Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4215 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4215 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18199/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME e COGNOME NOME, che la rappresentano e difendono;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di 7895/2017, depositata il 12/12/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME.
ROMA n. 11/01/2023
PREMESSO CHE
NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Roma di ‘dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di compravendita’ di una porzione di una villa bifamiliare in costruzione, per inadempimento della promittente venditrice RAGIONE_SOCIALE e di condannarla al pagamento del doppio delle somme versate a titolo di caparra confirmatoria, nella misura di euro 209.983,30. L’attore deduceva che tra le parti era stato sottoscritto un contratto preliminare di compravendita che fissava quale termine per il completamento delle opere il 30 giugno 2009, prorogabile al massimo sino al 21 dicembre 2009; che aveva contestato alla convenuta la mancata ultimazione dei lavori e che non erano prevedibili i tempi per l’eventuale, futuro adempimento. La convenuta si costituiva, eccependo che i termini previsti erano meramente indicativi, che aveva affidato la realizzazione delle opere alla società RAGIONE_SOCIALE e che il ritardo era dovuto a ritrovamenti archeologici che avevano rallentato i lavori; chiedeva quindi di essere autorizzata a chiamare in causa RAGIONE_SOCIALE e concludeva chiedendo di rigettare la domanda e, in subordine, di condannare la terza chiamata a tenerla indenne da qualsiasi pregiudizio. Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva RAGIONE_SOCIALE. Il Tribunale Roma, in parziale accoglimento della domanda di COGNOME, con sentenza n. 3679/2016 ha dichiarato risolto il contratto preliminare per inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e ha condannato la convenuta alla restituzione della caparra, pari a euro 104.983,67, rigettando la domanda di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza è stata appellata da COGNOME in via principale e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE. Con sentenza 12 dicembre 2017, n. 7895, la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello incidentale: in riforma integrale della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande di COGNOME e ha accolto la domanda di RAGIONE_SOCIALE di restituzione delle somme già versate in esecuzione della sentenza del Tribunale.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE L’intimata RAGIONE_SOCIALE non ha proposto difese. Memoria è stata depositata dal ricorrente e dalla controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Il primo motivo denuncia ‘ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c.’: RAGIONE_SOCIALE in primo grado non ha formulato alcuna domanda, di accertamento dell’inadempimento da parte del ricorrente ovvero di risoluzione o di recesso dal contratto, che giustificasse il trattenimento della caparra e solo con la comparsa d’appello incidentale ha chiesto di condannare la ricorrente a restituire quanto già corrisposto.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha infatti disposto la restituzione dell’importo versato in esecuzione della sentenza di primo grado, accogliendo la domanda di RAGIONE_SOCIALE che non poteva che essere proposta dopo la pronuncia di primo grado e che era pertanto stata tempestivamente proposta (si veda al riguardo Cass. n. 7144/2021).
Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi:
il secondo lamenta ‘ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 1453, comma 3 c.c.’, in
quanto la Corte d’appello ha affermato che, dopo la manifestazione di volontà di risolvere il contratto, la parte ritenuta inadempiente non era tenuta a portare a esecuzione il contratto;
b) il terzo motivo fa valere ‘ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1454 e 1455 c.c.’, per avere la Corte d’appello affermato che il ricorrente, dopo avere richiesto informazioni e prima di chiedere la risoluzione per inadempimento, avrebbe dovuto assegnare congruo termine per adempiere; in tal modo la Corte ha travisato il contenuto giuridico dell’art. 1455 c.c., avendo ritenuto inutile, a fronte della non essenzialità del termine, verificare la gravità dell’inadempimento di controparte.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello ha anzitutto qualificato come non essenziale il termine previsto nel contratto preliminare e ciò sulla base non solo della lettera del medesimo contratto (ove si parlava di ‘termine massimo di esecuzione’ con riferimento all’ultimazione delle opere e non alla consegna, da effettuarsi dopo altri due mesi), ma anche del successivo comportamento del ricorrente, che pochi giorni prima della scadenza del termine chiedeva di conoscere i tempi della consegna dell’immobile. La Corte ha poi a differenza di quanto si lamenta nel terzo motivo -verificato la sussistenza o meno dell’inadempimento della promittente venditrice, correttamente osservando (e veniamo al secondo motivo) che l’inadempimento andava valutato al momento in cui il ricorrente aveva manifestato la volontà di chiedere la risoluzione (ossia alla data del 17 febbraio 2010), ritenendo con motivato accertamento in fatto insindacabile da questa Corte di legittimità che non fosse ravvisabile il grave inadempimento di RAGIONE_SOCIALE.
4) Il quarto motivo denuncia ‘ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1366, 1367 e 1368 c.c.’: la Corte d’appello non spiega
perché la missiva del ricorrente dell’11 dicembre 2009, con cui chiedeva informazioni, rappresenterebbe una condotta che dimostra la non essenzialità del termine, non considerando che il termine per l’ultimazione dei lavori scadeva il 31 dicembre 2009 e la consegna dell’immobile era prevista entro due mesi dalla ultimazione delle opere; la Corte d’appello ha così violato la lettera del contratto, non considerando anche il rinvio all’art. 6, n. 1, lettera e) del d.lgs. 122/2005 contenuto nell’art. 14 del medesimo.
Il motivo non può essere accolto. L’interpretazione del contratto è compito che spetta al giudice di merito e la Corte d’appello ha ampiamente argomentato la conclusione circa la non essenzialità del termine, con ermeneutica plausibile alla quale il ricorrente contrappone -secondo le sue stesse parole (v. pag. 18 del ricorso) -un’altra interpretazione a suo avviso preferibile.
5) Il quinto motivo denuncia ‘ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’: il ricorrente, nell’appellare la pronuncia di primo grado, aveva sottolineato come la sua domanda di risoluzione fosse sin dall’atto introduttivo del giudizio stata accompagnata dalla richiesta di pagamento del doppio della caparra e dovesse quindi essere intesa come domanda di recesso ai sensi dell’art. 1385, comma 2 c.c.
Il motivo è inammissibile. Non si tratta infatti di una censura alla pronuncia impugnata, avendo lo stesso ricorrente precisato che la questione è risultata superata dalla medesima pronuncia ed essendo il motivo unicamente volto ‘ad evitare qualsiasi questione (benché infondata) di giudicato implicito’.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore della controricorrente che liquida in euro 8.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione