Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19277 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19277 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19349/2024 r.g. proposto da:
NOME RAGIONE_SOCIALE con sede in Pagani (SA), alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore , RAGIONE_SOCIALEcon sede in Pagani, alla INDIRIZZO, rappresentata dall’amministratore unico NOME COGNOME), rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avvocato Prof. NOME COGNOME e d all’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv ocato NOME COGNOME.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, società semplice (già RAGIONE_SOCIALE, in persona delle socie ed amministratrici con rappresentanza processuale NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME queste ultime anche in proprio, tutte rappresentate e difese, giusta procura speciale in calce al controricorso, da ll’ Avvocato Prof. NOME COGNOME e dall’Avvocato NOME
COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio del primo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrenti –
avverso la sentenza, n. cron. 502/2024, della CORTE DI APPELLO DI SALERNO, pubblicata in data 04/06/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 18/06/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo rigettarsi, perché infondati inammissibili, tutti i motivi di ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato il 14 novembre 2022, la ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ impugnò, innanzi alla Corte di appello di Salerno, il lodo pronunciato l’11 luglio 2022, con il quale il collegio arbitrale: 1) aveva accolto la domanda proposta dalla ‘RAGIONE_SOCIALE nonché da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, e, per l’effetto, aveva pronunciato, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., il trasferimento dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ alla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ del fondo contraddistinto nel catasto terreni del Comune di Pagani al foglio 8, particella 8, subalterno 5, condizionandolo al pagamento del saldo del prezzo stabilito nel contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006; 2) aveva rigettato le domande spiegate dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ per ottenere la declaratoria di nullità del contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006 per violazione dell’art. 2744 cod. civ., la risoluzione per inadempimento e quella consensuale; 3) aveva dichiarato che la ‘NOME RAGIONE_SOCIALE‘ era titolare, in virtù dell’art. 8 del contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006, del diritto di riscatto da esercitarsi nei tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo e con le modalità previste dagli artt. 1502 e segg. cod. civ.; 4) aveva
compensato tra le parti le spese del giudizio, ponendo a loro carico, nella misura di 1/2 ciascuna, quelle di funzionamento del collegio arbitrale.
A sostegno dell’impugnazione, dedusse che il lodo era nullo: i ) per il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 12, cod. proc. civ., non avendo il collegio arbitrale statuito sulle domande e sulle eccezioni proposte in relazione alle complesse vicende che avevano caratterizzato i rapporti tra le parti e che dimostravano che il contratto preliminare di compravendita in questione costituiva soltanto una delle varie forme di garanzia pretese da NOME COGNOME quale promittente acquirente per persona da nominare, poi individuata nella ‘RAGIONE_SOCIALE, a fronte del finanziamento concesso nell’anno 2003, unitamente al germano NOME COGNOME per consentire la definizione dei procedimenti concorsuali cui erano assoggettati la promittente alienante nonché NOME COGNOME ed NOME COGNOME, familiari della sua legale rappresentante, e le società ad essi riconducibili; inoltre, il collegio arbitrale non si era pronunciato sull’eccezione secondo cui, ai fini dell’accertamento del patto commiss orio, non era sufficiente il dato cronologico dell’epoca dell’erogazione del finanziamento, ma occorreva esaminare la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale intercorsa tra le parti; ii ) ai sensi dell’art. 829, comma 3, cod. proc. civ., per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia e, in particolare, dell’art. 2744 cod. civ., atteso che il collegio arbitrale aveva sostenuto che, per potersi configurare un patto commissorio, la promittente alienante avrebbe dovuto di mostrare che, nell’anno 2006, epoca della stipulazione del contratto preliminare di compravendita, NOME COGNOME ed NOME COGNOME avevano concesso un finanziamento ulteriore rispetto a quello del 2003, in tal modo non considerando che ad assumere rilevanza non era il dato cronologico della scadenza dell’obbligazione, ma il suo collegamento causale con il negozio recante l’obbligo del trasferimento immobiliare; iii ) per contraddittorietà delle sue disposizioni, a norma dell’art. 829, comma 1, n. 11, cod. proc. civ., giacché il collegio arbitrale, da un lato, aveva richiamato il più recente principio giurisprudenziale secondo cui, al fine di accertare l’esistenza del patto commissorio, è necessario verificare che tra le diverse
pattuizioni ricorra un nesso di interdipendenza tale da disvelare la loro funzionale preordinazione allo scopo di garanzia più che a quello di scambio, a prescindere dal momento del verificarsi dell’effetto traslativo, e, dall’altro, aveva ritenuto che, per invocare la nullità del contratto preliminare, sarebbe stato necessario dimostrare la stipulazione, nel 2006, di un mutuo ulteriore, non essendo sufficiente il preesistente indebitamento del 2003; iv ) per il vizio di omessa pronuncia, a norma dell’art. 8 29, comma 1, n. 12, cod. proc. civ., non avendo il collegio arbitrale statuito sulle condizioni dell’esercizio del diritto di riscatto, per essersi limitato a rinviare alla norma di legge e al termine contrattualmente stabilito dalle parti, senza determinare il prezzo effettivamente versato dal promittente acquirente; v ) a norma dell’art. 829, comma 1, n. 12, cod. proc. civ., per essersi gli arbitri pronunciati sull’ammissibilità e sulla rilevanza dei mezzi istruttori articolati dalla promittente alienante solo con riguardo alla domanda di risoluzione del contratto preliminare, ma non anche in relazione a quelle di accertamento della sua nullità per violazione dell’art. 2744 cod. civ. e delle modalità del riscatto; vi ) ai sensi dell’art. 829, comma 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2721 e 2714 cod. civ. nonché degli artt. 61 e 91 cod. proc. civ., per non avere il collegio arbitrale valutato l’ammissibilità e la rilevanza, ai fini della decisione delle domande di accertamento del patto commissorio e di determinazione delle modalità di riscatto, delle istanze istruttorie formulate dalla promittente alienante.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, eccependo, pregiudizialmente, l’inammissibilità dei proposti motivi di impugnazione e, in ogni caso, la loro infondatezza, chiedendo, per l’ipotesi dell’apertura della fase rescissoria del giudizio, l’accoglimento delle domande proposte in sede arbitrale.
L’adita Corte di appello di Salerno, con sentenza del 15 maggio/4 giugno 2024, n. 502, rigettò quella impugnazione regolando le spese del giudizio secondo soccombenza.
In particolare, quella corte ritenne: i ) inammissibili il secondo ed il sesto motivo di impugnazione, atteso che, con l’art. 10 del contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoscritto dalla legale rappresentante della promittente alienante il 30 marzo 2006, le parti, nel devolvere ad un collegio arbitrale la risoluzione di tutte controversie che sarebbero eventualmente insorte in ordine all’interpretazione o all’esecuzione del negozio giuridico in oggetto, non concordarono la possibilità di formulare, in sede di gravame, censure per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia, come, invece, sarebbe stato a tal fine necessario, essendo la clausola compromissoria stata stipulata in data successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006, avvenuta il 2 marzo 2006, vale a dire in un contesto legislativo che, a differenza del precedente, ne subordinava la proposizione ad un espresso accordo tra i contraenti. « Né, peraltro, l’inosservanza dell’art. 2744 cod. civ. avrebbe co mportato l’impugnabilità del lodo per contrarietà all’ordine pubblico, dovendo escludersi che la decisione arbitrale possa essere censurata per violazione del divieto del patto commissorio, giacché la predetta disposizione normativa, pur avendo natura imperativa, non esprime in sé valori insopprimibili dell’ordinamento, per non essere diretta a salvaguardare interessi fondamentali e generali della collettività, ma è posta a tutela del patrimonio del contraente, al punto che lo stesso legislatore ha previsto , con l’art. 6 del d.lgs. n. 170/2004, casi in cui quel divieto non si applica . Inoltre, gli artt. 2721 e 2714 cod. civ. nonché gli artt. 61 e 191 c.p.c. non costituiscono regole di diritto relative al merito della controversia, ma norme disciplinanti, da un lato, i limiti di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti e, dall’altro, i presupposti per disporre la nomina di un consulente tecnico d’ufficio, sicché la loro violazione non avrebbe comunque consentito l’impugnazione del lodo a norma dell’art. 829, c. 3, c.p.c. »; ii ) inammissibile il primo motivo di impugnazione, posto che, « In realtà, la ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, nel lamentare che il ‘rigetto della domanda … di nullità del preliminare per violazione dell’art. 2744 c.c. si basa su una premessa errata e su un superficiale apprezzamento degli atti di causa e delle complesse vicende intercorse tra le parti’,
enunciando poi le ragioni di tale doglianza, prospetta non già un’omessa pronuncia e, dunque, l’ipotesi prevista dall’art. 829, c. 1, n. 12, c.p.c., ma un presunto errore compiuto dagli arbitri nella valutazione del fatto o delle risultanze probatorie e, di conseguenza, un vizio non censurabile dinnanzi alla Corte d’Appello ». In ogni caso, anche a voler ricondurre questo motivo di impugnazione nell’alveo applicativo dell’art. 829, comma 1, n. 12, cod. proc. civ., non sarebbe stata in alcun modo configurabile la causa di nullità ivi prevista. Secondo la corte, infatti, « il collegio arbitrale, nell’escludere l’interdipendenza funzionale tra l’accordo del 2003, con il quale COGNOME NOME e NOME e la COGNOME COGNOME si erano impegnati a restituire le somme versate da COGNOME NOME ed NOME per favorire la chiusura dei richiamati procedimenti concorsuali, ed il contratto preliminare di compravendita immobiliare del 30 marzo 2006, ha ritenuto che quest’ultimo negozio giuridico non potesse costituire una forma di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di pagamento precedentemente assunte dalla legale rappresentante della ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ e dai suoi familiari e, dunque, un mezzo diretto ad eludere il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 cod. civ., in tal modo pronunciandosi compiutamente sulla domanda di nullità proposta dalla promittente alienante. Parimenti, il collegio arbitrale non ha omesso di statuire sull’eccezione secondo cui, ai fini dell’accertamento del p atto commissorio, non era sufficiente il solo dato cronologico dell’erogazione del finanziamento da parte di NOME Bruno ed NOME, ma occorreva esaminare la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale stipulata dalle parti, avendo espressamente evidenziato che, al di là dell’ampio lasso temporale intercorso tra l’accordo del 2003 e il preliminare del 30 marzo 2006, quest’ultimo contratto prevedeva il pagamento, per l’acquisto dell’immobile controverso, di un corrispettivo che era non solo nett amente inferiore all’importo destinato al soddisfacimento del credito della ‘S.G.A. s.p.a.RAGIONE_SOCIALE, ma anche diretto, secondo la prospettazione difensiva della ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALEn.RAGIONE_SOCIALE‘, al ripianamento di debiti diversi, al punto da non potersi configurare come uno strumento di garanzia teleologicamente preordinato a violare il divieto imposto dall’art.
2744 cod. civ. »; iii ) ammissibile, ma infondato, il terzo motivo di impugnazione. Posto, invero, che « la nullità invocata dalla ‘NOME COGNOME s.n.c.’ è sussumibile non già nell’ipotesi prevista dall’art. 829, comma 1, n. 11, c.p.c., ma in quella contemplata dal n. 5 del comma 1 di tale disposizione normativa, essendo contestata non la contraddittorietà tra le statuizioni del dispositivo o tra il dispositivo e la motivazione, ma l’intrinseca incoerenza che inficerebbe quest’ultima », la corte osservò che « il collegio arbitrale, nel richiamare, tra gli altri, l’arresto della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 8 ottobre 2021, n. 27362) secondo cui l’intento elusivo del divieto del patto commissorio è configurabile quando sussista, tra le diverse pattuizioni, un nesso di interdipendenza tale da far emergere la loro preordinazione allo scopo finale di garanzia piuttosto che a quello di scambio, sicché il giudice non deve limitarsi ad esaminare il tenore letterale delle clausole inserite nel contratto o nei contratti conclusi dalle parti, ma è tenuto ad accertare la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale posta in essere, restando a tal fine irrilevanti sia la natura obbligatoria o reale del contratto o dei contratti, sia il mom ento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi, sia gli strumenti destinati alla sua attuazione, sia l’identità dei soggetti che li hanno stipulati e nel ritenere che, ‘al fine di dimostrare la funzione elusiva del divieto del patto commissorio del contratto preliminare del 2006 vi era l’onere di provare che nel 2006 il promissario compratore concesse un ulteriore mutuo alla promittente venditrice e che detto mutuo venne erogato … mediante l’acconto del prezzo della promessa vendita, che avrebbe dunque perseguito la funzione di garantire l’adempimento della restituzione della somma mutuata’, non è incorso in alcuna contraddittorietà argomentativa, per aver ragionevolmente sostenuto che, non essendo ravvisabile il dedotto collegamento tra l’accordo del 2003, in forza del quale COGNOME COGNOME ed NOME erogarono le risorse finanziarie necessarie alla chiusura dei procedimenti concorsuali pendenti nei confronti della ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALEn.RAGIONE_SOCIALE, dei familiari della COGNOME COGNOME e delle società ad essi facenti capo, ed il contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006, la promittente alienante, per poter
fondatamente eccepire la violazione dell’art. 2744 cod. civ., avrebbe dovuto comprovare che tra le parti era intercorsa una nuova operazione di finanziamento e che il negozio giuridico in contestazione era finalizzato a garantirne l’adempimento più che a generare l’obbligo del trasferimento dell’immobile a fronte del corrispettivo del prezzo »; iv ) destituiti di fondamento anche il quarto ed il quinto motivo di impugnazione. Invero, « con riferimento al prezzo versato dal promittente acquirente, il collegio arbitrale, ancor prima di soffermarsi sul diritto di riscatto invocato dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, ha espressamente affermato che la contestazione con la quale ‘la promittente venditrice ha … negato il pagamento dell’acconto deducendo che il primo bonifico sarebbe stato fatto a soggetto non legittimato a riceverlo (la signora NOME COGNOME) e che il secondo sarebbe stato stornato per intestazione errata’ risulta ‘priva di pregio’, in tal modo reputando dimostrato il pagamento della somma di euro 170.000,00 quale parte del corrispettivo stabilito nel contratto preliminare del 30 marzo 2006 per il trasferimento dell’immobile censito nel catasto terreni del Comune di Pagani al foglio 8, particella 8, subalterno 5, e non accogliendo l’eccezione sollevata dalla promittente alienante in ordine all’intervenuta restituzione parziale del predetto importo. Quanto alle istanze istruttorie, pur a prescindere dal rilievo che il vizio di omessa pronuncia è configurabile con esclusivo riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto e, dunque, con riguardo alla decisione di merito, ma non in relazione alle predette richieste, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione , gli arbitri non hanno ammesso la prova testimoniale articolata dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ per dimostrare l’asserita restituzione a COGNOME Bruno di parte delle somme ricevute in forza del contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006, in ragione, tra l’altro, della sua irrilevanza ‘al fine della decisione, atteso che non è stato richiesto al Collegio di determinare l’ammontare del saldo’, sicché, anche in tal caso, si sono inequivocabilmente pronunciati ».
3. Per la cassazione di questa sentenza, la ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante RAGIONE_SOCIALE, a sua volta in persona dell’amministratrice NOME COGNOME, ha promosso ricorso affidato a cinque motivi. Hanno resistito, con unico controricorso, la ‘RAGIONE_SOCIALE nonché, anche in proprio, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Ancor prima di procedere alla descrizione ed allo scrutinio dei formulati motivi del ricorso, il Collegio intende ribadire ( cfr., amplius , Cass. n. 23485 del 2013, nonché, in senso sostanzialmente conforme, le più recenti Cass. n. 2985 del 2018; Cass. nn. 2137 e 15619 del 2022; Cass. n. 9434 del 2023; Cass. n. 9429 del 2024 e Cass. n. 7597 del 2025) che quello di impugnazione per nullità del lodo arbitrale costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, comma 3, cod. proc. civ. (nel testo come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006); in esso trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi, in considerazione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al giudice, ed alla parte convenuta, di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dalla menzionata norma ( cfr . Cass. n. 27321 del 2020).
Inoltre, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso su detta impugnazione, dovendosi verificare se la sentenza medesima sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione alle ragioni di impugnazione del lodo, il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo. Ciò comporta che la relativa denuncia, per ottemperare all’onere della specificazione delle ragioni dell’impugnazione, non può esaurirsi nel richiamo di principi di diritto, con invito al giudice dell’impugnazione di controllarne
l’osservanza da parte degli arbitri e della corte di appello, né, tanto meno, in una semplice richiesta di revisione delle valutazioni e dei convincimenti in diritto del giudice dell’impugnazione, ma esige, da un lato, un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi secondo cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi ( cfr . Cass. n. 23670 del 2006; Cass. nn. 6028 e 10209 del 2007; Cass. n. 21035 del 2009; Cass. n. 23485 del 2013; Cass. n. 9429 del 2024; Cass. n. 7597 del 2025); dall’altro, l’esposizione di argomentazioni intellegibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, con cui il ricorrente è chiamato a precisare in qual modo se per contrasto con la norma indicata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito ( cfr . Cass. n. 7597 del 2025; Cass. n. 9429 del 2024; Cass. n. 23485 del 2013; Cass. n. 3383 del 2004; Cass. n. 12165 del 2000; Cass. n. 5633 del 1999).
2. Fermo quanto precede, il primo motivo di ricorso denuncia la « Nullità della sentenza per omessa corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. in relazione alla deducibilità, quale motivo di impugnazione del lodo, e comunque alla rilevabilità di ufficio, della nullità della scrittura privata del 2003 ex art. 2744 c.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) ». Premettendo di aver dedotto, con il secondo motivo di impugnazione del lodo, che l’art. 2744 cod. civ. contiene una sanzione di nullità del patto commissorio e che la nullità, come è noto, è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo, si assume che, nella specie, la corte distrettuale avrebbe dovuto rilevare di ufficio la nullità di un tale patto rinvenibile nella scrittura privata suddetta, indipendentemente dalla ammissibilità, o non, del formulato motivo di impugnazione. In particolare, invocandosi la giurisprudenza di questa Corte e quella eurounitaria, che, con riguardo alle nullità ‘consumeristiche’, ha ritenuto rilevabile di ufficio l’abusività e nullità delle clausole, anche se addirittura coperte da giudicato, si sostiene che la preclusione che la corte territoriale legge nelle norme sull’arbitrato , che
preclude alla corte di appello il rilievo, anche di ufficio, di nullità (pure ‘relative’ come quelle consumeristiche) in virtù della tassatività dei motivi di impugnazione del lodo, si pone in contrasto con il richiamato, ormai consolidato orientamento.
2.1. Tale doglianza non merita accoglimento.
Invero, come si è già anticipato, il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale è composto da due fasi: la prima, rescindente, finalizzata all’accertamento di eventuali nullità del lodo e che si può concludere con l’annullamento del medesimo; la seconda, rescissoria, che fa seguito all’annullamento e nel corso della quale il giudice procede alla r icostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte. Nella prima fase non è consentito alla corte d’appello procedere ad accertamenti di fatto, dovendo limitars i al riscontro delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili, come si è detto, solo per determinati errores in procedendo , nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 13604 del 2024; Cass. n. 9387 del 2018; Cass. n. 20880 del 2010).
Nella specie, la corte distrettuale, avendo escluso qualsiasi nullità del lodo, ha limitato il giudizio alla fase rescindente e, quindi, l’odierno sindacato di legittimità è evidentemente limitato ai prospettati vizi della pronuncia per avere escluso detta nullità. Sindacato che, peraltro, non consente di esaminare direttamente il provvedimento degli arbitri, ma impone di valutare solo la pronuncia emessa nel giudizio di impugnazione, allo scopo di verificare se essa sia corretta in relazione ai profili di censura del lodo ( cfr . Cass. n. 13604 del 2024; Cass. n. 25189 del 2017; Cass. n. 10809 del 2015; Cass. n. 10641 del 2004).
2.2. Tanto premesso, la società ricorrente, muovendo dal presupposto che la nullità contrattuale è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, assume che la corte d’appello, pur negando la impugnabilità del lodo in questione anche per la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia (in assenza della specifica prova della corrispondente pattuizione in tal senso delle parti), avrebbe dovuto
« verificare la sussistenza, nel caso di specie, del patto commissorio, avendo il potere di rilevare la nullità anche d’ufficio, indipendentemente dalla ammissibilità o meno del motivo di impugnazione relativo alla violazione della norma di diritto ».
Così opinando, tuttavia, detta società, innanzitutto, mostra di non considerare che, nella sentenza impugnata: i ) non risulta essersi discusso della configurabilità o non, in capo alle parti ivi in lite, della qualifica di consumatore. Orbene, come ripetutamente chiarito da questa Corte ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. nn. 2607, 5038 e 6127 del 2024), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere – nella specie rimasto assolutamente inadempiuto – di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018); ii ) alla pagina 10 della sua motivazione, si è giudicata immune da vizi la conclusione del collegio arbitrale che, « nell’escludere l’interdipendenza funzionale tra l’accordo del 2003, con il quale COGNOME NOME e NOME e la COGNOME COGNOME si erano impegnati a
restituire le somme versate da COGNOME Bruno ed NOME per favorire la chiusura dei richiamati procedimenti concorsuali, ed il contratto preliminare di compravendita immobiliare del 30 marzo 2006, ha ritenuto che quest’ultimo negozio giuridico non potesse costituire una forma di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di pagamento precedentemente assunte dalla legale rappresentante della ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dai suoi familiari e, dunque, un mezzo diretto ad eludere il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 cod. civ., in tal modo pronunciandosi compiutamente sulla domanda di nullità proposta dalla promittente alienante »; iii ) alla successiva pagina 12, si è considerato parimenti non viziato il ragionamento del collegio arbitrale per cui, « non essendo ravvisabile il dedotto collegamento tra l’accordo del 2003, in forza del quale NOME Bruno ed NOME erogarono le risorse finanziarie necessarie alla chiusura dei procedimenti concorsuali pendenti nei confronti della ‘Ma ria NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, dei familiari della Faraone Mennella e delle società ad essi facenti capo, ed il contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006, la promittente alienante, per poter fondatamente eccepire la violazione dell’ar t. 2744 cod. civ., avrebbe dovuto comprovare che tra le parti era intercorsa una nuova operazione di finanziamento e che il negozio giuridico in contestazione era finalizzato a garantirne l’adempimento più che a generare l’obbligo del trasferimento dell’im mobile a fronte del corrispettivo del prezzo ».
2.3. La ricorrente nemmeno considera, poi, la già spiegata natura, affatto peculiare, del giudizio di impugnazione di un lodo arbitrale e, dunque, dell’oggetto della decisione devoluta alla corte d’appello.
Come condivisibilmente osservato dalla difesa dei controricorrenti, infatti, quel giudizio, lungi dal rappresentare un appello che investe il giudice di un nuovo esame della controversia sugli aspetti formanti oggetto di impugnazione, concerne, invece, la sola validità o nullità del lodo arbitrale: proprio per questo, del resto, detto giudizio, a differenza dell’appello, contiene due momenti logicamente distinti e non sovrapponibili: prima, in sede rescindente, la allegazione e dimostrazione di uno o più cause di nullità
tra quelle indicate dall’art. 829 cod. proc. civ., e solo poi, in sede rescissoria, la deduzione delle ragioni di merito che impongano una diversa soluzione della controversia.
È palese, allora, che: i ) se la questione della nullità di un contratto sia stata sollevata già dinanzi agli arbitri, ma questi abbiano omesso di esaminarla oppure l’abbiano decisa in modo inadeguato, allora il lodo sarà impugnabile, nel primo caso, ex art. 829, n. 12, cod. proc. civ. (‘ se il lodo non ha pronunciato su alcune delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato ‘) o, nel secondo caso, per violazione di legge ma solo se tale impugnazione è ammessa dalla legge o prevista dalla convenzione di arbitrato; ii ) se la questione della nullità del contratto, benché non sia stata proposta dinanzi agli arbitri, avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio da questi ultimi, allora il lodo sarà di nuovo impugnabile per violazione di legge, purché tale vizio sia denunciabile quale motivo di impugnazione ex art. 829 cod. proc. civ. alla stregua della convenzione di arbitrato, salvo che sia ammessa direttamente dalla legge ( cfr . sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 14405 del 2022).
Non può essere consentito, invece, alla corte di appello, adita con l’impugnazione del lodo arbitrale, di esercitare essa stessa il potere di rilievo d’ufficio di una pretesa nullità contrattuale non deducibile quale motivo di impugnazione del lodo stesso. Ciò perché il rilievo d’ufficio delle nullità contrattuali, da coordinarsi con il principio della domanda, è esercitabile solo se il giudice dell’impugnazione debba valutare, quale elemento costitutivo dell’azione, la validità del contratto asseritamente nullo. Nel giudizio di impugnazione del lodo, però, l’oggetto della domanda investe non già il contratto bensì il lodo, peraltro nei soli limiti dei motivi prospettati e se effettivamente deducibili ( cfr . Cass. n. 28191 del 2020, a tenore della quale « Nell’impugnativa del lodo arbitrale per nullità, ai sensi degli artt. 828 e ss. c.p.c., la corte di appello non può rilevare d’ufficio motivi non dedotti con l’atto di impugnazione – salvo la nullità del compromesso e della clausola compromissoria – trattandosi di un gravame rigorosamente limitato e vincolato, nell’effetto devolutivo, al giudice che ne è investito, sia in astratto,
dalla tipicità dei vizi deducibili, sia in concreto, da quelli espressamente e specificamente dedotti »).
Resta solo da aggiungere che, come sancito dalla qui condivisa Cass. n. 27615 del 2022, « In tema di impugnazione del lodo per contrarietà all’ordine pubblico, deve escludersi che la decisione arbitrale possa essere impugnata per violazione del divieto del patto commissorio, poiché il disposto dell’art. 2744 c.c., pur trattandosi di una norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell’ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente, tant’è che lo stesso legislatore ha previsto casi in cui tale divieto non si applica ex art. 6 del d.lgs. n. 170 del 2004 ». Principio, questo, ribadito anche dalla più recente Cass. n. 8718 del 2024, che ha puntualizzato pure che « il rimando alla clausola dell’ordine pubblico da parte dell’articolo 829 c.p.c. deve essere interpretato come rinvio alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento, escludendosi in radice una nozione ‘attenuata’ di ordine pubblico (Cass., n. 21850 del 2020, cit.; in tal senso anche Cass., sez. 1, 16 maggio 2022, n. 1561 9), che coincide, invece, con l’insieme delle norme imperative dell’ordinamento (il c.d. ordine pubblico interno, nozione utilizzata nella dimensione internazionalprivatistica per indicare le norme di applicazione necessaria che imponendo l’applicazione de l diritto nazionale operano come limite al riconoscimento del diritto straniero, cfr. Cass., n. 27592 del 2006). Si è anche osservato che il legislatore del 2006, nell’invertire il rapporto tra regola ed eccezione per l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, ha voluto rafforzare la stabilità del lodo estendendo all’arbitrato interno una regola prevista in campo transnazionale, ove l’ordine pubblico è da sempre identificato con le norme e i princip i dell’ordinamento. Del resto, l’assunto che l’imperatività della norma non coincida con l’ordine pubblico trova, poi, una conferma nella distinzione – asserita da questa Corte – tra indisponibilità del diritto, che costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria, ed inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, rimanendo, viceversa, tenuti gli
arbitri ad applicare la normativa cogente in materia prevista (Cass., 16 aprile 2018, n. 9344; Cass., 27 febbraio 2004, n. 3975) ».
2.4. Calando tali principi nella fattispecie in esame, ne consegue che il lodo arbitrale certamente aveva esaminato e deciso la questione, sollevata dalla odierna ricorrente, concernente l’asserita nullità contrattuale, ma tale decisione non era passibile di impugnazione ai sensi dell’art. 829, comma 3, cod. proc. civ., stante la mancata corrispondente espressa previsione nella convenzione di arbitrato.
Il secondo motivo di ricorso, recante « Violazione e falsa applicazione degli artt. 2744 e 1418 c.c., in relazione all’art. 829, co. 3, c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) », contesta alla corte distrettuale di non avere rilevato, anche nell’esercizio dei propri poteri officiosi, la nullità della scrittura privata del marzo 2006, in quanto contenente un patto commissorio.
3.1. Questa doglianza, per come concretamente argomentata, si rivela essere rivolta, non già contro la sentenza della corte distrettuale, con i cui assunti sul punto nemmeno specificamente si confronta, ma contro il lodo arbitrale in relazione all’interpre tazione da esso fornita alla scrittura privata del 30 marzo 2006.
Essa, dunque, da un lato, mostra di non tenere conto che, come ribadito da Cass. n. 3260 del 2022 ( cfr . pag. 8-9 della sua motivazione), « la decisione della Corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge in tema d’interpretazione dei contratti può essere censurata con ricorso per cassazione per vizi propri della sentenza medesima e non per vizi del lodo, spettando al giudice di legittimità verificare soltanto che la Corte d’appello abbia esaminato la questione interpretativa e abbia dato motivazione adeguata e corretta della soluzione adottata (Cass. 15086/2012) ». Dall’altro, risulta carente del requisito di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito, tra le più recenti, da Cass. n. 26871 del 2024 ( cfr . pag. 11-12 della motivazione), da Cass. n. 35012 del 2024 ( cfr . pag. 9-10 della motivazione), da Cass. n. 3284 del 2025 ( cfr . pag. 13-15 della motivazione) e da Cass. n. 8669 del 2025 ( cfr . pag. 22-23 della motivazione), « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma
1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
3.2. Il rigetto di questa censura, comunque, può agevolmente fondarsi sui medesimi principi già esposti nel motivo precedente, da intendersi qui riprodotti.
Il terzo motivo di ricorso, rubricato « Violazione di legge, per quanto ammessa dall’art. 829, comma 3, c.p.c., in relazione all’art. 2744, c.c. », assume che « L’interpretazione fornita dalla Corte territoriale dell’art. 829, comma 3, c.p.c., nel senso di escludere l’impugnabilità del lodo per motivi di diritto, non si ritiene comunque fondata, anche alla luce dei principi costituzionali e della CEDU ».
4.1. Una tale doglianza -pure volendosene sottacere l’assoluta genericità -non merita accoglimento.
Invero, la scrittura privata al cui interno è contenuta ( cfr . art. 10) la clausola compromissoria in forza della quale è stato intrapreso il giudizio innanzi agli arbitri culminato nel lodo successivamente impugnato, risulta essere datata 30 marzo 2006. La stessa, dunque, è successiva all’entrata in vigore (risalente al 2 marzo 2006) del d.lgs. n. 40/2006, il cui art. 24, riformu lando l’art. 829 cod. proc. civ., ha previsto, al comma 3 di quest’ultimo, che ‘ L’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico ‘. Norma, questa , che si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 del medesimo d.lgs., a tutti i giudizi arbitrali promossi (come quello di cui qui si discute) dopo l’entrata in vigore della novella ( cfr . Cass., SU, n. 9284 del 2016; Cass. n. 17339 del 2017). È innegabile, quindi (la relativa questione, peraltro, è rimasta incontroversa), che, nell’odierna vicenda, non era ammissibile l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, stante la mancata corrispondente espressa previsione nell’art. 10 della suddetta scrittura privata.
4.2. Fermo quanto precede, è opportuno ricordare che, nel codice di procedura civile del 1865, la ‘ sentenza degli arbitri ‘ era censurabile con appello, revocazione ed impugnazione per nullità con riferimento a vizi di cui all’articolo 32.
Il codice di rito del 1940 escluse l’esperibilità dell’appello, lasciando la possibilità di impugnare il lodo per nullità ma con riferimento a sette tipologie
di vizi contemplate nell’art. 829 cod. proc. civ. In particolare, il detto art. 829 ripropose, sostanzialmente, i vizi di cui all’art. 32 cod. proc. civ. del 1865 ed introdusse la possibilità dell’impugnazione, per nullità, per errores in iudicando .
La legge n. 28 del 9 febbraio 1983, di riforma dell’arbitrato, apportò una variazione al motivo di cui all’art. 829, comma 1, n. 5, mentre la legge n. 25 del 5 gennaio 1994, sempre di riforma dell’arbitrato, aggiunse due nuovi motivi di impugnazione per nullità per errores in procedendo (i nn. 8 e 9).
La legge delega per l’ulteriore riforma della disciplina codicistica dell’arbitrato, cioè la legge n. 80 del 14 maggio 2005, sempre con riferimento all’impugnazione del lodo, tra i criteri direttivi dettati al legislatore delegato, contemplò, all’art. 1, comma 3, lett. b), quello di ‘ riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato ‘ prevedendo, tra l’altro, ‘ una razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione per nullità secondo ‘ principi dalla stessa legge delega dettati ed in particolare ‘ subordinare la controllabilità del lodo ai sensi del secondo comma dell’art. 829, comma 2, c.p.c. alla esplicita previsione delle parti, salva diversa previsione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, e discip linare il procedimento, prevedendo le ipotesi di pronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione per nullità ‘.
Il d.lgs. n. 40 del 2 febbraio del 2006, quindi, in attuazione delle delega di cui innanzi, modificò alcuni motivi di impugnazione per nullità del lodo per errores in procedendo , di cui al nuovo art. 829, comma 1, cod. proc. civ., ne introdusse altri e subordinò, con l’art. 829, comma 3, cod. proc. civ., l’impugnazione del lodo per errores in iudicando all’espressa volontà delle parti, oltre che a specifica previsione di legge, invertendo così il rapporto tra regola ed eccezione rispetto alla norma prevista dal previgente art. 829, comma 2, cod. proc. civ.
Il legislatore della riforma del 2006, dunque, in punto di impugnabilità per errores in iudicando , si rifece, sostanzialmente, alla disciplina dell’impugnabilità del lodo internazionale, di cui all’articolo 838 cod. proc. civ.,
come introdotto dall’art. 24 della legge n. 25 del 1994 e successivamente abrogato dall’art. 28 del d.lgs. n. 40 del 2006. La scelta legislativa, sempre in attuazione delle delega, mirava così ad uniformare la disciplina dell’impugnazione delle nullità in questione e conferire maggiore stabilità al lodo rituale e, conseguentemente, a garantire maggiore impulso all’arbitrato quale forma, giurisdizionale, di risoluzione delle controversie e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.
Ulteriore conferma che l’ordinamento, con la riforma del 2006, intese muoversi nel senso del ‘ favore per la stabilità del lodo ‘ deriva dall’inserimento nel riformato art. 829, comma 2, cod. proc. civ. di una ‘ clausola generale di sanatoria ‘ dei vizi processuali del giudizio arbitrale e, quindi, del lodo, che non ne consente l’impugnazione alla parte che non abbia eccepito, nella prima istanza o difesa successiva, la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del detto procedimento. Con la detta ‘ clausola generale ‘ deve coordinarsi, invero, il principio dell’irrinunciabilità preventiva all’impugnazione per nullità per errores in procedendo , di cui al comma 1 del citato art. 829, il quale, anche dopo la riforma del 2006, continua a contemplarla.
Né appare in controtendenza con la detta ratio ispiratrice anche della riforma del 2006 l’aumento dei motivi di impugnazione per nullità, portati da nove a dodici, tassativamente elencati nel riformato art. 829, comma 1, cod. proc. civ. Esso, infatti, può essere considerato aumento solo formale in quanto non dipendente da aggiunte di sostanza ma da una razionalizzazione degli errores in procedendo , in attuazione di una delle direttive del legislatore delegante, mediante segmentazione in più motivi di fattispecie che prima erano raggruppate all’interno di un solo motivo.
Dall’evidenziata evoluzione normativa, a partire dal codice di rito del 1865, emerge, allora, l’esigenza sottesa alle varie modifiche della disciplina dell’arbitrato rituale, fatta propria anche dal legislatore delegante del 2005 e dal delegato del 2006, di conferire maggiore stabilità al lodo rituale, rispetto alle sentenze dei giudici ordinari, con conseguente maggiore appetibilità dell’arbitrato, anche da parte di soggetti esteri, essendo il lodo non soggetto
a censura con appello, quale mezzo ordinario di impugnazione a critica libera, ed in ragione delle nuove limitazioni all’impugnazione per nullità. Lo scopo ultimo può dunque ritenersi essere stato quello di assicurare il massimo ricorso a tale strumento giurisdizionale di definizione delle controversie, quale alternativa al ricorso alla giustizia ordinaria, valida, celere e credibile, tanto da concorrere ad attuare il principio costituzionale e ‘convenzionale’ della ragionevole durata del processo ordinario, che ne verrebbe deflazionato.
4.3. Da tutto quanto fin qui esposto deriva, pertanto, l’infondatezza della censura in esame posto che, come si è visto, lodi arbitrali non impugnabili per violazione di legge sono sempre esistiti (prima e dopo la riforma del 2006), essendo già previsto, ante riforma del 2006, che le parti stipulanti il compromesso o la clausola compromissoria potessero prevedere che il lodo fosse non impugnabile, per violazione di legge, o per espressa convenzione o perché gli arbitri erano incaricati di decidere secondo equità, né mai si è prospettato, allora, un qualsivoglia vulnus ai principi costituzionali e della CEDU ogni volta che il lodo arbitrale fosse stato non impugnabile, appunto, per violazione di legge.
Del resto, il presupposto della costituzionalità dell’arbitrato è costituito dalla scelta delle parti di ricorrervi per la soluzione di una controversia tra loro insorta o insorgenda. In altri termini, l’autonomia privata, tutelata dalla Costituzione al pari del diritto di azione, del diritto di difesa e della statualità ed unitarietà della giurisdizione, si estrinseca mediante atti dispositivi; questi ultimi possono riguardare non soltanto direttamente le posizioni giuridiche soggettive di natura sostanziale, ma anche il diritto di azionare le pretese in giudizio. Pertanto, la scelta delle parti di compromettere controversie in arbitri consegue, evidentemente, ad una preventiva valutazione che le stesse parti effettuano o hanno effettuato privilegiando uno strumento di risoluzione delle controversie da loro ritenuto preferibile alla giurisdizione statale, accettandone la relativa regolamentazione.
Va rilevato, inoltre, -sulla scorta di quanto osservato da attenta dottrina processualcivilistica -che il principio di effettività della tutela giurisdizionale è ” corredato, oltre che da un antecedente logico, il diritto di accesso ad un
giudice, da un profilo successivo, quello per cui la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione: il che postula, astrattamente, una coincidenza di prospettive tra effettività della tutela ed efficienza della giurisdizione, quando invece le due istanze possono entrare in contrasto “. La complessiva disciplina codicistica relativa alle specifiche ipotesi di impugnazione del lodo rituale risponde, dunque, alla necessità di realizzare un contemperamento tra tali esigenze.
In definitiva, quella oggi invocata dalla società ricorrente, lungi dal poter configurare, eventualmente, una interpretazione estensiva del riformato art. 829, comma 3, cod. proc. civ., si rivela essere, in sostanza, una richiesta di riscrittura della norma.
4.4. Quanto, infine, alla parte residua della censura in esame, non può che ribadirsi quanto si è già ampiamente detto scrutinandosi i precedenti motivi in relazione alla non impugnabilità, nella specie, del lodo, ai sensi dell’art. 829, comma 3, cod. proc . civ., stante la mancata corrispondente espressa previsione nella clausola compromissoria rinvenibile nell’art. 10 della scrittura privata del 30 marzo 2006.
Il quarto motivo di ricorso prospetta la « Violazione dell’art. 829, comma 1, n. 12, c.p.c., non avendo la sentenza pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato, in relazione alla determinazione delle condizioni del riscatto (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), o, comunque, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti sempre in relazione alla determinazione delle condizioni del riscatto (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ». Assume la ricorrente che, « A fronte delle domande e delle eccezioni formulate sul punto dalle parti, il Collegio nel lodo impugnato di fatto nulla decide, e non determina in alcun modo le modalità del riscatto, rinviando semplicemente alla norma di legge ed al termine contrattualmente stabilito, e la Corte territoriale si allinea a tale decisione, ritenendo erroneamente che la questione relativa alla determinazione delle modalità del riscatto non fosse oggetto della domanda arbitrale. Con questo il Collegio e la Corte territoriale rendono una decisione in buona parte inutile,
costringendo le parti ad un nuovo giudizio, che inevitabilmente insorgerà quando in concreto, eventualmente con il passaggio in giudicato del lodo, fosse possibile esercitare il diritto di riscatto, data la contestazione tra le parti tra l’importo effettiv amente versato, assumendone parte resistente la restituzione totale o parziale. Nelle ‘modalità’ da determinare, era evidentemente richiesto non un inutile rinvio alle previsioni di legge e del contratto, ma l’accertamento della parte del prezzo effettivam ente versata, come si è visto oggetto di contestazione tra le parti. Inoltre, per il profilo che più direttamente riguarda il presente ricorso la Corte territoriale, nel condividere l’inerzia del Collegio arbitrale, e non pronunciandosi sulla domanda di determinazione delle condizioni del riscatto, pur essendo la stessa oggetto delle domande e delle eccezioni delle parti, viola, nei termini sopra precisati, l’art. 829, comma 1, n. 12, c.p.c., con vizio deducibile nei termini della omessa corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.), come noto motivo di nullità della s entenza a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ». In subordine, si afferma sussistere « comunque il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (la determinazione delle condizioni del riscatto). L’impugnata sentenza, infatti, dà per certo un fatto (la mancanza di ogni domanda o richiesta delle parti in relazione alla determinazione delle modalità del riscatto), che è inequivocabilmente escluso dagli atti di causa ».
5.1. Anche questa doglianza non merita accoglimento.
Essa, invero, per come concretamente argomentata, sostanzialmente traduce in motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte distrettuale il già descritto ( cfr . § 1.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) quarto motivo di impugnazione per nullità del lodo. Tanto sul presupposto che detta corte avrebbe ‘condiviso’ la decisione arbitrale, così incorrendo, a sua volta, in un vizio di omessa pronuncia ( ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) o di omesso esame di un fatto decisivo ( ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.).
Dalla sentenza impugnata, tuttavia, emerge chiaramente ( cfr . pag. 12 e ss.) che il lodo aveva preso espressamente posizione anche su questo tema
e che, successivamente, la corte distrettuale ha ritenuto il relativo motivo di impugnazione del lodo innanzi ad essa formulato « destituito di fondamento ». Ha spiegato la corte, infatti, che, « con riferimento al prezzo versato dal promittente acquirente, il collegio arbitrale, ancor prima di soffermarsi sul diritto di riscatto invocato dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, ha espressamente affermato che la contestazione con la quale ‘la promittente venditrice ha … negato il pagamento dell’acconto d educendo che il primo bonifico sarebbe stato fatto a soggetto non legittimato a riceverlo (la signora NOME COGNOME) e che il secondo sarebbe stato stornato per intestazione errata’ risulta ‘priva di pregio’, in tal modo reputando dimostrato il pagamento d ella somma di euro 170.000,00 quale parte del corrispettivo stabilito nel contratto preliminare del 30 marzo 2006 per il trasferimento dell’immobile censito nel catasto terreni del Comune di Pagani al foglio 8, particella 8, subalterno 5, e non accogliendo l’eccezione sollevata dalla promittente alienante in ordine all’intervenuta restituzione parziale del predetto importo ».
La corte d’appello, dunque, ha opinato che non sussisteva alcuna omessa pronuncia, proprio segnalando dove e come il lodo si era espresso sul punto. È evidente, quindi, per ciò solo, che nemmeno appare configurabile l’omissione di pronuncia oggi ascrittale dalla ricorrente.
Il quinto motivo di ricorso, rubricato « Violazione di legge per quanto ammessa dall’art. 829, comma 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2721 e 2724 c.c., 61 e 191 c.p.c., sull’ammissibilità e rilevanza dei mezzi istruttori », contesta alla corte d’appello di avere ritenuto, erroneamente, non censurabile a mezzo del vizio di omessa pronuncia la decisione arbitrale relativa all’ammissibilità dei mezzi istruttori.
6.1. Questa doglianza si rivela complessivamente inammissibile.
Invero, nella sentenza impugnata si legge ( cfr . pag. 13) che, « Quanto alle istanze istruttorie, pur a prescindere dal rilievo che il vizio di omessa pronuncia è configurabile con esclusivo riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto e, dunque, con riguardo alla decisione di merito, ma non in relazione alle predette richieste, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del
vizio di motivazione (cfr., ex plurimis , Cass. 11 febbraio 2009, n. 3357; Cass. 18 marzo 2013, n. 6715; Cass. ord. 20 ottobre 2017, n. 24830), gli arbitri non hanno ammesso la prova testimoniale articolata dalla ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE per dimostrare l’asserita restituzione a COGNOME NOME di parte delle somme ricevute in forza del contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 2006, in ragione, tra l’altro, della sua irrilevanza ‘al fine della decisione, atteso che non è stato richiesto al Collegio di determinare l’ammontare del saldo’, sicché, anche in tal caso, si sono inequivocabilmente pronunciati » inammissibile e comunque infondato.
È palese, dunque, in un siffatto argomentare, l’esistenza di due rationes decidendi , ciascuna sufficiente, da sola, a sostenere il rigetto di quel motivo di impugnazione del lodo: da un lato, il rilievo che l’omissione di pronuncia riguarda esclusivamente domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto e, dunque, una decisione di merito, non anche le richieste istruttorie, in relazione alle quali, invece, l’omessa statuizione su di esse è denunciabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione; dall’altro, l’affermazione che gli arbitri, in realtà, si erano pronunciati sul punto (così dovendosi escludere qualsivoglia omessa statuizione), non ammettendo la prova testimoniale articolata per dimostrare l’asserita re stituzione a NOME COGNOME di parte delle somme ricevute in forza del contratto preliminare di compravendita stante, tra l’altro, la sua irrilevanza ai fini della decisione, non essendo stato richiesto ad essi di determinare l’ammontare del saldo.
La correttezza della prima di tali rationes decidendi , assolutamente coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte ( cfr., ex multis , Cass. n. 18545 del 2020, in motivazione; Cass. n. 24830 del 2017), consente l’applicazione del principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa o inefficace impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non
impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 4067 del 2024; Cass. n. 26801 del 2023; Cass. n. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).
Ciò non senza rimarcare -esclusivamente per esigenze di completezza -quanto alla descritta, seconda ratio decidendi che la società ricorrente, lungi dal confutarla specificamente, sostituisce alla corrispondente questione (l’esistenza, o non, di una omessa pronuncia) un altro e diverso tema che investe, sostanzialmente, la condivisibilità, o meno, della decisione adottata dagli arbitri su quelle istanze istruttorie. In altri termini, si intende contestare il contenuto e la giustificazione della pronunzia adottata dagli arbitri, il che rende comunque il motivo inammissibile, atteso che, come si è ampiamente spiegato rigettandosi il primo motivo, a questa Corte non è consentito di esaminare direttamente il provvedimento degli arbitri, spettandole di valutare solo la pronuncia emessa nel giudizio di impugnazione, allo scopo di verificare se essa sia corretta in relazione ai profili di censura del lodo ( cfr . Cass. n. 13604 del 2024; Cass. n. 25189 del 2017; Cass. n. 10809 del 2015; Cass. n. 10641 del 2004).
7. In conclusione, dunque, il ricorso di ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità, stante il principio di soccombenza, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la
debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di ‘NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi parte controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato p ari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile