Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24755 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24755 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2433/2020 R.G. proposto da:
NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-Controricorrente ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 926/2019 depositata il 07/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/07/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso avverso la delibera del consiglio di amministrazione del RAGIONE_SOCIALE adottata in data 31 agosto 2013 avente a oggetto l’approvazione del regolamento elettorale. Il RAGIONE_SOCIALE si è costituito eccependo la tardività dell’impugnazione in quanto non proposta nel termine di 60 giorni, previsto dall’art. 11 dello statuto. Il Tribunale di Brescia ha dichiarato l’inammissibilità della domanda per tardività della impugnativa per la scadenza del termine di 90 giorni previsto dall’art. 2377 c.c., ritenuto applicabile alla fattispecie. COGNOME e COGNOME hanno proposto appello.
La Corte d’appello ha escluso che si applichi alla fattispecie l’art. 2377 del codice civile trattandosi di una associazione non riconosciuta che non persegue scopi di lucro e che pertanto le delibere non scontano un termine di decadenza per la loro impugnazione; ha ritenuto altresì non applicabile l’art. 11 dello statuto in quanto norma derogatoria della disciplina legale, da interpretarsi in senso stretto, relativa solo alle deliberazioni della assemblea del RAGIONE_SOCIALE e non anche delle delibere del consiglio di amministrazione.
Nel merito, ha esaminato le singole norme del regolamento elettorale impugnate ed escluso che le censure mosse siano fondate, osservando che in alcuni casi parte ricorrente si è limitata a generiche valutazioni in ordine alla non correttezza delle disposizioni in quanto limitative del diritto di voto, ma senza indicare la disposizione o i principi statutari derogati e specificamente il contrasto con lo statuto; in altri casi le disposizioni sono censurate prospettando una interpretazione che tuttavia non risultava avallata dall’ufficio elettorale; in altri casi ancora la Corte non ha ravvisato contrasto con le disposizioni statutarie. Pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, ha respinto nel merito il ricorso dei soci condannandoli alle spese in base all’esito complessivo della lite.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME e COGNOME affidandosi a dodici motivi. Il RAGIONE_SOCIALE ha proposto un motivo di ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. Parte ricorrente deduce che la motivazione del rigetto del primo motivo di appello è meramente apparente con conseguente nullità della sentenza, avendo i giudici d’appello omesso di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire sulla base di quali argomentazioni sono pervenuti alla propria determinazione. Rilevano che la Corte distrettuale ha motivato il rigetto del primo motivo di appello richiamando l’art. 1428 c.c., che non è stato invocato dagli appellanti e affermando che gli odierni ricorrenti avrebbero chiesto in primo grado l”annullamento’ della delibera del C.d.A. e del ‘regolamento’ con la stessa adottato; deducono che tale argomento non ha alcun rilievo in relazione al rigetto del primo motivo di appello, con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado in quanto aveva omesso di esaminare e pronunciare, anche d’ufficio, la nullità della delibera e del regolamento. Da ciò discenderebbe -secondo la parte- che dal momento che si è lamentato con il primo motivo di appello il mancato esame e la mancata pronuncia d’ufficio della nullità, non può darsi alcun rilievo al fatto che sia stato chiesto nelle conclusioni precisate in primo grado l’annullamento della delibera come invece la Corte d’appello ha fatto.
1.2.- Il motivo è infondato
La circostanza che la Corte d’appello abbia rubricato il motivo proposto dalla parte richiamando una norma non invocata dai ricorrenti (1428 c.c. come indicato a pag. 12, ma è verosimile che si tratti di un refuso dal momento che la norma sulla nullità è l’art. 1418 c.c, invocata poi infatti a pag. 13) non inficia certamente la sentenza stante il potere del giudice di qualificare la domanda, che in ogni caso è chiaramente una domanda di nullità/annullabilità della delibera del consiglio di amministrazione. Quanto al resto, la censura è manifestamente infondata dal momento che la Corte d’appello alle pagine 12 e 13 si è diffusa sulle ragioni per le quali ritiene che nonostante sia consolidato il principio che il giudice può rilevare d’ufficio la nullità, essa non ricorre nella specie; e ha rilevato che non sono emerse, né adeguatamente allegate dalla parte, ragioni di contrarietà a norme imperative o a principi costituzionali delle norme regolamentari che sono state impugnate. Questa affermazione si salda poi con la successiva analitica disamina di ciascuna delle norme del regolamento che sono state impugnate, rilevando la Corte distrettuale che esse non sono contrarie allo statuto nel senso che non intervengono sul diritto di voto e prevedono essenzialmente modalità operative del voto stesso e della procedure per la candidabilità a certe cariche (il distacco della matrice dalle schede elettorali, la delega, la certificazione di iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE revisori dei RAGIONE_SOCIALE etc.), compatibili con le disposizioni dello statuto stesso. La motivazione si pone quindi ben al di sopra dello standard del minimo costituzionale ed è immune da errori logici anzi se ne apprezza la coerenza e conseguenzialità(cfr. Cass. n. 7090 del 03/03/2022).
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. l’errore di diritto, per violazione degli artt. 1418, 1421 e 21 c.c. in relazione al rigetto del primo motivo di
appello, con il quale è stata specificamente lamentata l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale non ha ritenuto di dover pronunciare d’ufficio la nullità della delibera del C.d.A. impugnata e del ‘regolamento elettorale’ con tale delibera adottato, in applicazione degli articoli 2252, 1418 e 1421 c.c.
La parte deduce che la nullità del regolamento elettorale e della delibera del C.d.A. che lo ha adottato (nullità che è stata estesamente trattata nell’atto di appello, doc. 8) discende dalla violazione dell’art. 12 dello Statuto, che attribuisce la facoltà di approvare modifiche statutarie all’assemblea straordinaria e non al C.RAGIONE_SOCIALE.A., conformemente alla previsione degli artt. 21 e 2252 c.c., la cui applicabilità alle associazioni non riconosciute è pacifica per giurisprudenza costante. I ricorrenti deducono che la violazione dell’art. 12 dello statuto rileva ai sensi degli artt. 1418 e 1421 c.c. in quanto costituisce violazione della norma imperativa dettata dall’art. 21 c.c.
3.Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al fatto, provato documentalmente e oggetto di discussione tra le parti, del contrasto tra quanto previsto nell’impugnato ‘regolamento elettorale’ e le norme dello statuto con specifico riferimento ai punti del ‘regolamento’ numeri 7, 9, 10, 13, 15, 21, 23 e 24, nonché al fatto che il CRAGIONE_SOCIALEdRAGIONE_SOCIALE. abbia assunto la propria delibera in materia sottratta alle sue competenze ed attribuzioni a norma degli articoli 11 e 12 dello s tatuto. La parte deduce che i giudici d’appello non hanno esaminato il fatto, risultante dai documenti prodotti in primo grado sub 1, 2 e 3 (allegati al ricorso per cassazione sub 2, 3 e 4), dell’attribuzione alla sola assemblea straordinaria del RAGIONE_SOCIALE della facoltà di adottare delibere modificative dello statuto del RAGIONE_SOCIALE, nonché il fatto che il
regolamento è stato adottato dal RAGIONE_SOCIALE in contrasto con l’esclusiva competenza dell’assemblea straordinaria nella parte in cui i suoi punti modificano lo statuto dell’associazione; rileva che i giudici d’appello non hanno esaminato il fatto, pure documentalmente provato, del contrasto tra l’impugnato regolamento e le norme dello statuto, con specifico riferimento ai punti del regolamento numeri 7, 9, 10, 13, 15, 21, 23 e 24, punti con riguardo ai quali sia in primo che in secondo grado sono state specificamente indicate le norme statutarie violate, tutte ampiamente ripercorse nel ricorso introduttivo del giudizio di legittimità.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 21 e 2372 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che i punti 7 e 15 del ‘regolamento elettorale’ impugnato integrassero una violazione dei richiamati articoli di legge in quanto consentono di considerare presenti ai fini del quorum assembleare i soggetti che, pur avendo ritirato la scheda elettorale, non siano poi presenti né personalmente né per delega validamente conferita e trasmessa. I ricorrenti deducono che la sentenza di appello, nella parte in cui i giudici di secondo grado non hanno accolto la domanda in relazione ai punti 7 e 15 del regolamento adottato con la delibera del C.d.A. impugnata, ritenendo che non violassero alcuna disposizione di legge, è viziata da violazione di legge ed in particolare degli artt. 21 e 2372 c.c. (il secondo applicabile anche alle associazioni non riconosciute), che richiedono la presenza degli associati in assemblea, personalmente o per mezzo di soggetti cui sia conferita valida delega, ai fini del quorum.
5.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 21, 16 e 36 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il punto 9 del ‘regolamento elettorale’ impugnato integrasse una
violazione dei richiamati articoli di legge in quanto consente, in materia che la legge riserva alle norme dello statuto ed in contrasto con quanto lo statuto medesimo stabilisce, il diritto al ritiro della scheda elettorale nominativa a soggetti diversi dall’intestatario e dai suoi familiari conviventi, anche in assenza di delega, così altresì consentendo – di fatto – a soggetti che non ne hanno diritto, di prendere parte all’assemblea dell’associazione. I ricorrenti deducono che il punto 9 del regolamento riforma, ampliando la platea di quanti possono ritirare la scheda elettorale, quanto previsto nello statuto in materia che è a tale strumento demandata dagli articoli 16 e 36 c.c., che sono pertanto violati. Rilevano che il punto 9 del regolamento viola anche l’articolo 21 c.c., che attribuisce ai soli associati (nella specie i singoli consorziatiproprietari) il diritto di prendere parte all’assemblea dell’associazione e di prendere parte alle votazioni: il diritto di prendere parte alle votazioni è ‘incorporato’ nella scheda elettorale, in quanto si identifica materialmente e simbolicamente nel possesso della scheda, che dovrebbe pertanto essere ritirata solo dall’avente diritto al voto.
6.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 16 e 36 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il punto 10 del ‘regolamento elettorale’ impugnato integrasse una violazione dei richiamati articoli di legge in quanto consente di conferire la delega a presenziare e votare in assemblea anche a soggetti nei cui confronti lo statuto consortile, cui gli articoli 16 e 36 c.c. demandano di normare l’ordinamento interno, e l’amministrazione delle associazioni esclude tale facoltà. I ricorrenti deducono che il punto 10 del regolamento estende invece, in contrasto con l’art. 10 dello statuto consortile (cui gli artt. 16 e 36 del c.c. demandano di dettare le norme sull’ordinamento e
l’amministrazione dell’associazione) la possibilità di conferire la delega a presenziare e votare in assemblea ad un familiare anche non convivente e che sia in possesso della tessera del residente (‘possesso’ della tessera del residente che in alcun modo può inerire alle questioni elettorali).
7.-Con il settimo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 16 e 36 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il punto 13 del ‘regolamento elettorale’ impugnato integrasse una violazione dei richiamati articoli di legge in quanto, in materia riservata per legge ad essere normata dallo statuto dell’associazione, ha modificato quanto previsto dallo statuto medesimo il contrasto tra il punto 13 del regolamento (che prevede la possibilità di utilizzare deleghe trasmesse a mezzo e-mail o a mezzo fax inviato non solo presso la sede del RAGIONE_SOCIALE) e l’art. 10 dello statuto del RAGIONE_SOCIALE (che prevede che la delega debba essere ‘scritta in calce all’avviso di convocazione’) è evidente e risulta dai documenti (statuto e regolamento) riprodotti sub docc. 2 e 3 con il ricorso. I ricorrenti osservano che la delibera con cui il RAGIONE_SOCIALE ha adottato il regolamento che – in aperta violazione delle norme dello statuto, cui gli articoli 16 e 36 del codice civile demandano il compito di dettare le norme che regolano l’ordinamento e l’amministrazione delle associazioni al suo punto 13 introduce modalità di invio delle deleghe elettorali non previste dallo statuto associativo, deve conseguentemente ritenersi assunta in violazione delle richiamate disposizioni del codice civile.
