affitto era destinato a scadere il 10 novembre 2026 e che vi sarebbe, poi, non piena integrazione del contraddittorio nei confronti di suo figlio NOME COGNOME, effettivo coltivatore del fondo e parte necessaria.
Si trascrive qui di seguito la proposta di definizione anticipata che è stata depositata.
«CONSIDERATO che sussistono i presupposti per la formulazione di una sintetica proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.;
che, infatti, i motivi di ricorso, non ostante la formale intestazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento -ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);
che, inoltre, la generica denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 5 omette di considerare, per un verso, che, il ‘fatto’ di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve essere (un fatto storico vero e proprio, avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere ‘decisivo’ (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di ‘discussione’ tra le parti, sicché in tale ambito non è di per sé inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761); per altro verso, che, in applicazione della regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , va esclusa la possibilità di denunciare per cassazione il predetto vizio, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto -legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata
richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro 3 diverse ( ex multis , Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994);
che, ancora, la denuncia del vizio motivazionale facendo riferimento alla ‘inattendibilità’ della CTU, si infrange sul principio per cui il sindacato sulla motivazione attiene all’esistenza e alla coerenza della stessa, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n. 4 cod. proc. civ., la cui violazione -deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090);
che, pertanto, il ricorso è inammissibile».
A fronte della trascritta proposta, il difensore del COGNOME si è limitato a chiedere che il ricorso venga deciso, senza avanzare alcuna osservazione critica alla medesima e senza depositare memoria in vista della discussione in camera di consiglio.
Tutto ciò premesso, la Corte osserva che la proposta di definizione anticipata merita integrale conferma.
Si deve aggiungere, ad abundantiam , che il motivo di ricorso risulta completamente inconferente rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, dal momento che pone censure all’operato del c.t.u. dimenticando o non considerando che nessuna
c.t.u. è stata espletata in sede di merito, come anche la Corte napoletana ha avuto modo di rilevare nell’impugnata sentenza.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, nonché la condanna al pagamento di un’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e al versamento di un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.).
Deve essere disposta la distrazione delle spese in favore degli avvocati NOME e NOME COGNOME che si sono dichiarati antistatari.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di euro 1.500 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. in favore della controparte, da distrarre in favore degli avvocati NOME e NOME COGNOME antistatari, e al pagamento della somma di euro 500 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza