Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10829 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17766/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliato presso in dom icilio digitale del medesimo, pec:
-ricorrente-
contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE di NOME e COGNOME , in persona del curatore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo
pec:
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 3/2022 depositata il 03/01/2022.
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
COGNOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, società della famiglia COGNOME, alla quale dovevano essere conferiti degli immobili lasciati in eredità da NOME COGNOME ai pronipoti con usufrutto al nipote NOME COGNOME con scrittura privata del 4/9/2008, promise di vendere a NOME COGNOME un terreno per il prezzo di € 550.000 di cui € 50.000 versati subito ed € 500.000 da pagarsi entro il 31/3/2008 e comunque entro il dicembre dello stesso anno.
In data 4/9/2008 le parti stipularono una nuova scrittura dando atto dell’avvenuto versamento di una parte della somma e stabilendo, a modifica del precedente contratto preliminare, che il residuo del prezzo ancora dovuto non sarebbe stato versato entro i termini previsti,avendo i Saccà deciso di partecipare ad una iniziativa speculativa dell’ing. La COGNOME consistente nella costruzione e successiva vendita di lotti di capannoni industriali. La nuova scrittura, che ripartiva tra le parti gli oneri relativi alla realizzazione dei capannoni, prevedeva che, nell’ipotesi in cui l’operazione imprenditoriale non fosse andata a buon fine, avrebbe prodotto i suoi effetti il preliminare originario con obbligo del promissario acquirente di pagare il prezzo residuo di € 300.000, ed obbligo dei promittenti venditori di trasferire la proprietà del terreno al La Fauci con il capannone esistente.
Il COGNOME, allegando l’inerzia del COGNOME che, a suo dire, non aveva redatto i progetti per la realizzazione dell’opera da presentare all’ASI e al Comune, e non aveva pagato i compensi all’ing. COGNOME lo convenne in giudizio chiedendo che il Tribunale di Messina accertasse l’intervenuta risoluzione contrattuale , per inadempimento del convenuto, della seconda scrittura e la condanna del COGNOME al
risarcimento dei danni subìti a causa della violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.
Il COGNOME propose un giudizio per sentir pronunciare l’esecuzione ex art. 2932 c.c. dell’obbligo di concludere il contratto definitivo.
Subito dopo la notifica dei due atti, le parti stipularono il contratto definitivo con cui NOME COGNOME che si era riservato di proseguire il giudizio per la risoluzione per inadempimento della seconda scrittura, trasferì la proprietà del terreno alla società RAGIONE_SOCIALE rappresentata dal RAGIONE_SOCIALE
Nelle more il Tribunale di Messina rigettò la domanda proposta contro il La Fauci ritenendo che non vi fosse prova del suo inadempimento. Mentre, quanto alla domanda del La COGNOME, di pronunciare l ‘esecuzione dell’obbligo di stipulare il definitivo , il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere, pronunciando solo ai fini della soccombenza virtuale, la condanna alle spese del La COGNOME. La società che faceva capo al RAGIONE_SOCIALE fallì ed il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE e del suo socio accomandatario NOME COGNOME propose appello avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda di risoluzione della seconda scrittura intercorsa tra le parti per inadempimento del La Fauci.
L a Corte d’Appello di Messina , con sentenza n. 3 del 3/1/2022, avendo richiesto ed ottenuto dalla Curatela il deposito con attestazione dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Messina che, dichiarando la cessazione della materia del contendere nell’altro giudizio , aveva pronunciato, ai fini della soccombenza virtuale, la condanna alle spese del La COGNOME, ha accolto il gravame. Per quanto ancora di interesse, rilevato che su quella sentenza era sceso il giudicato, ha ritenuto che la scrittura privata del 4/9/2008, con cui le parti avevano modificato il contratto preliminare per perseguire il piano speculativo proposto dal La Fauci, non aveva avuto esecuzione per
fatto e colpa del medesimo ed ha ritenuto giustificato il rifiuto del COGNOME di procedere alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita in mancanza di pagamento non solo del prezzo residuo ma anche delle somme da lui anticipate per dare esecuzione alla operazione immobi liare prevista nella scrittura del 4/9/2008. Per l’effetto ha condannato il COGNOME al pagamento della somma di € 79.472,06 rigettando altre domande risarcitorie, compensando le spese nella misura di ¾ e ponendo a carico del La Fauci il restante ¼.
Avverso la sentenza l’ing. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Resiste la Curatela del Fallimento con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
con il primo motivo -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 cpc e 348 bis cpc Erroneo e/o contraddittorio esame dell’eccezione d i inammissibilita’ dell’atto di appello – Violazione de ll’ art. 342 -omesso esame dell’eccezione di inammissibilita’ ed improcedibibilita’ dell’atto di appello Violazione dell’art 348 bis c.p.c.. c on riferimento all’art. 360 commi 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. -il ricorrente impugna il capo di sentenza con cui la corte del merito, pur ritenendo i motivi di appello proposti dal Fallimento ‘non particolarmente centrati’ , ha tuttavia rigettato l’eccezione di inammissibilità de l gravame per violazione dell’art. 342 c.p.c.
Il motivo è privo di autosufficienza perché si limita a discettare in astratto sulla inammissibilità dei motivi di appello senza riportarne il contenuto, così da non mettere questa Corte nella condizione di poter scrutinare il prospettato error in procedendo sulla base del solo ricorso per cassazione. Non sono osservate le condizioni poste da questa Corte secondo cui, per poter procedere allo scrutinio dell’ error in procedendo,
occorre che il motivo sia ammissibile: ‘ Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi d ‘appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un ” error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, d ‘ inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso ‘ (Cass., 1 n. 29495 del 2020, Cass., 2, n. 23249 del 20/8/2021, Cass., 1 n. 24048 del 2021). Con il secondo motivo deduce Erronea/insufficiente e/o contraddittoria motivazione. Violazione e/o falsa e/o errata applicazione ex art.360 comma 1 n. 3 degli artt. 2909 c.c.; 12 delle preleggi. Errata e travisata interpretazione e conseguente applicazione del giudicato esterno. Omessa considerazione dell’efficacia preclusiva delle statuizioni contenute nel giudicato esterno, con riferimento all’art. 360 commi 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. Il ricorrente impugna il capo di sentenza che ha valutato i fatti di cui alla sentenza del Tribunale di Messina n. 2057 del 2012 come coperti da giudicato, quando, nel caso di specie, la sentenza
con cui veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere non era idonea a passare in giudicato essendo una sentenza meramente in rito.
Parte controricorrente oppone che la sentenza del Tribunale conteneva due parti, una relativa alla cessazione della materia del contendere sulla questione dell’art. 2932 c.c., che non era suscettibile di passare in giudicato, perché in rito, l’altra contenente l’accertamento della responsabilità del COGNOME ai fini della soccombenza virtuale che, invece, avrebbe dovuto essere impugnata dall’interessato per evitare che passasse in giudicato.
Il motivo è infondato in quanto, se è vero che la sentenza che ha pronunciato la cessazione della materia del contendere non è idonea a passare in giudicato , limitandosi l’efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass., S.U. n. 1048 del 28/9/2000), nel caso di specie la sentenza non si era limitata alla pronuncia di cessazione della materia del contendere sull’obbligazione di concludere il contratto ma aveva anche accertato che la scrittura, con cui le parti avevano modificato il preliminare per perseguire l’intento speculativo , non aveva avuto esecuzione per fatto e colpa del La Fauci.
Questi, avrebbe, pertanto dovuto impugnare la sentenza per evitare il formarsi del giudicato.
Con il 3° motivo si deduce -Violazione e/o falsa applicazione del l’art. 1284 c.c. e del D.L. 132/2014 del 12/09/14 convertito in L. 10/11/2014 n. 162 ed errata applicazione del D. Lgs. 231/2002, con riferimento all’art. 360 commi 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. Inapplicabilità della legge ratione temporis in materia di calcolo ed applicazione degli interessi moratori per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, per avere i giudici della Corte d’Appello territoriale applicato e calcolato gli
interessi di mora, a danno del COGNOME, sul presupposto errato che il COGNOME, venditore con l’atto pubblico del 3.03.2011 fosse un imprenditore commerciale.
Il La COGNOME sostiene l’erroneità della sentenza della Corte d’Appello di Messina nella parte in cui lo ha condannato al pagamento degli interessi moratori sul prezzo residuo, maturati tra la data in cui esso avrebbe dovuto essere corrisposto (31.03.2008) e la data della vendita (3 marzo 2011), calcolando l’importo spettante a tale titolo in €. 79.472,06 ‘risultante dall’applicazione del tasso via via vigente per il ritardo nelle transazioni commerciali, conteggiato a decorrere dal 31.03.2008 atteso che in questi termini è stata precisata la domanda con l’atto introduttivo del gravame dai Sigg.ri COGNOME.
Il ricorrente formula detto motivo assumendo che i COGNOME non avrebbero fornito la prova di essere imprenditori commerciali e che, comunque, la Corte d’Appello di Messina avrebbe errato nel calcolo degli interessi moratori liquidati.
La prima censura è infondata in quanto l’art. 1 del D.Lvo 231/2002 stabilisce che « le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale » e che il successivo art. 2 definisce « “transazioni commerciali”: i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo;… “imprenditore”: ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione ».
Ciò posto, va da sé che, per come era stata originariamente prevista l’operazione immobiliare (compiutamente esposta e supportata da idonea documentazione probatoria sin dall’atto di citazione), è più che
evidente che i signori COGNOME avessero agito nella qualità di imprenditori e non certo quali persone fisica determinatesi ad investire proprie disponibilità economiche in un’operazione di speculazione immobiliare . In ordine alla seconda censura si rileva che l’affermazione secondo cui la Corte d’Appello avrebbe errato nel calcolare l’importo dovuto a titolo di interessi è priva di fondamento in quanto il tasso di mora applicabile non era, come affermato dal ricorrente, quello del 7% ma quello legale, aumentato di 7 punti percentuali.
Con il quarto motivo Violazione dell’art. 360 c.p.c. comma 1 nn. 3, 4 e 5 in relazione all’art. n. 1362 c.c. (interpretazione del contratto) -il ricorrente lamenta che la corte del merito avrebbe erroneamente interpretato la domanda giudiziale.
Il motivo è manifestamente inammissibile perché la denunziata violazione non risulta argomentata.
Con il quinto motivo – Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto -artt. 91 e 92 c.p.c. -per non avere condannato l’appellante al pagamento delle spese di lite. Con riferimento all’art. 360 commi 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. censura la sentenza sul capo relativo alla liquidazione delle spese.
Si tratta di un ‘non motivo’, quindi inammissibile.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile