Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30384 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30384 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2698/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (EMAIL), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 3050/2020 depositata il 24/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/09/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Padova la RAGIONE_SOCIALE per sentire dichiarare risolto il contratto di noleggio intercorso tra le parti per grave inadempimento della convenuta, richiedendo la restituzione della somma di euro 19.645,56, versata a titolo di canoni, oltre il risarcimento di tutti i danni derivanti dall’inadempimento, così dettagliati: a) euro 24.200,00 per il compressore ed euro 6.416,03 per l’essiccatore, acquisti necessari al funzionamento dell’impianto pe r il complessivo importo di euro 30.616,03; b) euro 129.000,00 pari ai costi e sprechi di energia elettrica derivanti da maggiori costi e/o minori ricavi dalla cessione alla rete sostenuti dall’attrice per nove mesi, oltre ai costi per le installazioni ele ttriche, meccaniche, impiantistiche ovvero il ristoro dei danni da fermo macchinario da valutarsi in via equitativa, trattandosi di danni da mancata disponibilità e funzionalità della macchina (asseritamente) esistenti, ma non immediatamente quantificabili, che forfettariamente indicava in euro 9.000,00; con condanna alle somme, anche maggiori, che sarebbero risultate dovute, eque, rispondenti e conformi a giustizia, oltre rivalutazione e interessi dalla risoluzione all’effettivo soddisfo.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, eccependo preliminarmente l’incompetenza per territorio del giudice adito, ritenendo competente il Foro di Livorno, secondo quanto previsto dall’art. 11 del contratto di noleggio stipulato tra le parti (eccezione poi abbandonata e non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni). Nel merito concludeva per il rigetto di tutte le domande attrici perché infondate in fatto e in diritto ed, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna della COGNOME a corrisponderle la somma di euro 93.600,00, oltre Iva
se dovuta o quella somma maggiore o minore da determinarsi in corso di causa e ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento di tutti i danni e a titolo di mancato guadagno per la risoluzione del contratto di noleggio.
1.1. Con sentenza n. 820/17 del 27 marzo 2017 il Tribunale di Padova respingeva tutte le domande formulate dall’attrice, ivi comprese quelle di risarcimento dei danni perché infondate e non provate, mentre, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della convenuta, condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 28.800,00 oltre Iva, se dovuta, ed interessi legali dalla domanda al saldo, con condanna alle spese in favore della convenuta medesima.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE
2.1. Con sentenza n. 3050 /2020 del 24 novembre 2020 la Corte d’Appello di Venezia, così pronunciava: ‘ -in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE, che per il resto respinge, riforma la sentenza nella parte in cui ha pronunciato la risoluzione del contratto; – in parziale accoglimento dell’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, che per il resto respinge, condanna COGNOME al pagamento delle spese del primo grado in €. 13.430 per compensi oltre ad €. 900 per spese forfettarie, oltre al c.u. versato, oltre ad iva se dovuta e cpa; – compensa le spese del grado nella misura di 1/3 e pone la restante parte (2/3) a carico di COGNOME in €. 9.040 per compensi, oltre ad iva se dovuta, cpa e spese generali del 15% ed oltre ai 2/3 del c.u. se versato’.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente denunzia ‘Violazione o falsa applicazione della norma di cui agli artt. 112, 115, 163 n. 4 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. per inesistente difetto di allegazione attorea’.
Lamenta che la Corte d’Appello le avrebbe erroneamente addebitato l’onere di allegare lo specifico inadempimento di RAGIONE_SOCIALE; per un verso violando il principio di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/2001, secondo cui ‹‹il creditore c he agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento››; per altro verso, omettendo di considerare le analitiche contestazioni che viceversa erano state da essa società RAGIONE_SOCIALE formulate sia in sede di proposizione del ricorso per a.t.p., che nell’atto di citazione introduttivo della causa di merito.
1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis cod. proc. civ.
1.2. A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite del 2001, anche citata dal ricorrente, si è consolidato l’orientamento di legittimità, secondo cui l’onere di allegazione non può ritenersi soddisfatto con la mera denuncia dell’inadempimento, in maniera generica ed assertiva, ma devono essere allegate anche le specifiche circostanze che lo integrano (v. Cass., 16/03/2018, n. 6618: ‹‹Chi agisce in giudizio, non può proporre la sua domanda in modo generico, ma deve consentire che il suo contenuto sia compiutamente identificato e percepito, affinché possa essere oggetto di accertamento, sia in fatto, che in diritto. Ne deriva che, ove l’azione esercitata concerna l’inadempimento contrattuale, l’attore è onerato di allegare non solo l’inadempimento in quanto tale, ma anche le specifiche circostanze che lo integrano, in caso contrario incorrendo nella violazione dell’onere di allegazione››; Cass., 12501/2015: ‹‹è onere della
parte che invoca l’inadempimento allegare con sufficiente specificità il contenuto dell’inesattezza dell’adempimento imputato alla controparte …››; v. anche Cass., 10/04/2021, n. 10141).
