Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15291 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15291 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1300/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
DITTA NOME
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 788/2019 depositata il 23/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.La Corte di Appello di Ancona ha, con la sentenza in epigrafe, respinto l’appello di NOME COGNOME per la riforma della sentenza del Tribunale di Macerata di rigetto della iniziale domanda proposta dallo stesso COGNOME onde ottenere la condanna di NOME COGNOME all’esatta esecuzione delle obbligazioni di cui al contratto di appalto stipulato inter partes in data 18 luglio 1992.
Con tale contratto COGNOME ed altri, in relazione ad una convenzione di lottizzazione dagli stessi conclusa il 27 luglio 1990 con il Comune di Pollenza riguardo ad un’area artigianale, incaricavano NOME COGNOME di realizzare le opere di urbanizzazione dell’area.
La Corte di Appello di Ancona, confermando la decisione del Tribunale, ha osservato che, essendo il contratto finalizzato allo ‘scopo’ della realizzazione di tutte le opere necessarie ad ottenere il collaudo del Comune ed essendo il collaudo intervenuto con esito positivo, dovevano escludersi inadempimenti dell’appaltatore.
La Corte di Appello ha così individuato lo ‘scopo’ ossia l’oggetto del contratto osservando che: vi era un generico richiamo a ‘tutte le opere a farsi, finalizzate ad ottenere il collaudo del Comune’; il prezzo era fissato in modo forfetario e invariabile per tutte le opere comprese quelle richieste dal Comune e non previste negli elaborati grafici approvati; i tempi di esecuzione erano demandati alla direzione dei lavori; l’appaltatore avrebbe potuto accettare lavori in base non solo agli elaborati grafici ma anche ad accordi o prescrizioni da parte del Comune o dei suoi organi tecnici.
La Corte di Appello ha anche precisato che le risultanze della CTU di primo grado, facenti ‘riferimento a difformità o mancanze’, non
erano ‘conferenti’ riguardo alla ‘eziologia e gravità’ delle difformità o mancanze ed erano comunque superate dalla ‘accettazione senza rilievi del Comune’;
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza di appello con due motivi;
NOME COGNOME è rimasto intimato;
il ricorrente ha depositato memoria il 13 maggio 2024. La memoria è stata depositata tardivamente rispetto al termine di dieci giorni prima dell’adunanza fissato dall’art. 380 bis 1 c.p.c. e pertanto non può tenersene conto;
considerato che:
1.con il primo motivo vengono lamentate la ‘violazione e falsa applicazione del contratto di appalto in data 18 luglio 1992’ e la ‘violazione degli artt. 1659, 1665, 1667, 1668 c.c.’
Viene dedotto che la Corte di Appello avrebbe ‘interpretato il contratto in maniera erronea ritenendo che lo scopo del contratto non fosse l’esatta esecuzione di quanto progettato in base all’accordo intervenuto con il Comune di Pollenza bensì la realizzazione di opere di urbanizzazione idonee a superare il collaudo dell’Ente’.
Nel corpo del motivo viene anche dedotto che l’esito positivo del collaudo del Comune non avrebbe rilievo in particolare perché il tecnico collaudatore del Comune avrebbe scorrettamente approvato i lavori pur dopo averne riscontrato difformità rispetto ‘agli accordi contrattuali’. Il Comune -sostiene il ricorrente -si sarebbe trasformato da ‘arbitro’ in ‘parte’.
Viene anche dedotto che difformità sarebbero state rilevate anche dal CTU nominato in primo grado quanto ad un ‘fabbricato’;
il motivo è inammissibile.
Va premesso che ‘L’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore del novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n.14335 del 14/07/2016).
Nel caso che occupa, il ricorrente deduce che la Corte di Appello avrebbe ‘interpretato il contratto in maniera erronea ritenendo che lo scopo dello stesso non fosse l’esatta esecuzione di quanto progettato in base all’accordo intervenuto con il Comune di Pollenza bensì la realizzazione di opere di urbanizzazione idonee a superare il collaudo dell’Ente’. Il ricorrente non fa riferimento ad alcuna regola ermeneutica che sarebbe stata violata né ad un fatto (decisivo e oggetto di discussione tra le parti) che sarebbe stato trascurato.
Il motivo evoca poi violazioni di norme sostanziali ma anche sotto questo profilo è inammissibile in quanto alla dedotta violazione o falsa applicazione di legge è sottesa questa struttura argomentativa: poiché il giudice di merito ha accertato che i fatti stanno in un certo modo -precisamente: il giudice ha accertato che non vi è stato inadempimento- e tale accertamento è erroneo cioè non corrisponde alla realtà delle cose -perché il collaudatore del comune sarebbe stato scorretto e perché il CTU avrebbe accertato inadempienze- allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di Cassazione per quello di una terza istanza di merito.
Le sezioni unite della Corte hanno affermato: ‘ È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ ( Sez. U – , Sentenza n. 34476 del 27/12/2019);
con il secondo motivo viene lamentata la ‘omessa pronuncia sul motivo di appello ‘A’ avente ad oggetto l’insussistenza di giudicato sostanziale rispetto alla sentenza n.7765/2012 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione’.
Dalla sentenza impugnata (pag.2) emerge che con il motivo di appello ‘A’ l’odierno ricorrente aveva lamentato che vi sarebbe stato da parte del Tribunale, giudice di primo grado, un erroneo ‘apprezzamento della portata della sentenza della Cassazione’ n. 7765/2012. Deduce il ricorrente che questa sentenza, riguardando ‘le modalità di pagamento’ del credito vantato dall’appaltatore per il prezzo dei lavori, non interferisce in alcun modo con l’oggetto del presente processo, costituito dal dedotto inadempimento dell’appaltatore all’obbligo di eseguire le opere di urbanizzazione programmate;
il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello non ha trascurato il motivo di appello: ha infatti affermato (p.3 della sentenza) che la questione della interferenza della decisione definitiva in ordine al credito dell’appaltatore non aveva costituito la ratio della decisione di primo grado. La ratio, ha rilevato la Corte di Appello, era centrata sulla accertata assenza di inadempienze da parte dell’appaltatore. La Corte di Appello, dopo avere ribadito l’accertamento del Tribunale, ha dichiarato la questione suddetta ‘assorbita’.
in conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
6. non vi è luogo a pronuncia sulle spese perché NOME COGNOME è rimasto intimato;
7.ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di ciascuna delle due parti ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 22 maggio 2024.