Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 473 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 473 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
sul ricorso 26044/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
–
ricorrente –
contro
COMUNE DI BENEVENTO, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2654/2018 depositata il 04/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata per cassazione l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Napoli, accogliendone l’impugnazione proposta a mente degli artt. 828 e segg. cod. proc. civ., ha annullato, su istanza del Comune di Benevento, il lodo arbitrale pronunciato tra l’impugnante e la società consortile RAGIONE_SOCIALE, con cui, in relazione agli obblighi nascenti dalla convenzione urbanistica tra le parti avente ad oggetto la concessione in proprietà di un’area parzialmente comunale da destinarsi ad un intervento di riqualificazione, era stata dichiarata la risoluzione del contratto in ragione dell’inadempimento ascritto al Comune, in quanto l’area era parzialmente di proprietà di terzi ed era sotterraneamente attraversata da una rete di cavi di telecomunicazione, ed era stata pure pronunciata la condanna del Comune al risarcimento del danno.
La Corte d’Appello, adita in riassunzione dall’ente locale dopo che una sua pregressa pronuncia di rigetto dell’impugnazione di questo era stata cassata da questa Corte con sentenza 12379/2014, ha motivato il proprio deliberato rilevando, in sede rescindente, l’erroneità della qualificazione arbitrale della fattispecie, ravvisandovi in essa, in adesione alla volontà comune delle parti, una vendita di cosa parzialmente altrui gravata da un peso non apparente; e regolando di riflesso, in sede rescissoria, la vicenda sul filo dei principi che si rendevano perciò applicabili, ha respinto la relativa domanda -dato che, da un lato, il Comune aveva proceduto all’acquisto dell’area non sua, prima che fosse proposta la domanda di risoluzione e, dall’altro, che non era dimostrato che Partenope non avrebbe comunque concluso l’acquisto se fosse stata al corrente dell’esistenza dell’onere -e ha rigettato pure l’istanza risarcitoria,
atteso che il danno lamentato da Partenope era eziologicamente riconducibile alla domanda di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453, piuttosto che all’analoga domanda di cui all’art. 1489 cod. civ.
L’odierna impugnazione proposta da Partenope si vale di tre motivi, seguiti da memoria. Ad essa resiste il Comune con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 829 ed 830 cod. proc. civ. Si sostiene, censurando le determinazioni adottate in fase rescindente dal giudice dell’impugnazione, che, benché il relativo giudizio ubbidisca alle regole proprie dei giudizi a critica vincolata, la Corte d’Appello, procedendo alla riqualificazione della fattispecie, non avrebbe sindacato un errore di diritto in cui era incorso il lodo, -l’errore di diritto ravvisandosi, infatti, in un errata ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma applicata -, ma avrebbe imputato agli arbitri un’errata ricostruzione della fattispecie concreta, così collocandosi al di fuori dei limiti propri al controllo di legittimità affidatole in quella fase.
2.2. Il motivo è inammissibile in quanto inteso a sollecitare una rimodulazione del sindacato impugnatorio sul presupposto, erroneo, di uno sconfinamento di esso in un apprezzamento di merito.
E’ ben vero, come correttamente argomenta l’impugnante, che il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale che si svolge davanti alla Corte d’Appello costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, ora comma 3, cod. proc. civ.(Cass., Sez. I, 18/10/2013, n. 23675). Pur
svolgendosi avanti alla Corte d’Appello, il giudizio de quo non ha infatti la consistenza di una revisio prioris instantiae e non costituisce perciò una reiterazione in secondo grado del giudizio svoltosi avanti agli arbitri, all’esito del quale, come in un ordinario giudizio di appello, sia consentito al decidente di sindacare nel merito la decisione assunta dagli arbitri sostituendola, in caso di riforma, con la propria. Esso dà, più correttamente, vita, al contrario ed in coerenza con la struttura bifasica del procedimento, inizialmente, al c.d. iudicium rescindens , che consiste unicamente nell’accertare se sussista taluna delle nullità previste dall’art. 829 cod. proc. civ. come conseguenza di errori in procedendo oppure in iudicando e, soltanto se il giudizio rescindente si conclude con il positivo accertamento di uno dei motivi di nullità del lodo, è possibile, giusta il dettato dell’art. 830 cod. proc. civ., il riesame, nel successivo iudicium rescissorium , nel merito della pronuncia arbitrale (Cass., Sez. I, 22/03/2007, n. 6986). Poiché, dunque, il giudizio di impugnazione arbitrale non può deflettere dallo schema binario che n’è alla base, nella fase rescindente, come detto finalizzata all’accertamento di eventuali nullità del lodo, non è consentito alla Corte d’Appello procedere ad un accertamento di fatto, dovendo limitarsi all’accertamento delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili soltanto per determinati errori in procedendo , nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 cod. proc. civ., giacché solo in sede rescissoria, a lodo annullato, al giudice dell’impugnazione è attribuita la facoltà di riesame del merito delle domande, comunque nei limiti dei petita e delle causae petendi dedotte dinanzi agli arbitri (Cass., Sez. I, 8/10/2010, n. 20880).
2.3. Ora, fermo questo quadro di riferimento, non crede, tuttavia, il collegio che, rispetto a quanto lamentato dalla ricorrente, il giudice dell’impugnazione sia venuto meno all’osservanza di esso,
riqualificando la fattispecie al suo esame nel senso di riconoscervi una vendita di cosa parzialmente altrui gravata da un onere non apparente e regolandone il regime giuridico in modo corrispondente.
Nell’imprimere, così, alla fattispecie un’identità giuridica ritenuta coerente con la volontà negoziale canonizzata negli accordi tra le parti, la Corte d’Appello ha infatti esercitato il proprio giudizio nei limiti propri della fase rescindente che ha inizialmente avuto luogo davanti ad essa, e la cui funzione, si è detto, è volta ad accertare se la decisione arbitrale, ove impugnata sotto tale angolazione, non risulti infirmata dalla violazione delle regole di diritto a mente, ora, dell’art. 829, comma 3, cod. proc. civ. Il dissenso, in tal senso, marcato dal decidente, a fronte del responso arbitrale, è perciò diretto riflesso dell’errore di diritto in cui gli arbitri erano incorsi nell’interpretare la res litigiosa in modo non corrispondente alla volontà esternata dalle parti nel dar vita all’accordo negoziale oggetto di lite, sicché la Corte d’Appello, allorché ha reso della vicenda una lettura ritenuta rispettosa della volontà negoziale delle parti, censurando, segnatamente il lodo per la «violazione delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c.», non ha fatto altro che prendere atto e sanzionare conseguentemente il vizio ermeneutico della decisione impugnata. E’ vero che il sottile confine che corre tra accertamento in fatto e giudizio di diritto quando oggetto di scrutinio sia un errore ermeneutico possa indurre facilmente a credere che, allorché lo si rilevi o lo si sanzioni, ci si trovi in presenza non di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta ma di un’erronea ricostruzione della fattispecie concreta, ma non è questo il nostro caso, poiché la Corte d’Appello, attinta per questo dall’impugnante, ha inteso esattamente sindacare l’errore interpretativo commesso dagli arbitri nel dare alla specie al loro esame una qualificazione frutto di errata ricognizione della fattispecie astratta.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 829 ed 830 cod. proc. civ. Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe rilevato l’errore di sussunzione attribuito agli arbitri nel ricondurre la fattispecie in esame all’art. 1453 cod. civ. attribuendo al lodo un contenuto ad esso estraneo dato che gli arbitri non avevano dichiarato la risoluzione del contratto per avere il Comune trasferito la proprietà di un bene parzialmente altrui, ma perché i diversi inadempimenti imputati al Comune si erano protratti per oltre sei anni tanto da rendere impossibile la realizzazione degli interventi.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 1218, 1455 e 1489 cod. civ. Si sostiene che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in un errore di sussunzione perché ha ritenuto applicabile alla specie la disciplina dell’art. 1489 cod. civ. nell’errata convinzione che gli arbitri avessero dichiarato la risoluzione del contrato per avere il Comune trasferito la proprietà di un bene parzialmente altrui, quando al contrario la risoluzione era stata dichiarata perché i diversi adempimenti ascritti al Comune si erano protratti per oltre sei anni rendendo irrealizzabili gli interventi programmati.
3.2. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente per unitarietà della censura, sono entrambi inammissibili in quanto intesi a sollecitare una rivalutazione dei profili di fatto della vicenda in disamina.
3.3. Si è, al riguardo, già avuto occasione di precisare entro quali limiti si esercita il sindacato impugnatorio della Corte d’Appello quando sia denunciata avanti ad essa la nullità del lodo a mente dell’art. 829 cod. proc. civ.
Qui va ora osservato che, tenuto conto della peculiarità del giudizio di impugnazione arbitrale e dei limiti propri di quello di legittimità, quando la decisione della Corte d’Appello sia impugnata in cassazione a mente dell’art. 360 cod. proc. civ., il sindacato che ha luogo in questa sede si esercita solo sulla decisione emessa nel giudizio di impugnazione e va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo (Cass., Sez. I, 6/11/2006, n. 23670; Cass., Sez. I, 12/12/2023, n. 34706 in motivazione).
La rappresentazione offerta da entrambi i motivi non si estrinseca in questo perimetro, in quanto è intesa ad evidenziare non già un errore di diritto commesso dal giudice dell’impugnazione, ma un errore di giudizio che, in disparte da ogni attendibilità, non evidenzia un vizio che induca a dubitare della conformità della decisione impugnata alla legge e della congruità della motivazione che l’assiste, sicché, in definitiva, entrambi i motivi si sottraggono al sindacato qui richiesto non concretando la denuncia di un vizio scrutinabile in sede di legittimità.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di
parte resistente in euro 14.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il