La corte di merito ha dunque pronunciato facendo puntuale applicazione al caso di specie dei suindicati principi di diritto, né il motivo contiene elementi idonei a far mutare il citato orientamento di legittimità.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione o falsa applicazione della norma di cui agli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., per aver la Corte attribuito all’attore responsabilità omissive nella conclusione ed esecuzione del contratto mai ritualmente dedotte in causa dalla convenuta’.
Lamenta che la corte territoriale avrebbe rilevato che erano mancate le dovute informazioni da parte di RAGIONE_SOCIALE in ordine alla effettiva tipologia della produzione e dell’effettiva quantità di azoto richiesta.
Mai però – adduce la RAGIONE_SOCIALE le aveva contestato tali omissioni ed anzi le aveva assicurato il corretto dimensionamento dell’impianto; in ogni caso – aggiunge – i consumi delle macchine dovevano essere ben noti alla convenuta, quale esperta del settore, tanto più che la COGNOME non aveva mai sottaciuto di operare con quelle macchine a taglio e che bisognava alimentarle con continuità; inoltre RAGIONE_SOCIALE, la quale soltanto era in grado di misurare i consumi di picco, aveva direttamente verificato le necessità della COGNOME allorché aveva sostituito il primo impianto con un altro di potenzialità doppia.
2.1. Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
2.2. Sotto l’apparente denuncia di violazione delle norme di diritto evocate in rubrica la ricorrente perviene a contrapporre una propria ricostruzione dei fatti rispetto a quella considerata nella motivazione dell’impugnata sentenza, finendo per sollecitare un riesame del fatto e della prova, invece precluso in sede di legittimità, fatti salvi i ristretti limiti – qui non sussistenti – delineati dall’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5, come novellato dall’art. 54, d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012, (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n.
34476; nello stesso senso Cass., 04/03/2021, n. 5987; Cass., 21/12/2015 -10/06/2016, n. 11892, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali non può essere direttamente dedotto come motivo di ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile né nel paradigma del n. 5, né in quello del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.; Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 10/08/2017, n. 19987).
È bene rammentare che, in tema di attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie, occorre distinguere l’errore di percezione che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (che in sintesi vietano al giudice, rispettivamente, di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, nonché di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) dall’errore di valutazione, che invece, investendo l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass., 17/01/2019, n. 1229; Cass., 24/10/2018, n. 27033; Cass., 12/04/2017, n. 9356; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476).
Secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, ‹‹il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio – e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile
secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità›› (v. tra le tante Cass., 15/05/2018, n. 11863; Cass., 07/12/017, n. 29404; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass., 03/10/2019, n. 24678). Ammettere in sede di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass., Sez. Un., 06/11/2018, n. 28220).
Va, inoltre, escluso che l’impugnata sentenza sia viziata ai sensi e per gli effetti dell’art. 112 cod. proc. civ.; dalla lettura della motivazione emerge infatti che la corte d’appello si è espressamente pronunciata su tutta le domande e le eccezioni delle parti.
Infine, il motivo evoca un comportamento processuale di non contestazione della RAGIONE_SOCIALE in maniera meramente assertiva e generica, senza indicare né localizzare e neppure riportare, almeno indirettamente, nel loro contenuto, gli atti ed i contesti processuali da cui evincere la mancata contestazione, incorrendo dunque in patente violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ., sebbene nella sentenza impugnata (v. p. 18) la corte di merito abbia invece espressamente affermato che ‘RAGIONE_SOCIALE ha contestato la domanda della COGNOME‘.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione o falsa applicazione della norma di cui agli artt. 112, 115 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1453, 1455 e 1460 cod. civ. e, quindi, nullità della sentenza per ultra ed extra petizione e per non aver applicato nel giudizio comparativo tra gli opposti inadempimenti (ammesso che la convenuta avesse ritualmente dedotto un grave inadempimento attoreo) più criteri
logici come quello quali-quantitativo, cronologico, causalistico e di adeguatezza’.
Lamenta che l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha operato il bilanciamento degli opposti inadempimenti, non è stata coerente con la sua stessa decisione di accogliere parzialmente l’appello principale della RAGIONE_SOCIALE, là dove questa aveva denunciato che il Tribunale aveva pronunciato la risoluzione del contratto senza che RAGIONE_SOCIALE lo avesse chiesto: ed allora, se RAGIONE_SOCIALE non aveva chiesto la risoluzione, non è dato comprendere perché la corte abbia proceduto alla comparazione dei rispettivi inadempimenti, comparazione che, inoltre, è stata condotta con criteri sbagliati e che, se invece condotta correttamente, avrebbe portato alla affermazione di maggiore gravità dell’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte d’appello ha: a) evidenziato che RAGIONE_SOCIALE non aveva richiesto la risoluzione del contratto; b) comparato, comunque, le condotte di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE per pervenire al rigetto delle domande della appellante COGNOME, dato che la stessa risultava essere, nel contesto del rapporto contrattuale tra le parti e del sinallagma, la parte maggiormente inadempiente.
Tanto premesso, in primo luogo non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dato che la valutazione della corte di merito è stata svolta in relazione al primo motivo di appello proposto dalla ora ricorrente COGNOME, con cui veniva censurata la sentenza di primo grado perché ‘avrebbe mal attribuito la colpa per la risoluzione del contratto’ (v. p. 8 dell’impugnata sentenza in cui la corte veneziana ritrascrive il motivo) e perché, per altro verso, la appellata RAGIONE_SOCIALE ha contestato ogni proprio suo asserito inadempimento (così p. 16 della sentenza). Correttamente quindi la corte d’appello ha proceduto alla valutazione comparativa delle condotte delle parti, concludendo per la ascrivibilità alla appellante COGNOME del grave inadempimento
contrattuale, conformemente al consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di contratti con prestazioni corrispettive la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass., 11/06/2013, n. 14648; Cass., 12/02/2020, n. 3455).
Aggiungasi, infine, che l’ulteriore censura secondo cui la corte di merito avrebbe errato nella valutazione comparativa delle rispettive condotte delle parti sollecita un riesame della quaestio facti , precluso in sede di legittimità (v. (Cass., 08/01/2020, n. 134: ‹‹In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 1455 del cod. civ., costituisce anch’essa questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici››).
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione o falsa applicazione della norma di cui agli art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione delle norme di cui all’artt. 1455 e 2697 cod. civ. nell’aver applicato nel giudizio comparativo tra gli opposti inadempimenti un grado maggiore di responsabilità alla ricorrente, sebbene la controparte non avesse provato in causa e neanche chiesto di provare la sua non imputabilità nell’inadempimento attribuitole ovvero la sc arsa importanza dell’inadempimento nell’economia contrattuale’.
Lamenta, nuovamente, che la corte di merito è pervenuta ad un giudizio comparativo, sotto il profilo dell’inadempimento, delle rispettive condotte delle parti, che non era invece tenuta a rendere.
4.1. Il motivo è inammissibile, come già il precedente.
4.2. Il ricorrente contesta la valutazione comparativa delle reciproche inadempienze, sul rilievo che RAGIONE_SOCIALE non aveva proposto domanda di risoluzione, ma omette di considerare che la valutazione è stata svolta dalla corte di merito in relazione alla domanda di risoluzione proposta dalla COGNOME che lamentava – peraltro infondatamente, come è risultato accertato l’altrui grave inadempimento.
Con il quinto motivo la ricorrente denunzia ‘Nullità della sentenza e falsa applicazione della norma di cui all’art. 1453, comma 1 e comma 2, e 1218 cod. civ. nell’aver accolto la domanda risarcitoria della convenuta in via autonoma senza che questa avesse proposto nei modi e nei termini di rito la domanda di risoluzione ovvero di adempimento’.
Sostiene che la domanda risarcitoria sarebbe ‘forma complementare cumulabile con ognuna delle due azioni ‘ e lamenta che di tale forma di tutela cumulativa la corte territoriale di ciò non avrebbe tenuto conto.
5.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ.
5.2. L’art. 1453, primo comma, cod. civ. prevede che ‘Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni cas o, il risarcimento del danno’.
Con l’inciso “salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”, contenuto nell’art. 1453, primo comma, cod. civ., il legislatore ha voluto evidenziare l’autonomia dell’azione di risarcimento del danno rispetto a quella di risoluzione contrattuale, come pure rispetto a quella di adempimento, con la conseguenza che ove – come nel caso di specie – la domanda di risarcimento del danno sia stata proposta, il giudice è tenuto ad esaminarla.
Va data continuità, pertanto, all’orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto, con la
conseguenza che non può ritenersi implicita nella proposizione della domanda risarcitoria quella, autonoma, di risoluzione del contratto (Cass., 12/06/2020, n. 11348; Cass., n. 23820/2010).
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè di un documento che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Lamenta che la corte di merito ha omesso di considerare l’allegato n. 7 alla citazione di primo grado, documento che, a suo dire, ‘dimostrava scientificamente tramite apposita campagna di misurazione il forte sottodimensionamento dell’apparato fornito dalla RAGIONE_SOCIALE‘, e di conseguenza ha trascurato di considerare che la società RAGIONE_SOCIALE aveva documentato quali fossero esattamente i difetti dell’apparato noleggiato.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. Dalla lettura dell’impugnata sentenza (v. p. 13), si desume che la corte di merito ha sì valutato il documento e la sua eventuale efficacia probatoria, ma non lo ha ritenuto decisivo (su tali profili, v. Cass., 29/12/2020, n. 29820), sia perché atto di provenienza unilaterale della parte, sia perché smentito dalle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado, che ha escluso l’addebitabilità ad RAGIONE_SOCIALE dei malfunzionamenti riscontrati.
La censura finisce dunque per sollecitare una diversa valutazione delle risultanze probatorie, preclusa in sede di legittimità.
Giova inoltre ricordare che le Sezioni Unite, con le sentenze n. n. 8053 e 8054 del 07/04/2014, hanno invero chiarito che nel denunciare un vizio ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.- il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza , il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la decisività del fatto stesso, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
In particolare, poi, consolidato orientamento di legittimità ha precisato che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., 05/12/2014, n. 25576; Cass., 28/09/2016, n. 19150; Cass., sez. 3, 26/06/2018, n. 16812; Cass., sez. 1, 13/06/2024, n. 16583).
Con il settimo motivo la ricorrente denunzia ‘la violazione degli artt. 90, 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 5 del D.M. 55/2014 ‘Regolamento per la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense’, per avere la corte di merito accolto l’appello incidentale dell’intimata sulla liquidazione delle spese di causa applicando lo scaglione di valore tra euro 52.000,00 ed euro 260.000,00.
Lamenta che la corte d’appello ha erroneamente accolto l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, dato che non ha considerato che in primo grado la domanda risarcitoria di NOME era stata accolta solo in minima parte, mentre la reconventio reconventionis proposta dalla COGNOME, in allora attrice, era stata accolta integralmente, il che avrebbe dovuto indurre a ritenere la prevalente soccombenza della NOME e non l’inverso.
7.1. Il motivo è infondato.
7.2. Giova ricordare che, per costante orientamento di legittimità, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e
ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., 12/04/2018, n. 9064; Cass., 06/10/2021, n. 27056).
Con il motivo in scrutinio il ricorrente pone a fondamento delle sue censure svariati profili, ma omette di considerare che la corte di merito ha accolto l’appello incidentale di NOME che, come riportato nell’epigrafe dell’impugnata sentenza, richiedeva ‘in riforma della sentenza impugnata ed in applicazione del principio di soccombenza, liquidare le spese del giudizio di primo grado in favore della RAGIONE_SOCIALE in relazione alle domande introdotte da parte attrice’ (v. p. 7 sentenza impugnata), ed ha, seppure sinteticamente, motivato in relazione al così formulato motivo di gravame, rilevando, per un verso, che le domande tutte della COGNOME sono state rigettate mentre la pretesa risarcitoria di NOME, pur a fronte di una limitata inadempienza, è stata confermata, evidenziando la prevalente soccombenza della società RAGIONE_SOCIALE, e, per altro verso, che ‘lo scaglione di riferimento, tuttavia, ed a fronte della riconvenzionale di NOME risulta errato’.
Così argomentando, la corte di merito perviene ad applicare lo scaglione di valore superiore non solo tenendo conto della domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE, ma anche del valore delle domande risarcitorie tutte (riportate al punto A.4) delle conclus ioni dell’appellante COGNOME) riproposte in appello dalla società RAGIONE_SOCIALE e tutte integralmente rigettate.
La motivazione dell’impugnata sentenza risulta dunque conforme all’orientamento di legittimità per cui non solo, ai fini della determinazione del valore della controversia, per la liquidazione degli onorari difensivi, occorre tener conto anche del valore delle domande riconvenzionali, la cui proposizione, ove sia diretta all’attribuzione di beni diversi da quelli richiesti dalla controparte, determina un ampliamento della lite e, di conseguenza, dell’attività difensiva (Cass., 06/02/2020, n. 2769), ma anche e soprattutto del principio per cui ‹‹In caso di rigetto della domanda, nei giudizi per
pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell’attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest’ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del disputatum , senza che trovi applicazione il correttivo del decisum ‘, onde il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall’attore›› (Cass., 26/04/2021, n. 10984; Cass., 07/11/2018, n. 28417; Cass., 30/11/2011, n. 25553; Cass., 11/03/2006, n. 5381; Cass., 15/07/2004, n. 13113).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della