Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8883 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8883 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18560/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CMPGLC62H26D612D) COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’Appello Milano n. 2626/2017 depositata il 14/06/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 14/6/2017, dichiarava inammissibile l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 29/2/2016 che aveva respinto l’opposizione allo stato passivo ex art. 87 d.lvo 385/1993 (di seguito definito semplicemente TUB) della liquidazione coatta amministrativa della Banca Network Investimenti spa.
1.1 In quella procedura RAGIONE_SOCIALE Salvatore si era insinuato per il credito di € 2.300.000 a titolo di risarcimento danni subiti per effetto della condotta inadempiente serbata dalla Banca poi sottoposta a procedura liquidatoria.
1.2 Rilevava la Corte territoriale che il rimedio dell’appello avverso la decisione del Tribunale sulle opposizioni allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa era precluso dall’art. 3, comma 5, d.lvo 181/2015 in forza del quale le sentenze del Tribunale pronunciate per le procedure di liquidazione coatta amministrativa in corso dopo l’entrata in vigore del decreto, come era quella del Tribunale di Milano che aveva deciso l’opposizione allo stato passivo proposta da COGNOME NOME, sono impugnabili solo con ricorso per cassazione.
2 COGNOME NOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria; la procedura ha svolto difese con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 5, d.lvo nr. 181/2015, in relazione all’art. 360, comma 1 nr. 3, c.p.c.
Sostiene il ricorrente che l’interpretazione seguita dalla Corte distrettuale di ritenere non appellabili, ma solo ricorribili per cassazione, le sentenze emesse nei procedimenti ex art 87 TUB relativi a procedure in corso confligge con la ratio delle norme richiamate; in particolare, dal momento che l’art. 3, comma 5, del d.lvo citato esordisce affermando la generale applicabilità del decreto alle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta avviate successivamente alla sua entrata in vigore, le eccezioni a tale regola devono essere restrittivamente interpretate. Pertanto, sempre secondo quanto asserito dal ricorrente, poiché l’art. 3 , comma 4, prevede, in via d’eccezione, l’applicabilità di alcune norme novellate anche alle procedure in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lvo 181/2015, e tra queste norme non è ricompreso l’art 87, il regime di impugnazione delle sentenze emesse per i procedimenti in corso rimarrebbe quello precedentemente regolamentato.
Evidenzia, infine, il ricorrente che ragioni di ordine teleologico e sistematico riconducibili alla compressione ex post delle garanzie processuali per effetto dell’eliminazione di un grado di giudizio, avrebbero imposto una interpretazione restrittiva della norma.
2 Il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 e 4, d.lvo nr. 181/2015 in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 c.p.c.
Il ricorrente afferma che la Corte avrebbe dovuto applicare, come segnalato dal giudice di prime cure , la disciplina dell’art. 88 TUB vecchio testo, che riconosceva la possibilità di appellare la sentenza del Tribunale e lamenta che i giudici di seconde cure avrebbero erroneamente ritenuto che la disciplina della soppressione dell’appello fosse contenuta nell’art. 3, comma 5, d.lvo citato,
quando invece l’esclusione del secondo grado era disciplinata nel nuovo testo dell’art 87 TUB.
I due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.
3 Il d.lvo 181/2015 ha apportato modifiche alle norme del TUB che interessano il procedimento di opposizione allo stato passivo nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa per adeguarlo al nuovo regime introdotto a seguito della riforma della l. 5/2006.
3.1.Nel corpo dell’art. 87 TUB è stato innestato, mediante un esplicito rimando normativo, il nuovo procedimento ex art. 99 l.fall ., disposizione che, all’ultimo comma, prevede per il decreto del Tribunale che decide sull’opposizione allo stato passivo la sola ricorribilità per cassazione.
3.2 Coerente con il nuovo regime impugnatorio è la formulazione dell’art. 88 TUB che non consente più la proposizione dell’appello avverso la decisione del Tribunale.
3.3 Il decreto legislativo contiene anche norme di carattere transitorio: in particolare l’art. 3, dopo aver fatto decorrere, al comma 1, l’entrata in vigore della nuova normativa, dalla data della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 16/11/2015) stabilisce al comma 4 che « Gli articoli 81, comma 1bis, 84, 89, 90, 91, comma 4, 92, 92-bis, 93, 94, 97 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché l’articolo 57, comma 6-bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, come modificati dal presente decreto, si applicano anche alle procedure di liquidazione coatta amministrativa in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e per le quali non sia stato già autorizzato il deposito della documentazione finale » .
Il successivo comma 5 dispone che « per le procedure di cui al comma 4, le sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore del presente decreto ai sensi dell’articolo 87 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono impugnabili esclusivamente con il
ricorso per cassazione di cui al comma 2 del medesimo articolo 87, come modificato dal presente decreto. Si applica l’articolo 88 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto. Per le medesime procedure, il termine per la proposizione delle domande tardive di cui all’articolo 89 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto, decorre dall’entrata in vigore di quest’ultimo ».
3.4 Ciò premesso, a mente dell’art. 12 disp. att. c.c. « nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore ».
3.5 La predetta disposizione delle preleggi esprime, dunque, il fondamentale canone ermeneutico secondo cui la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e primariamente dal punto di vista letterale.
3.6 La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo, della mens legis , specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore.
3.6 Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, si che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto
all’interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa (cfr. tra le tante Cass. n. 31470/2021, 27784/2021, 24165/2018, 5821/ 2001 e 2533 /1970).
3.7 Nel caso di specie le disposizioni transitorie passate in rassegna, per quanto di interesse in causa, appaiono chiare, univoche, e prive di ambiguità semantica nell’affermare che, per le procedure di liquidazione coatta amministrativa in corso, le sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo non sono appellabili ma ricorribili per cassazione.
3.8 Una conferma di tale opzione ermeneutica può considerarsi insita dalla affermazione di cui all ‘ordinanza nr 29052/2019 di questa Corte che, pur avendo cassato l’impugnato provvedimento per non aver ritenuto appellabile la sentenza del Tribunale pubblicata prima dell’entrata in vigore del d.lvo 181/2015, ha chiarito (in parte motiva) che il d.lvo «non solo ha disposto la modifica del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 87 e 88 ma ha anche stabilito – all’art. 3, comma 5 – che per le procedure di liquidazione coatta amministrativa previste dal D.Lgs. n. 58 del 1998 in corso le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 87 T.U.B. dopo la sua entrata in vigore fossero impugnabili esclusivamente con ricorso per cassazione».
3.9 La Corte, in conformità con suesposti rilievi, ha correttamente escluso l’appellabilità della sentenza del Tribunale di Milano che è stata pubblicata in data 29/2/2016 (pur se deliberata nella Camera di Consiglio del 5/11/2015), e quindi successivamente all’entrata in vigore del d.lvo 181/2015 e riguardava una procedura di
liquidazione coatta amministrativa in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto.
4 E’ irricevibile « l ‘istanza di remissione in termini per il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado», con conseguente inammissibilità dei motivi di ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Milano.
4.1 Non ricorrono i presupposti dell’art. 327 c.p.c . ed in ogni caso, anche ove si volesse applicare l’art. 153 c.p.c., le giustificazioni addotte dal ricorrente circa il mancato rispetto del termine di impugnazione, individuate in un obiter dictum della sentenza di primo grado che avrebbe affermato la vigenza della norma di cui all’art 87 TUB nel testo antecedente le modifiche di cui al d.lvo 181/2015, non configurano certo gli estremi della causa non imputabile.
Il ricorso va quindi rigettato.
Va disposta l’integrale compensazione delle spese tra le parti non essendo ancora registrabile sulla questione trattata un consolidato orientamento di questa Corte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dispone compensarsi tra le parti le spese del presente giudizio.
Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 25 febbraio