8.- Con l’ottavo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 16 e 36 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il punto 21 del ‘regolamento elettorale’ impugnato non integrasse una violazione dei richiamati
articoli di legge in quanto, condizionando il diritto di elettorato passivo al possesso della ‘tessera del residente’ introduce un requisito per l’eleggibilità a consigliere dell’associazione non previsto dallo statuto, strumento che regola per legge l’ordinamento e l’amministrazione dell’associazione in quanto viziata da violazione di legge ed in particolare degli articoli 16 e 36 c.c. che demandano allo statuto delle associazioni il compito di normare l’ordinamento e l’amministrazione dell’associazione, ordinamento e amministrazione in cui rientrano ovviamente le previsioni dettate in materia di requisiti necessari ai fini dell’eleggibilità a consigliere del C.d.A. dell’associazione. I ricorrenti deducono che il punto 21 del regolamento condiziona infatti la candidatura a consigliere del C.d.A. del RAGIONE_SOCIALE al possesso della ‘tessera del residente’, in violazione dell’art. 11 comma 8/a dello Statuto, che estende il diritto di elettorato passivo oltre che ai consorziati-proprietari anche ai loro familiari, indipendentemente dal ‘possesso’ della ‘tessera del residente’,
9.- Con il nono motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 16 e 36 c.c. perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il punto 24 e il punto 23 del ‘regolamento elettorale’ impugnato integrassero una violazione dei richiamati articoli di legge, in quanto impongono una condizione per la candidabilità a membro del collegio dei revisori dei RAGIONE_SOCIALE che non è prevista nello statuto cui gli artt. 16 e 36 c.c. demandano il compito di normare l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute. I ricorrenti deducono che è previsto che i componenti del Collegio dei revisori siano i soci stessi, in quanto non essendo organo necessario non è necessario che i suoi membri siano revisori contabili. Osservano che il punto 24 (e il precedente punto 23 ad esso collegato) del regolamento, in materia di revisori dei RAGIONE_SOCIALE, si pongono in
contrasto con le norme statutarie, che nulla dicono circa la qualità dei revisori, tranne che anch’essi debbono essere scelti tra gli ‘appartenenti al RAGIONE_SOCIALE‘: si deve pertanto concludere che la delibera del C.d.A. che approva il regolamento è stata assunta in violazione dei più volte richiamati articoli 16 e 36 del c.c., che attribuiscono allo statuto delle associazioni il compito di normare l’ordinamento e l’amministrazione dell’associazione, ordinamento e amministrazione in cui rientrano ovviamente le previsioni dettate in materia di composizione e compiti del collegio dei revisori.
11.I motivi dal secondo al nono possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, e sono tutti inammissibili.
A prescindere dal rilievo, sul quale si fonda l’eccezione di controparte, che pur se lo statuto e il regolamento sono stati depositati in atti nel ricorso essi vengono soltanto genericamente richiamati e non trascritte né adeguatamente riassunte le parti oggetto di censura in relazione alla loro asserita incompatibilità, deve osservarsi che il ricorso non si confronta adeguatamente con le ragioni decisorie esposte dalla Corte distrettuale, e non tiene conto che lo statuto è un atto negoziale la cui interpretazione è riservata al giudice del merito.
La Corte d’appello, a pagina 18 della sentenza impugnata, osserva che sebbene la difesa degli appellanti contesti che il consiglio di amministrazione abbia deliberato in ambiti deputati all’assemblea -e da qui discenderebbe secondo la parte la nullità in quanto contraria all’art. 21 c.c., norma imperativa- in realtà l’impugnativa riguarda alcuni articoli del regolamento elettorale sulle modalità del voto e che non incidono sul diritto di voto stesso, in parte qua richiamandosi allo statuto. Queste disposizioni sulle modalità di voto sono state esaminate dalla Corte d’appello, escludendo per ciascuna di esse che risulti il contrasto con lo statuto o comunque la indebita modificazione di esso. Quindi, in
definitiva, la Corte distrettuale esclude alcun profilo di contrarietà delle norme regolamentari allo statuto; così operando essa ha intrepretato lo statuto, e il contenuto delle clausole riguardanti il diritto di voto, mettendolo in relazione con il regolamento approvato dal consiglio di amministrazione per verificarne la compatibilità.
Deve qui ricordarsi che l’interpretazione dello statuto così come l’interpretazione del contratto, trattandosi in entrambi i casi di atto negoziale, espressione di autonomia privata, è rimessa al giudice del merito e non è censurabile prospettando una ricostruzione alternativa di esso, ma solo per violazione di specifici parametri normativi ovvero per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Ove si esponga la censura di violazione di norme di diritto, la parte deve non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. (Cass. n. 10745 del 04/04/2022; Cass. n. 9461 del 09/04/2021; Cass. n. 16409 del 04/07/2017; Cass. n. 26683 del 13/12/2006).
Nell’odierno ricorso la parte non indica quali parametri ermeneutici sarebbero stati violati, ma si limita a ribadire che in base alla propria interpretazione dello statuto e del regolamento, vi sarebbe contrasto tra il secondo e il primo e quindi, il regolamento avrebbe indebitamente modificato (o tentato di modificare) lo statuto. Il predetto contrasto è stato tuttavia
escluso dalla Corte d’appello, con giudizio di merito in questa sede non sindacabile.
Per quanto attiene invece alla censura di omesso esame di fatto decisivo, si osserva che essa deve riferirsi, necessariamente, all’omesso esame di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 27505 del 2023; Cass. n. 4528 del 2023;Cass., SU, n. 23650 del 2022).
La parte ricorrente, nel caso di specie, non fa riferimento ad alcun fatto storico di cui sia stato omesso l’esame, ma prospetta, sotto forma di censura ex art. 360 n. 5 c.p.c., le stesse censure di errata lettura ed interpretazione dello statuto e della asserita incompatibilità delle norme regolamentari approvate dal consiglio di amministrazione con esso. Si tratta di punti che la Corte d’appello ha esaminato, specificamente vagliando le censure di incompatibilità, giungendo però a conclusioni diverse da quelle auspicate dalla parte; ciò che la parte lamenta dunque non è l’omesso esame di questi fatti da parte della Corte d’appello, ma che la Corte d’appello esaminando il regolamento non lo abbia ritenuto contrario alle norme statutarie.
Così ad esempio la Corte di merito ha spiegato adeguatamente le ragioni per cui ha ritenuto che i punti 9- 10 e 21 del regolamento approvato dal consiglio di amministrazione siano conformi allo statuto e ne richiamino gli artt. 11 e 13, in particolare perché a tutti i consorziati e ai loro familiari è rilasciata una tessera di riconoscimento (tessera del residente) con validità pluriennale. Allo stesso modo la Corte ha esplicitato le ragioni per cui i punti 2324 del regolamento sono compatibili con l’art. 11
dello statuto, e ne costituiscono una specificazione, posto che l’art . 11 fa riferimento ad una precisa figura professionale e ciò giustifica la previsione contenuta nel regolamento che i candidati debbano documentare l’iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE.
L’esame delle singole disposizioni censurate conduce la Corte di merito -come sopra si è detto- a concludere che le disposizioni censurate non intervengono sul diritto di voto e prevedono essenzialmente modalità operative del voto stesso e delle procedure per la candidabilità a certe cariche; in quanto tali il giudice d’appello le ritiene compatibili con le disposizioni dello statuto ed attuative dello stesso. La legittimità di questa conclusione non è contrastata se non facendo ricorso una personale lettura delle norme statutarie, e di quelle approvate dal consiglio di amministrazione, qualificando queste ultime come modifiche allo statuto, senza confrontarsi adeguatamente con la ragione decisoria e senza rispettare i limiti del giudizio di legittimità.
11.- Con il decimo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in quanto la Corte d’appello nel dispositivo scrive di decidere ‘ in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia n. 2933/2016, che conferma nel resto ‘ in contrasto con quanto affermato nella motivazione della sentenza oggetto del ricorso in relazione alla totale riforma della sentenza di primo grado, con conseguente assoluta mancanza di motivazione per contrasto assoluto tra affermazioni inconciliabili. Parte ricorrente deduce che vi è un insanabile contrasto tra la motivazione e il dispositivo per cui la Corte ha invero accolto il motivo d’appello relativo alla decadenza e quindi l’affermazione di parziale accoglimento sarebbe in contrasto con quanto indicato in motivazione.
12.- Il motivo è infondato.
Non vi è alcun contrasto tra la motivazione e il dispositivo perché si rende evidente dalla lettura complessiva della sentenza che la Corte d’appello, pur non condividendo l’affermazione della sentenza di primo grado circa la decadenza dalla impugnazione, ha inteso comunque respingere, così come di fatto ha respinto -ma per le ragioni indicate in motivazione- la impugnazione proposta dai ricorrenti. Pertanto, è evidente l’intento di rimarcare che nonostante la impugnazione promossa dai soci, il regolamento resta valido sia pure per ragioni diverse da quelle ritenute dal giudice di primo grado, ed inoltre che resta confermata la valutazione sulla soccombenza dei ricorrenti.
13.Con l’undicesimo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione alla pronuncia sulle spese di lite di primo e secondo grado, in quanto la Corte motiverebbe con un ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e con motivazione ‘perplessa ed obiettivamente incomprensibile’ in ordine alla pronuncia sulle spese di primo e secondo grado.
Secondo i ricorrenti ci sarebbe contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e pertanto sarebbe assolutamente perplessa e obiettivamente incomprensibile la motivazione della Corte d’appello che da un lato, alle pagine 15, 16, 17, 18 della sentenza impugnata ha esaminato e respinto tutte le eccezioni sollevate dal RAGIONE_SOCIALE in via di appello incidentale, dall’altro ha poi affermato, per motivare la pronuncia che vi sarebbe stata la soccombenza della parte impugnante, in quanto che ‘non sussiste soccombenza reciproca, atteso che il RAGIONE_SOCIALE si è limitato alla contestazione, sotto vari profili, delle domande di controparte ma non ha proposto a propria volta domande in relazione alle quali sia risultato soccombente.
14.- Con il dodicesimo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. l’errore di diritto per violazione dell’art. 92 c.p.c. perché la Corte, pur avendo totalmente riformato la sentenza di primo grado e avendo dato atto nella parte espositiva (pag. 10 della sentenza) della proposizione di appello incidentale da parte del RAGIONE_SOCIALE, nonché avendo dato atto nella parte motiva non oggetto di impugnazione del fatto che la difesa del RAGIONE_SOCIALE ha riproposto in via di appello incidentale tutte le eccezioni già proposte in primo grado nonché l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., eccezioni tutte respinte dalla sentenza impugnata, in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. ha condannato gli appellanti all’integrale rifusione delle spese di secondo grado e conferma la condanna all’integrale rifusione delle spese di primo grado, con conseguente violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
15.- Gli ultimi due motivi sono inammissibili
La Corte di merito non ha violato il principio che vieta di porre le spese a carico della parte vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020), posto che i ricorrenti sono soccombenti nell’esito complessivo della lite in quanto, pur se ammissibile, la loro impugnazione è stata ritenuta infondata nel merito.
Quanto alla facoltà di disporre la compensazione delle spese di lite in tutto o in parte, essa rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n. 11329 del 26/04/2019; Cass. s.u. n. 14989 del 15/07/2005)
Ne consegue il rigetto del ricorso principale.
Il ricorso incidentale con il quale il RAGIONE_SOCIALE insiste in via condizionata nell’eccezione di decadenza è assorbito per difetto di interesse attuale ( Cass. sez. U, n. 5456 del 2009 Cass. sez. U, n. 7381 del 2013; Cass. n. 4619 del 2015)
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna i ricorrenti alle spese del giudizio che liquida in euro 5000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per spese non documentabili ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/07/2024.