Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25875 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21399/2024 R.G. proposto da :
L’RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 645/2024
depositata il 04/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- La società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), in qualità di conduttrice, e RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), società di gestione del RAGIONE_SOCIALE, in qualità di locatrice, hanno stipulato in data 17 ottobre 2008 un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile sito in Roncello (MB). Alla fine dell’anno 2014 la proprietà dell’immobile è stata trasferita dal Fondo RAGIONE_SOCIALE al Fondo RAGIONE_SOCIALE, gestito da BNP Paribas Real Estate Investment Management Italy SGR S.p.A. (a seguire solo BNP); il 1° luglio 2022 RAGIONE_SOCIALE è subentrata a BNP nella gestione di Fondo RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso in data 10.03.2017, RAGIONE_SOCIALE ha promosso un primo giudizio arbitrale contro Accademia e BNP avente ad oggetto l’accertamento di vizi dell’immobile locato. Tale primo giudizio arbitrale è stato definito con lodo del 14.9.2018 dall’Arbitro unico COGNOME (di seguito NOME COGNOME), il quale ha respinto la domanda di RAGIONE_SOCIALE di risoluzione del contratto per inadempimento della parte locatrice derivante dalla presenza di vizi nell’immobile locato, ma ha condannato le convenute al risarcimento dei danni. La Corte d’Appello di Milano ha, tuttavia, annullato il lodo ed accolto la domanda di risoluzione del contratto a far data dal 1.10.2015 con
sentenza n. 2826/20 (poi cassata con rinvio da questa Corte con ordinanza n. 34565/22).
2.1Nelle more del giudizio d’appello del lodo COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, ha promosso in data 25.03.2019 un nuovo giudizio arbitrale chiedendo, in via principale, la risoluzione del medesimo contratto di locazione per inadempimento e/o per il risarcimento del danno, addebitando a parte locatrice le seguenti condotte: a) aver rifiutato di dare il consenso alla sublocazione dell’immobile; b) aver rifiutato di provvedere, e aver negato il consenso a che RAGIONE_SOCIALE provvedesse autonomamente, alla realizzazione di opere straordinarie, che si rivelavano necessarie per poter sublocare l’immobile essendo volte a rimediare ai vizi strutturali dell’immobile oggetto del precedente arbitrato. In via subordinata la conduttrice ha chiesto all’arbitro l’accertamento della legittimità del recesso per gravi motivi e, in ulteriore subordine, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. BNP, costituitasi nel procedimento arbitrale, ha chiesto il rigetto delle domande di controparte e, in via riconvenzionale, la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei canoni scaduti dal 15 settembre 2018 sino al deposito del lodo arbitrale, oltre alla condanna di RAGIONE_SOCIALE ex art. 96 c.p.c.
Prima della pronuncia di questo secondo lodo, RAGIONE_SOCIALE ha depositato una istanza di sospensione del procedimento arbitrale riferendo che il 19 ottobre 2020 era stata pubblicata la citata sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2826/2020, che aveva definito il giudizio di impugnazione del primo lodo, il c.d. lodo COGNOME dichiarando la risoluzione del contratto. L’istanza di sospensione non è stata accolta, in quanto l’arbitrato ha ritenuto dovesse applicarsi l’art. 819 bis , secondo comma, c.p.c., il quale rinvia al secondo comma dell’articolo 337 c.p.c., che prevede un’ipotesi di sospensione non necessaria, ma facoltativa, cui non ha inteso far ricorso.
2.2- Il secondo procedimento arbitrale è stato definito con il lodo pronunciato in data 29.9.2021 dall’Arbitro NOME COGNOME (di seguito lodo COGNOME), che ha così deciso:
« 1. Respinge l’istanza di sospensione di RAGIONE_SOCIALE; 2. Respinge la domanda di RAGIONE_SOCIALE di uniformarsi alla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020 e di dichiarare la risoluzione del contratto di locazione a far tempo dal 1° ottobre 2015;3. Sul presupposto della intervenuta risoluzione del contratto a far tempo dal 1° ottobre 2015, così come dichiarata dalla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020, respinge le domande di risoluzione per inadempimento e risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE fondate sul rifiuto di BNP di dare il suo consenso alla sublocazione e sugli altri fatti allegati da RAGIONE_SOCIALE nel presente procedimento 4. Dichiara la litispendenza con il giudizio attualmente pendente in Cassazione avente a oggetto l’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020 (…) – relativamente alla domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE fondata sui vizi strutturali, nonché relativamente alla domanda di RAGIONE_SOCIALE di condanna di BNP alla restituzione dei canoni pagati successivamente alla risoluzione dichiarata dalla medesima Corte d’Appello; 5. Sul presupposto della intervenuta risoluzione del contratto a far tempo dal 1° ottobre 2015, così come dichiarata dalla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020, respinge la domanda di accertamento della legittimità di recesso per gravi motivi di RAGIONE_SOCIALE; 6. Sul presupposto della intervenuta risoluzione del contratto a far tempo dal 1° ottobre 2015, così come dichiarata dalla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020, respinge la domanda di RAGIONE_SOCIALE di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; 7. Dichiara la litispendenza con il giudizio attualmente pendente in Cassazione avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020 (…), relativamente alle domande di BNP di pagamento dei canoni o delle indennità di
occupazione sino al 16 dicembre 2020; 8. Sul presupposto della intervenuta risoluzione del contratto a far tempo dal 1° ottobre 2015, così come dichiarata dalla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020, respinge la domanda di BNP di danni per anticipata riconsegna dell’immobile; 9. Respinge la domanda di BNP di condanna di RAGIONE_SOCIALE ex art. 96 c.p.c.; 10. Respinge ogni altra domanda delle parti; 11. Dichiara, in ragione della rispettiva soccombenza, integralmente compensate le spese di difesa e pone a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna, le spese del procedimento arbitrale nell’entità determinata dal Consiglio arbitrale (…) ».
A supporto di detto dispositivo l’Arbitro, in sintesi, ha ritenuto:
a) di non avvalersi della facoltà di sospendere il procedimento osservando, quanto al rapporto tra la sentenza della Corte d’Appello e alcune domande svolte nel giudizio arbitrale, che: (i) « se il contratto, come stabilisce la Corte d’Appello si è già risolto, una ulteriore richiesta di risoluzione per pretesi comportamenti inadempimenti diversi, ulteriori e successivi alla condotta inadempiente che ha già dato luogo alla risoluzione dello stesso contratto, o la richiesta di recesso per eventi successivi alla risoluzione già intervenuta, non possono che essere respinte »; infatti nel caso di passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello « la decisione dello scrivente arbitro, nella parte in cui si fonda sul dictum della Corte d’Appello, non verrebbe certamente inficiata »; (ii) laddove, poi, la sentenza della Corte d’Appello fosse riformata in punto di risoluzione, non sarebbe mutata la conclusione assunta dal secondo arbitro di rigetto della nuova domanda di risoluzione, fondata sul fatto che non poteva ritenersi che il rifiuto di consentire la sublocazione fosse contrario a buona fede e che fosse idoneo a giustificare la risoluzione del contratto, posto che nella clausola 9.1 del contratto era stato concordato un divieto di sublocazione senza il consenso del locatore, il cui rifiuto
non poteva, quindi, considerarsi abusivo per il che, anche in tale ipotesi, non aveva senso procedere alla sospensione del giudizio;
quanto alla domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE basata sul rifiuto alla sublocazione e sulla mancata autorizzazione all’esecuzione di opere finalizzate a permettere la sublocazione, l’ha respinta in quanto domanda incompatibile con la risoluzione del contratto come dichiarata dalla Corte d’appello; mentre, per il caso la si considerasse come avulsa dal rifiuto alla sublocazione e collegata invece ai vizi strutturali dell’immobile, ha dichiarato la litispendenza essendo stato il risarcimento del danno per i vizi strutturali dell’immobile locato oggetto di domanda di RAGIONE_SOCIALE nel primo arbitrato, reiterata in sede di impugnazione del lodo davanti alla Corte d’Appello, e quindi questione oggetto di sindacato in Cassazione per effetto del ricorso incidentale di BNP;
quanto alla domanda di restituzione dei canoni formulata da K-Flex, interpretata come richiesta di restituzione dei canoni successivi alla risoluzione dichiarata dalla Corte d’Appello, ha ritenuto che non potesse essere esaminata per litispendenza, in quanto già formulata da K-Flex nel giudizio di appello avente ad oggetto l’impugnazione del precedente lodo, al pari delle contrapposte domande di BNP di condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei canoni o dell’indennità di occupazione sino alla riconsegna dell’immobile;
infine, sul presupposto della intervenuta risoluzione del contratto a far tempo dal 1° ottobre 2015, così come dichiarata dalla sentenza di Corte d’Appello ha respinto la domanda di recesso
dal contratto di locazione e la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta come anche la domanda di BNP, di risarcimento del danno da anticipata riconsegna dell’immobile (danno individuato da BNP nei canoni maturati successivamente alla riconsegna stessa fino alla naturale scadenza del contratto di locazione fissata dall’art. 5.1. del contratto stesso al 31 dicembre 2021).
Il secondo lodo – c.d. lodo COGNOME – è stato impugnato davanti alla Corte d’Appello di Milano da RAGIONE_SOCIALE che ha evocato in giudizio anche RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione del Fondo Comune di Investimento RAGIONE_SOCIALE subentrata a BNP.
Alter RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il rigetto dell’impugnazione formulando impugnazione incidentale in relazione ai capi del lodo di rigetto delle proprie domande. Ha, inoltre, dato atto che nelle more la Suprema Corte si era pronunciata cassando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato la risoluzione con contratto annullando dal primo lodo, c.d. Lodo COGNOME.
BNP ha chiesto di essere estromessa eccependo il proprio difetto di legittimazione; in subordine ha chiesto il rigetto dell’impugnazione avversaria.
4.1La Corte territoriale ha respinto l’appello contro il c.d. lodo COGNOME osservando, in via preliminare:
che non ricorrevano i presupposti per la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. invocata da RAGIONE_SOCIALE in attesa della definizione del giudizio di rinvio instaurato a seguito della cassazione della sentenza sull’impugnazione del c.d. lodo COGNOME, non essendovi tra i due giudizi rapporto di pregiudizialitàdipendenza: invero nel suddetto giudizio di rinvio la Corte d’appello doveva decidere se il lodo COGNOME – che aveva respinto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento fondata
sui vizi dell’immobile – doveva essere o meno annullato, e, in caso affermativo, decidere nel merito di tale domanda: decisione che non costituiva presupposto logico giuridico di quella da assumere nel presente giudizio nel quale, invece, nella fase rescindente, andava deciso se il lodo COGNOME era affetto dagli specifici vizi di nullità denunciati, e, nell’eventuale fase rescissoria, doveva esaminarsi il merito delle domande svolte che attenevano, per espressa ammissione di RAGIONE_SOCIALE, a vicende diverse da quelle esaminate nel primo giudizio arbitrale (rifiuto di consentire la sublocazione e l’esecuzione da parte della conduttrice di opere funzionali alla sublocazione);
b) che neppure ricorrevano i presupposti per una eventuale sospensione facoltativa ex art. 337 c.p.c. poiché non v’era, allo stato, alcuna sentenza di merito impugnata di cui potesse essere invocata l’autorità.
Nel merito dei motivi di impugnazione articolati da RAGIONE_SOCIALE con riguardo al Lodo COGNOME ha osservato:
che era inammissibile il nuovo motivo di gravame introdotto da KFlex in sede di precisazione delle conclusioni ove, riformulando le proprie domande, aveva proposto « in via rescindente subordinata » quei motivi di impugnazione che nell’atto introduttivo erano stati formulati in via principale; mentre « in via rescindente principale » aveva introdotto la nuova domanda di « caducazione dei capi da 1 a 6 del lodo » ai sensi dell’art. 336, 2 co. c.p.c., deducendo che « l’intervenuta cassazione della sentenza n. 2628/2020 ha delle evidenti conseguenze rispetto al presente procedimento posto che il lodo arbitrale oggetto del presente giudizio di impugnazione è a tutti gli effetti un provvedimento dipendente, ai sensi dell’art. 336 2° comma cpc, dalla sentenza cassata essendo stato reso sul presupposto dell’intervenuta risoluzione del contratto di locazione sancita dalla medesima »;
d) detta nuova domanda era inammissibile, poiché conteneva una censura alla decisione dell’arbitro COGNOME di rigetto delle domande sul presupposto logico della già dichiarata risoluzione da parte della Corte d’Appello che poteva e doveva essere contestata, nei limiti consentiti dall’art. 829 c.p.c., con l’atto di impugnazione del lodo; in altre parole K- Flex avrebbe dovuto dolersi sin dal principio in via principale del fatto che le domande proposte all’arbitro COGNOME (sulla base di una diversa causa petendi ) erano state respinte sulla base del presupposto logico della già pronunciata risoluzione del medesimo contratto da parte della Corte d’appello in sede di giudizio rescissorio sul lodo COGNOME; in mancanza, RAGIONE_SOCIALE non poteva invocarne l’annullamento in principalità ex post, per effetto della cassazione con rinvio di quella decisione di risoluzione, e ciò perché detta cassazione con rinvio faceva solo venire meno un presupposto logico giuridico assunto come ipotetico, ma non incideva sull’erroneità o meno del relativo ragionamento decisorio, che non era stata contestata: in altre parole toglieva di mezzo il presupposto della decisione senza per questo mutare i criteri di valutazione della sua correttezza o meno sul piano giuridico, che RAGIONE_SOCIALE non aveva tempestivamente contestato; ed, invero, a sostegno di tale nuovo motivo di riforma non veniva indicato alcun vizio rescindente fra quelli previsti dall’art. 829 c.p.c.
Quanto ai motivi di impugnazione in via rescindente riformulati in via subordinata ha osservato che:
e) l’impugnazione del lodo per nullità, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., ha carattere di impugnazione limitata, ammessa solo per determinati vizi in procedendo e per inosservanza di regole di diritto esclusivamente nei limiti di cui alla norma citata; sicché l’impugnazione per nullità non dà luogo ad un giudizio di appello che autorizzi in ogni caso il giudice dell’impugnazione a riesaminare nel merito la decisione degli arbitri, ma consente soltanto il
cosiddetto iudicium rescindens , consistente nell’accertare se sussista o non sussista taluna delle nullità previste dalla norma citata, come conseguenza di errori in procedendo o in iudicando (v. Cass. 9387/18); solo in ipotesi di giudizio rescindente conclusosi con l’accertamento della nullità del lodo è possibile, a norma dell’art. 830 c.p.c., il riesame di merito della pronuncia arbitrale, che forma, quindi, oggetto dell’eventuale successivo iudicium rescissorium;
f) in relazione, dunque, ai vizi rescindenti denunciati, ha poi osservato che la nullità del lodo per mancanza di motivazione può essere dichiarata, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, solo in presenza di una carenza della motivazione tale da integrarne una sostanziale inesistenza, cioè allorché sussista una « impossibilità assoluta di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale » (v. ad es. Cass. 3768/06); e che la «contraddizione» della motivazione, analogamente, determina nullità del lodo non nel caso di mera contraddittorietà tra i vari punti della motivazione o di insufficienza della stessa, ma soltanto quando sussista contraddizione tra le varie statuizioni del dispositivo, oppure una contraddizione tra motivazione e dispositivo che si traduca nell’impossibilità di comprendere la ratio decidendi [v. Cass. 2747/21 « La sanzione di nullità prevista dall’art. 829, comma 1, n. 4 (nella formulazione attuale n. 11 n.d.e.) c.p.c. per il lodo contenente disposizioni contraddittorie non corrisponde a quella dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma va intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini l’impossibilità
assoluta di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale »];
in applicazione di detti principi, ha rilevato che nel lodo impugnato non si ravvisava alcun vizio di motivazione, né sotto il profilo della carenza né sotto il profilo della contraddizione rilevante della motivazione ai fini della nullità; ed in particolare:
(g.1) sul primo motivo ha osservato che l’arbitro aveva pienamente e chiaramente motivato il rigetto della sospensione della decisione nelle more del giudizio di cassazione sul lodo COGNOME, ritenendo che l’unica ipotesi di sospensione applicabile in astratto quella di cui al secondo comma dell’art. 337 c.p.c. non lo fosse in concreto, poiché le domande delle parti risultavano destinate al rigetto « sia adeguandosi al disposto della sentenza della Corte d’Appello, sia nell’astratta ipotesi opposta di escludere che la risoluzione del contratto di locazione sia già intervenuta (a far tempo dal 1.10.2015) »; iter logico che non manifestava alcuna contraddizione né carenza di motivazione;
(g.2) sul secondo motivo, ha osservato:
-che l’Arbitro aveva respinto la domanda di ‘uniformarsi’ alle disposizioni di cui alla sentenza della Corte d’Appello, ritenendo che tale domanda – da intendersi quale domanda di pronunciare la risoluzione del contratto a far data dal 1.10.2015 per inadempimento della locatrice derivante dai vizi strutturali dell’immobile – non fosse ammissibile: sia perché su tale domanda si erano già pronunciati il precedente lodo e, a seguito dell’impugnazione, la Corte d’Appello, sia perché, comunque, la domanda svolta in questo secondo procedimento arbitrale si fondava su fatti diversi da quelli dedotti nel precedente giudizio, i quali, comunque, dovevano ritenersi infondati e inidonei a fondare la seconda e diversa richiesta risoluzione (giacché il contratto aveva espressamente escluso la sublocazione in mancanza di
consenso del locatore, né le trattative svolte fra le parti, in corso di esecuzione del contratto, per verificare la possibilità di sublocare l’immobile erano giunte ad un punto tale da far considerare contrario a buona fede il mancato consenso da parte di BNP); che, dunque, anche in questo caso non v’era alcuna contraddizione nel ragionamento decisorio dell’A.U., risultante motivato e ben comprensibile;
così come coerente e comprensibile era anche la decisione arbitrale di assumere la dichiarata risoluzione del contratto come mero ‘presupposto’ in fatto per escludere che potesse dichiararsi un’ulteriore risoluzione o un recesso per fatti diversi (mancato consenso da parte di BNP alla sublocazione richiesta da RAGIONE_SOCIALE) da ritenersi comunque, inidonei a fondare la pretesa risoluzione;
(g.3) quanto al terzo motivo -deducente nullità del lodo per vizio di ultrapetizione che sarebbe consistita nel fatto che l’Arbitro, respingendo le domande di KFlex di risoluzione per inadempimento/recesso/risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta sul presupposto della già intervenuta risoluzione del contratto di locazione per effetto della sentenza della Corte d’Appello sul precedente lodo (Capi 3, 5 e 6) aveva (a suo dire) così accolto di fatto la domanda svolta in via principale nell’arbitrato COGNOME di «uniformarsi» a detta decisione, e, ciò nonostante aveva, poi, comunque pronunciato, respingendole, sulle medesime domande formulate solo in via subordinata -la Corte di Milano ha osservato che l’Arbitro aveva dichiarato espressamente che le domande proposte in via subordinata venivano prese in esame proprio perché non era stata accolta (a differenza di quel che ritiene RAGIONE_SOCIALE) la domanda principale predetta di «uniformarsi» alla decisione della Corte d’Appello sul lodo COGNOME: nel lodo, infatti, si legge chiaramente (e la stessa RAGIONE_SOCIALE se ne duole con il motivo precedente) che la domanda di «uniformarsi» alla sentenza della Corte d’Appello veniva respinta per le ragioni spiegate (pag.
35 del lodo), e venivano, quindi, esaminate le domande proposte in via subordinata; onde non era ravvisabile alcuna ultrapetizione;
(g.4) quanto al quarto motivo -deducente nullità del lodo per contraddittorietà perché, a fronte della decisione dell’Arbitro di riconoscere l’autorità della sentenza della Corte d’Appello, le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE in via subordinata avrebbero dovuto essere dichiarate assorbite e non essere respinte – ha osservato che lo stesso era infondato per le ragioni già esposte nel rigetto del motivo di gravame precedente;
(g.5) quanto al quinto motivo -deducente nullità del lodo per astrusità e incomprensibilità in punto dichiarazione di litispendenza circa le domande risarcitorie fondata sui vizi strutturali e di restituzione dei canoni pagati successivamente alla risoluzione del contratto, giacché RAGIONE_SOCIALE non aveva mai inteso svolgere tali domande -ha osservato che il motivo era inammissibile per difetto di interesse, in quanto anche laddove la litispendenza fosse stata erroneamente dichiarata (per non essere state formulate quelle domande), la decisione era priva di effetti e poteva essere considerata tamquam non esset senza particolari conseguenze;
(g.6) infine quanto al sesto motivo -deducente nullità del lodo nella parte in cui le spese del procedimento erano state poste a carico delle parti al 50% ciascuna e quelle di difesa compensate (contestando KFlex di essere soccombente perché l’arbitro a suo dire si era di fatto uniformato alla sentenza della Corte d’appello sul lodo COGNOME), ha osservato che l’esame del motivo restava assorbito nel rigetto dei precedenti motivi di impugnazione.
4.2 -La Corte d’Appello ha, poi, respinto i motivi di appello incidentale di Alter Domus con ragioni che qui non interessa ripercorrere non essendo stati oggetto di ricorso incidentale.
4.3 -Con riguardo, infine, all’eccezione di difetto di legittimazione passiva di BNP -precedente società di gestione del Fondo Celio la Corte d’appello ha affermato che « Il rigetto
dell’impugnazione principale assorbe i rilievi svolti da BNP in via preliminare ».
5.- Avverso detta sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi; ha resistito RAGIONE_SOCIALEche ha anche precisato che la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1451/2024 del 20 maggio 2024 resa nel giudizio di riassunzione dell’appello contro il lodo COGNOME, lo aveva rigettato confermando quindi detto lodo e, dunque, la piena validità ed efficacia del contratto di locazione in questione, e che detta sentenza era stata nuovamente impugnata innanzi alla Corte di Cassazione da parte di Accademia e del Fondo RAGIONE_SOCIALE, cioè dalla parte locatrice); si è costituita anche BNP Paribas Real Estate Investment Management Italy SGR s.p.a. insistendo nell’eccezione di difetto di legittimazione passiva. Tutte le parti costituite hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente va affrontata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di BNP, rispetto alla quale la Corte d’appello ha ritenuto fosse venuto meno l’interesse all’accertamento stante l’esito del contenzioso definito con il rigetto delle domande di RAGIONE_SOCIALE.
La resistente, senza dover formulare un motivo di gravame incidentale avverso la sentenza della Corte distrettuale essendo vittoriosa in appello, costituendosi in giudizio insiste, tuttavia, legittimamente nell’eccezione di carenza di legittimazione passiva osservando che la società RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto rivolgere ad essa resistente alcuna domanda in proprio « ma, tutt’al più, al solo Fondo Celio, oggi gestito da RAGIONE_SOCIALE ». Invocando l’art. 36, comma 4, del D. Lgs. n. 58/1998, in ragione del quale tra la società di gestione ed il fondo gestito vi è una netta separazione patrimoniale, sostiene che la SGR non può essere chiamata a rispondere delle obbligazioni contratte nell’interesse del Fondo, in
quanto la segregazione patrimoniale che caratterizza il rapporto tra SGR e Fondo impedisce ogni forma di aggressione da parte dei creditori -o presunti tali -del Fondo, dei beni propri della società di gestione, giacché per le obbligazioni contratte dalla SGR per conto del Fondo non risponde e non può rispondere la società di gestione con i propri beni ma solo ed esclusivamente il Fondo con il proprio patrimonio. Pertanto, l’appellante non poteva formulare domanda alcuna nei confronti di BNP, né in quanto precedente società di gestione del Fondo Celio né, tantomeno, in proprio.
1.1- Sul punto si osserva -decidendo nel merito la questione ex art. 384, secondo comma, c.p.c. -che l’eccezione è infondata per distinte e concorrenti ragioni.
1.1.1 -Anzitutto la resistente confonde l’istituto processuale della legittimazione passiva- che è la titolarità del potere di resistere in giudizio e che si fonda sull’allegazione dell’attore che affermi essere il convenuto titolare dal lato passivo del rapporto controverso e la questione di merito dell’effettiva titolarità di detto rapporto, onde già solo per questo l’eccezione processuale come dedotta è infondata.
1.1.2In ogni caso l’eccezione è infondata anche in diritto. Il fondo comune di investimento è un istituto di intermediazione finanziaria, definito nell’art. 1, comma 1, lett. j), del d.l.gs. 24 febbraio 1998, n. 58 TUF come “l ‘OICR , costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore ” ovvero un veicolo di investimento che svolge la funzione di riunire le risorse finanziarie di una pluralità di risparmiatori in un unico patrimonio indifferenziato che viene investito in attività finanziarie. Ai sensi dell’art. 36 del TUF, detto patrimonio autonomo, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti, separato ed autonomo, è gestito, nell’interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi, da una società di gestione (RAGIONE_SOCIALE) che lo ha istituito o
dalla società di gestione subentrata nella gestione, che assume verso i partecipanti al fondo gli obblighi e le responsabilità del mandatario (v. art. 36 comma 3 e 4 TUF :« 3. La Sgr che ha istituito il fondo o la società di gestione che è subentrata nella gestione agiscono in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti al fondo, assumendo verso questi ultimi gli obblighi e le responsabilità del mandatario. 4. Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo».).
Come già chiarito da questa corte (v. Cass. n. 16605/2010 conforme Cass. n. 12062/2019). « I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel d. lgs. n. 58 del 1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica ma costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato alla società promotrice o di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia »
Perciò: i) il fondo comune costituisce un patrimonio separato; ii) detto fondo non ha soggettività giuridica autonoma; iii) i beni immobili acquisiti dal fondo comune vengono intestati alla SGR; iv) è la SGR ad esercitare tutti i diritti relativi ai beni, imputando poi profitti e perdite al fondo comune.
Ne discende, sotto l’aspetto dei rapporti obbligatori che qui interessa, che, proprio in ragione del fatto che detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni
separati della società di gestione del risparmio, soggetti passivi del rapporto obbligatorio sono le società di gestione, come tali tenute al pagamento dei debiti (Cass. n. 33895/2024; n. 16285/2024; n. 7116/2023; n. 11177 /2020).
1.1.3Nel caso di specie RAGIONE_SOCIALE era stata, correttamente, convenuta in giudizio con ricorso in data 25.03.2019, allorché era la società di gestione del Fondo Celio, cui, già nel 2014, era stata trasferita la proprietà del bene locato dal Fondo RAGIONE_SOCIALE; il fatto -invocato dall’attrice a sostegno della propria eccezione che, in seguito, ovvero il 1° luglio 2022, RAGIONE_SOCIALE sia subentrata a BNP nella gestione di Fondo RAGIONE_SOCIALE, rileva esclusivamente ex art. 111 c.p.c., nel senso che essendo stato trasferito nel corso del processo il diritto controverso (la titolarità del bene e con esso dei rapporti obbligatori sorti nell’ambito della sua gestione) per atto tra vivi e a titolo particolare il processo prosegue tra le parti originarie, anche se il successore può intervenire o essere chiamato nel processo e se le altre parti vi consentono l’alienante e il successore universale può essere estromesso’ fermo che « la sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui».
Pertanto, in assenza dei presupposti per l’estromissione, in sede di avvio del procedimento arbitrale e in sede di pronuncia del lodo COGNOME in data 29 settembre 2021, sussisteva pienamente la legittimazione passiva di BNP, che è persistita anche in sede di giudizio di appello del lodo, pur dopo il subentro in data 1° luglio 2022 di RAGIONE_SOCIALE nella gestione del Fondo Celio; il fatto che, in ogni caso, ex art. 36 TUF, delle obbligazioni contratte nell’interesse del Fondo la SGR risponde con il patrimonio del Fondo stesso e non con il proprio, è evidentemente questione pacifica, ma del tutto diversa dalla condizione dell’azione in discorso.
2.- Con il primo motivo la ricorrente intende denunciare, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 336 comma 2 c.p.c. (per cui « La riforma o la Cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata» ).
Secondo la ricorrente la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ignorato le conseguenze dell’effetto espansivo esterno determinato dalla intervenuta cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2628/2020 espressamente indicata dall’Arbitro Unico quale presupposto di alcune decisioni di rigetto (ovvero: a) delle « domande di risoluzione per inadempimento e risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE fondate sul rifiuto di BNP di dare il suo consenso alla sublocazione e sugli altri fatti allegati da RAGIONE_SOCIALE nel presente procedimento», capo 3 del dispositivo; b) della « domanda di accertamento della legittimità dì recesso per gravi motivi di RAGIONE_SOCIALE», capo 5 del dispositivo; c) della « la domanda di RAGIONE_SOCIALE di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta», capo 6 del dispositivo), le quali conseguenze erano state oggetto del nuovo motivo di appello e della conseguente (nuova) domanda di annullamento del lodo proposta in via principale in sede di precisazione delle conclusioni.
Detto motivo di censura del lodo sarebbe stato erroneamente ritenuto tardivo ed inammissibile dalla nella sentenza qui gravata poiché RAGIONE_SOCIALE diversamente da quanto afferma la Corte d’Appello – non avrebbe avuto alcun interesse, nella more del giudizio di cassazione sulla sentenza d’appello resa sul lodo COGNOME, ad impugnare « La decisione dell’arbitro COGNOME di assumere come presupposto del lodo la sentenza della Corte d’Appello » poiché: se il ricorso per cassazione proposto avverso detta sentenza fosse stato respinto -e la dichiarazione di risoluzione del contratto di locazione si fosse così consolidata – RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto alcun interesse ad ottenere in sede di appello del lodo COGNOME una
decisione diversa da quella emessa (che dava per presupposta la validità ed efficacia di tale sentenza); se, invece, come è avvenuto, detto ricorso per cassazione fosse stato accolto e la sentenza cassata, l’effetto espansivo esterno della sentenza della Cassazione previsto dall’art. 336 comma 2 c.p.c., avrebbe determinato la automatica caducazione del lodo COGNOME, a prescindere dall’impugnazione dello stesso.
In sintesi, qualsiasi fosse stata la sorte del giudizio di impugnazione in Cassazione della sentenza n. 2628/2020 di risoluzione del contratto, RAGIONE_SOCIALE, all’epoca della impugnazione del lodo COGNOME, non avrebbe avuto alcun interesse ad impugnare la decisione dell’Arbitro Unico nella parte in cui -di fatto -si «uniformava» al dispositivo di tale sentenza come da lei richiesto; interesse che, quindi, sarebbe sorto solo una volta che la Corte di legittimità aveva cassato con rinvio la sentenza di risoluzione del contratto, ossia il provvedimento dal quale il lodo COGNOME dipendeva « in tutto e per tutto ».
2.1 – Il motivo, inteso a censurare la decisione di inammissibilità del nuovo motivo di censura del lodo introdotto in fase conclusiva, è inammissibile.
Afferma, infatti, la Corte d’appello che : « la suddetta nuova domanda formulata in via principale sia inammissibile. La decisione dell’arbitro COGNOME di assumere come presupposto del lodo la sentenza della Corte d’Appello (poi cassata) poteva e doveva essere contestata, nei limiti consentiti dall’art. 829 c.p.c., con l’atto di impugnazione del lodo (indipendentemente dall’esito del ricorso per cassazione) e non può, invece, giustificare una nuova doglianza, proposta dopo la scadenza del termine perentorio per impugnare il lodo. Sotto altro profilo si può rilevare che a sostegno di tale nuova domanda non viene indicato alcun vizio rescindente fra quelli previsti dall’art. 829 c.p.c. ».
Dunque la Corte di merito ha dichiarato inammissibile il motivo non solo perché nuovo e tardivo, ma anche perché non conforme alla previsione dell’art. 829 c.p.c., mentre la ricorrente laddove si duole del fatto che l’impugnazione non poteva essere giudicata tardiva poiché l’interesse a proporla sarebbe sorto solo all’esito del giudizio di cassazione, censura solo una delle ratio decidendi che sorreggono la decisione di inammissibilità del motivo d’appello del lodo in discorso, mentre non considera e non muove alcuna critica alla ratio decidendi che si fonda sulla sua non conformità alla previsione e ai limiti di cui all’art. 829 c.p.c.
Il secondo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c. l’illegittimità della sentenza impugnata per avere la Corte d’Appello omesso di tenere conto della intervenuta cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2628/2020 costituente un fatto decisivo per la controversia.
3.1- Il motivo è evidentemente inammissibile poiché il vizio invocato (art. 360 n. 5 c.p.c.) per come rimodellato dal d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, non un fatto processuale qual è l’intervenuta cassazione della sentenza che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione per ragioni diverse da quelle dedotte nel nuovo procedimento arbitrale; il quale fatto processuale, vale la pena aggiungere, è stato tutt’altro che ignorato dalla Corte di merito, bensì considerato ininfluente rispetto alla questione della validità del lodo COGNOME che essa era chiamata a vagliare alla stregua del parametro regolatore di cui all’art. 829 c.p.c. e, quindi, dei soli vizi che ne potevano fondare la declaratoria di nullità.
-Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 del c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. relativamente alle statuizioni della sentenza
impugnata che, nel respingere il secondo e terzo motivo di impugnazione del lodo arbitrale formulati da K-Flex, si baserebbero su motivazioni rese dall’Arbitro Unico ad abundantiam, e quindi irrilevanti ai fini della decisione.
4.1 -Il motivo è inammissibile
Giova ricordare che sul secondo motivo d’appello deducente nullità per contraddittorietà ed illogicità delle motivazioni relative al rigetto della domanda di «uniformarsi» alla sentenza della Corte d’Appello di Milano del 19.10.2020 -la Corte di merito ha osservato:
che l’Arbitro aveva respinto la domanda di «uniformarsi» alle disposizioni di cui alla sentenza della Corte d’Appello, ritenendo che tale domanda – da intendersi quale domanda di pronunciare la risoluzione del contratto a far data dal 1.10.2015 per inadempimento della locatrice derivante dai vizi strutturali dell’immobile – non fosse ammissibile: sia perché su tale domanda si erano già pronunciati il precedente lodo e, a seguito dell’impugnazione, la Corte d’Appello; sia perché, comunque, la domanda svolta in questo secondo procedimento arbitrale si fondava su fatti diversi da quelli dedotti nel precedente giudizio, i quali, comunque, dovevano ritenersi infondati e inidonei a fondare la richiesta risoluzione (giacché il contratto aveva espressamente escluso la sublocazione in mancanza di consenso del locatore, né le trattative svolte fra le parti, in corso di esecuzione del contratto, per verificare la possibilità di sublocare l’immobile erano giunte ad un punto tale da far considerare contrario a buona fede il mancato consenso da parte di BNP); che, dunque, anche in questo caso non v’era alcuna contraddizione nel ragionamento decisorio dell’A.U., risultante motivato e ben comprensibile;
altrettanto coerente e comprensibile era anche la decisione arbitrale di assumere la dichiarata risoluzione del contratto come mero ‘presupposto’ in fatto per escludere che potesse dichiararsi
un’ulteriore risoluzione o un recesso per fatti diversi (mancato consenso da parte di BNP alla sublocazione richiesta da RAGIONE_SOCIALE) da ritenersi comunque, inidonei a fondare la pretesa risoluzione.
Nel respingere il terzo motivo d’appello deducente nullità del lodo per vizio di ultrapetizione – che sarebbe consistita nel fatto che l’Arbitro, respingendo (Capi 3, 5 e 6) le domande di RAGIONE_SOCIALE di risoluzione per inadempimento/recesso/risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta sul presupposto della già intervenuta risoluzione del contratto di locazione per effetto della precedente sentenza della Corte d’Appello aveva (a suo dire) così accolto di fatto la domanda svolta in via principale all’Arbitro COGNOME di «uniformarsi» a detta decisione, e, ciò nonostante aveva, poi, comunque pronunciato, respingendole, sulle medesime domande formulate solo in via subordinata -la Corte di Milano ha osservato che l’Arbitro aveva dichiarato espressamente che le domande proposte in via subordinata venivano prese in esame proprio perché non era stata accolta (a differenza di quel che ritiene KFlex) la domanda principale predetta di «uniformarsi» alla decisione della Corte d’Appello sul lodo COGNOME: nel lodo, infatti, si legge chiaramente (e la stessa RAGIONE_SOCIALE se ne duole con il motivo precedente) che la domanda di «uniformarsi» alla sentenza della Corte d’Appello veniva respinta per le ragioni spiegate (pag. 35 del lodo), e venivano, quindi, esaminate le domande proposte in via subordinata; onde non era ravvisabile alcuna ultrapetizione.
4.2- Alla luce di dette argomentazioni decisorie della Corte di merito risulta evidente che la ricorrente, nel censurare la sentenza gravata, non si confronta con la ratio decidendi, che è strettamente connessa ai vizi – motivazionali o in procedendo (ultrapetizione) che le erano stati sottoposti in via rescindente; e la cui fondatezza ha motivatamente escluso, senza, peraltro, che in quella sede fosse stata posta la questione della irrilevanza degli argomenti utilizzati
dall’arbitro COGNOME in funzione di rigetto delle domande a lui sottoposte in quanto espressi solo ad abundantiam.
Peraltro i motivi di rigetto in questione non attenevano affatto -come pretende parte ricorrente ad una motivazione ad abudantiam , bensì piuttosto ad una motivazione alternativa (come ben colto e spiegato dalla Corte d’appello) che l’arbitro aveva reso sulla base, appunto, dell’alternativo (perché opposto a quello che sorreggeva una prima ragione di rigetto, ovvero la stabilità della statuizione di risoluzione del contratto) presupposto che fosse venuta meno la già dichiarata risoluzione del contratto: affermazione, dunque, non ultronea (id est, ad abundantiam ) bensì alternativa di infondatezza dei (diversi) fatti costitutivi della ulteriore domanda di risoluzione del contratto di RAGIONE_SOCIALE
Il quarto motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.l’illegittimità della sentenza gravata nella parte in cui la Corte d’Appello ha dichiarato infondato il motivo di impugnazione relativo al capo 2) del lodo arbitrale ( «2. Respinge la domanda di RAGIONE_SOCIALE di uniformarsi alla sentenza di Corte d’Appello di Milano del 19 ottobre 2020 e di dichiarare la risoluzione del contratto di locazione a far tempo dal 1° ottobre 2015;» ) nonché quello relativo ai capi 3, 5 e 6 del lodo arbitrale (le pronunce di rigetto fondate sul presupposto della intervenuta dichiarazione di risoluzione) per violazione e falsa applicazione « del principio di prevalenza della sostanza sulla forma », ovvero per essersi la Corte territoriale basata unicamente sul contenuto formale del lodo arbitrale impugnato ignorandone la portata sostanziale, e giungendo così -a dire della ricorrente -ad incorrere nel vizio di ultrapetizione.
5.1Il motivo è inammissibile poiché, non solo difetta di specificità non essendo invocata la violazione di alcuna norma, ma neppure si confronta con la ratio decidendi della Corte territoriale, che sul punto ha disatteso la prospettazione di ultrapetizione già
introdotta con l’appello perché l’Arbitro aveva dichiarato espressamente che le domande proposte in via subordinata venivano prese in esame proprio perché non era stata accolta (a differenza di quel che riteneva RAGIONE_SOCIALE) la domanda principale di «uniformarsi» alla sentenza di risoluzione della Corte d’Appello onde non era ravvisabile -appunto- alcuna ultrapetizione.
-Il quinto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cpc e 118 disp. att. c.p.c. per avere la Corte d’Appello, nel respingere il primo, terzo e quarto motivo di impugnazione del lodo, fornito una motivazione apparente limitandosi a riportare le affermazioni dell’Arbitro ed affermando di condividerle senza tuttavia fornire alcun elemento idoneo a comprendere l’iter logico seguito per giungere alla decisione di rigetto.
6.1 -Il motivo è inammissibile poiché, come noto (v. Sezioni Unite nella nota sentenza n 8052/2014 confermata da innumerevoli pronunce), « il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assumono inficiarla sino al punto di renderne apparente il supporto argomentativo, devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti (dato che in ordine alla quaestio juris non è nemmeno configurabile un vizio di motivazione) » e che « in coerenza con la natura di tale controllo, da svolgere tendenzialmente ab intrinseco, il vizio afferente alla motivazione, sotto i profili della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, sì da comportarne la nullità »; il che nella specie, per tutto quanto già esposto circa l’articolata decisione della Corte distrettuale, evidentemente non è.
5.In conclusione il ricorso di RAGIONE_SOCIALE va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti, liquidate per ciascuna nell’importo di euro 10.200,00. di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile dell’11.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME