Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26245 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26245 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29907 – 2019 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n.2267/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 24/5/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Per una più agevole comprensione dei fatti di causa è utile premettere che, con contratto del 22 ottobre 2009, NOME COGNOME e NOME COGNOME promisero di vendere ad RAGIONE_SOCIALE di Milano, per sé o per persona da nominare, due appezzamenti di terreno per il prezzo di euro 410.000,00, di cui euro 85.000,00 contestualmente versati a titolo di caparra confirmatoria ed euro 325.000,00 da versarsi al contratto definitivo, da stipulare entro il 31 gennaio 2010; furono, poi, versati alcuni acconti per un importo complessivo pari a euro 49.800,00, ma il rogito fu successivamente rinviato più volte; sui fondi insistevano due immobili che sarebbero stati demoliti per la realizzazione di un immobile commerciale, sicché nel preliminare era stato inoltre previsto , all’art. 7, che l’acquirente avrebbe presentato una richiesta di titolo edilizio per la costruzione del nuovo fabbricato di cui furono allegate le planimetrie. Intanto, il 14 giugno 2011, fu comunicato il subentro di RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE negli obblighi e diritti derivanti dal contratto preliminare di compravendita. Il 30 settembre 2011, in pendenza ancora del preliminare, fu approvata una variante del Piano di governo del territorio (PGT), pubblicata il successivo 16 novembre, sicché fu necessario controllare se risultasse ancora adeguato l’originario progetto edificativo; secondo parte acquirente, non erano da escludersi possibili conseguenze sull’ammontare del pre zzo pattuito; nel febbraio 2012, fu quindi contestato ai promittenti venditori di non aver provveduto a sottoscrivere i progetti e le pratiche necessarie al conseguimento del titolo edilizio, oltre al mancato smaltimento del
materiale inquinante e alla mancanza di certificazione energetica; non si addivenne, perciò, ad alcuna stipula del definitivo.
Con atto di citazione del 21/3/2012, RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Monza, sez. distaccata di Desio, NOME COGNOME e NOME COGNOME e, premesso che al loro inadempimento era imputabile la mancata stipula del definitivo, chiese il trasferimento coattivo dell’immobile ex art. 2932 cod. civ., previo ordine ai convenuti di sottoscrivere i progetti, come da accordi, con riduzione del prezzo di vendita a euro 354.240,00 e risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento.
In via subordinata, manifestando l’intento di recedere, chiese di accertare l’inadempimento dei convenuti e di condannarli al pagamento di euro 170.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata, oltre alla restituzione degli importi corrisposti a titolo di acconto e alla rifusione di tutte le spese e oneri sostenuti per la progettazione, con vittoria di spese.
I convenuti, costituitisi in giudizio, chiesero in riconvenzionale la risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE con diritto a trattenere la caparra confirmatoria, salvo l’obbligo di rimborsare l’acconto ricevuto , con vittoria delle spese di lite e risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ.
La società attrice dichiarò, quindi, di rinunciare alla domanda principale ex art. 2932 cod. civ., insistendo per l’accoglimento della domanda subordinata.
Con sentenza n. 2114/2014, il Tribunale di Monza rigettò le domande dell’attrice e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò l’intervenuta risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di RAGIONE_SOCIALE con conseguente diritto dei convenuti al trattenimento della caparra, vinte le spese di lite e rigettata la domanda di condanna ex art. 96 cod. proc. civ.
4. Avverso la sentenza n. 2114/2014 del Tribunale di Monza, RAGIONE_SOCIALE propose impugnazione dinanzi la Corte d’appello di Milano che espletò una c.t.u. per accertare se i disegni tecnici consegnati, per la firma, dalla società promissaria acquirente ai due promittenti venditori fossero necessari per ottenere il titolo edilizio richiamato nella clausola 7 del preliminare e se l’area edificabile così come risultante dalla planimetria allegata fosse rimasta immutata o fosse stata modificata, in conseguenza delle varianti al PGT; nelle more della udienza di precisazione delle conclusioni, RAGIONE_SOCIALE propose ricorso per sequestro conservativo, concesso con provvedimento dell’11 gennaio 2018.
Successivamente, i due promittenti venditori proposero istanza di ricusazione dei componenti del Collegio che aveva autorizzato il sequestro conservativo; in conseguenza, per quel che qui ancora rileva, fu disposta la sospensione del procedimento «fino a nuovo avviso».
Rigettata l’istanza di ricusazione con ordinanza del 9 maggio 2018, con provvedimento presidenziale del 15 maggio 2018 fu fissata l’udienza collegiale per la prosecuzione del giudizio al 12/7/2018.
A quell’udienza comparve soltanto la società che chiese un ulteriore rinvio per precisazione conclusioni; all’udienza del 13/12/2018, fissata allo scopo, le parti appellate eccepirono la «nullità» dell’udienza per difetto di rituale riassunzione del giudizio, precisando, in subordine, le conclusioni.
4.1. Con sentenza n. 2267/2019, la Corte d’appello di Milano , in riforma della pronuncia di primo grado, accertò la legittimità del recesso di RAGIONE_SOCIALE condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento di euro 170.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria ricevuta, alla restituzione di quanto percepito a titolo di acconto, al pagamento delle spese di lite e alle spese di CTU.
La Corte rigettò anzitutto l’eccezione di improcedibilità per estinzione del giudizio conseguente alla mancata riassunzione, nonché l ‘eccezione di inammissibilità dell’appello ex artt. 342 cod. proc. civ., ritenendo il relativo atto redatto in modo chiaro, preciso e specifico.
In merito, la Corte giudicò, quindi, immotivata la decisione del giudice di primo grado di valutare come inattendibili le dichiarazioni del notaio COGNOME posto che non poteva dedursi che non fosse stato attento a quanto si era verificato in sua presenza e che non avesse esaminato la documentazione pertinente all’atto da stipulare; ritenne -per quel che qui ancora rileva – la mancanza di prova dell’avvenuta consegna del certificato di destinazione urbanistica e delle certificazioni energetiche e di bonifica ambientale e l’inadempimento all’obbligo di sottoscrivere i disegni, in violazione della clausola n.7 del contratto preliminare; rilevò, infatti, che sul punto il consulente nominato, pur non avendo potuto constatare in modo specifico il contenuto dei disegni, ne aveva comunque ritenuto l’importanza e la necessità della sottoscrizione; infine, sottolineò che la variazione dell’area effettivamente edificabile rendeva ingiustificato il rifiuto dei venditori a rivedere il prezzo di vendita.
Avverso la sentenza n. 2267/2019 della Corte d’appello di Milano, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi; RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per la mancata dichiarazione di improcedibilità del giudizio di secondo grado, attesa l’intervenuta estinzione dello stesso a seguito di mancata riassunzione: sospeso il procedimento a seguito della presentazione dell’istanza di ricusazione,
soltanto le parti avrebbero potuto procedere con la riassunzione nel termine di sei mesi; i l decreto presidenziale che ha fissato d’ufficio l’udienza per la prosecuzione del giudizio e così i provvedimenti che avevano fissato le successive udienze del 12 luglio e del 13 dicembre 2018 sarebbero, perciò, irrituali e nulli.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha già, invero, precisato che la presentazione dell’istanza di ricusazione non sospende mai, per sé sola considerata, il procedimento nel quale è presentata: la sola proposizione del ricorso per ricusazione non determina ipso iure la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere della questione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità, all’esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali di legge per l’ammissibilità dell’istanza, il procedimento può continuare, giacché l’evidente inammissibilità della ricusazione, pur non potendo impedire la rimessione del ricorso al giudice competente, esclude l’automatismo dell’effetto sospensivo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22917 del 13/12/2012, con indicazione di numerosi precedenti).
In conseguenza, la ripresa del procedimento dopo la cessazione della trattazione dell’istanza di ricusazione si determina in base alla mera pronuncia dell’ordinanza che la rigetta o la dichiara inammissibile e può aver luogo senza formalità; il processo, pertanto, prosegue di ufficio e automaticamente dopo detta pronuncia, tanto che le parti non hanno diritto ad alcuna comunicazione, ove fosse stato già disposto, con provvedimento anteriore alla presentazione dell’istanza, un rinvio ad altra udienza, successiva però alla data di definizione dell’istanza stessa (Cass. 10 marzo 2006, n. 5236): ciò trova fondamento nel contemperamento tra il diritto delle parti all’imparzialità di giudizio nella specifica controversia, assicurato dalla circostanza che la
delibazione di inammissibilità del giudice a quo non può comunque assumere valore ostativo alla rimessione del ricorso al giudice competente e il dovere di impedire, al contempo, l’uso distorto dell’istituto, altrimenti causato dall’automatismo dell’effetto sospensivo (Sez. 3, n. 22917 del 13/12/2012; Sez. 6 – 3, n. 25709 del 04/12/2014; Sez. 2, n. 11225 del 24/04/2019; Sez. 2, n. 1624 del 19/01/2022).
La Corte d’appello ha proprio precisato, sul punto, che entrambe le parti si erano presentate in sede di precisazione delle conclusioni, manifestando in tal modo la propria volontà di dare impulso al procedimento, non risultando così necessaria una riassunzione formale.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno denunciato, in riferimento al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in punto di rigetto dell ‘eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi di impugnazione: la società appellante si sarebbe, infatti, limitata a dichiarare di non condividere il capo della sentenza impugnata, omettendo di formulare censure specifiche alle ragioni del provvedimento di primo grado sulla sussistenza dell’inadempimento .
Per altro profilo, i ricorrenti hanno sostenuto che la motivazione con cui la Corte ha rigettato l’eccezione di inammissibilità sarebbe meramente apparente in quanto consistente in un mero rinvio per relationem , del tutto generico, alle ragioni indicate nell’atto di appello.
2.1. Il motivo è infondato. Innanzitutto, quanto alla denunciata nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ., questa Corte ha costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del
«minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022)
Nella specie, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte: la Corte vi ha dedicato le pag. da 12 a 16 in cui, dopo aver analiticamente riportato gli articolati motivi di appello, riproducendo addirittura testualmente il punto 1.7. dell’atto, ha escluso la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. proprio in riferimento all’esposizione dettagliata delle censure formulate, dei principi di diritto violati e delle modifiche alla sentenza impugnata richieste; in tal senso, ha ulteriormente invocato a sosteg no dell’ammissibilità lo specifico punto 1.7. come in precedenza trascritto e il secondo motivo come riassunto.
Quanto al 348 bis, la scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l’accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il
giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell’art. 348-ter, comma I cod. proc. civ., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l’appello, che è l’unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, in procedendo o in iudicando e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate (Sez. 6 – L, n. 37272 del 29/11/2021).
Con il terzo motivo, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno prospettato, in riferimento al n. 4 e al n.3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello errato nel ritenere sussistent e il loro inadempimento; il motivo è stato articolato in più profili di censura, di seguito esaminati, per ciascun fatto scrutinato in sentenza come rilevante.
3.1. In particolare, in merito al primo inadempimento riscontrato e, cioè, la mancata consegna di idonea certificazione energetica dell’immobile , essi hanno rappresentato, in relazione al n. 4 comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione de ll’ art. 112 e, in relazione al n. 3, degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.: da un canto, con la lettera del 21 gennaio 2012 il loro avvocato avrebbe comunicato ad Arcolinee che il certificato era pronto e, d ‘ altro canto, alla lettera del 25 maggio 2012 era stata allegata la dichiarazione di non obbligatorietà di detta certificazione, per cui nessun inadempimento avrebbe potuto essere loro attribuito; la Corte d’appello avrebbe quindi errato non sol tanto nel ritenere irrilevante il certificato prodotto, ma anche nel metterne in dubbio la provenienza e, infine, nell’aver invertito l’onere probatorio sulla dichiarazione ivi contenuta.
3.1.1. La censura è inammissibile. L a Corte d’appello ha riportato che, come rilevato dalla società appellante, con l’art. 4 del preliminare
le parti venditrici si erano impegnate a fornire l’attestato di certificazione energetica dell’immobile oggetto del contratto, da allegarsi al definitivo; a pag. 19, quindi, la Corte ha rimarcato l’irrilevanza dell’avvenuta produzione della suddetta certificazione in giudizio e non, tempestivamente, dinnanzi al notaio.
In questa motivazione, pertanto, il rilievo sulla controvertibilità del contenuto e sulla incertezza in merito all’attendibilità e la provenienza del documento costituisce affermazione non pregnante né decisiva, sicché ogni censura sul punto è inammissibile per difetto di interesse.
È inammissibile, infatti, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e pertanto non costituente la ratio decidendi necessaria e sufficiente a fondare la decisione; un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo e, perciò, non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse, in quanto improduttiva di effetti giuridici (cfr. Sez. 1, n. 8755 del 10/04/2018; Sez. 1, n. 18429 del 08/06/2022).
3.2. Quanto al secondo inadempimento e, cioè, alla certificazione di avvenuta bonifica, i ricorrenti hanno rilevato, in relazione all’art. 360, comma I, n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112, 132, comma II n. 4, 342 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché, in relazione al n. 3, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.: secondo l’art. 10 del contratto preliminare, la certificazione avrebbe dovuto essere presentata soltanto se necessaria e di tale necessità non era stato fornito alcun riscontro da parte di RAGIONE_SOCIALE; in tal senso, allora, la Corte d’appello avrebbe arbitrariamente ritenuto necessaria la bonifica ambientale, pur in assenza di alcuna prova a riguardo e non avrebbe
nemmeno potuto basarsi sulla mera deposizione del notaio che si era semplicemente limitato a dichiarare che alla data per la stipulazione del rogito questa documentazione mancava.
3.2.1. Anche questa censura è inammissibile.
Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente poste (Sez. 6 – 5, n. 17897 del 03/07/2019; Sez. 3, n. 22595 del 26/10/2009).
Diversamente, pertanto, da quanto prospettato in ricorso, la Corte d’appello non ha affatto violato il principio dispositivo ma ha soltanto condiviso, argomentando sul punto, ciò che la società appellante aveva sostenuto in merito alla necessità di conoscere se sul fondo si trovasse o non materiale inquinante; ha, quindi, aggiunto che, dalla deposizione del notaio incaricato del rogito, è risultato che questa documentazione non era ancora stata fornita alla data del 23/1/2012, cioè due anni dopo la data di stipula del definitivo fissata in preliminare.
3.3. In merito alla mancanza del certificato di destinazione urbanistica, i ricorrenti hanno, quindi, sostenuto, in relazione all’art. 360, comma I n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 101, 112, 163, comma III, n. 3 e 4, e 183, comma V e VI cod. proc. civ. e, pure in relazione al n. 4, la violazione degli artt. 342 e 132, comma II n. 4, cod. proc. civ., nonché dell’art. 118, comma II disp. att. cod. proc. civ.:
la mancanza della produzione di questa certificazione sarebbe stata addebitata loro a titolo di inadempimento, per la prima volta, soltanto in sede di comparsa conclusionale di primo grado; la contestazione sarebbe stata quindi tardiva e inammissibile e, in secondo luogo, sarebbe stata introdotta, nel processo, quale nuovo tema di indagine in violazione del l’art. 101 cod. proc. civ . e del diritto al contraddittorio; inoltre, sarebbero stati violati gli art. 112, 163 e 183 cod. proc. civ. perché la Corte d’appello avrebbe pronunciato oltre i limiti della domanda, anziché dichiarare l’inammissibilità della operata mutatio libelli .
3.3.1. Questo profilo è infondato. La Corte territoriale ha rimarcato (pag. 17, ultimo capoverso e 18 della sentenza), che il notaio sentito a testimone aveva confermato che il rogito fu precluso dalla mancanza della documentazione necessaria e, in particolare, anche del certificato di destinazione urbanistica e che queste dichiarazioni «non contrastano neppure con quanto affermato da COGNOME in atto di citazione». Ha rilevato, di seguito, che quel che si desume con certezza dalla dichiarazione del notaio rogante è che i promittenti venditori non avevano fatto pervenire, alla data prefissata, la documentazione necessaria al rogito e che per tale mancanza non era stato possibile stipulare il definitivo.
Ciò precisato in fatto, era stata proprio imputata a titolo di inadempimento la mancata produzione di tutta la documentazione necessaria, non soltanto del certificato di destinazione urbanistica, sicché non può ravvisarsi alcuna mutatio libelli .
3.4. Con riferimento alla mancata sottoscrizione di 8 tavole di disegni del PII (Piano Integrato di Intervento), i ricorrenti hanno denunciato, in relazione all’art. 360 comma I n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 101 cod. proc. civ. e, in relazione al n. 3, la connessa violazione dell’art. 2697 cod. civ.; in relazione al n. 4, la violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. e, in relazione al n. 3, la contestuale violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché, in relazione al n. 4, la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e, pure in relazione al n. 4, la violazione dell’art. 132, comma II n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ : la Corte d’appello avrebbe, infatti, infondatamente considerato per la decisione la c.t.u., sebbene l’indagine fosse stata svolta senza acquisizione in giudizio degli elaborati grafici, perché la documentazione originale non era più rintracciabile; la relazione peritale avrebbe quindi dovuto essere dichiarata nulla; l a Corte d’appello , inoltre, con motivazione ancora una volta irragionevole e contraddittoria e, perciò, apparente, avrebbe negato l’inammissibilità dei motivi di appello sul punto e invertito l’onere della prova dell’esatto adempimento pur in mancanza di produzione, da parte della società, delle tavole complete, non considerando che i disegni in forma di mera bozza non erano comunque presentabili e, perciò, non necessitavano di sottoscrizione.
3.4.1. Anche questa censura è infondata. La Corte d’appello, alle pag. da 21 a 23 della sentenza, ha, con dettagliata motivazione, ricostruito perché la firma dei disegni da parte dei promittenti venditori fosse rilevante: essi, infatti, avevano chiesto, nel 2010, di inserire all’interno dell’area del Progetto di Piano integrato (PPI) 9 i mappali n. 8 e 129 di loro proprietà sicché, come rilevato dal consulente nominato, era necessario attivare una convenzione tra tutti i privati proprietari dei terreni afferenti al PPI 9; in conseguenza, la Corte d’appello ha ritenuto che la firma di sottoscrizione dei disegni, sia pure «incompleti» (così in sentenza) anche da parte dei promittenti venditori proprietari di alcune particelle comprese nel PPI fosse certamente necessaria per procedere alla realizzazione delle finalità edificatorie della società promissaria acquirente.
La ricostruzione invece offerta in ricorso, allora, si appalesa inutilmente fuorviante in diritto, atteso che era certamente onere dei promittenti venditori dimostrare di aver adempiuto all’obbligo della firma previsto in contratto come riconosciuta a loro carico in sentenza.
3.5. Infine, quanto alla riduzione del prezzo di acquisto, i ricorrenti hanno rappresentato, in relazione all’art. 360, comma I n. 4 cod. proc. civ., che l’ asserito rifiuto è stato loro attribuito quale inadempimento in violazione dell’art. 345, comma III cod. proc. civ. e, in relazione al n. 4, dell’art. 342 cod. proc. civ., nonché, in relazione al n. 3, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.: RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai fornito la prova della diminuzione della superficie edificabile; sul punto, la c.t.u., disposta d’ufficio soltanto in secondo grado, sarebbe stata in realtà inammissibile perché assunta in violazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. e comunque nonostante la genericità del motivo di appello articolato sul punto; la Corte avrebbe inoltre errato, così violando gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nell’aver ritenuto corrispondente al vero l’asserito espresso rifiuto alla riduzione del prezzo, quando invece essi si sarebbero limitati a subordinarla alla dimostrazione dell’effettiva riduzione della superficie edificabile in conseguenza della variante del PGT del Comune di Solaro.
3.6.1. Anche questa censura è infondata. La Corte d’appello ha demandato al c.t.u. la verifica della rilevanza della controfirma dei promittenti venditori sul progetto condiviso e della effettiva riduzione dell’area edificabile. Per principio consolidato, la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non soltanto l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per
esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Sez. 3, n. 3717 del 08/02/2019; Sez. 3, Sentenza n. 6155 del 13/03/2009).
4. Con il quarto motivo, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n.5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per non ave re la Corte d’appello considerato il contenuto della lettera del 26 gennaio 2011, unitamente al successivo comportamento tenuto dalla controparte, la relazione illustrativa delle otto tavole di disegni, la lettera del 25 maggio 2012 contenente la diffida a stipulare il contratto definitivo e infine l’esito della te ntata conciliazione effettuata dal giudice di primo grado: in particolare, quanto alla lettera del 26 gennaio 2011, i ricorrenti osservano che vi sarebbe evidente la volontà di RAGIONE_SOCIALE di non stipulare il contratto definitivo e quindi di rendersi inadempiente, laddove ha rappresentato che l’ipotesi di progetto non sarebbe più realizzabile; con riferimento alla relazione illustrativa delle tavole, non sarebbe stato considerato il fatto che in essa viene attestato che i disegni costituivano semplici bozze e non progetti esecutivi e che furono presentati per la prima volta soltanto all’incontro del 23 gennaio 2011 per la mera visione e verific a; in merito alla lettera del 25 maggio 2012, i ricorrenti hanno sostenuto che rivelasse la loro volontà e intenzione di dare esecuzione al preliminare, a fronte del rifiuto della società; infine, quanto alla conciliazione, hanno ribadito che il suo fallimento deve essere interamente imputato alla società.
4.1. Il motivo è inammissibile. Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione soltanto nel caso in
cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Sez. 1, n. 16583 del 13/06/2024). Nella specie, invece, i ricorrenti non indicano affatto documenti inequivocamente decisivi in senso opposto alle ragioni di decisione, ma prospettano soltanto una differente ricostruzione dei fatti che presuppone una differente valutazione dell’in adempimento in base a prove diverse da quelle ritenute rilevanti.
Il ricorso per cassazione, tuttavia, non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili e in sé coerente, atteso che al Giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma soltanto quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuta in merito; al Giudice del merito resta, invece, riservato il potere di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Sez. 5 n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 2 n. 20553 del 19/07/2021).
In conseguenza, deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione e valutazione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, perché è precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un
nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Sez. 2, n. 10927 del 23/04/2024).
5. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 29 gennaio 2025.
La Presidente NOME COGNOME