Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12849 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5880 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 943/2022 depositata il 25 luglio 2022 della Corte di appello di Brescia.
Udita la relazione svolta alla camera di consiglio del 28 marzo 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 11 gennaio 2016, RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui le era stata ingiunto di consegnare a RAGIONE_SOCIALE due macchinari denominati Cubolux 2013 6 ST coi relativi kit di sollevamento stampi ed attrezzatura maschi. Ha chiesto la revoca del provvedimento monitorio previa risoluzione, per inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, dell’accordo concluso il 31 dicembre 2014, che regolava una collaborazione avente ad oggetto lo sfruttamento di un brevetto nella comune titolarità delle contendenti.
Nella resistenza di COGNOME il Tribunale di Cremona ha revocato il decreto ingiuntivo e accolto la domanda di risoluzione con riguardo all’inadempimento di COGNOME consistente nell’aver smontato il macchinario COGNOME che le era stato consegnato, avendo essa addotto infondatamente la mancanza di pezzi di ricambio -che aveva provveduto a sostituire ordinandoli a terzi soggetti -, così ponendo in atto una riparazione non autorizzata contrattualmente: ciò sul presupposto che il richiamato contratto di collaborazione prevedeva che la RAGIONE_SOCIALE «doveva costruire e produrre in esclusiva» i prodotti per RAGIONE_SOCIALE, «alla quale invece veniva riconosciuta l’esclusiva di acquisto e di commercializzazione su tutto il mercato italiano, salvo le eccezioni contrattualmente previste». Ha spiegato la sentenza che RAGIONE_SOCIALE si era impegnata per tutta la durata del contratto a non costruire o produrre i prodotti RAGIONE_SOCIALE e che ad essa era stata riservata la possibilità di effettuare i sopralluoghi, le installazioni, i training e il service dei prodotti commercializzati: «Pertanto», ha concluso il Tribunale, «il fatto che la Luben sia intervenuta sui macchinari, smontandone uno, costituisce senza dubbio un inadempimento contrattuale di rilevante gravità che giustifica da sola la risoluzione del contratto del 31 dicembre 2014, ai sensi dell’art. 1 453 c.c.».
Il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado è stato respinto dalla Corte di appello di Brescia con
sentenza del 25 luglio 2022.
Ricorre per cassazione, facendo valere cinque motivi, NOME COGNOME resiste con controricorso COGNOME Le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I motivi di ricorso si riassumono come segue.
Primo motivo: violazione dell’art. 1362 c.c.. Si denuncia la mancata considerazione del comportamento tenuto dalle parti, provato tramite testimonianza, al fine dell’interpretazione della clausola 4.1 del contratto di regolamentazione dell’attività di collaborazione per lo sfruttamento di un comune brevetto, stipulato dalle parti il 31 dicembre 2014; la clausola predetta disciplinava i poteri di intervento di RAGIONE_SOCIALE sui macchinari oggetto di commercializzazione.
Secondo motivo: violazione degli artt. 1363, 1366, 1371 c.c. e 112 c.p.c.. Ci si duole della mancata applicazione, con riguardo al richiamato contratto del 31 dicembre 2014, dei principi ermeneutici relativi all’ interpretazione complessiva delle clausole del contratto, all’ interpretazione secondo buona fede e all’interpreta zione diretta a ll’equo contemperamento degli interessi delle parti; si lamenta pure che la Corte di appello non abbia conferito rilievo alla mancata allegazione del fatto che la vendita della macchina rispetto alla quale COGNOME aveva lamentato l’attività di riparazione non autorizzata dovesse aver luogo nel mercato italiano.
Terzo motivo: violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si deduce un error in procedendo conseguente alla mancata applicazione dei principi in materia di interpretazione del contratto ex art. 1363, 1366, 1371 c.c..
Quarto motivo: violazione degli artt. 1218 c.c. e 112 c.p.c.. Si censura la sentenza impugnata per aver operato una inversione dell’onere probatorio in ordine alla pretesa modifica costruttiva della macchina posta in vendita dalla ricorrente.
Quinto motivo: violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si prospetta l’ error
in procedendo in relazione alla mancata applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 1218 c.c..
2. ─ Il primo motivo è inammissibile.
Secondo la ricorrente, la Corte di merito, nell ‘i nterpretare il contratto di collaborazione tra le contendenti, non avrebbe tenuto conto della condotta delle stesse , provata nel corso dell’istruttoria. E’ spiegato che un testimone indicato da COGNOME, NOME COGNOME all’udienza del 18 settembre 2017, avrebbe dichiarato che il legale rappresentante dell’odierna controricorrente , «ricevuta la chiamata del cliente COGNOME che richiedeva un intervento tecnico, disse allo stesso di contattare la Luben RAGIONE_SOCIALE». Da ciò la società istante ricava che «nella prassi dei rapporti tra le due società, RAGIONE_SOCIALE poteva riparare le macchine prodotte da COGNOME».
Il motivo è carente di specificità. La censura in sede di legittimità dell’interpretazione di una clausola contrattuale offerta dal giudice di merito impone al ricorrente l’onere di fornire, con formale autosufficienza, gli elementi relativi alla complessiva unitarietà del testo e del comportamento non adeguatamente considerati dal giudice di merito, nella loro materiale consistenza e nella loro processuale rilevanza (Cass. 12 dicembre 2023, n. 34687): rilevanza che va declinata in termini di « potenziale idoneità a condurre ad una diversa decisione » (così Cass. 13 agosto 2001, n. 11089, in motivazione; cfr. pure, sempre in motivazione, la cit. Cass. 12 dicembre 2023, n. 34687). La società istante, mancando di trascrivere il preciso contenuto della deposizione testimoniale da cui pretende di ricavare la condotta indebitamente trascurata dalla Corte di merito, impedisce di apprezzare la rilevanza che questa poteva concretamente assumere sul piano ermeneutico: l’invito al testimone a rivolgersi a COGNOME per un non meglio precisato «intervento tecnico» è evenienza di cui non riesce a cogliersi la decisività ai fini che interessano, visto che, da un lato, la clausola accordava pacificamente alla ricorrente la facoltà di svolgere
un’attività manutentiva diversa da quella consistente nell’apportare vere e proprie modifiche al macchinario e , dall’altro, la genericità della locuzione impiegata nel ricorso non permette di comprendere a quale delle diverse attività il testimone intendesse riferirsi (se a quella di mera manutenzione o quella di vera e propria modificazione).
– Il secondo e il terzo motivo sono pure inammissibili.
Secondo la ricorrente, anzitutto, « il fatto che RAGIONE_SOCIALE, dopo aver rilevato il malfunzionamento di una Cubolux, sia intervenuta sulla stessa, dotandola del pezzo mancante, non ha in nessun modo interferito con la ripartizione concordata delle utilità economiche derivanti dal brevetto comune», dal momento che «essa non ha tratto dal proprio intervento un vantaggio economico diverso e maggiore da quello che avrebbe ottenuto se avesse venduto la macchina, mentre COGNOME non ha avuto alcuna diminuzione di guadagno ». E’ questa una deduzione inammissibile, in quanto si fonda su argomenti fattuali che sfuggono al sindacato di legittimità.
La società istante rileva, poi, che, mentre la clausola 2.2 del contratto del 31 dicembre 2014 regolava le esclusive di produzione e di vendita (riferite, rispettivamente a COGNOME e a COGNOME) per quanto riguarda il mercato italiano, «la clausola 2.3 lascia le parti libere per quanto riguarda il mercato internazionale»: onde «entrambe le società erano libere di produrre la RAGIONE_SOCIALE e vendere la stessa sul mercato internazionale». COGNOME assume che questa sarebbe l’unica interpretazione possibile delle due clausole, in base ai canoni ermeneutici dettati dagli artt. 1363, 1366 e 1371 c.c. e deduce che RAGIONE_SOCIALE non aveva allegato che la vendita del macchinario sulla quale essa ricorrente era intervenuta nell’ottobre del 2015 doveva avvenire nel mercato italiano: circostanza, questa, che la ricorrente anzi espressamente nega, facendo parola della cessione a un cliente spagnolo.
La censura, che si fonda su di una violazione delle richiamate
norme ermeneutiche, non può avere ingresso in questa sede. L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381). La ricorrente, sul punto, si limita a dedurre che «non sarebbe equo supporre che una delle due titolari del brevetto (COGNOME) avesse il diritto esclusivo e illimitato di produrre la RAGIONE_SOCIALE e la libertà di venderla all’estero, mentre l’altra (RAGIONE_SOCIALE) avesse solo un diritto di esclusiva di vendita limitato al territorio italiano (peraltro, con esclusione di tre importanti imprese vetrarie)»: in tal modo, essa istante muove alla sentenza un ‘argomentata censura che è fondata sull’asserita violazione dell’art. 137 1 c.c., indebitamente trascurando i criteri di interpretazione soggettiva: come è noto, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola
che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; Cass. 22 marzo 2010, n. 6852). Era dunque necessario che l’istante spiegasse, anzitutto, per quale ragione l’interpretazione da essa perorata fosse coerente coi canoni ermeneutici soggettivi: ciò che è invece mancato.
In secondo luogo, la prospettata interpretazione in tanto giocherebbe un ruolo nel presente giudizio, in quanto la vendita di cui si dibatte fosse stata eseguita sul mercato estero: ma di questa eventualità la sentenza impugnata non parla e il ricorrente non ha dedotto di aver sollevato la questione nel corso del giudizio di merito; ebbene, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
Né la mancata precisazione del fatto che la vendita era avvenuta in Italia ebbe a determinare una violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.). Come è del tutto evidente, la deduzione priva di tale elemento circostanziale era comunque idonea a investire i Giudici di merito della decisione sul dedotto inadempimento all’obbligazion e, il quale si basava, puramente e semplicemente, sul divieto, in capo a RAGIONE_SOCIALE, di operare lo smontaggio del macchinario fornitole (cfr. ricorso per cassazione, pag. 5). Se è vero che si determina violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato nell’ipotesi in cui il giudice del merito sostituisca la causa petendi dedotta dall’attore con una
differente, fondata su un fatto diverso da quello posto a fondamento della domanda (Cass. 6 aprile 2021, n. 9255), una tale ipotesi qui certamente non ricorre, dal momento che il Tribunale e la Corte di appello hanno statuito su di una domanda basata sulla richiamata allegazione attorea e spettava al l’odierna ricorrente eccepire e provare i fatti impeditivi del diritto fatto valere da controparte.
4. – Quarto e quinto motivo sono infondati.
Secondo la ricorrente, la Corte di appello, nel ritenere che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto provare che l’intervento eseguito sul macchinario fornitole non avesse costituito una modifica dello stesso, avrebbe violato gli artt. 1218 c.c. e 112 c.p.c., in quanto Arnmec non aveva mai allegato che l’intervento ebbe a determinare una tale trasformazione. Aggiunge che era onere della controparte dimostrare che il vizio lamentato non esisteva.
Il senso della decisione impugnata è che COGNOME non poteva intervenire sul macchinario con attività eccedente quella di mera manutenzione e che le fosse quindi precluso operarne lo smontaggio e sostituire componenti dello stesso. In tal senso, la decisione risulta pienamente coerente con la prospettazione di COGNOME in quanto con l’opposizione a decreto ingiuntivo l’odierna controricorrente aveva imputato a COGNOME di aver «smontato un macchinario COGNOME di nuova generazione che le era stato consegnato, adducendo infondatamente la mancanza di pezzi che aveva sostituito ordinandoli a terzi; e quindi di avere compiuto un’attività di riparazione non autorizzata con sostituzioni di parti non necessarie» (così la sentenza impugnata, pagg. 18 s.; cfr. pure pag. 23 della pronuncia, ove si spiega che nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo COGNOME aveva imputato a COGNOME di aver smontato la COGNOME sul presupposto che mancavano dei pezzi che erano poi stati ordinati a terzi, contestando all’opposta che solo essa produttrice era a conoscenza della identità delle componenti del macchinario, del loro
dimensionamento e del loro posizionamento); che una tale operazione sia stata effettivamente posta in atto è poi confermato dall’odierna ricorrente, visto che a pag. 8 del ricorso è dichiarato: «Per eseguire una riparazione è necessario aprire il macchinario, verificare cosa non funzioni e, eventualmente, sostituire la parte ammalorata. Ciò ha fatto Luben RAGIONE_SOCIALE in relazione alla Cubolux 2013 10ST».
E’ conseguentemente escluso che sul punto la sentenza impugnata sia viziata per aver statuito su un inadempimento diverso da quello allegato.
Deve pure negarsi che la Corte di appello sia incorsa in una violazione dell e regole circa l’ onere probatorio: in quanto obbligata, la ricorrente era tenuta a provare il proprio adempimento, e quindi che l’intervento da essa eseguito era consistito, come da essa dedotto, in una mera manutenzione; come è noto, infatti, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l’inadempienza dell’obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (per tutte: Cass. 21 maggio 2019, n. 13685; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25584). Peraltro, come si è detto, è stata la stessa odierna ricorrente a riconoscere, in questa sede, di aver operato la sostituzione di una componente del macchinario.
– Il ricorso va quindi respinto.
– Segue la condanna al pagamento delle spese di giudizio della soccombente COGNOME
La controricorrente ha domandato la condanna di RAGIONE_SOCIALE ex art. 96 c.p.c. sul presupposto che la domanda di risoluzione non avrebbe alcuna utilità pratica per la ricorrente, stante l’intervenuta
cessazione del contratto. La deduzione, che, se fosse vera, determinerebbe, a ben vedere, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, non merita condivisione: il rigetto della domanda risolutoria, che ha effetto retroattivo e che quindi opera a dispetto della sopravvenuta estinzione del rapporto per scadenza del termine, spiegherebbe effetto quantomeno con riguardo alla disciplina delle spese processuali. Per risalente giurisprudenza di questa Corte, poi, l’interesse alla impugnazione deve consistere nella possibilità di conseguire un risultato giuridicamente apprezzabile, che può riguardare anche la sola soccombenza nelle spese processuali (Cass. 18 marzo 1963, n. 672).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00, che liquida in euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione